2
intervento. In questo contesto, contraddistinto da forti limitazioni, direi
“originarie”, si è sviluppata l’azione comunitaria in materia di protezione sociale
e armonizzazione delle misure di sicurezza sociale vigenti negli Stati membri.
Negli ultimi anni questo processo ha subito una brusca accelerazione,
dovuta all’attenzione che l’opinione pubblica e i governi hanno riservato alla
crisi dei sistemi classici di Welfare State ed in particolare dei sistemi
previdenziali e pensionistici che non ha risparmiato nessuno dei Paesi membri.
L’allungamento delle aspettative di vita, il calo delle nascite e i profondi
cambiamenti in atto nel mercato del lavoro stanno portando i sistemi
previdenziali europei a forti squilibri finanziari. Nei costi per la spesa sociale, la
previdenza costituisce nei Paesi Europei circa il 30% del PIL e si stima che
continui a crescere nei prossimi decenni a causa dell’invecchiamento della
popolazione. Per questo motivo tutti gli Stati sono alla ricerca di eque soluzioni
volte a garantire il livello di prestazioni pensionistiche raggiunto e nello stesso
tempo far fronte al crescere del loro costo. Tutta la Comunità condivide la
volontà di raccogliere la sfida rappresentata dal mantenimento degli elevati livelli
di protezione sociale che sono stati raggiunti negli anni, senza, però, dimenticare
l’equilibrio finanziario che in molti Stati non è stato ancora raggiunto.
Il compito di confrontarsi con questa nuova situazione spetta
principalmente agli Stati membri, che hanno mantenuto una competenza
pressoché esclusiva per ciò che riguarda le loro politiche previdenziali e, in
particolare, in materia di assetti pensionistici, modellati sulle proprie specificità
nazionali. Per far fronte al nuovo scenario che va proponendosi i Paesi membri
dovranno riformare i propri regimi pensionistici di base, che continueranno ad
3
occupare un posto decisamente centrale nei sistemi di protezione sociale degli
Stati membri e ad assicurare ancora una quota molto importante delle prestazioni
pensionistiche, adattando le modalità di finanziamento e le prestazioni alla realtà
demografica e del mercato del lavoro. Ma accanto a tali interventi è necessario
uno sviluppo ed un potenziamento dei regimi di previdenza complementare, in
quanto lo stato dei fatti non consente a nessun governo di mantenere inalterata la
tutela offerta dai regimi previdenziali pubblici.
L’Unione Europea ha in materia un ruolo solo sussidiario, dovendo
lasciare il campo ai governi nazionali e intervenendo «soltanto se e nella misura
in cui gli obiettivi della misura prevista non possono essere sufficientemente
realizzati dagli Stati membri»
3
. A lungo le istituzioni comunitarie hanno operato
esclusivamente al fine di consentire la creazione di un economia di mercato
libera e funzionante al meglio in Europa. Successivamente l’attenzione si è
spostata sulla necessità di creare un coordinamento, prima, e un’armonizzazione
4
,
poi, delle misure di sicurezza sociale.
Anche la materia della previdenza integrativa è stata, da ultimo, investita
da questa azione armonizzatrice attraverso alcuni interventi delle istituzioni
comunitarie e, in special modo, della Commissione Europea e del Parlamento. Il
dibattito sull’opportunità di un intervento legislativo a livello comunitario tocca
diversi aspetti della previdenza complementare e si è sviluppato nel corso degli
ultimi trent’anni attraverso una discussione tra le parti sociali e la Commissione
Europea sulla base delle proposte emanate da quest’ultima. Questo processo ha
3
Art. 5 del Trattato che istituisce la Comunità Europea.
4
La difficoltà del compito ha spinto le istituzioni europee ad optare per un’armonizzazione minima o
selettiva, che investa solo i requisiti essenziali di una attività produttiva, rappresentati ad esempio dalle
regole prudenziali o dalle condizioni strutturali, organizzative ed operative maggiormente rilevanti per le
esigenze di protezione sociale e di tutela dei consumatori.
