esperienze la disciplina tributaria contenuta nello stesso D.Lgs.
n.124/93, con la connessa esigenza degli interventi modificativi
del D.Lgs. n.585/93 e della Legge n.335/95.
D'altro canto, è proprio la carenza di disciplina
legislativa che motiva l'iniziale prudenza della Corte
Costituzionale nella decisione del 1990 e la successiva presa
d'atto, nella sentenza del '95, della sostanziale riferibilità della
previdenza complementare all'art.38, 2° comma, Cost..
Con l'attuale regolamentazione delle "forme
pensionistiche complementari", si evidenzia come il legislatore
abbia immaginato un modello in cui il singolo viene indirizzato
per un percorso che dovrebbe portarlo ad acquisire il diritto ad
una prestazione complementare di quella previdenziale di base,
in grado di garantirgli un'esistenza libera e dignitosa ed un
parziale o integrale mantenimento del tenore di vita acquisito;
il che contribuisce ad inquadrare il ruolo costituzionale della
previdenza complementare stessa.
La "scommessa" della previdenza complementare si
gioca, quindi, sul versante della sua necessarietà (da non
confondere con l'obbligatorietà della stessa, prospettata da
alcuni Autori), dovuta all'emergenza finanziaria, e della sua
complementarietà, in relazione, per un verso, al dispiegarsi
dell'autonomia collettiva (nel ruolo centrale affidatole dal
legislatore sia nel momento genetico, che in quello funzionale),
per l'altro, all'imporsi di una interpretazione della disciplina che
valorizzi, in termini di non dissociabilità, il rispetto
dell'autonomia del singolo (cioè il carattere di volontarietà e
dunque di facoltatività di adesione ai fondi), nonché una tutela
della posizione individuale, per quanto riguarda diritti ed
aspettative del lavoratore, funzionale alla sua permanenza nel
sistema globale dei fondi, vista come esigenza di stabilità
connaturata alla natura ed allo scopo della previdenza
complementare stessa.
In conseguenza di ciò, si evidenzia l'importanza di una
tutela adeguata della libera circolazione della posizione
individuale degli iscritti all'interno del sistema, non più soltanto
occasionata dalla "perdita dei requisiti di partecipazione al
fondo", ma dovuta ad una scelta discrezionale del lavoratore
stesso tra le differenti offerte, così come disciplinata dall'art. 10
c.3-bis, modificato dalla L.335/95; senza, quindi, che venga
penalizzata la libera uscita dal fondo, e consentendo il
trasferimento dell'intera posizione individuale.
Libera circolazione che, alla luce del Mercato Unico
Europeo e dell'indiscutibile ruolo finanziario che i fondi
pensione rivestono, non può che essere promossa come
obiettivo fondamentale della Comunità Europea.
CAPITOLO 1.
I DUE PILASTRI DELLA RIFORMA: PREVIDENZA
COMPLEMENTARE E PREVIDENZA OBBLIGATORIA.
1.1 Considerazioni preliminari.
1.1.1 Crisi del sistema pensionistico pubblico obbligatorio.
1.1.2 Il ruolo di una previdenza complementare privata.
1.1.3 Verso un sistema previdenziale articolato su due pilastri.
1.1.4 Fondi pensione e mercato finanziario.
(Sistemi a ripartizione e sistemi a capitalizzazione).
1.1.5 Sintesi delle motivazioni a sostegno di una previdenza
complementare.
1.2 La nozione di previdenza complementare.
1.2.1 Il pluralismo previdenziale secondo Costituzione nell'ottica
dell'art. 38.
1.2.2 Il dibattito dottrinale sulla natura della previdenza complementare.
1.2.3 La previdenza complementare finalizzata al perseguimento di
interessi privati.
1.3 La natura dei contributi ai fondi pensione complementari.
1.3.1 La sentenza n. 421/1995 della Corte Costituzionale e la struttura
previdenziale dei finanziamenti ai fondi.
1.3.2 Sintesi dell'evoluzione storica e normativa della nozione di
retribuzione imponibile.
1.3.3 Il principio di solidarietà evocato dalla Corte e la volontà espressa
dal legislatore nella nuova disciplina dei fondi pensione.
1.1 Considerazioni preliminari.
L'Italia è stata a lungo l'unica, tra i più importanti Paesi
industrializzati, sprovvista di una normativa specifica sulla
previdenza complementare. Soltanto nel corso degli anni
ottanta si sono cominciate a registrare prime significative
proposte su questa materia sia da parte governativa che
parlamentare, ma si è dovuti giungere al riordino previdenziale
del governo Amato previsto dalla legge delega collegata alla
finanziaria 1993 perché un'organica disciplina sulla previdenza
complementare trovasse posto nel nostro ordinamento.
