A conferma di tali impressioni vi è la constatazione da parte di numerosi commentatori e
studiosi del giornalismo italiano della spiccata tendenza di Repubblica ad evolvere, a modificarsi
e rinnovarsi costantemente, determinata dagli sviluppi del mercato e dalla necessità di
assecondarli, ma soprattutto riconducibile all’esplicito tentativo di mantenere intatta la propria
fama di quotidiano innovatore, anticonformista e d’avanguardia. E’ logico, insomma, che un
prodotto editoriale di qualità come Repubblica cerchi in tutti i modi di custodire gelosamente la
propria unicità e specificità, di preservare il proprio status.
Ma un giornale, si sa, nonostante possa riuscire nel tempo a canonizzare alcune sue
caratteristiche specifiche, dotandosi di una vita propria e autonoma, in realtà è irrimediabilmente
figlio delle persone che si avvicendano alla sua guida e gestione. Ecco perché viene naturale
ipotizzare che, al di là delle innumerevoli trasformazioni contingenti, siano esistite
essenzialmente due differenti versioni di Repubblica, quanti i direttori che ne hanno assunto la
guida. Anche se, come avremo modo di esaminare, la seconda vita del quotidiano – politica,
editoriale, proprietaria – era stata di fatto già prevista dalla prima come una sua logica e
inevitabile evoluzione, facendo quindi parte a tutti gli effetti del progetto originario. L’apporto
innovatore di Mauro verrebbe in tal senso decisamente ridimensionato. Per di più la collocazione
cronologica dei fattori di svolta lascia intendere che il pieno approdo al nuovo corso del
quotidiano si sia compiuto quando Scalfari era ancora saldamente a capo della redazione. Ci
ritroviamo di fronte ad un caso pressoché unico di complessità progettuale e lungimiranza nella
stampa italiana: un giornale che avesse inscritto fin dall’inizio nel proprio DNA gli sviluppi
futuri della sua vicenda, le modalità, i tempi e le cause del suo cambiamento.
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Prima di analizzare più dettagliatamente i tre momenti a mio parere più significativi e
cruciali della vita di Repubblica, ossia:
– il 1976, anno di fondazione;
– il triennio ‘89-‘90-’91, ai tempi della “Guerra di Segrate”;
– dall’indipendenza proprietaria al cambio di direzione del 1996, fino ai giorni nostri;
tenterò, con il primo capitolo, di addentrarmi in punta di piedi nella realtà specifica di questo
giornale, descrivendo le qualità umane e professionali dei suoi fondatori e definendo le linee-
guida del progetto, gli obiettivi editoriali, i riferimenti e gli interlocutori privilegiati che hanno
avuto un ruolo decisivo nell’intera vicenda.
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Nel segno di Repubblica -
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Il progetto editoriale
«La sera del 13 gennaio 1976, alla bocca d’uscita d’una piccola rotativa ‘Goss’ che girava
a scarse ventimila copie-ora, nello stabilimento della Stec di piazza Indipendenza a Roma, il
primo numero di Repubblica vide la luce»
1
. Con tali parole Eugenio Scalfari ha voluto rievocare,
a distanza di numerosi anni, il fatidico momento in cui poté finalmente stringere tra le mani la
creatura sua e degli altri colleghi e amici che avevano intrapreso con lui questa esperienza umana
e giornalistica.
Vale la pena soffermarsi a descrivere brevemente la vicenda del fondatore di Repubblica e
il ruolo decisivo che ha avuto nella definizione dell’identità del giornale e nella creazione di
un’anima redazionale. Personalità di grande spessore culturale e dotata di un indiscutibile
carisma, Scalfari affronta a cinquantadue anni la sfida di fondare un nuovo quotidiano, dopo aver
accumulato una lunga esperienza giornalistica e opinionistica nel settore dei periodici: tra le
colonne del “Mondo” prima e poi soprattutto all“Espresso”, l’innovativo settimanale d’opinione
nato dal sodalizio editoriale con Caracciolo. In precedenza ha lavorato nell’ambiente bancario,
acquisendo una notevole competenza in campo economico e finanziario. Ma le sua formazione e
i suoi interessi sono ben più vasti e comprendono la filosofia, la politica, la letteratura, la
sociologia. Dal ’68 al ’72 ha ricoperto anche la carica di deputato al Parlamento nelle file dei
socialisti.
