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copertura tanto elevato da costituire un deterrente al ricorso alla
previdenza complementare stessa.
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Con l’espressione previdenza complementare ci riferiamo a
tutti quegli istituti previdenziali che prevedono l’erogazione di
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DONDI G., Prime note sulla recente disciplina delle forme pensionistiche
complementari, in MGL 1993, il quale osserva come il ruolo e lo spazio della previdenza
complementare siano condizionati dal grado di copertura e dalle caratteristiche del sistema
pubblico di tutela, il cui equilibrio finanziario delle gestioni è stato turbato, appunto,
dall’introduzione di miglioramenti della tutela previdenziale sia di tipo orizzontale, sia di
tipo verticale con l’aumento degli importi delle prestazioni e l’anticipazione nella
corresponsione.E’ quindi l’accentuata valorizzazione della funzione del sistema
previdenziale pensionistico di base che comporta il restringimento consequenziale della
operatività della previdenza integrativa proprio in quegli spazi in cui questa avrebbe dovuto
svolgere le sue funzioni di complementarità.
Così pure il SANDULLI P., Riforma pensionistica e previdenza integrativa, in Giorn.
Dir. Lav. Rel. Ind.,1994, in cui l’Autore sostiene la correlazione funzionale tra sistema
pensionistico di base e prestazioni integrative e spiega la necessità di ricercare le innovazioni
nel sistema pubblico obbligatorio in quanto rispetto a ciascun modello di intervento (
provvedimenti destinati a variare l’entità delle prestazioni, provvedimenti destinati ad
estendere l’area della protezione, provvedimenti di omogeneizzazione ) è possibile
individuare una conseguenza mediata sulle eventuali forme di previdenza complementare,
come riflesso degli effetti diretti sul sistema di base. E’ necessario, quindi, isolare quegli
elementi di potenziale distorsione del sistema di erogazione delle prestazioni per rendere piu
corretto il rapporto tra sistema pensionistico di base e forme di previdenza integrativa,
perché nel momento in cui, per effetto di una distorcente formulazione normativa del sistema
di base, si consente al singolo di ottenere con modesto impegno finanziario un elevato
rendimento, non solo si creano squilibri nello stesso sistema di base, ma si sottraggono fonti
finanziarie e si deviano interessi fisiologicamente destinati verso la previdenza
complementare.
In senso contrario PACE D. , I fondi pensione e lo sviluppo dei mercati finanziari, in
Prev. Soc. , n°2, 1990, il quale, nell’affrontare il problema della desiderabilità i meno di un
esteso sistema di fondi pensione a capitalizzazione e della loro eventuale regolamentazione,
si è concentrato sui fondi pensione visti nella loro attività di investitori istituzionali e sugli
effetti del loro comportamento nei mercati finanziari sul sistema economico e non quali
surrogati più o meno rilevanti del sistema pensionistico obbligatorio.
E infatti opinione dell’Autore che quest’ultimo approccio, pur cogliendo aspetti rilevanti
della realtà della previdenza complementare, appare caratterizzato da due limiti: 1)pone in
ombra la natura di intermediari finanziari dei fondi pensione che sembra invece essere, anche
alla luce dell’evidenza empirica, la loro caratteristica più rilevante; 2)forza la discussione
verso un approdo in cui le scelte del legislatore appaiono, di necessità, eccessivamente
condizionate da presunzioni di tipo ideologico circa la superiorità di un certo assetto del
sistema previdenziale rispetto ad altri possibili, nonché da considerazioni di opportunità
politica che, nel nostro Paese, hanno finora prodotto una sostanziale paralisi decisionale.
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trattamenti pensionistici complementari a quelli del regime
obbligatorio o di forme sostitutive o esclusive di questo.
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La nozione di previdenza complementare viene a sostituirsi
nei primi anni novanta, a quella di previdenza integrativa, la
quale era stata elaborata all’inizio degli anni ottanta per definire
giuridicamente un fenomeno esistente nel nostro ordinamento e
sviluppatosi sulla base degli artt. 2117 e 2123 c.c. e di previsioni
contrattuali.
