2
Nel terzo capitolo si partirà dall’analisi dei criteri di funzionamento del sistema
previdenziale italiano; successivamente verrà analizzato il livello di protezione
sociale erogato ai lavoratori «non-standard», prestando particolare attenzione
al lavoro part-time, alla somministrazione di lavoro e all’apprendistato.
Innanzitutto, si individueranno gli elementi di precarietà in termini di
protezione sociale, costituiti, ad esempio, dal ridotto orario di lavoro, che
causano vuoti nella tutela previdenziale dei lavoratori non standard.
Successivamente, si delineeranno i principi che dovrebbero regolare il sistema
della tutela sociale per la categoria di lavoratori in esame, ossia: il principio del
riproporzionamento e il principio di non discriminazione. Inoltre, si
esamineranno gli strumenti utilizzati dal legislatore per ricreare continuità
assicurativa e rimediare, così, ai vuoti di tutela. Ed infine, si accennerà alle
agevolazioni contributive previste per i datori di lavoro che stipulano con i
propri dipendenti, contratti di inserimento o di apprendistato.
Il quarto ed ultimo capitolo costituirà la sede in cui delineare gli aspetti
previdenziali e assicurativi, che riguardano tanto il lavoro a progetto quanto le
vecchie collaborazioni. In particolare, si esamineranno le modalità d
contribuzione alla c.d. “Gestione separata” istituita presso l’INPS e le
prestazioni previdenziali che sono garantite a fronte dei versamenti
contributivi. Altrettanto sarà fatto per i premi assicurativi e le prestazioni
INAIL.
3
Capitolo 1
La riforma del mercato del lavoro: Legge Biagi
1.1 Evoluzione del mercato del lavoro in Italia
Le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato i decenni trascorsi
costituiscono il punto di partenza per l’analisi delle novità apportate dalla
legge Biagi all’interno del mercato del lavoro.
Nel periodo di massima diffusione del modello organizzativo di tipo fordista,
risultava possibile riscontrare l’assoluta prevalenza di un modello unitario e
standardizzato di rapporto di lavoro, a tempo pieno e indeterminato,
caratterizzato da un intenso vincolo di subordinazione e da una durata tale da
ricoprire l’intera vita lavorativa del dipendente.
La parcellizzazione delle mansioni non richiedeva al lavoratore particolari
qualifiche, ma gli imponeva ritmi di lavoro predeterminati e costanti, con una
netta delimitazione tra tempo di lavoro e tempo libero. La retribuzione,
caratterizzata da una grande regolarità, assicurava livelli di reddito e, dunque,
di vita, costanti e stabili.
È in un simile contesto che si sviluppa il diritto del lavoro, animato
principalmente dall’intento di proteggere la posizione del lavoratore
subordinato, considerato quest’ultimo come soggetto appartenente ad una
categoria “debole”, e di predisporre un sistema di tutele fortemente garantista.
4
L’espansione della previdenza obbligatoria pubblica, che si finanzia attraverso
il prelievo sul salario posto prevalentemente a carico del datore di lavoro,
costituisce una significativa risposta a tale impostazione. Inoltre, la connessa
azione sindacale mira sistematicamente ad assicurare la certezza e la continuità
nel tempo dei posti di lavoro ponendo, a tal fine, consistenti limiti alla
possibilità di licenziare e garantendo, sul piano previdenziale, maggiori (e a
volte addirittura esclusive) tutele ai lavoratori che potevano far valere maggiori
anzianità aziendali e impegni lavorativi full-time.
Tutto ciò determina una suddivisione del mercato del lavoro in due
sottomercati: da una parte i lavoratori che svolgono o hanno svolto un’attività
stabile nel tempo, preferibilmente a tempo pieno e presso la stessa azienda;
dall’altra tutti coloro che, o non hanno mai lavorato (o hanno lavorato in nero),
o hanno lavorato soltanto in modo precario, per brevi periodi di tempo e presso
più datori di lavoro. Due sottomercati profondamente diversi tra loro sia dal
punto di vista strettamente lavorativo che da quello della tutela previdenziale.
Questa dicotomia finisce con l’accentuare ulteriormente le caratteristiche di
rigidità del mercato del lavoro e determina una continua lievitazione dei costi,
diretti e indiretti, della manodopera.
Il modello si comincia a modificare verso la fine degli anni Settanta, quando
intervengono due fattori dirompenti: la crisi petrolifera che ha investito
l’economia mondiale e lo sviluppo della tecnologia.
