3
Introduzione
In questi anni sul territorio italiano sono diventate molto frequenti le marce
per la pace e quella svolta tra Perugia e Assisi è diventata, istituzionalizzandosi nel
corso del tempo, l’iniziativa con il maggior numero di partecipanti e la più
conosciuta a livello internazionale, al punto che viene ormai considerata “la” marcia
italiana della pace, per eccellenza. Nonostante ciò molte persone vi partecipano senza
conoscerne la storia e gli intenti originari. In questo lavoro è stata pertanto ricostruita
la genesi, i caratteri e gli obiettivi della prima marcia Perugia-Assisi, svoltasi il 24
settembre 1961 e destinata a rappresentare un modello per le successive marce
italiane per la pace. Una particolare attenzione è stata posta alla figura di Aldo
Capitini che fu l’ideatore, il promotore e la vera anima dell’iniziativa.
La ricerca ha tenuto conto degli studi che solo da alcuni anni si sono avviati
anche in Italia nel campo della peace history. Spesso la storia della pace viene infatti
considerata come la “sorella minore” della vera storia, quella che analizza la guerra.
In realtà sono semplicemente le due facce della stessa medaglia. Tuttavia solamente
la guerra è stata analizzata, nel corso dei secoli, da ogni prospettiva. Sono state infatti
sviluppate analisi dal punto di vista antropologico, sociologico, filosofico, giuridico
ed economico
1
. Al contrario della polemologia, la peace history può essere
considerata una disciplina “giovane”. Infatti lo storico Umberto Morelli in un suo
saggio sul pacifismo sostiene che: «la ricerca sulla guerra e sulla pace era nata a
cavallo della Seconda guerra mondiale e si proponeva di applicare a tale studio i
metodi delle scienze sociali»
2
. Dal 1959 Johan Galtung istituì, all’interno dell’Istituto
di ricerche sociali di Oslo, una sezione per le ricerche sulla pace. Nel 1964, in
seguito a questi studi, iniziarono le pubblicazioni del «Journal of peace research»
che diede vita nel 1966 all’International peace research institute. Un nuovo impulso
agli studi sulla pace si ebbe in seguito all’affermazione di un movimento antinucleare
1
Renato Moro, Storia della pace. Idee, movimenti, battaglie, istituzioni. In corso di pubblicazione.
2
Umberto Morelli, Pacifismo, in AA.VV ., Enciclopedia italiana Treccani. Appendice 2000. Eredità
del novecento, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 2000, pp. 425-439.
4
di massa sul finire degli anni settanta del XX secolo.
In Italia lo studio sui movimenti pacifisti e sulla pace in generale venne
affrontato solamente all’inizio degli anni ottanta. Prima di allora Norberto Bobbio fu
uno dei pochi, tra gli studiosi italiani, ad impegnarsi in profonde riflessioni sulla
pace. Tali studi lo portarono nel 1979 alla pubblicazione del libro “Il problema della
guerra e le vie della pace”. In quegli ultimi anni di Guerra Fredda gli studi italiani
sull’argomento erano ancora fortemente schierati sulle posizioni dei due blocchi e
non riuscirono a raggiungere dei risultati oggettivi e storicamente significativi.
Attualmente le maggiori ricerche sulla peace history vengono svolte
principalmente nei paesi scandinavi, in Germania e nel mondo anglosassone.
Anche se all’interno di essa possono individuarsi alcune prime ricerche fondamentali, la
peace history continua però a essere guardata come una storia di “nicchia”, frequentata
essenzialmente da militanti dell’idea pacifista. […] Alcuni pionieristici studi hanno
dimostrato la possibilità di guardare ai movimenti per la pace come un soggetto di studio
come ogni altro, senza che per questo la ricerca debba sposare alcuna causa. Tuttavia, un
discorso esclusivamente scientifico sui movimenti per la pace continua ad essere difficile
3
.
Questo vale anche per gli studi relativi alle marce italiane. La bibliografia
sulla prima marcia per la pace è infatti consistente ma scritta esclusivamente da
nonviolenti e antimilitaristi allo scopo di ricordare e celebrare l’iniziativa capitiniana.