Il primo, sotto il titolo di “fondi speciali per la previdenza e
l’assistenza”, afferma che questi, “costituiti dall’imprenditore
anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono
essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono
formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori
dell’imprenditore o del prestatore di lavoro”, e sostanzialmente
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La nuova disciplina sulla previdenza complementare trova il suo precedente
storico nelle forme previdenziali alternative all'assicurazione generale obbligatoria ,e
destinata ai soli lavoratori dipendenti,che possono,per comodità espositiva ,essere distinte
nelle seguenti forme. Forme “esclusive “ quando interessano dipendenti pubblici
specificatamente individuati ai quali sia garantito un trattamento di quiescenza .Forme
“sostitutive” che riguardano invece dipendenti di datori di lavoro privati e pubblici,
allorquando la legge preveda una forma specifica di previdenza in sostituzione di quella
generale. E infine forme “esonerative”, istituite previa autorizzazione ministeriale, di esonero
dall'assicurazione generale obbligatoria, all'interno di una azienda.
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sortisce l’effetto di preservare la massa patrimoniale in vista dello
scopo previdenziale riconosciuto a favore dei lavoratori; ciò in
considerazione del fatto che il fondo stesso non è né distraibile né
aggredibile da parte dei creditori, siano essi imprenditori che
lavoratori.
Il legislatore mostra qui di dare risalto ad una funzione o ad
uno scopo che dir si voglia, preferendolo sia alle esigenze
imprenditoriali, sia al lavoratore preso come singolo.
Tali fondi secondo alcuni sarebbero patrimoni separati, ossia
masse patrimoniali ( intese come complessi di beni e diritti
soggettivi) differenziate dal rimanente patrimonio del soggetto e
destinate ad una esigenza specifica.
Secondo altri rivestirebbero la forma di fondazioni di fatto,
secondo altri ancora sarebbero contraddistinti da una natura
associativa e mutualistica, dal che deriverebbe poi anche una
duplice posizione in capo all’iscritto al fondo: quella di “socio” e
quella di “assicurato”.
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L’altro , titolato “forme di previdenza”, al comma 1°
afferma che “salvo patto contrario l’imprenditore che ha compiuto
volontariamente atti di previdenza può dedurre dalle somme da lui
dovute…..quanto il prestatore di lavoro ha diritto di percepire per
effetto degli atti medesimi”. Nell’art. 2123 c.c. il legislatore parla
delle “forme volontarie di previdenza” e del rapporto di queste
con il Tfr (trattamento di fine rapporto) di cui si parlerà
ampiamente in seguito, per cui viene in considerazione un diritto
di detrazione in capo all’imprenditore che abbia posto in essere
tali atti previdenziali, da non confondere comunque con altri e
diversi compensi che vengono erogati dal datore di lavoro alla
fine del rapporto; questi infatti hanno natura retributiva, essendo
collegati con la prestazione lavorativa, e si intendono abrogati,
mentre i trattamenti previsti ex art.2123 hanno natura
previdenziale, in quanto sono volti a tutelare con delle prestazioni
specifiche il lavoratore che si trovi, una volta terminata l’attività
lavorativa, in una particolare situazione di bisogno.
Già il termine “previdenza integrativa” rimanda ad una
chiara qualificazione di tipo aggiuntivo rispetto alla previdenza
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pubblica, ed indica una molteplicità di forme svariate ed
eterogenee, non collegate né funzionalmente, né strutturalmente,
con la previdenza pubblica, ma tutte esplicanti una funzione
sostitutiva della previdenza obbligatoria, per acquisire
successivamente una residuale funzione integrativa ( o
complementare ) della prestazione di base.
Caratteristica della previdenza integrativa
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era, in sintesi,
quella di offrire una reale protezione aggiuntiva ai lavoratori,
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Le prime forme di previdenza integrativa si sostanziano in “benefici accessori”, da
intendersi come quell’insieme di attribuzioni patrimoniali e in natura che si aggiungono alla
normale retribuzione prevista dal contratto di lavoro.Tali forme si sono sviluppate dapprima
nei Paesi di cultura anglosassone e sono andate via via consolidandosi in tutti i Paesi
industrializzati.