Fin dall’inizio dell’avventura all’Espresso la sua attività giornalistica è mossa da una forte
passione politica ed etica e dalla ferma convinzione, condivisa da molti suoi collaboratori, che la
società e le istituzioni italiane già da tempo necessitino di un profondo rinnovamento e che non
si sia ancora pervenuti a una democrazia compiuta ed efficiente e a un solido stato di diritto.
Scalfari avverte più di altri l’urgenza di inserirsi nel dibattito sociale e politico assumendo
un ruolo del tutto inedito, che si contrapponga alla tradizionale tendenza della stampa, e in
generale del mondo culturale, a sostenere acriticamente l’ideologia delle varie forze politiche sul
campo. Egli pensa ad un giornalismo di matrice liberal, affrancato da qualsiasi pregiudizio di
parte e in grado di resistere alle pressioni dei poteri forti; che sappia dunque mantenere una
posizione indipendente e la necessaria lucidità critica. La formula del settimanale è ormai troppo
limitante, perché non consente di intervenire tempestivamente al rapido succedersi dei fatti. A
Scalfari e ai sui collaboratori più fidati viene dunque l’idea di dar vita a una sorta di “Espresso”
che sia presente tutte le mattine in edicola: uno strumento informativo autorevole in grado di
argomentare e sostenere compiutamente le tesi del riformismo, che dia voce alla nuova classe
1
Scalfari E., La sera andavamo in via Veneto: storia di un gruppo dal Mondo alla Repubblica, 1986,
Milano, A. Mondadori, pag.273
dirigente e che si proponga come principale luogo di dibattito e confronto tra quanti auspicano
soluzioni innovative in politica e nelle istituzioni. A sostegno del progetto vi è la certezza che
una parte considerevole dell’opinione pubblica sia pronta a rispondere favorevolmente e con
entusiasmo alla nuova proposta editoriale.
Il grande successo economico ottenuto con l”Espresso” permette a Scalfari di pianificare in
concreto il lancio di Repubblica all’inizio del 1976. Al progetto si associano l’editore Carlo
Caracciolo e la Mondadori, guidata dal primogenito di Arnoldo, Giorgio, e dal genero Mario
Formenton. Viene costituita una società editrice a parità di quote (il 50% intestato a Scalfari e
Caracciolo e l’altro 50% alla casa di Segrate), con una dotazione a fondo perduto di 5 miliardi
che consente di pubblicare per tre anni un quotidiano di qualità ma non molto costoso. Il punto di
pareggio viene fissato a 150.000 copie.
La linea editoriale del quotidiano viene chiaramente indicata dallo stesso Scalfari nella
nota di presentazione del primo numero (14 gennaio ‘76): «Questo giornale è un po’ diverso
dagli altri: è un giornale di informazione il quale, anziché ostentare una illusoria neutralità
politica, dichiara esplicitamente di avere fatto una scelta di campo. E’ fatto da uomini che
appartengono al vasto arco della sinistra italiana, consapevoli d’esercitare un mestiere, quello
appunto del giornalista, fondato al tempo stesso su un massimo di impegno civile e su un
massimo di professionalità e di indipendenza»
2
. Appare evidente il tentativo di contrapporsi alla
retorica in auge del ‘quotidiano indipendente’ di stile nostrano, cioè politicizzato e interno al
‘Palazzo’ (metafora, quest’ultima, coniata da Pasolini per indicare i luoghi sacri del potere e le
persone che li abitano).
La scelta di schierarsi si accompagna a frequenti richiami al modello politico liberale, che
Scalfari spiega in questo modo: «Giudicare i fatti, positivi e negativi, anche se si producono
nell’area in cui si è scelto di militare»
3
. I giornalisti di Repubblica rivendicano così da un lato la
loro autonomia critica e discrezionale nel porsi di fronte agli eventi, e dall’altro sono pronti ad
assumersi la piena responsabilità delle proprie posizioni, richiamandosi all’onestà intellettuale
come unica garanzia del loro lavoro. Una dichiarazione politica a tutti gli effetti. E politica
sembra essere anche la scelta di attribuire un grande potere interlocutorio e d’influenza
all’opinione pubblica. Come i deputati e rappresentanti della cittadinanza devono rispondere del
loro operato di fronte agli elettori, allo stesso modo Repubblica afferma di non riconoscere altro
giudice al di fuori dei suoi lettori, i soli ad avere il diritto di valutare la bontà delle scelte
editoriali.