Nella stesura di questa ricerca, l’aspetto più difficile ma anche quello più interessante
è stato quindi il reperimento della documentazione originale per la quale la
consultazione dei documenti archivistici è risultata fondamentale. E’ stato quindi
consultato parte del carteggio presente all’interno del vasto “Fondo Aldo Capitini”,
conservato presso l’Archivio di Stato di Perugia, ivi compresi i documenti elaborati
dalle federazioni provinciali di Perugia del Pci e della Dc. Sono stati consultati anche
alcuni documenti del Comitato Centrale del Pci, presso l’Istituto Gramsci di Roma.
Questa ricerca è stata suddivisa in tre capitoli. La prima parte, dopo una breve
analisi storica del contesto internazionale proprio di fine anni Quaranta –
caratterizzato dalla pericolosa contrapposizione militare, nonché ideologica, tra Stati
Uniti ed Unione Sovietica – e una breve rassegna delle principali organizzazioni
internazionali costituite al fine di garantire il mantenimento della pace a livello
3
Renato Moro, I movimenti antinucleari dagli anni quaranta agli anni ottanta, in corso di
pubblicazione.
5
internazionale, si è soffermata su un’importante iniziativa che fu all’origine della
marcia della pace italiana: il “Convegno internazionale per la nonviolenza”, svoltosi
a Perugia nel gennaio 1952. Da questo incontro, nel quale vennero discusse le teorie
e i metodi per un’applicazione concreta dei principi nonviolenti, nacque il Centro per
la nonviolenza di Perugia. L’analisi dell’attività svolta da questo centro ha assunto un
ruolo centrale in questo lavoro poiché fu proprio da lì che partì l’idea di fare una
marcia. L’ispirazione fondamentale venne da Aldo Capitini, nonviolento prima
ancora che pacifista, “non allineato” e vegetariano. La sua idea di nonviolenza che
fondeva l’insegnamento di San Francesco con quello di Gandhi fu alla base del
gruppo che organizzò la marcia, anche se si cercò fin dal principio di estendere le sue
adesioni molto oltre il piccolo nucleo di nonviolenti. Una caratteristica della marcia
fu infatti quella di non pretendere dai suoi partecipanti un’opzione di principio
“assoluta” bensì una generica disposizione positiva verso la pace.
Il secondo capitolo esamina la vicenda della marcia alla luce della situazione
interna e internazionale del momento. Nel 1961 le due superpotenze ripresero i test
nucleari sperimentali e gli statunitensi tentarono, vanamente, di rovesciare il governo
filo-sovietico di Fidel Castro. Nell’agosto dello stesso anno, un mese prima della
marcia, la contrapposizione tra le due superpotenze culminò con la crisi di Berlino e
la costruzione del muro.
E’ questa la stagione delle grandi marce antinucleari inglesi tra Aldermaston e
Londra, promosse dalla Campaign for Nuclear Disarmament (CND), che servirono
da modello a Capitini per l’organizzazione della sua iniziativa, anche se la
componente antinucleare fu solo un aspetto della manifestazione, che in fin dei conti
fu principalmente antimilitarista.
In questa parte vengono riportate anche le sollevazioni di Genova del luglio
1960, sviluppatesi come forma di protesta contro la decisione presa dal governo
Tambroni di far celebrare nel capoluogo ligure, insignito della medaglia d’oro al
valor militare per i sacrifici della sua popolazione e per la sua attività nella lotta
partigiana contro il nazifascismo, il Congresso del Movimento Sociale Italiano.
