INTRODUZIONE
L’art. 27, secondo comma, della Costituzione recita così: “L’imputato non
è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
La norma costituzionale adotta una perifrasi negativa in luogo della tradizionale
formulazione secondo cui l’imputato è presunto innocente.
Tutte le incertezze interpretative nascono da quella che alcuni hanno definito
come una “imprecisione del segno normativo”.
1
Da qui il dubbio se la formula
inserita nella Costituzione rappresenti il riconoscimento di una vera e propria
presunzione d’innocenza, o non piuttosto di un principio diverso e di portata
minore.
Dal punto di vista semantico, in realtà nessuna o poca differenza apparirebbe
riscontrabile, almeno prima facie, tra “non colpevolezza” e “innocenza”: ma quel
che si intende esprimere è un diverso valore giuridico della formula negativa, cui
viene da molti attribuito il significato di un’attenuazione, non priva di
conseguenze pratiche.
Occorre pertanto verificare, preliminarmente, se l’art. 27, 2° co., Cost. contenga il
riconoscimento di una vera e propria “presunzione d’innocenza”, o di una
“presunzione di non colpevolezza” avente minore efficacia.
La questione assume tuttavia una dimensione problematica in prospettiva storica,
se si ha riguardo alle dispute dottrinali, risalenti alla fine del secolo scorso,
sull’ammissibilità logica e giuridica di una presunzione d’innocenza dell’imputato
nel nostro ordinamento.
Le polemiche sorte intorno al riconoscimento del principio avevano già condotto
alla sua esclusione dal c.p.p. del 1913. Ad essere criticata era soprattutto - in
maniera piuttosto scontata - l’imprecisione tecnica del concetto, sul presupposto
(assai discutibile) che le presunzioni legali debbano contenere un’asserzione
intrinsecamente vera o almeno probabile.
1
ILLUMINATI, La presunzione d’innocenza dell’imputato, Zanichelli, Bologna, 1984, p. 12
1
La presunzione d’innocenza venne così definita “paradossale e contraddittoria”
2
e
si distingueva sottilmente: “altro è dire che l’accusato non si deve ritenere un
colpevole, altro è dire che lo si deve presumere innocente”.
3
Da queste conclusioni anche il legislatore fascista non aveva motivo di discostarsi.
Il c.p.p. del 1930 sulla scorta dei medesimi argomenti non operò il riconoscimento
sul piano legislativo della presunzione de qua.
Il presente lavoro descriverà, preliminarmente, l’origine storica di questo
principio e le prime affermazioni sulla necessità di introdurlo nel sistema
processuale penale.
In seguito si analizzerà il dibattito in Assemblea Costituente e i vari orientamenti
interpretativi sull’art 27 2° comma della Costituzione senza, peraltro, trascurare il
fatto che il predetto principio risulta notevolmente ridimensionato dalla varie
formulazioni contenute nelle carte internazionali sui diritti dell’uomo ratificate
dall’Italia.
Da un punto di vista sistematico va, inoltre, segnalato come, nell’ordinamento
italiano sia riconosciuto alla presunzione di non colpevolezza un duplice ambito
di efficacia: essa, infatti, opera sia come regola di trattamento, sia come regola di
giudizio.
Definire la presunzione di non colpevolezza come regola di trattamento
significa riferirla alla condizione dell’imputato nel corso del processo, attribuendo
a quest’ultimo il diritto di essere considerato innocente per tutta la durata del
procedimento penale, fino a che non intervenga una condanna definitiva idonea ad
accertarne la colpevolezza. In questa accezione la presunzione di non
colpevolezza si configura come regola volta a ribadire le garanzie di libertà
individuale e di protezione della persona umana, quali suoi inviolabili diritti. Ne
deriva che l’imputato, anche se sottoposto ad una misura cautelare personale, non
può essere trattato alla stregua di un normale condannato, infatti, come sancisce
l’art. 13 della Costituzione, si può procedere alla limitazione della libertà
2
MANZINI, Manuale di procedura penale italiana, Torino 1912, 53 ss.