2
Repubblica del 14/01/76, pag.6
3
Castronovo V. e Tranfaglia N. (a cura di), La stampa italiana nell’età della Tv 1975-1994, 1997, Roma,
Ed. Laterza, pag.8
Ma a quale pubblico intende rivolgersi il giornale?
Il mercato da conquistare è in prevalenza costituito dall’area della sinistra, che si è
notevolmente ampliata e differenziata e che mostra chiari segni di disaffezione alle tradizionali
testate comuniste (compreso “l’Unità”, organo di partito), ancora fortemente legate all’ideologia
marxista e ad una visione ‘di classe’ della società. Repubblica si propone l’obiettivo di
recuperare pienamente alla vita democratica questo vasto settore della società civile, che ha
scelto il Pci come strumento politico per portare avanti i suoi propositi di rinnovamento. Proprio
l’area culturale e politica orbitante intorno al partito di Berlinguer (consapevole e orgogliosa
della propria ‘diversità’) ha scelto ormai da tempo di auto-segregarsi dal resto della società
nazionale, ma in parte ha anche dovuto subire un processo di ghettizzazione. Molti anni dopo,
Scalfari motiverà così l’apertura del giornale ai comunisti: «Noi, liberali per biografia e scelta
culturale, puntavamo a una democrazia compiuta nella quale anche la gente di sinistra avesse un
ruolo e una voce e si distogliesse dalle ideologie leniniste e staliniste che ne avevano inceppato
una piena integrazione democratica»
4
. Negli intenti del giornale, quindi, il tentativo di arricchire
il messaggio di Repubblica è indirizzato in particolare alle fasce più giovani e alle donne: sono
questi i nuovi protagonisti che lentamente si stanno affacciando sulla scena italiana e che
mostrano di possedere una spiccata sensibilità e tensione al rinnovamento. Il quotidiano è deciso
a puntare su di loro per sviluppare le tematiche e i progetti cari al riformismo laico: la giustizia
sociale, la democratizzazione della società e l’abbattimento della strutture classiste sulle quali
ancora in parte si fonda, la modernizzazione dello Stato e la riforma del lavoro.
Alla particolare collocazione politica di Repubblica si unisce una formula rivoluzionaria
rispetto a quella delle più vecchie e consolidate testate. Innanzitutto un giornale che mira a
mantenere alto il proprio livello culturale e che intende proporsi come metaforica alternativa ai
tradizionali luoghi e ambienti di discussione e di proposta sociale non può assumere le stesse
fattezze degli altri fogli presenti sul mercato. Perché diverso è il suo ruolo, diversi gli obiettivi
che si prefigge.
Da qui la rinuncia a dotarsi di molte pagine e a occuparsi della cronaca spicciola e locale.
Si riduce inoltre al minimo lo spazio dedicato allo sport e in generale a tutti quegli aspetti
contingenti e meno rilevanti della vita sociale che di solito contribuiscono a rendere un giornale
più appetibile alle fasce popolari di utenza. Assenti anche i necrologi, i piccoli annunci
economici e le informazioni sugli spettacoli e le iniziative culturali in città. In tutto 20 pagine di
giornale, dove si trovano servizi, inchieste e notizie di politica interna ed estera, il paginone
centrale dedicato ad argomenti culturali, che si pone come linea divisoria e come zona di riposo
intellettuale, (abolito dunque il tradizionale elzeviro in ‘terza pagina’ che, come recita la nota di
presentazione del primo numero di Repubblica, aveva «una sua funzione molti anni fa; oggi non
ne ha più»
5
), un settore per gli spettacoli di livello medio-alto (riguardante soprattutto il cinema e
il teatro) e infine cinque pagine dedicate all’economia e al sindacato.
4
Scalfari E., Giovani e donne. Partimmo da loro, in “Gli album della Repubblica”, supplemento al numero
del quotidiano uscito il 14/01/2001
5
Repubblica del 14/01/1976, pag.6
Repubblica tenta in questo modo di distinguersi nettamente dal gruppo dei quotidiani
definiti ‘omnibus’, di impostazione generalista e quindi adatti a qualsiasi tipo di utenza. Ambisce
piuttosto a diventare il ‘secondo giornale’, diretto a un pubblico qualificato politicamente,
culturalmente e come posizione sociale, e che quindi legge già un ‘primo giornale’ a
connotazione locale. Il quotidiano che Scalfari ha in mente deve dunque avere un arco di lettura
nazionale, con una distribuzione sostanzialmente uniforme su tutto il territorio, a somiglianza dei
settimanali.