Questa sollevazione colpì profondamente Capitini e lo convinse che anche in Italia
era possibile la mobilitazione di forze ingenti, soprattutto di giovani, per battaglie
civili e antifasciste. Le manifestazioni antifasciste, svoltesi in tutta Italia in quei
6
giorni, palesarono il fatto che anche al movimento pacifista italiano era
indispensabile l’impegno delle reti organizzative che potevano mettere a disposizione
i partiti della sinistra. Lo studio dell’organizzazione e delle adesioni si è rilevato
particolarmente interessante perché ha mostrato che le difficoltà incontrate dai
promotori non furono solamente di ordine organizzativo ed economico ma,
soprattutto, politico. Fin dal principio la volontà di Capitini era riconducibile
all’organizzazione di una marcia apartitica, seppur si giudicasse essenziale il loro
supporto al fine di garantire un’adesione di massa alla stessa. L’analisi si è dovuta
inevitabilmente soffermare sul concetto di apartiticità presente nel pensiero
capitiniano e sulla sua aspirazione ad una democrazia generata “dal basso”. Viene,
quindi, posta particolare attenzione al supporto, dal punto di vista politico, numerico
ed economico, fornito dal Pci nell’organizzazione e nello svolgimento della marcia
medesima. Contrariamente il Psi, in quegli anni politicamente in rottura con il Pci,
non si impegnò a fondo nella promozione della stessa, mosso com’era dalla volontà
di non pregiudicare la nascente alleanza con la Democrazia cristiana – la quale, a sua
volta, non aderì a causa della partecipazione del Partito comunista.
Nel terzo ed ultimo capitolo viene descritto il giorno della marcia. Un
paragrafo è stato dedicato ai discorsi che tennero, quella domenica di settembre,
quattro personalità italiane di diversa provenienza culturale: Arturo Carlo Jemolo,
Guido Piovene, Renato Guttuso ed Ernesto Rossi. Verrà riportata anche la “Mozione
del popolo della pace” con cui si concluse la manifestazione. La “Mozione” ha
assunto un ruolo centrale nell’analisi di questa manifestazione poiché in essa vennero
chiariti i principi e le applicazioni concrete della marcia. Tra le proposte vi fu la
richiesta di far entrare tutti i paesi nell’ONU, il disarmo totale controllato e la
cessazione degli esperimenti nucleari che non avessero scopi pacifici. Capitini pose
molta attenzione, nell’organizzazione della marcia, alle scritte presenti sui cartelli
con cui avrebbero espresso il proprio pensiero i partecipanti. Alcuni di questi
attaccavano in particolar modo l’imperialismo ed il colonialismo. Altri cartelli,
preparati dal Centro per la nonviolenza di Perugia, riportavano invece delle citazioni
di Gandhi. Alcune scritte, esortando al disarmo nucleare e con chiari cenni alla paura
atomica, si richiamavano al movimento antinucleare inglese. Nel corso della marcia
umbra si evitò ogni possibile scontro con la polizia e non vi furono forme di
7
disobbedienza civile. Al contrario il Comitato dei Cento di Bertrand Russell, nato in
seguito ad una scissione interna al CND, cercava attraverso forme di disobbedienza
civile anche lo scontro – per avere una maggiore visibilità sui mezzi d’informazione.
La marcia contribuì alla nascita di nuovi simboli e riti. Questa
manifestazione assunse quasi i caratteri di un rito, essendo un misto di solennità
ispirata alla religione nonché festa popolare. Grazie a questi due aspetti fu possibile
attirare molta gente comune, lontana dai movimenti pacifisti e senza precedenti
manifestazioni a cui far riferimento. L’analisi si è quindi soffermata sul significato di
due raffigurazioni presenti alla marcia Perugia-Assisi: la colomba della pace (sia
simbolo biblico nonché emblema del movimento filo-sovietico dei “Partigiani della
pace”) ed il simbolo della CND, che nel corso degli anni sarebbe diventato
l’emblema del movimento pacifista in tutto il mondo. Ma il simbolo che caratterizzò
quella domenica di settembre fu la bandiera arcobaleno, destinata a diventare la
bandiera ufficiale della Perugia-Assisi.
Vengono quindi riportati i testi di due canzoni nate per l’occasione: “Dove
vola l’avvoltoio?” scritta da Italo Calvino e la “Canzone della marcia della pace”
ideata da Franco Fortini. Questi due intellettuali decisero di far conoscere il proprio
messaggio per mezzo di uno strumento di facile presa come la canzone popolare.
Come si avrà modo di verificare, in entrambi i testi era molto accentuato il richiamo
all’antimilitarismo.
Si è scelto di riportare anche alcuni passi del “numero unico su Gandhi”
distribuito il giorno della marcia, per comprendere che cosa avessero scritto gli
organizzatori per i partecipanti. Questa ultima parte del lavoro continua con l’analisi
di due filmati in cui vengono ripresi i manifestanti e i loro cartelli. La ricerca si
conclude riportando alcuni articoli di giornali pubblicati nei giorni successivi alla
marcia, non tralasciando quelli critici nei confronti di Capitini e della manifestazione
da lui promossa.