In origine questo istituto si caratterizzava per essere una liberalità del datore di lavoro
che intendeva con tale sistema “premiare” da una parte la fedeltà e l’impegno dei suoi
migliori collaboratori, e dall’altra stimolare con l’erogazione di questi accessori della
retribuzione la loro produttività. Con il tempo poi questi privilegi si svincolano
progressivamente dalla connotazione di liberalità di tipo paternalistico per assumere sempre
più un significato contrattuale, anche se pur sempre individuale e in ultima analisi fiduciario.
Il significato distintivo di tali accessori consiste in questa capacità di soddisfare le
aspettative, diventa una valutazione principalmente positiva e una considerazione profonda
dell’apporto della persona e del suo apporto, e tale funzione viene principalmente assolta
quando gli accessori in questione diventano materia di contrattazione collettiva.
La fase contrattuale recepisce e formalizza l’esigenza di vedersi garantire trattamenti
pensionistici idonei a mantenere pressocchè invariato il tenore di vita raggiunto durante
l’attività lavorativa; esso viene soddisfatto appunto con l’istituzione, ad opera dell’autonomia
contrattuale, di regimi previdenziali integrativi, spesso, ma non sempre, aziendali.
Prendono così forma le varie forme di previdenza integrativa che si sostanziano in
contributi aziendali destinati ad alimentare fondi, casse e gestioni speciali che erogano
particolari prestazioni ai dipendenti al momento della risoluzione del rapporto di lavoro in
momenti successivi alla risoluzione stessa.
Poiché poi queste prestazioni previdenziali, al pari di quelle assistenziali, trovano nel
rapporto di lavoro la loro causa genetica e rappresentano al contempo un corrispettivo della
prestazione professionale, si è posta la questione di un loro eventuale assoggettamento
contributivo e fiscale.
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nell’ambito di un sistema denotato dalla libertà operativa e da
un’assoluta mancanza di funzionalizzazioni o schemi precostituiti.
La previdenza “aggiuntiva” integrativa assume una
rilevanza sociale nel nostro ordinamento: prova ne sono l’art. 442,
comma 2° c.p.c., per il quale sono sottoposte al rito del lavoro
anche quelle controversie relative all’inosservanza degli obblighi
di assistenza e previdenza derivanti da contratti e accordi
collettivi, al pari di quelli derivanti da obblighi di legge, con il che
si evince chiaramente il riconoscimento, da parte del nostro
legislatore, della funzione previdenziale delle forme integrative,
e quindi una sostanziale correlazione funzionale tra tutela di base
obbligatoria e tutela contrattuale facoltativa, non modificata dal d.
lgs. 124 del 1993
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; nonché la legge 88 del 1989, la quale
attribuisce all’I.N.P.S., tra gli scopi istituzionali, anche quello di
gestire le forme di previdenza integrativa.
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Sul punto in particolare SANDULLI P. , Riforma pensionistica e previdenza
integrativa, in Dir. Lav. e Rel. Ind. , 1991
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Le fonti istitutive della previdenza integrativa, la quale
storicamente si è affermata nei settori del credito e in quello
assicurativo, sono i contratti e gli accordi collettivi e i regolamenti
aziendali, i quali ultimi davano vita ai c.d. fondi aziendali, o
mediante un atto unilaterale dell’amministrazione dell’azienda, o
mediante un atto di natura contrattuale stipulato tra l’azienda e le
organizzazioni sindacali.
Accanto ai fondi aziendali vi erano poi fondi con personalità
giuridica di diritto privato o senza personalità.
Il meccanismo di intervento di tali fondi , una volta assunta
la loro connotazione tipicamente complementare, è quello di
erogare una prestazione che sia pari all’ultima retribuzione, o ad
una percentuale significativa della stessa. L’obbligazione è
strutturata in modo tale da neutralizzare, quanto al risultato finale,
la pensione di base, nel senso che la stessa concorre a determinare
quel risultato che deve comunque essere raggiunto,
prescindendosi quindi in tutto e per tutto dall’entità e dalla stessa
esistenza della prestazione obbligatoria.