Le ragioni che giustificavano questa "marginalità" della
previdenza complementare andavano rintracciate,
essenzialmente, nelle caratteristiche del sistema previdenziale
di base il quale assicurava un livello di copertura così elevato
da costituire, di fatto, un deterrente al ricorso alla previdenza
complementare stessa.
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Così Dondi G., Prime note sulla recente disciplina delle forme pensionistiche
complementari, in M.G.L. 1993, il quale osserva che il ruolo e lo spazio della previdenza
complementare sono condizionati dal grado di copertura e dalle caratteristiche del sistema
pubblico di tutela il cui equilibrio finanziario delle gestioni è stato turbato, appunto,
dall'introduzione di miglioramenti della tutela previdenziale sia di tipo orizzontale verso
nuove categorie sociali, sia di tipo verticale con l'aumento degli importi delle prestazioni
e l'anticipazione nella corresponsione. E' quindi l'accentuata valorizzazione della funzione
del sistema previdenziale pensionistico di base che comporta il restringimento
consequenziale della operatività della previdenza integrativa proprio in quegli spazi in cui
questa avrebbe dovuto svolgere le sue funzioni di complementarità.
Così anche il saggio di Sandulli P., Riforma pensionistica e previdenza integrativa, in
Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 1994; in cui l'autore sostiene la correlazione funzionale fra
sistema pensionistico di base e prestazioni integrative e spiega la necessità di ricercare le
innovazioni nel sistema pubblico obbligatorio in quanto rispetto a ciascun modello di
intervento ( provvedimenti destinati a variare l'entità delle prestazioni, provvedimenti
destinati ad estendere l'area della protezione, provvedimenti di omogeneizzazione ) è
possibile individuare una conseguenza mediata sulle eventuali forme di previdenza
complementare, come riflesso degli effetti diretti sul sistema di base. E' necessario,
quindi, isolare quegli elementi di potenziale distorsione del sistema di erogazione delle
prestazioni per rendere più corretto il rapporto tra sistema pensionistico di base e forme di
previdenza integrativa, perché nel momento in cui, per effetto di una distorcente
formulazione normativa del sistema di base, si consente al singolo di ottenere con
modesto impegno finanziario un elevato rendimento, non solo si creano squilibri nello
stesso sistema di base, ma si sottraggono fonti finanziarie e si deviano interessi
fisiologicamente destinati verso la previdenza complementare. La stessa opinione si rileva
in: Crisi e riforma dei sistemi pensionistici in Europa, a cura di G. Geroldi e T. Treu,
Milano 1993; in cui si sostiene che esiste uno stretto collegamento tra l'estensione e le
modalità di applicazione del regime obbligatorio e il ruolo che può essere ricoperto dalle
forme complementari. Le previsioni di sviluppo delle pensioni integrative dipendono,
infatti, in larga misura tanto da una corretta analisi dei fattori che concorrono
all'equilibrio dell'intero sistema previdenziale, quanto dalle conseguenti ipotesi di riforma
che, influenzando il grado di copertura medio dell'assicurazione sociale, finiscono per
ridisegnare lo spazio e la funzione dei fondi complementari.
In senso contrario D. Pace, I fondi pensione e lo sviluppo dei mercati finanziari, in Prev.
Soc., n. 2, 1990, il quale, nell'affrontare il problema della desiderabilità o meno di un
esteso sistema di fondi pensione a capitalizzazione e della loro eventuale
regolamentazione, si è concentrato sui fondi pensioni visti nella loro attività di investitori
istituzionali e sugli effetti del loro comportamento nei mercati finanziari sul sistema
economico e non quali surrogati più o meno rilevanti del sistema pensionistico
obbligatorio. E' infatti opinione dell'autore che quest'ultimo approccio, pur cogliendo
aspetti rilevanti della realtà della previdenza complementare, appare caratterizzato da due
limiti: 1) pone in ombra la natura di intermediari finanziari dei fondi pensione che sembra
invece essere, anche alla luce dell'evidenza empirica, la loro caratteristica più rilevante; 2)
forza la discussione verso un approdo in cui le scelte del legislatore appaiono, di
necessità, eccessivamente condizionate da presunzioni di tipo ideologico circa la
La situazione era poi connotata ( con riguardo ai
lavoratori dipendenti) dall'esistenza del trattamento di fine
rapporto. Se da un punto di vista giuridico-formale tale istituto
ha natura di retribuzione differita, è abbastanza chiaro come, in
concreto, esso operi come un'entità di tipo "assicurativo-
previdenziale" svolgendo, quindi, funzioni tipiche di
previdenza integrativa.