8
CAPITOLO 1: La nonviolenza sentiero di pace
1.1 Pacifismo in tempo di Guerra Fredda
Nei mesi successivi alla fine della seconda guerra mondiale furono profusi
numerosi sforzi – istituzionali, politici, culturali – al fine di promuovere e
salvaguardare la pace internazionale. Nel corso della Conferenza di San Francisco
(aprile-giugno 1945) venne creata l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), con
l’obiettivo di «salvare le generazioni future dal flagello della guerra e di impiegare
strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i
popoli»
4
.
Nel corso della Conferenza di Londra del novembre 1945, venne istituita
l’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la
Cultura), una delle «agenzie specializzate» presenti all’interno del “Consiglio
economico e sociale” delle Nazioni Unite, che intendeva promuovere la pace
operando nel campo culturale. Nel 1946 fu lanciato il cosiddetto piano Baruch, che
prevedeva «l’istituzione di una Autorità di sviluppo atomico, con poteri di controllo
sulle attrezzature e sulla produzione a fini pacifici di materiale radioattivo»
5
. Anche
se il piano non andò in porto a causa del veto sovietico, è evidente da queste e altre
iniziative quanto, nella seconda metà degli anni quaranta del XX secolo, fosse ancora
forte il timore di nuovi conflitti. A destare la maggiore preoccupazione vi era la
situazione internazionale caratterizzata dalla contrapposizione tra Stati Uniti-Unione
Sovietica ed il riarmo atomico.
I Sovietici avevano scelto nel 1946 la via della competizione atomica e nel 1949 avevano
mostrato di saper giocare le loro carte. Toccava ora agli Stati Uniti rispondere sia
militarmente che politicamente. Militarmente essi lo fecero con la dibattuta decisione, presa
da Truman il 30 gennaio 1950, di mettere allo studio la costruzione della bomba all’idrogeno
(bomba H) e dei vettori necessari al suo lancio
6
.
4
Giovanni Sabbatucci – Vittorio Vidotto, Storia contemporanea. Il Novecento, Roma-Bari,
Laterza, 2005, p. 207.
5
Umberto Morelli, Pacifismo, in AA.VV ., Enciclopedia italiana Treccani. Appendice 2000.
Eredità del novecento, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 2000, p. 434.
6
Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali (1918- 1999), 5ª ed., Roma-Bari, Laterza,
9
Con la decisione del presidente statunitense di avviare lo studio per la fabbricazione
della bomba all’idrogeno, le due superpotenze imboccarono la pericolosa strada della
competizione atomica che avrebbe portato a risultati dalle potenzialità militari
incalcolabili.
La capacità distruttiva della bomba H (che i Sovietici avevano cominciato a studiare dal
1946) faceva compiere agli armamenti nucleari un salto qualitativo che li trasformava da
armamenti capaci di colpire e distruggere bersagli circoscrivibili, in armamenti
potenzialmente rischiosi per l’esistenza dell’umanità
7
.
Nel 1950
8
l’appello di Stoccolma per l’interdizione della bomba atomica,
lanciato dai Partigiani della pace e sottoscritto da milioni di persone, mise in forte
imbarazzo gli occidentali perché la sua accettazione avrebbe comportato il sostegno
di fatto della politica estera sovietica, mentre il suo rifiuto lo schierarsi in favore
della guerra
9
.
Non mancarono in quegli anni progetti politici finalizzati al mantenimento della
pace. Cominciarono quindi a diffondersi delle tendenze «mondialiste», alcune
strettamente legate all’attività ed al pensiero di Garry Davis
10
che, nel secondo
dopoguerra, creò l’Associazione internazionale dei Cittadini del mondo, la quale,
benché emarginata, «mantenne l’aspirazione all’unità planetaria»
11
.
In Italia, sul finire degli anni quaranta, erano presenti molte associazioni e
movimenti che lavoravano per la pace. Grazie ad Amoreno Martellini, è possibile
avere un quadro più completo circa i limiti del pacifismo italiano del dopoguerra: «da
un lato la sua frammentarietà e la sua molteplice matrice genetica che gli conferiva
2004, p. 775.