Il desiderio di dar vita ad un quotidiano innovativo in ogni suo aspetto influenza anche la
scelta del formato: si opta per il tabloid, che possiede dimensioni decisamente più contenute
rispetto ai tradizionali fogli. Il modello a cui Scalfari dichiaratamente si ispira è costituito dal
francese “Le Monde”. L’obiettivo è quello di creare un giornale agile, maneggevole, che tragga
forza e solidità dalla sua compattezza. E che si stagli nettamente dalla massa omogenea di
‘lenzuoli’ esposti in edicola, catturando l’attenzione del lettore e stimolandone la curiosità. Ma il
formato tabloid non è soltanto una scelta estetica o un accorgimento editoriale: si rivela subito un
fattore decisivo per un nuovo modo di comunicare. Lo spazio compresso concentra le colonne e i
testi, li mette maggiormente in risalto e dà loro quasi una consistenza volumetrica e una forza
aggettante. La prima pagina diventa una copertina, dominata da un unico titolo egemone,
composto al massimo da due o tre parole: una sorta di manifesto, dotato di quella sfrontatezza ed
efficacia comunicativa che diventeranno attributi caratterizzanti di Repubblica. Notizie, prese di
posizioni o ‘battaglie’ vanno perciò compresse in una metafora. L’esigenza tecnica diventa un
stile espressivo.
La redazione: all’ombra di Barbapapà
La squadra redazionale di cui si dota Repubblica all’inizio non è particolarmente
numerosa, a causa del budget poco cospicuo messo a disposizione dal gruppo editoriale ma
anche, e in primo luogo, in risposta ad una logica di fondo del giornale, che vuole assumere una
struttura snella, flessibile ed efficiente, libera da zavorre materiali, anche nel personale.
Se quindi ridotta è la ‘massa’ fisica dei giornalisti e collaboratori di cui decide di
circondarsi Scalfari, altissimo è comunque il loro peso specifico culturale e professionale. Il
gruppo si compone da principio di una sessantina di persone in tutto (numero che gradualmente
crescerà) e comprende al suo interno alcune delle migliori e più affermate firme del giornalismo
d’opinione in Italia, quali Giorgio Bocca, Sandro Viola, Mario Pirani, Giovanni Valentini,
Miriam Mafai, Natalia Aspesi, Giuseppe Turani, Alberto Arbasino, Corrado Augias, Barbara
Spinelli (ai quali si aggiungeranno, strada facendo, Giampaolo Pansa, Alberto Ronchey, Enzo
Biagi, Stefano Rodotà e altri ancora) più il noto vignettista Giorgio Forattini. Molti di loro hanno
già avuto modo di conoscersi e di lavorare insieme nella redazione del “Mondo” e soprattutto
all”Espresso”, vero padre spirituale del quotidiano che sta nascendo. Nelle carriere di questi
giornalisti si può leggere dunque una consequenzialità logica. Può essere cioè individuata una
convergenza dei loro percorsi professionali e umani, che ha inizio con le prime, casuali
esperienze di cooperazione e affiatamento e culmina nella partecipazione collettiva allo sviluppo
di un progetto innovativo e appagante in cui riconoscersi.
Completano poi l’organico redazionale giovani cronisti e inviati provenienti da fogli e
piccole testate di sinistra, dal “Giorno” (quotidiano di area democristiana che sta attraversando in
quel frangente una fase di seria crisi economica e di idee) e dal “Corriere della Sera”: ognuno di
essi viene selezionato con cura e scelto personalmente dal direttore.