Lo sviluppo delle reti telematiche, la possibilità di dislocazione del lavoro
rispetto alla fabbrica tradizionale, l’esigenza di realizzare maggiore
5
competitività e, per contro, la forte rigidità del mercato del lavoro, portano alla
ricerca della combinazione ottima dei fattori della produzione puntando su
politiche di labour saving.
È l’epoca dolorosa della crescita esponenziale degli ammortizzatori sociali,
che devono intervenire per assorbire la forza lavoro espulsa dai cicli produttivi
e non in grado di reinserirsi nei nuovi processi di lavoro ad alto atto di
automazione.
In questo scenario aumentano i lavoratori autonomi, in particolare artigiani e
commercianti, i professionisti e i parasubordinati, che solo recentemente, dopo
la costituzione di un’apposita gestione previdenziale, hanno visto riconosciuta
una propria identità di lavoratori non dipendenti nel senso tradizionale del
termine.
Emergono nuove professioni e si espande la creatività imprenditoriale,
destinata prima o poi a scontrarsi con l’assenza di flessibilità del mercato del
lavoro; basti pensare al forte ritardo con cui è stata emanata la normativa che
ha introdotto nell’ordinamento italiano il rapporto di lavoro a part-time (1983)
rispetto all’utilizzo concreto che le imprese e i lavoratori già facevano di
questo modello organizzativo.
Ne consegue anche un forte sviluppo del lavoro sommerso, in quanto la
temporaneità e la brevità dei cicli di vita delle imprese favoriscono la
frammentarietà del lavoro e la difficoltà di controllo da parte delle istituzioni,
circa il rispetto di regole rimaste ancorate ad un sistema ormai superato.
6
Negli anni più recenti, le esperienze di altre nazioni del mondo occidentale
hanno inoltre dimostrato come mercati che creano più posti di lavoro e che
riescono a superare i momenti di stallo o di vera e propria crisi, sono quelli
basati su organizzazioni aziendali molto flessibili e caratterizzati da continui
processi di mobilità internazionale e intersettoriale della forza lavoro.
In Italia, a cominciare dalla seconda metà degli anni Novanta, si è assistito ad
un progressivo e sempre più accentuato aumento del numero dei lavoratori
occupati a tempo parziale e /o determinato.
La spinta a sottoscrivere contratti di questo tipo e, più ancora, con nuove e
diverse caratteristiche (lavoro interinale, rapporti di collaborazione coordinata
e continuata, job sharing, contratti week-end, ecc..) è derivata non soltanto
dalla mancanza di vere e concrete alternative – le aziende, piccole e grandi,
preferiscono evitare, quando possono, assunzioni a tempo pieno e
indeterminato – ma anche dalla propensione dei più giovani a poter disporre di
un maggior tempo libero e dal desiderio, per le persone in possesso di più
rilevanti qualificazioni professionali, di poter cambiare nel tempo condizioni e
tipo di lavoro
1
.
Dall’excursus sopra delineato, è evidente quanto fosse necessaria una nuova
regolamentazione dei rapporti di lavoro che rispondesse meglio alle nuove
flessibilità del mondo del lavoro, anche se la soluzione legislativa non ha posto
fine alla conflittualità ancora molto viva.
1
Sassi G. P., Riforma Biagi ed evoluzione dell’assetto regolatorio dei mercati del lavoro in Italia,
in La riforma Biagi del mercato del lavoro (a cura di) M. Tiraboschi, Giuffrè, 2004.
7
1.2 Linee guida e obiettivi della riforma del mercato del lavoro
La riforma del mercato del lavoro contenuta nel decreto legislativo n. 276 del
10 settembre 2003, attuativo della legge n. 30 del 14 febbraio 2003 (c.d.
“Legge Biagi”), si ispira, come specifica anche la Relazione di
accompagnamento allo stesso decreto di attuazione, alle indicazioni delineate a
livello comunitario nell’ambito della cosiddetta “Strategia Europea per
l’occupazione
2
”, al Piano nazionale per l’Occupazione del 2003, al Processo di
Lisbona del 2000 ed al Libro Bianco di Marco Biagi (2001).