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E al riguardo è opportuno ricordare
superiorità di un certo assetto del sistema previdenziale rispetto ad altri possibili nonché
da considerazioni di opportunità politica che, nel nostro paese, hanno finora prodotto una
sostanziale paralisi decisionale.
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Così Lapadula B.-Pollastrini G.; in I Fondi pensione, Ediesse, 1997, in cui si sostiene
che la previdenza complementare non si è sviluppata, non tanto per l'eccessiva generosità
delle promesse pensionistiche pubbliche, quanto per il fatto che la percentuale di
accantonamento del TFR e l'altezza delle aliquote contributive previdenziali, almeno per
le categorie medio-basse, non lasciano spazi per ulteriori rilevanti spostamenti di quote
dal salario diretto a quello differito.
Così, anche Billia G. nella prefazione al saggio di Brambilla A.: Capire i fondi pensione,
Il Sole 24 Ore, 1997; il quale rileva come solo nel nostro paese esista l'istituto del
trattamento di fine rapporto (TFR) e di come esso sia un istituto anomalo del sistema
retributivo italiano, in quanto esso ha sempre svolto, indirettamente, una funzione di
previdenza complementare, anche se con scarsa redditività, specialmente in presenza di
come il D.Lgs. n. 124/1993, riconoscendo, appunto, le
caratteristiche tipicamente previdenziali di tale
accantonamento, ne abbia previsto l'utilizzazione ai fini di
alimentazione dei regimi complementari; il che comporta
un'innovazione di sostanziale importanza, perché il suo
assorbimento tra la contribuzione ai fondi rappresenta, peraltro,
l'unico modo concreto di far decollare la previdenza
complementare senza costi eccessivi per i lavoratori.
un certo tasso di inflazione: in tale situazione, infatti, i lavoratori hanno finito per
"prestare" soldi alle aziende con un tasso di interesse di estremo favore.
1.1.1 Crisi del sistema pensionistico pubblico obbligatorio.
L'assetto istituzionale del sistema previdenziale italiano
conteneva, quindi, già in potenza alcune delle ragioni del suo
disequilibrio finanziario a cui si è aggiunto l'andamento delle
variabili economiche e demografiche che hanno dato luogo ad
una base occupazionale in declino da un lato, e ad una crescita
delle fila degli anziani dall'altro. Fattori, si vede, di vario
genere che hanno reso sempre più urgente procedere ad una
seria e radicale riorganizzazione e modificazione delle
strutture, forme ed obiettivi per uscire dalla crisi in cui si
colloca ormai da anni il nostro sistema pensionistico e per
tentare un adeguamento dello stesso alle mutate esigenze
sociali. I diversi e pregevoli contributi di studiosi esercitatesi
sull'analisi delle cause alla base della crisi attuale e prospettica
del sistema pensionistico sono stati pressoché tutti concordi nel
riconoscere che il problema di una previdenza pubblica basata
sul criterio della ripartizione è quello della sua sostenibilità,
ossia della dinamica dell'aliquota di equilibrio rispetto a quella
effettiva, aggravato dalla scelta politica-ridistributiva di far
svolgere al regime generale di tutela anche una funzione
assistenziale a fianco di quella prettamente previdenziale.
Perché se per un certo verso taluni provvedimenti ridistribuiti
sono comprensibili, per un altro essi devono fare attenzione a
non esorbitare dal loro corso solidaristico sconfinando in atti di
dubbia equità sociale e di indubbia incompatibilità con gli
equilibri di bilancio.