3
MORTARA, in Commentario al c.p.p., a cura di L. Mortara e A. Stoppato, 3ª ed., Torino 1915,
p. 154 ss.
2
personale solo “nei casi e modi previsti dalla legge”, oltre che “per atto motivato
dall’autorità giudiziaria”.
Come regola di giudizio essa va, invece, direttamente collegata alla
struttura del processo ed, in particolare, alla tecnica di accertamento del fatto.
La presunzione di non colpevolezza è regola di giudizio in quanto orienta la
decisione del giudice nei casi dubbi. Da un punto di vista pratico, infatti,
presumere innocente l’imputato vuol dire che l’ipotesi da verificare mediante il
procedimento probatorio è la colpevolezza; perciò, se l’accertamento fallisce, non
può che essere confermata la situazione iniziale: la sua innocenza. E’ evidente,
quindi, come la presunzione di non colpevolezza incida sull’onere probatorio:
essa impone, infatti, che non debba essere l’imputato a provare la propria
innocenza, ma l’accusa a provare la sua colpevolezza. Per questo motivo tale
presunzione opera nel sistema italiano anche come regola probatoria.
Prima di concludere è opportuno accennare sin d’ora alla diversità terminologica
tra l’“innocenza” espressa dalle norme internazionali e la “non colpevolezza”
cristallizzata nell’art 27, 2 co., Cost.
Si ritiene che nessuna difficoltà dovrebbe incontrarsi oggi a postulare
l’equivalenza delle due formule
4
, infatti, distinguere appare non solo inutile ma
anche controproducente poichØ si favoriscono sul piano applicativo soluzioni
diverse.
4
BELLAVISTA, Considerazioni sulla presunzione d’innocenza, in Studi sul processo penale, IV,
Milano 1976 p. 84; MALINERVI, Principi del processo penale, Torino 1972, p. 472.
3
Capitolo primo
Origine storica della presunzione d’innocenza
Sommario
1.1 La presunzione di innocenza in area europeo-continentale
1.2 La presunzione d’innocenza nei paesi di common law.
1.3 L’origine della presunzione d’innocenza nel diritto francese.
1.4 La presunzione d’innocenza nell’Italia dell’ottocento. Lo scontro tra
Scuola classica e Scuola positiva.
1.5 L’avvento della Scuola tecnico – giuridica e la dottrina fascista.
1.1 La presunzione di innocenza in area europeo – continentale
Tra i principi fondamentali del processo penale, nessuno, forse, piø della
presunzione di innocenza dell’imputato, rappresenta l’ideale cartina di tornasole
per verificare il tasso di garantismo presente in un determinato sistema
processuale.
La presunzione di innocenza riflette, invero, una concezione del processo
ancorata ai valori dell’individuo e della legalità, la naturale risposta alla domanda:
come giudicare? Da qui il valore eminentemente ideologico della regola, opzione
eticamente impegnata, tanto da divenire, nello Stato di diritto, un canone di
ragione piø che una scelta normativa contingente.
1
Alla luce delle vicende storiche del nostro ordinamento, si comprende perchØ la
dimensione ideologica della presunzione ha costituito, non troppo para-
dossalmente, un ostacolo alla sua piena attuazione, cosi da renderla un valore
fortemente “marginalizzato”
L’eziologia del fenomeno è complessa, ma non erra chi colga in un limite
culturale la prima causa della modesta pregnanza della regola nel nostro sistema.
1
ILLUMINATI, La presunzione di innocenza dell’imputato, cit., p. 80.
4
Palese, infatti, la difficoltà che la presunzione incontra nel penetrare nella
coscienza collettiva
2
Invero, la consapevolezza di essere di fronte a un principio di grande significato
innovativo e tuttavia di non disporre ancora di un concetto sufficientemente
costruito aveva da tempo spinto parte della dottrina a farsi carico della necessità di
una indagine che, risalendo alle sue matrici storiche, ne registrasse i momenti e i
modi di passaggio nel nostro ordinamento e fornisse quindi piø sicuri parametri
per individuare gli strumenti tecnici adeguati ad immettere i suoi significati
ideologici nella concreta operatività dei meccanismi processuali.