Come si ricorderà, il Libro Bianco muoveva da un’analisi delle debolezze della
struttura dell’occupazione del nostro Paese e dei ritardi accumulati in relazione
agli obiettivi occupazionali concordati per il 2010 in occasione del vertice
dell’Unione Europea tenuto a Lisbona nel 2000. Nonostante i costanti
miglioramenti realizzati a partire dalla metà degli anni ’90, infatti, il tasso
generale di occupazione italiano si collocava nel 2001 al 53,5 per cento (a
fronte di una media dei paesi UE del 63,3 per cento) per raggiungere il 56 per
cento nel primo semestre del 2003, sempre comunque ben distante dal
traguardo del 70 per cento stabilito a Lisbona per tutti i Paesi dell’Unione;
“ritardi” peraltro concentrati per territorio (il Mezzogiorno), per genere (le
2
Nella Relazione annuale al Parlamento 2003/2004 si afferma che “la strategia europea per
l’occupazione declina gli impegni di Lisbona in tre obiettivi strategici: la piena occupazione, la
qualità e produttività del lavoro, la coesione e l’integrazione sociale. Il raggiungimento di questi
obiettivi richiede riforme strutturali concentrate su dieci priorità fondamentali, interconnesse tra
loro, delineate nelle Linee Guida per l’Occupazione (Decisione del Consiglio 2003/578/CE del 22
luglio 2003) che costituiscono gli orientamenti specifici per le politiche degli Stati membri a
favore dell’occupazione”.
8
donne), per segmenti di età (i giovani tra i 15 e i 29 anni, gli adulti tra i 55 e i
64 anni)
3
.
Il Libro Bianco, inoltre, sottolineava che una delle cause della disoccupazione
in Italia era il basso tasso di creazione di nuovi posti di lavoro e riteneva
necessaria una profonda riforma del Mercato del lavoro, considerato troppo
rigido, in termini di organizzazione dell’orario di lavoro, di retribuzioni, di
mobilità e di adeguamento dell’offerta di lavoro alle esigenze della domanda.
Con la “Riforma Biagi” si è, appunto, inteso modernizzare il mercato del
lavoro italiano “europeizzandolo”, prestando particolare attenzione alle
esigenze di flessibilità espresse da tempo dalle imprese.
Occupabilità, imprenditorialità, adattabilità e pari opportunità sono i quattro
pilastri su cui si basa la cosiddetta Strategia Europea per l’occupazione e sono
anche le parole chiave con cui leggere la riforma Biagi.
L’occupabilità è rivolta ad assicurare ai giovani e ai disoccupati gli strumenti
per fronteggiare le nuove opportunità occupazionali e i cambiamenti repentini
del mercato del lavoro; l’imprenditorialità si basa sul presupposto che per
creare nuovi e migliori posti occorre favorire un clima imprenditoriale
dinamico; l’adattabilità consente di cogliere appieno le nuove opportunità di
lavoro offerte dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione,
attraverso una maggiore flessibilità ed un ampliamento degli schemi
3
Busacca B., Dal Libro Bianco al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276: prime valutazioni
della Lega nazionale cooperative e mutue, in La riforma Biagi del mercato del lavoro (a cura di)
M. Tiraboschi, Giuffrè, 2004.
9
contrattuali a disposizione; l’ultimo pilastro riguarda le pari opportunità ed
enfatizza la doppia valenza, economica e sociale, della modernizzazione della
società in modo che le donne e gli uomini possano lavorare secondo uno stesso
trattamento economico e normativo e con uguali responsabilità, al fine di
sviluppare la crescita delle capacità dell’economia europea
4
.
Ispirandosi a tali concetti, dunque, il d.lgs. n. 276/2003 si basa, nella sostanza,
su misure volte:
ξ alla creazione di un mercato del lavoro trasparente ed efficiente in grado di
incrementare le occasioni di lavoro;
ξ alla messa in atto di una strategia coordinata volta a contrastare i fattori di
debolezza strutturale della nostra economia: la disoccupazione giovanile, la
disoccupazione di lunga durata, la concentrazione della disoccupazione nel
Mezzogiorno, il modesto tasso di partecipazione delle donne e degli
anziani al mercato del lavoro;
ξ all’introduzione di forme di flessibilità regolata e contrattata con il
sindacato, alternative al lavoro precario e nero, in modo da bilanciare le
esigenze delle imprese di poter competere sui mercati internazionali con le
irrinunciabili istanze di tutela e valorizzazione della “persona” del
lavoratore;
ξ all’introduzione di nuove tipologie di contratto utili ad adattare
l’organizzazione del lavoro ai mutamenti dell’economia e anche ad
4
Biagi M., Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffrè, 2004.