4
ricevuto un notevole impulso dalle decisioni adottate dalla Corte di Giustizia e si
sta lentamente sedimentando in alcune direttive volte ad affermare le modalità di
applicazione dei principi guida che gli Stati membri devono seguire nella
definizione della legislazione nazionale sulla previdenza integrativa.
In questo campo un intervento a livello europeo è sempre più sollecitato
anche dai governi degli Stati membri, che pur hanno posto, in passato, non pochi
ostacoli ad una armonizzazione, o al coordinamento, dei sistemi previdenziali
nazionali, ma che ora chiedono con forza linee guida per una riforma
complessiva dei propri ordinamenti previdenziali. Il fenomeno
dell’invecchiamento della popolazione è infatti comune, così come il
cambiamento strutturale del mercato del lavoro o il bisogno di nuove regole per
mantenere la solidarietà intergenerazionale che, fino ad oggi, ha permesso il
funzionamento dei sistemi pensionistici.
Oggetto del presente lavoro è l’analisi dell’indirizzo dell’Unione Europea
in tema di sicurezza sociale ed, in particolare, di previdenza complementare. A
tal fine si prenderanno prima in esame le caratteristiche dei sistemi di sicurezza
sociale. Si vogliono, innanzitutto, presentare i modelli ideali che hanno
rappresentato un riferimento per la “costruzione” del Welfare State in Europa e
nel mondo: il modello bismarkiano e quello beveridgiano. Si passerà poi ad
esaminare il ruolo e il rapporto che la previdenza complementare, all’interno dei
sistemi di sicurezza sociale, ha con il regime previdenziale obbligatorio.
Nella prima parte del secondo capitolo si presenteranno i principali atti
della Comunità Europea in materia di sicurezza sociale, iniziando dai Trattati
istitutivi e dal regolamento n. 1408/71 che per anni ha rappresentato la base di
5
ogni intervento comunitario in tema. È proprio dall’anali del regolamento
ricordato, che è servito da “canovaccio” anche per la scarna disciplina sul
secondo pilastro previdenziale, che partirà, nella seconda parte del capitolo,
l’analisi dei più recenti e, a nostro avviso, importanti atti comunitari sulla
previdenza complementare.
Infine, si presenterà, nell’ultimo capitolo, la normativa sulla previdenza
complementare vigente in alcuni Paesi europei, sottolineando che, se pur con
enormi differenze nella disciplina, la previdenza integrativa ha assunto la stessa
funzione sia nei sistemi di Welfare dei Paesi che più si ispirano al modello
bismarkiano, sia a quelli degli Stati “beveridgiani”. L’anali avverrà con
riferimento solo al secondo pilastro, cioè ai regimi istituiti su base collettiva,
preoccupandosi di fornire solo brevi accenni per ciò che riguarda la legislazione
sul regime pubblico. Seguendo la classificazione dei sistemi di Welfare fatta in
dottrina, si è scelto di descrivere la disciplina in un sistema bismarkiano, quella
in uno beveridgiano e quella in un sistema che presenta caratteristiche comuni ai
due.
6
CAPITOLO I
I SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE IN EUROPA
1.1. I sistemi di sicurezza sociale
Tutti i Paesi dell’Unione Europea, come tutti i Paesi del capitalismo
maturo, hanno da tempo sviluppato un sistema di sicurezza sociale volto a
tutelare la maggioranza dei cittadini nel momento in cui questi si trovino in stato
di bisogno. Ma definire un sistema di sicurezza sociale è un compito assai arduo
per due ragioni: la prima è che non esiste un modello unico di sicurezza sociale a
cui ricondurre i vari ordinamenti europei. Questi hanno sviluppato sistemi di
sicurezza sociale estremamente difformi tra di loro, spaziando dal modello
assicurativo a quello universalistico. All’interno di ogni Stato la legislazione
sociale svolge funzioni differenti e tutela diversi bisogni in relazione alle
evoluzioni storiche, culturali ed economiche del Paese in questione.
La seconda ragione per cui risulta difficile definire la sicurezza sociale è
che, con il passare del tempo, questa espressione è diventata un concetto che
raccoglie in sé tutte le esperienze di azione sociale compiute dagli Stati moderni:
il termine “sicurezza sociale” risulta essere un concetto riassuntivo di esperienze
giuridiche mutevoli nel tempo, «seppur accumunate dalla generica finalità di
CAPITOLO I
I SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE IN EUROPA
7
tutela della persona umana, in relazione ai bisogni della vita individuale e
collettiva»
1
.