7
Ibidem.
8
«nei mesi a cavallo tra il 1950 e il 1951, Stalin in persona pose la questione della lotta per la
pace al primo posto nell’attività propagandistica sovietica». Giorgio Vecchio, Pacifisti e obiettori
nell’Italia di De Gasperi (1948-1953), Roma, Studium, 1993, pp. 194-195.
9
Ibidem.
10
«Ex ballerino, attore e pilota americano di bombardieri B-17, con i suoi gesti clamorosi ebbe
per alcuni anni nel dopoguerra un notevole successo e una certa attenzione della stampa
internazionale. Maturata una posizione di rifiuto alla guerra, che le tensioni della fine degli anni
Quaranta e la delusione provata nei confronti dell’Onu (che gli appariva ancora dominato dagli
egoismi internazionali), non avevano fatto che accrescere, Garry Davis cominciò ad impegnarsi con
gli United world federalist. Il 25 maggio 1948 rinunciò pubblicamente alla cittadinanza americana,
dichiarandosi da quel momento cittadino del mondo». Anna Scarantino, Donne per la pace. cit., p.
33.
11
Edgar Morin, Oltre l’abisso, Roma, Armando, 2010, p. 53.
10
una notevole rissosità interna; dall’altro il suo carattere “vaporoso”, la sua
tradizionale leggerezza che non disturbava i sonni tranquilli che si consumavano
dentro i palazzi del potere»
12
. L’orientamento di questi gruppi andava da un
“pacifismo” di stampo federalista che non escludeva in assoluto il ricorso alla guerra
a un pacifismo integrale, d’ispirazione etico-religiosa
13
.
All’interno del panorama pacifista italiano erano presenti anche le donne con le
loro associazioni. In questo periodo le donne, finalmente partecipi della vita politica
e sociale del paese, presero parte all’infuocato dibattito sulla pace che fino ad allora
era stato monopolizzato dagli uomini. Anche le donne, come gli uomini, furono
schiacciate nel loro lavoro per la pace dalla politica dei due blocchi e dall’ideologia
che essi rappresentavano. Il pacifismo femminile italiano fu, salvo le peculiari
differenze ideologiche delle varie organizzazioni, caratterizzato dal forte richiamo ai
valori familiari ed all’amore per i propri figli.
In quegli anni, sul territorio italiano, le più importanti associazioni femminili
erano l’Unione donne italiana (Udi)
14
ed il Centro italiano femminile (Cif)
15
,
rispettivamente legate ai grandi partiti di massa della sinistra e della Democrazia
cristiana. Le due grandi organizzazioni femminili nacquero contemporaneamente nel
1944 in seguito a delle precise strategie, resesi necessarie in seguito all’imminente
voto concesso alle donne, elaborate dai partiti della sinistra e dalla Democrazia
cristiana. In particolar modo l’Udi si rifaceva alla tradizione leninista del rapporto fra
partito e organizzazione di massa.
Il maggiore esponente del pacifismo italiano fu il filosofo Aldo Capitini
16
,
12
Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell'Italia del
Novecento, Roma, Donzelli, 2006, p. 66.
13
Per una rassegna di questi gruppi si veda: Anna Scarantino, Donne per la pace. Maria Bajocco
Remiddi e l’Associazione internazionale madri unite per la pace nell’Italia della guerra fredda,
cit., pp. 31-32.
14
Associazione femminile di promozione politica, sociale e culturale, senza fini di lucro. Era
un’organizzazione aperta a tutte le donne democratiche, ma di fatto dominata da comuniste e
socialiste. Era presente e diffusa in Italia dal 1944. Dal 2003 il nome dell’associazione venne mutato
in Unione Donne in Italia. Cfr. Anna Rossi-Doria, Diventare cittadine: il voto alle donne in Italia,
Firenze, Giunti, 1996.
15
Associazione femminile legata alla Democrazia cristiana. «Potè contare fin dalle sue orgini su
una vasta rete organizzativa estesa nelle parrocchie e nei circoli Acli che lo agevolò nell’opera di
propaganda, nell’impegno di educazione politica e professionale, nella progettazione di opere di
assistenza e solidarietà sociale». Patrizia Gabrielli, Il 1946, le donne e la Repubblica, Roma, Donzelli,
2009, p. 59.