10
allargare la partecipazione al mercato del lavoro di soggetti a rischio di
esclusione sociale;
ξ al perseguimento di politiche del lavoro efficaci e moderne, soprattutto
nelle aree svantaggiate del Mezzogiorno, a favore di quelle categorie di
persone che incontrano maggiori difficoltà nell’accesso ad un lavoro
regolare e di buona qualità, anche in termini di maggiore sicurezza sul
lavoro, ovvero a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro;
ξ alla realizzazione di un sistema efficiente di servizi per l’impiego –
pubblici e privati – autorizzati e accreditati che, in rete tra loro grazie alla
borsa continua nazionale del lavoro, accompagnano e facilitano l’incontro
tra coloro che cercano lavoro e coloro che cercano lavoratori;
ξ alla garanzia delle pari opportunità dove le donne non sono solo retribuite
con il medesimo trattamento economico previsto per gli uomini, ma hanno
responsabilità ed opportunità di carriera uguali a quelli dei loro “pari”.
L’idea di fondo della riforma è quindi quella di “realizzare un sistema efficace
e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza al mercato
del lavoro e a migliorare le capacità di inserimento professionale dei
disoccupati e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con
particolare riferimento alle fasce deboli del mercato del lavoro”
5
.
5
Art. 3, comma 1, d. lgs. n. 276/2003, Finalità.
11
1.3 Principali novità introdotte dalla legge Biagi
Allo scopo di creare un nuovo modello di organizzazione del lavoro più
flessibile ma non per questo privo di tutele, la legge Biagi ha introdotto le
seguenti novità:
fine del monopolio del collocamento pubblico, attraverso l’introduzione di
nuovi servizi per l’impiego;
istituzione della borsa continua nazionale del lavoro;
introduzione di nuove figure di contratti atipici flessibili: lavoro a chiamata
o intermittente (job on call), lavoro ripartito o a coppia (job sharing),
lavoro in affitto o contratto di intermediazione (staff leasing), lavoro a
progetto (che sostituisce i co.co.co.);
riordino dei contratti a contenuto formativo, cioè ai vecchi contratti di
formazione e lavoro (cfl)
6
si sostituiscono i contratti di inserimento, il
nuovo contratto di apprendistato e i tirocini estivi di orientamento con
finalità formative;
nuova disciplina del lavoro a tempo parziale;
regolamentazione delle prestazioni occasionali.
1.3.1 Agenzie per il lavoro e Borsa continua nazionale del lavoro
Per molto tempo il nostro paese è stato caratterizzato da un tasso di
disoccupazione composto prevalentemente da persone giovani in cerca di
6
Che continueranno ad applicarsi soltanto nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni (art. 86,
comma 9, d. lgs. n. 276/2003).
12
prima occupazione e da persone adulte che avevano perso il lavoro. Il tasso di
occupazione, al contrario, era molto alto per le persone avanti con l’età. In tale
contesto si sono inseriti i primi provvedimenti per flessibilizzare il mercato del
lavoro come la riforma dei Servizi per l’impiego (SPI) nel 1997
7
, con la quale
è stato affidato alle Regioni e agli enti locali il compito di provvedere
all’organizzazione dei sistemi regionali per l’impiego e delle politiche attive
per il lavoro, riservando allo Stato un ruolo di indirizzo, promozione e
coordinamento. Questo processo ha permesso di superare il vecchio sistema di
collocamento improntato sulla semplice erogazione di servizi di tipo
amministrativo che risultava poco efficace nel facilitare l’incontro tra domanda
e offerta
8
.
Con la legge 30 del 2003 ed il successivo decreto (D.Lgs. n. 276/2003) sono
state introdotte novità importanti, che permettono ai servizi per il lavoro
italiani di raggiungere lo standard richiesto dall’Unione Europea grazie
all’entrata di nuovi operatori pubblici e privati che “privatizzano” il mercato
del collocamento e del lavoro.
7
Legge 24 giugno 1997, n. 196, Norme in materia di promozione dell’occupazione, anche detta
“Pacchetto Treu”.
8
Le nuove strutture, denominate Centri per l’impiego (CPI) e affidate alla gestione delle Province,
sono chiamate ad un nuovo ruolo di azione sul territorio e hanno la finalità di portare a pieno
regime la funzionalità di tutti i servizi entro il 2006. non solo regioni, ma che le province e i
comuni vengono chiamati ad intervenire nell’ambito dei CPI integrandone le funzioni e i compiti,
organizzando una molteplicità di servizi; in particolare: l’istituzione di punti informativi in
autoconsultazione, sportelli polifunzionali di prima informazione, uffici per l’assistenza al
cittadino, articolazioni decentrate, ecc….