La confusione dei termini aumenta in maniera esponenziale quando si
cerca un comune denominatore nelle legislazioni sociali dei Paesi europei: con il
tempo, infatti, gli Stati hanno utilizzatole strutture previdenziali anche per scopi
di politica economica, per combattere la disoccupazione o l’inflazione, per
rilanciare la produzione, per la redistribuzione dei redditi, come fattore di
incidenza sulle dinamiche demografiche (attraverso opportuni interventi sulle
prestazioni per il nucleo familiare) e perfino per scopi elettorali data l’attitudine
delle politiche previdenziali a “rimandare il conto” delle scelte di oggi alle
generazioni future. L’azione dei legislatori nazionali appare, quindi, più che
ispirata ad un modello ideale di sicurezza sociale, ispirata alle condizioni
contingenti del periodo storico in cui essi vengono ad operare.
L’espressione fu coniata in diretto collegamento con il programma
Roosveltiano del New Deal (Social security Act americano del 1935), intorno alla
metà degli anni ’30, ma trovò la sua piena affermazione negli anni
immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, quando Lord
Beveridge propose il suo programma di riforma dell’assistenza della collettività
in Gran Bretagna. Tuttavia il termine si affrancò presto dal modello beveridgiano
di sicurezza sociale, andando ad indicare un’idea di politica sociale che ha
trovato e trova diverse attuazioni nei vari ordinamenti giuridici dei Paesi
industrializzati. Minimo comun denominatore di questi pur dissimili interventi
sociali è un generico richiamo al principio di tutela dei cittadini dallo stato di
1
Cinelli, Diritto della Previdenza Sociale, Torino, 2000.
CAPITOLO I
I SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE IN EUROPA
8
bisogno (bisogno che renderebbe inesprimibili i diritti di libertà e uguaglianza
della popolazione) e l’indicazioni di obiettivi elementari di protezione della
persona umana e del benessere della collettività che è possibile rinvenire nelle
dichiarazioni e nelle convenzioni internazionali.
La definizione di sicurezza sociale più comunemente accettata a livello
internazionale, infatti, resta quella data dall’Organizzazione Internazionale del
Lavoro nel 1952
2
, nella convenzione numero 102 sugli standard minimi di
sicurezza sociale. Questa viene definita come la risultante di una serie di misure
di natura pubblica poste in essere allo scopo di proteggere la popolazione da
difficoltà economiche che potrebbero derivare da una carenza o una mancanza di
reddito a seguito di malattia e malattia professionale, invalidità e infortunio sul
lavoro, maternità e disoccupazione, vecchiaia o morte, per assicurare cure
mediche a coloro che necessitano e per assicurare un sostegno economico alle
famiglie con figli non autosufficienti a carico. Dalla definizione resta esclusa
quindi l’assistenza sociale che attiene alla garanzia dell’esistenza delle condizioni
minime per l’effettivo sviluppo della persona umana.
Nella realtà, però, la definizione sopra citata non esaurisce la totalità dei
regimi di sicurezza sociale esistenti nei Paesi europei: vari sono, per esempio, i
rischi tutelati dai diversi ordinamenti derivanti da differenti esperienze storiche.
Nonostante ciò, tutti gli Stati del Vecchio Continente si presentano come Stati
sociali, Stati cioè che hanno scelto un ideale di solidarietà che rappresenta uno
dei pilastri del modello sociale europeo. Il principio di solidarietà si manifesta
2
Organizzazione Internazionale del Lavoro, C102 Social Security (Minimum Standards) Convention,
1952.
CAPITOLO I
I SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE IN EUROPA
9
come sostegno del reddito a favore di coloro che occupano una posizione di
svantaggio nel mercato di lavoro o di coloro che versano in difficoltà
economiche. Le differenziazioni tra i Paesi vertono, invece, sulle modalità e i
livelli di tale sostegno, sui beneficiari del sostegno e sul metodo di finanziamento
per perseguire tale obiettivo.