Complessivamente il gruppo risulta essere ben assortito – per età anagrafica, per
formazione professionale, per esperienza e competenze - e adeguatamente attrezzato per riuscire
nell’impresa, decisamente ambiziosa, di dar vita ad una nuova stagione editoriale, che avrebbe
dovuto rinnovare l’intero panorama della stampa facendo sembrare tutto ciò che era stato
prodotto prima inesorabilmente superato. I risultati daranno ragione a Scalfari, il quale non
mancherà di ricordare, nel suo libro dedicato ai primi anni di Repubblica, la bravura e
l’innegabile valore dei suoi collaboratori e come essi si siano profondamente compenetrati nel
progetto e nella missione del quotidiano: «Una squadra come la nostra, così consapevole,
animata da uno spirito di corpo così elevato, associata così intimamente a tutti i fatti della vita
del giornale e dell’azienda, così variegata e al tempo stesso così fusa con il progetto e con chi lo
dirige, credo che non si sia mai vista in nessun giornale italiano. […] Un elemento primario del
“fenomeno Repubblica”… è stata la squadra, o se volete l’orchestra, senza la quale non saremmo
riusciti né a comporre né a suonare un così ben riuscito spartito»
6
. Proprio così, uno spartito da
700mila copie al giorno. L’orchestra si arricchirà nel tempo di molti nuovi elementi (già dieci
6
Scalfari E., La sera andavamo in via Veneto: storia di un gruppo dal Mondo alla Repubblica, 1986,
Milano, A. Mondadori, pag.300
anni dopo saranno 170), ma le note e i tempi della musica continueranno ad essere scanditi dai
pochi grandi solisti del quotidiano, quei nomi storici del giornalismo italiano precedentemente
citati, i Bocca, i Pirani e i Viola: i ‘ragazzi di via Po’ (sede dell”Espresso”) che hanno traslocato,
armi e bagagli, in piazza Indipendenza e la cui fama e la cui carriera sono indissolubilmente
legate alla testata Repubblica.
Questi co-fondatori del giornale possiedono tutti un comune denominatore: oltre ad essere
legati a Scalfari da un lungo rapporto professionale fondato sulla lealtà e sulla stima reciproca, si
identificano pienamente nell’idea di un giornalismo libero, responsabile e politicamente
impegnato. Essi sono unanimemente consapevoli del ruolo centrale che la stampa riveste nella
vita democratica di un Paese e della sua funzione socializzante e informativa. Ritengono quindi
necessario che il quotidiano da loro creato mantenga la propria autonomia, per quanto possibile,
dal mondo politico, da quello economico e da qualsiasi altro soggetto che sia portatore di
interessi di parte.
Tali convinzioni e speranze condivise costituiscono i presupposti cardine alla base del
progetto di Repubblica, anche se impliciti, perché ognuno dei protagonisti della vicenda dà per
scontato il fatto che i suoi compagni abbiano in mente la stessa idea di quotidiano da fondare.
Occorre piuttosto discutere e confrontarsi sugli aspetti formali e tecnici della realizzazione del
giornale, sulle modalità di costituzione della squadra e sulla definizione dell’assetto operativo. E’
Scalfari stesso ad illustrare come i primi incontri abbiano avuto principalmente per tema
questioni di ordine pratico (la formula, i toni e la ‘lingua’ del quotidiano) e aziendale, essendo
assodate quelle sull’identità del gruppo e sugli obiettivi professionali: «…Repubblica fu
principalmente un progetto editoriale e industriale. In quei mesi di preparazione non parlammo
quasi mai di linea politica per due ragioni: anzitutto perché era un discorso scontato tra noi, fin
dai tempi del “Mondo” e dell“Espresso”; ma poi perché il nostro proposito era appunto quello di
rinnovare la stampa italiana attraverso un nuovo linguaggio, una nuova grafica, una nuova
struttura dei contenuti e anche, ovviamente, un’etica e un approccio culturale innovativo»
7
. Il
direttore sceglie dunque di discutere con i suoi collaboratori più fidati e validi del disegno
globale di Repubblica, non solo degli aspetti più squisitamente intellettuali e ideologici, perché
sa che l’identità del giornale dipenderà principalmente dalle scelte e dalle intuizioni dei suoi
fuoriclasse. E’ bene quindi chiarire ogni cosa fin dall’inizio, almeno con loro.
Una volta individuati gli uomini su cui puntare, occorre stabilire i criteri e le modalità di
lavoro. E’ necessario, soprattutto, fissare chiaramente i ruoli e le funzioni, definire le gerarchie
interne affinché si venga a creare una struttura efficiente e funzionale, nella quale ognuno
conosce esattamente i confini delle proprie competenze e delle proprie responsabilità. Scalfari,
abile amministratore ed esperto conoscitore della vita redazionale, chiarisce subito la propria
posizione e quella dei suoi collaboratori, precisando i diritti e i doveri di chi lavora in un’azienda
prima ancora che in un ambiente informale e disteso.
7
Scalfari E., Giovani e donne. Partimmo da loro, in “Gli album della Repubblica”, supplemento al numero
del quotidiano uscito il 14/01/2001