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Le riforme del sistema previdenziale di base, e le
innumerevoli innovazioni legislative introdotte in tema di
previdenza complementare nei primi anni novanta, hanno
determinato l’esigenza di salvaguardare la posizione di coloro
che, già prima di questi interventi ( legge delega 421 del 1992,
Decreto lgs. 124 del 1993 ), avevano assunto una posizione
giuridica soggettiva rilevante sul piano, soprattutto, dei requisiti
maturati per aver diritto alle prestazioni dei vari fondi.
L’art 18 del Decreto lgs. 124 del 1993, in particolare,
distingue i soggetti iscritti anteriormente alla data di entrata in
vigore del decreto legislativo stesso (28 Aprile 1993), per i quali è
assicurato il mantenimento della disciplina preesistente, e quelli
iscritti posteriormente a quella data.
Per i primi l’esigenza avvertita dal legislatore era quella del
rispetto degli interessi già costituiti da una parte, dall’altra quella
di evitare che tali fondi potessero subire pericolosi contraccolpi a
causa delle riforme del sistema previdenziale di base.
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Il problema fondamentalmente derivava dal fatto che la
maggior parte di detti fondi prevedevano un regime di
contribuzione definita, ovvero tendenzialmente invariabile, e
garantivano agli iscritti prestazioni definite, che notoriamente
sono correlate alle retribuzioni dei lavoratori di pari grado e
qualifica ancora in servizio; il fatto è però che gli importi da
erogare sarebbero aumentati progressivamente, a causa soprattutto
della diminuzione del trattamento obbligatorio, sia della
lievitazione con il tempo di quelle retribuzioni.
È proprio per questo che il legislatore si è sentito in dovere
di garantire a coloro che si fossero iscritti a tali fondi prima
della data di entrata in vigore della nuova disciplina, la
conservazione della previgente disciplina in merito a prestazioni e
contributi, salvo che per il caso di accertato squilibrio finanziario
della gestione relativa, nel qual caso la garanzia suddetta riguarda
esclusivamente coloro che alla predetta data “abbiano maturato i
requisiti previsti dalle fonti istitutive medesime per i trattamenti di
natura pensionistica” (art.18, comma 7°, d. lgs. 124 del 1993), non
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essendo anche necessario che la prestazione sia stata
materialmente erogata.
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Le forme preesistenti devono invece adeguarsi
integralmente alla disciplina di legge, per quel che concerne i
nuovi iscritti, ovvero coloro che risultino iscritti in data successiva
a quella di entrata in vigore del Decreto lgs. 124 del 1993: in
particolare a favore di questi non potrà essere mantenuto il regime
a prestazioni definite eventualmente utilizzato nel fondo.
Una disciplina di tal sorta importerebbe poi l’esigenza di una
sorta di sdoppiamento del fondo preesistente in due gestioni,
quella originaria, soggetta al regime di adeguamento, e quella
nuova, soggetta invece ad un regime intermedio, poiché parificato
a quello dei fondi di nuova costituzione soltanto per ciò che
concerne direttamente i destinatari.
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CASS. 21 Gennaio 2000 n°689, in MGL, 2000, p.271
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CINELLI M. , I problemi della
previdenza complementare. L’adeguamento delle forme preesistenti alla disciplina di legge,
in DL, 1997
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CINELLI M. , I problemi della previdenza complementare. L’adeguamento delle forme
preesistenti alla disciplina di legge, in DL, 1997.
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Occorre soggiungere, peraltro, come recentemente si siano
registrate delle iniziative legislative volte ad innestare nella
struttura “preesistente”, nonostante il regime derogatorio di cui
all’art. 18, comma 1° del Decreto lgs. 124 del 1993, alcuni aspetti
dei modelli gestionali tipici dei fondi di nuova istituzione, quali il
conferimento della gestione ad intermediari specializzati, la
previsione dell’istituto della banca depositaria, l’erogazione della
prestazione in forma di rendita per il tramite di imprese dia
assicurazione.