Il nucleo originario dello Stato sociale è rappresentato della previdenza
sociale, che si afferma a partire dal XIX secolo in Europa centrale, precisamente
in Germania, e che poi si estende a tutti i Paesi europei. La previdenza sociale,
nella sua formulazione primitiva, rispondeva alla necessità di tutelare i percettori
di reddito da lavoro subordinato da eventi generatori di incapacità, temporanea o
permanente, di produrre il reddito necessario alla vita propria e dei familiari a
carico quali la malattia, l’infortunio sul lavoro, la disoccupazione e la vecchiaia
(quest’ultima comprendente i rischi di invalidità e di morte). Con l’evolversi
della situazione storica la tutela previdenziale è stata ampliata fino a
ricomprendervi oggi tutti i percettori di reddito, siano essi lavoratori autonomi e
subordinati ed è stato ampliato anche l’originario nucleo dei cosiddetti “eventi
protetti”. Gli interventi previdenziali si sono concretizzati principalmente in un
trasferimento di ricchezza sostitutivo del reddito perduto e, secondariamente, in
previsioni legislative che impongono obblighi al datore di lavoro o riconoscono
libertà ai lavoratori ed alle loro associazioni di rappresentanza. Del nucleo
originario della previdenza, nonostante gli ampliamenti del concetto, è comunque
rimasto l’antico legame con il lavoro: tutti gli eventi protetti, pur ampliati nel
numero, attengono ad un bisogno derivante dall’incapacità o dall’impossibilità di
lavorare in cui viene a trovarsi un soggetto: i diritti previdenziali esistono in
CAPITOLO I
I SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE IN EUROPA
10
quanto «il cittadino è considerato il relazione alla sua qualità, attuale o
potenziale, di produttore di reddito da lavoro e l’oggetto della tutela è l’assenza,
parziale o totale, temporanea o definitiva di questo reddito… »
3
.
Risulta quindi chiaro che la definizione di sicurezza sociale include
anche quella di previdenza, ma non coincide con essa, comprendendo anche
quelli che si sono affermati come diritti sociali, quei diritti cioè che attengono
alla persona umana in quanto tale, come il diritto alla salute, e che sono volti a
prevenire o a superare lo stato di bisogno in cui si trovano i cittadini. Una delle
caratteristiche dello Stato di diritto moderno, quale esso si è andato a
configurare fin dagli albori del XX secolo, non è l'assenza di una sua funzione
sociale, ma il fatto che questa funzione non si esplichi in termini meramente
discrezionali, qualificandosi piuttosto come vero e proprio oggetto di un diritto
dei cittadini: come i diritti di libertà costituiscono una condizione perché
l'azione sociale dello Stato divenga oggetto di diritti individuali, i diritti sociali
si atteggiano quale necessario presupposto dello stesso sistema democratico e
quindi per la fruizione della libertà e per l'attuazione della eguaglianza in
termini concreti e non quali semplici affermazioni di principio.
L'espressione sicurezza sociale, quindi, sottintende quel fenomeno ricco
di valori sociali e civili della assunzione da parte della collettività organizzata
nello Stato, o, meglio, da parte dello Stato medesimo, del compito di assicurare
a tutti i cittadini la libertà dal bisogno, onde consentire l'effettivo ed egualitario
godimento dei diritti civili e politici. Nella evoluzione legislativa della
sicurezza sociale hanno confluito molteplici principi, alla cui compiuta
3
Pessi, Lezioni di Diritto della Previdenza Sociale, CEDAM, 2001.
CAPITOLO I
I SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE IN EUROPA
11
realizzazione è collegato il benessere dei cittadini. Ma, a questo proposito,
occorre precisare che l'idea di sicurezza sociale non può riferirsi a qualunque
provvedimento legislativo rivolto a tutelare la sicurezza economica e più
generalmente il benessere dei cittadini.