16
Nato a Perugia nel 1899, in seguito al rifiuto di iscriversi al Partito Nazionale Fascista dovette
interrompere la brillante carriera accademica presso l’Università Normale di Pisa. Negli anni pisani si
11
fortemente ispirato ai principi gandhiani di nonviolenza. Fin dall’ottobre 1946, Aldo
Capitini promosse a Perugia una serie di incontri tra cui un “Convegno sul problema
religioso moderno in Italia”, da cui nacque il “Movimento di religione” e quello “Per
una riforma religiosa”. Lo scopo del convegno era quello di «far incontrare tutti
coloro che lavorano in Italia per una critica della situazione tradizionale religiosa e,
nello stesso tempo e con maggior energia, per un rinnovamento e orientamento
religioso conforme alla libertà e socialità moderne»
17
. Parteciparono cattolici
riformatori, protestanti, teosofi, liberi ricercatori, psicologi, storici delle religioni,
democratici, socialisti, comunisti, libertari e indipendenti
18
.
Questi convegni, […] non soltanto alimentarono un piccolo movimento «per una riforma
religiosa», ma operarono da centro di raccolta di una corrente pacifista, che risentiva della
formazione religiosa dei suoi iniziatori, ma che si era poi estesa ad altri gruppi, attratti dalla
serietà, dall’«apertura», dalla disponibilità ad accogliere ogni tendenza, mostrata dai suoi
organizzatori
19
.
Nel solco tracciato da questi incontri, il Movimento per il rinnovamento
religioso di Aldo Capitini organizzò a Firenze, nell’ottobre e nel dicembre del 1947,
due «convegni per la pace». L’intento del promotore era quello di raccogliere tutte le
forze anche di matrice non religiosa che si stavano dedicando in quegli anni
all’attività per la pace e di dare loro un minimo di coordinamento
20
. Nel convegno di
avvicinò all’insegnamento di Gandhi e ai principi della nonviolenza. Gradualmente cominciò a
costruire un proprio sistema di pensiero in cui assumevano un ruolo centrale l’impegno profetico per
la trasformazione del mondo e la partecipazione dei cittadini alle decisioni riguardanti la collettività.
Anche se fu uno strenuo antifascista, non volle partecipare alla Resistenza poiché la considerava
comunque un moto armato. Nel 1945, poco dopo la Liberazione di Perugia, diede origine ai Centri di
Orientamento Sociale (COS) con lo scopo di favorire la discussione e la pubblica partecipazione. Nel
1949 difese in tribunale Pietro Pinna, primo obiettore di coscienza in Italia. Nel 1952 creò i Centri di
Orientamento Religioso (COR) per periodiche conversazioni sui temi religiosi. Sempre nello stesso
anno, come vedremo in seguito, organizzò un “Convegno internazionale per la nonviolenza” e quindi
il “Centro per la nonviolenza” a Perugia. Nel 1959, in collaborazione con altri docenti universitari,
Capitini fondò l’A.D.E.S.S.P.I. (Associazione per la Difesa e lo Sviluppo della Scuola Pubblica
Italiana). Nel settembre del 1961 organizzò la prima marcia per la Pace Perugia-Assisi. Nel 1962 creò
il Movimento Nonviolento. Sempre nello stesso anno collaborò alla creazione della Consulta della
Pace, una sorta di «centrale della pace», di cui ne fu presidente fino al 1964. Cfr. Amoreno Martellini,
Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell'Italia del Novecento,cit.; Caterina Foppa
Pedretti, Spirito profetico ed educazione in Aldo Capitini: prospettive filosofiche, religiose e
pedagogiche del post-umanesimo e della compresenza, Milano, Vita e pensiero, 2005; Giorgio
Vecchio, Pacifisti e obiettori nell’era di De Gasperi, cit.
17
Edmondo Marcucci, Sotto il segno della pace. Memorie, Jesi, Centro studi per la pace
Edmondo Marcucci, 1983, p 79.
18
Ibidem.
19
Anna Scarantino, Donne per la pace. cit., p. 44.
20
Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni, cit., p. 67.