Sostanzialmente possiamo dire che tutti, o quasi, i fondi
preesistenti si sono convertiti ( o lo stanno facendo) da fondi a
ripartizione, con prestazione definita, in fondi a capitalizzazione, a
contribuzione definita. Ciò sarebbe stato consentito da alcuni
elementi, quali il timore della liquidazione del fondo per eventuali
dissesti finanziari, o la circostanza che i vecchi fondi ( in quanto
aziendali ) prevedevano requisiti di accesso alla prestazione assai
elevati; elementi questi che erano però bilanciati, nella situazione
normativa preesistente, dall’elevato livello della prestazione
definita finale, nonché dalla tenuta del suo valore nel tempo (
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clausola oro ), cosi’ che quando il legislatore ha iniziato a
garantire una certa redditività della previdenza obbligatoria, a
fronte dello “sfondamento” del tetto del 1988, e ha depauperato la
previdenza complementare a prestazione definita della clausola
oro, è parso a molti vantaggioso uno scambio tra il regime del
passato ed il nuovo regime, più contenuto da un lato, ma tale da
configurare un capitale già acquisito.
Oggi i fondi pensione preesistenti ( alla data di entrata in
vigore del Decreto lgs. 124 del 1993 ) continuano a svolgere un
ruolo di rilievo nell’ambito della previdenza complementare,
come testimoniato dal fatto che essi costituiscono ancora più dell’
80 per cento del totale dei fondi
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, anche se è indiscutibile che è
ormai avviata un’opera di razionalizzazione del sistema
previdenziale complementare, che di fatto determina una
progressiva perdita di convenienza nel mantenimento, per i vecchi
iscritti, del regime pregresso.
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Come viene in considerazione nella Relazione COVIP 2001, pagg. 159 e ss.
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Si veda ad esempio il Decreto lgs. 47 del 2000, che ha reso meno conveniente che in
passato l’adesione a fondi interni bancari, incentivando le banche a prevederne la
esternalizzazione ovvero la liquidazione, spesso mediante il trasferimento delle posizioni
rispettive a fondi aperti gestiti nell’0ambito dello stesso gruppo bancario.
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Non è infatti un caso se negli ultimi anni si è assistito ad
un’intensa attività istruttoria svolta dalla COVIP per il rilascio dei
provvedimenti di approvazione delle modifiche statutarie poste in
essere dalle forme previdenziali di risalente istituzione, di certo
conseguenza, ciò, del progressivo processo di adeguamento
imposto dalla disciplina speciale in materia di previdenza
complementare.
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La maggior parte delle modifiche sottoposte all’attenzione della COVIP hanno
riguardato l’adeguamento alle disposizioni introdotte dal legislatore con Legge 144 del 1999
e con il Decreto lgs. 47 del 2000, onde in particolare sono state ridefinite la disciplina delle
anticipazioni, dei trasferimenti e dei riscatti e, in alcuni casi, le previsioni statutarie
interessate dal nuovo assetto fiscale della previdenza complementare introdotto dal
richiamato decreto.
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1.2 Il fondamento giuridico della nuova previdenza
complementare: la legge 23 Ottobre 1992, n° 421 e il sistema
del doppio pilastro.
Una disamina del fondamento giuridico della previdenza
complementare non può certamente prescindere da una
constatazione basilare, concernente la crisi dell’assetto
istituzionale del sistema previdenziale.
Tale crisi peraltro affonderebbe le proprie radici tanto in
una portentosa crisi occupazionale quanto in variabili
economiche e finanziarie determinanti un innalzamento costante
del numero di coloro che sono nelle condizioni per maturare un
trattamento pensionistico (specie di anzianità).
Nei sistemi c.d. a ripartizione, nei quali i contributi riscossi
dai lavoratori attivi in un determinato periodo di tempo sono
immediatamente trasferiti ai pensionati per pagare le prestazioni
loro spettanti, il problema sorge in considerazione del fatto che i
contributi, essendo spesi immediatamente, non possono essere
investiti, e l’equilibrio finanziario sarebbe garantito solo se il