Da tempo gli studiosi della sicurezza sociale hanno suddiviso l’Europa
in quattro grandi aree
4
a seconda dello spazio d’azione lasciato alla previdenza
sociale in senso stretto rispetto all’azione sociale intesa in senso
universalistico: è stato osservato come la quantità di tutela strettamente
previdenziale, destinata cioè a quei soggetti che sono lavoratori, sia
inversamente proporzionale al tipo di tutela universale, riferibile cioè all’essere
umano in quanto tale. Spostandosi da nord a sud del Vecchio Continente si
incontra l’area dei Paesi scandinavi, quella anglosassone, quella dell’Europa
continentale e quella dei Paesi dell’Europa meridionale. Ad una prima
approssimazione si può dire che le prime due aree si ispirano ad un modello di
sicurezza sociale di tipo universalistico, mentre le altre due a quello delle
assicurazioni sociali. Le quattro aree europee si collocano, quindi, lungo un
continuum ai cui estremi si trovano due modelli di sicurezza sociale opposti:
quello universalistico e quello delle assicurazioni sociali. Il primo ad
affermarsi storicamente è stato proprio quest’ultimo ed è conosciuto con il
nome di modello bismarkiano dal nome del Cancelliere tedesco che lo
introdusse per primo, nella seconda metà del XIX secolo, per fronteggiare la
questione sociale che allora stava esplodendo.
4
Vedi, ad esempio, Titmuss, I sistemi classificatori. Social Policy, London, 1974.
CAPITOLO I
I SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE IN EUROPA
12
Anche se il Welfare State affonda le sue origini in Inghilterra nelle Poor
Laws di Elisabetta I a cavallo tra il ‘500 ed il ‘600, è nella Germania del
Cancelliere Bismark che si sviluppa per la prima volta un modello compiuto di
sicurezza sociale quando progressivamente l’intervento dello Stato sostituisce
gradualmente quello della Chiesa, delle opere di beneficenza e delle mutue dei
lavoratori. È la risposta istituzionale alla crisi sociale che la prima
industrializzazione aveva portato con sé: lo spopolamento dalle campagne,
l’urbanizzazione senza regole conseguente e le disumane condizioni di lavoro
nelle fabbriche, avevano favorito l’emergere di idee rivoluzionarie tra la classe
operaia. L’assistenza e la previdenza sociale nascono, infatti, «nel timore che
l’indigenza priva di ogni conforto e recata all’esasperazione potesse indurre a
ribellarsi all’ordine costituito»
5
. Lo Stato Sociale nasce quindi storicamente
con l’emergere delle contraddizioni dell’economia capitalistica, la distruzione
della civiltà contadina e della solidarietà familiare e di villaggio, la nascita del
proletariato, l’urbanizzazione e l’emigrazione. D’altro canto l’abolizione delle
corporazioni aveva eliminato anche per coloro che esercitavano le professioni
tradizionali ogni forma di solidarietà professionale.
Tutte queste trasformazioni socio-economiche fanno emergere nuove
forme di povertà. Il susseguirsi di periodiche recessioni economiche,
accompagnate da elevati tassi di disoccupazione, la necessità di provvedere a
vedove, orfani e a tutti coloro che per vari motivi mancavano delle risorse
5
Persiani, Diritto della previdenza sociale, CEDAM, 1997.
CAPITOLO I
I SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE IN EUROPA
13
necessarie per vivere (invalidi, anziani, ecc.), fa nascere l’esigenza di un
coinvolgimento diretto dello Stato
6
.
1.1.1. Il modello bismarkiano
Con il procedere dell’industrializzazione e l’acuirsi del conflitto tra
proletariato e borghesia l’instabilità sociale aumenta. Per porvi rimedio, alla
fine del XIX secolo, precisamente tra il 1883 e il 1889, il cancelliere prussiano
Otto von Bismark introduce le prime misure di un moderno Stato Sociale ed
istituisce un regime di leggi sociali a favore dei ceti più bisognosi. Ma è solo a
partire dagli anni venti del secolo scorso che tali misure raggiungono
un’estensione e un’organicità tali da poter parlare di un vero e proprio modello
di sicurezza sociale con assicurazioni obbligatorie contro i maggiori rischi:
povertà, malattia, infortuni sul lavoro e vecchiaia. È un nuovo tipo di Welfare,
diverso dai precedenti, basato sul principio assicurativo: si intende, cioè,
garantire a ciascuno un minimo di sopravvivenza, in relazione al contributo
dato con il proprio lavoro, attraverso la copertura assicurativa. Da questo primo
tipo di sicurezza sociale, la dottrina ha elaborato uno dei modelli fondamentali
di previdenza sociale: il modello bismarkiano o delle assicurazioni sociali.