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Si osserva in Cinelli-Persiani, Prodromi, svolgimenti e prospettive della riforma
previdenziale, in Commentario della riforma previdenziale. Dalle leggi "Amato" alla
finanziaria 1995, Milano, 1995; che effettivamente gravano tuttora sul sistema
previdenziale funzioni e responsabilità improprie o comunque non espressive dell'essenza
stessa e della funzione sociale di quel sistema, dalle quali lo stesso va, dunque, in qualche
modo, depurato; in quanto si tratta , in primo luogo , di situazioni di bisogno incidenti non
già su situazioni fondamentali per la garanzia di tutela della dignità e della personalità
umane, bensì di situazioni di bisogno "indotte", per così dire, dallo "stato di benessere". E
di nuovo Persiani M., in Diritto della previdenza sociale 1994, avverte l'esigenza di una
riforma del sistema che limiti la gestione pubblica e necessaria ai regimi destinati ad
erogare trattamenti pensionistici che garantiscano a tutti soltanto la soddisfazione di
esigenze essenziali e che agevoli la volontaria costituzione di regimi previdenziali
privatistici in funzione integrativa di quelli pubblici e destinati a perseguire interessi
privati. L'autore sostiene che le prestazioni erogate dai regimi previdenziali pubblici, se
pure tendono a garantire " mezzi adeguati alle esigenze di vita " (art. 38, II comma,
Cost.), debbono essere, però commisurate soltanto a quei bisogni che il legislatore
considera tipici della generalità degli assistiti onde ne valuta la soddisfazione come
condizione essenziale ai fini della garanzia dell'effettivo godimento dei diritti civili e
politici. La liberazione dal bisogno deve, cioè, avvenire sulla base della valutazione che la
legge fa di questo in funzione delle esigenze di carattere generale che attendono di essere
soddisfatte e non già in base ad elementi che a ben guardare, si rivelano accidentali e
contingenti. Della stessa opinione è Gai L., in I fondi pensione. Il loro contributo allo
sviluppo dei mercati finanziari e all'avvento della democrazia economica, Torino, 1996;
in cui trattando degli squilibri di origine solidaristico ridistribuita dell'ordinamento
previdenziale afferma che i fattori strutturali di debolezza sono espressione di tendenze
demografiche ed economiche dei maggiori paesi industrializzati, ma che il problema, in
Italia, è che ad essi si sommano gli squilibri creati da fattori che definisce di tipo politico-
normativo, derivanti cioè da disposizioni ascrivibili all'esercizio di una funzione
assistenziale piuttosto che previdenziale propriamente detta. L'autore rileva come alla
finalità primigenia di garantire agli assicurati un adeguata copertura previdenziale
temperata dalla realizzazione di sotto-obiettivi di tipo ridistribuito, si siano piano piano
sovrapposte considerazioni di ordine politico che hanno mutato l'assetto istituzionale del
sistema previdenziale inscrivendolo in una rete di protezione sociale che lo ha gravato di
compiti propri della politica economica senza preoccuparsi di rendere esplicita la
1.1.2 Il ruolo di una previdenza complementare privata.
Al fine di superare la crisi oramai irreversibile del
sistema previdenziale l'art. 3 della legge delega n.421
dell'ottobre 1992 ha sancito una radicale ridefinizione
dell'ordinamento previdenziale italiano, avendolo trasformato
da sistema "monistico", incentrato cioè in modo esclusivo sulla
copertura da parte del sistema pubblico di base, in sistema
"misto ", nel quale regimi obbligatori e complementari
concorrono alla formazione del trattamento pensionistico. La
sola via d'uscita dall'eterna antinomia di assicurare a tutti i
cittadini una protezione minima e al tempo stesso di fornire a
ciascuno di essi prestazioni specifiche commisurate alla
retribuzione lavorativa è, infatti, quella di avere un trattamento
separazione tra previdenza ed assistenza, vero muro maestro, secondo quella che può dirsi
essere la communis opinio, di ogni corretto e razionale sistema pensionistico che decida
di assumere su di sé compiti impropri quali quelli assistenziali.
di base fino ad un certo livello di reddito e, d'altra parte, un
trattamento integrativo rigorosamente rapportato alle
contribuzioni degli interessati derivante da un sistema ad
accumulazione. Il preesistente sistema pensionistico fondato
sul pilastro pubblico doveva necessariamente essere integrato
da un altro pilastro di natura diversa, in quanto queste due
forme di tutela, anche se con funzioni e ruoli diversi, trovano la
ragion d'essere nell'affrontare la nuova complessità sociale,
determinata dall'aumento dell'età della popolazione e dalle
profonde trasformazioni che si sono verificate nel sistema
produttivo.
Questo è stato l'intento della riforma Amato del '93, con
cui si iniziarono a muovere i primi passi verso la creazione di
una nuova struttura in grado di garantire certezze nel lungo
periodo. Successivamente nel '94, con legge di
accompagnamento alla Finanziaria, furono introdotti ulteriori
aggiustamenti, ma solo nel '95, con la legge 335, si è giunti alla
concreta riforma del sistema pensionistico obbligatorio e
complementare in quanto ha previsto un intervento strutturale
complessivo in campo previdenziale per garantire la tutela
prevista dall'art. 38 della Costituzione, anche attraverso
"l'agevolazione delle forme pensionistiche complementari allo
scopo di consentire livelli aggiuntivi di copertura
previdenziale" (art. 1, comma 1, legge n. 335 del 1995).
Il provvedimento ha avuto l'indubbio merito di dare
definitiva sistemazione sia al principio di tutela globale che a
quello di armonizzazione, che seppur indotti dalla riforma
Amato, trovano nella nuova legge massima ampiezza.