In realtà il modello delle assicurazioni sociali fu preceduto dall’utilizzo
delle assicurazioni private in chiave obbligatoria, con l’obbligo di
assicurazione a carico dei fruitori delle prestazioni di lavoro, cioè dei datori di
6
Per una ricostruzione sintetica dell’origine della previdenza sociale vedi: Persiani, Diritto della
previdenza sociale, CEDAM, 1997.
CAPITOLO I
I SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE IN EUROPA
14
lavoro e, prima ancora, dalle società di mutuo soccorso dove gli associati, per
far fronte ad un rischio comune, si impegnavano a ripartire tra loro le
conseguenze economiche di un eventuale evento dannoso. Il modello nasce
coerentemente alla ideologia dello Stato liberale, dove l’intervento di questo
era legittimo nelle situazioni di rischio connesse allo sfruttamento del lavoro
che potevano portare turbamenti nell’ordine pubblico: esso infatti, lungi dal
modificare le regole dell’utilizzazione della forza lavoro, operava solo in
termini risarcitori nel caso in cui si fosse verificato l’evento dannoso.
Il modello maturo delle assicurazioni sociali vede l’intervento dello
Stato, che scalza l’intermediario assicuratore, sostituendosi ad esso tramite una
gestione in prima persona del rapporto assicurativo del lavoratore contro gli
eventi protetti. Lo scopo del modello in questione è quello di garantire al
lavoratore che vede menomata la sua capacità lavorativa un reddito sostitutivo
che permetta al soggetto di mantenere lo status sociale e il tenore di vita
acquisiti. Soggetti protetti di questo sistema sono dunque solamente i
lavoratori, attuali e, in determinati casi, potenziali. Il sistema non si preoccupa
di garantire un livello minimo di reddito a tutti la popolazione, ma solamente a
quella parte che contribuisce al benessere generale e, soprattutto al sistema
stesso, tramite il lavoro: il sistema è infatti finanziato tramite i contributi dei
soli lavoratori e dei datori di lavoro. Le prestazioni erogate da tale sistema sono
proporzionali alla quantità di reddito perduto in seguito all’evento menomante.
La fattispecie previdenziale è, in questo caso, complessa e a formazione
progressiva: è necessaria cioè la presenza di più elementi, contribuzione e
CAPITOLO I
I SISTEMI DI SICUREZZA SOCIALE IN EUROPA
15
verificarsi dell’evento protetto, e il loro dispiegarsi nel tempo affinché la
fattispecie si perfezioni.
Nella sua formulazione primitiva, il modello bismarkiano è un sistema
che tende ad assicurare una certa corrispettività tra contributi versati dalle parti
sociali e prestazioni previdenziali. Il modello risulta così essere improntato alla
conservazione della situazione esistente, non si occupa cioè di produrre effetti
redistributivi. Con l’intervento dello Stato e con l’ibridazione del modello con
l’ideologia beveridgiana, la situazione muta: la previdenza diventa un onere
per le istituzioni pubbliche, che spesso sono chiamate ad integrare le
prestazioni a seguito delle dinamiche inflazionistiche o delle crisi economiche.
Al contempo la previdenza diventa anche uno strumento di intervento
nell’economia: «l’abbandono del referente assicurativo, quale vincolo
necessario per la determinazione dell’entità delle prestazioni, […] offre al
“manovratore” l’opportunità di utilizzare la previdenza sociale come strumento
di politica dei redditi e di redistribuzione di ricchezza»
7
. Il nuovo ruolo della
previdenza non fa che accrescere le contraddizioni del sistema ed essa viene
utilizzata di volta in volta per contrastare l’inflazione, la disoccupazione, per la
ricerca di consensi, per premiare gruppi di pressione…
7
Pessi, Lezioni di Diritto della Previdenza Sociale, CEDAM, 2001.