SenonchØ, si era vista crescere la tendenza a concepire in modo riduttivo la
presunzione d’innocenza. Infatti, la sua acquisizione, come dato di carattere
generale, di una sua possibile duplice valenza, rapportabile ora alle regole
probatorie e di giudizio e ora alla condizione dell’imputato durante il processo,
sembrava spesso servire come risorsa argomentativa per affermare, nel trattare di
una determinata situazione normativo - processuale, che non fosse quello l’ambito
di attinenza al principio.
Ad alimentare la vicenda ora segnalata ha contribuito in passato la diffusa
convinzione che le due accezioni fossero da intendere come alternative, in
corrispondenza con supposte ragioni d’ordine storico, ricavate a loro volta da una
ricostruzione dello sviluppo dei rapporti fra la presunzione d’innocenza e il nostro
ordinamento così cristallizzata: il primo aspetto del principio, quello della regola
di giudizio, sarebbe proprio della tradizione anglosassone; l’altro, relativo allo
status dell’imputato, apparterrebbe all’esperienza europeo - continentale risalente
al pensiero illuminista e alla rivoluzione francese.
3
Il fatto è che posizioni di questo tipo, se assunte in modo schematico, fanno
smarrire la globalità delle esigenze garantistiche espresse dalla presunzione
d’innocenza e la conseguente necessità dei mutamenti che essa innesta nei singoli
2
NOBILI, Spunti per un dibattito sull’art 27, comma 2 della Costituzione, in Il Tommaso Natale,
anno VI, num. unico genn-dic. 1978, Sritti per Bellavista vol. II p. 831: il quale sottolinea come il
piø efficace, se non l’unico mezzo perchØ sia assicurata la concreta realizzazione di un principio
processuale consiste nella sua corrispondenza all’ideologia dominante.
3
AMODIO, La tutela della libertà personale dell’imputato nella Convenzione europea dei diritti
dell’uomo,in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, p. 867; MALINVERNI, Principi del processo penale,
Torino p. 383 e 473.
5
sistemi, pur con i particolari e diversi punti di incidenza corrispondenti alle
specifiche realtà normative con le quali venga a confronto.
In area europeo - continentale la presunzione d’innocenza prende ad enuclearsi a
partire dal movimento riformatore che con l’illuminismo investe i sistemi penali.
Il suo sorgere si può dire che contrassegni l’emergere nel processo penale della
tematica delle libertà individuali, determinando l’aspirazione a ridefinire i rapporti
fra potere punitivo e singolo: titolare quest’ultimo di diritti dichiarati naturali e
inviolabili, limitato il primo nella possibilità di penetrare nella sfera del privato.
Intaccato l’assolutismo del potere con l’affermazione dell’anteriorità dei diritti
individuali allo Stato, la tutela dell’innocente si impone come problema cardine
dell’ordinamento penale.
La sicurezza dei cittadini, era stato detto, “non è mai posta in pericolo maggiore
che nelle accuse pubbliche o private. ¨ dunque dalle leggi penali che dipende
principalmente la libertà del cittadino” poichØ, “quando l’innocenza dei cittadini
non è garantita, non lo è neppure la libertà”.
4
E da ciò ora si ricava che una persona, per il solo fatto di essere sottoposta ad
accusa, non perde il proprio status originario di cittadino e perciò, prima che sia
riconosciuta colpevole in modo certo, non può essere spogliata delle prerogative
della proprietà, dell’onore, dell’integrità fisica e morale, della libertà, se non nella
misura necessaria “o per impedire la fuga, o per non occultare le prove dei
delitti”
5
. Pertanto, in luogo della incondizionata soggezione dell’imputato
all’autorità punitiva, si afferma, nel programma di umanizzazione e
razionalizzazione delle leggi criminali, che “un uomo non può chiamarsi reo
prima della sentenza del giudice, nØ la società può togliergli la pubblica
protezione, se non quando sia deciso che egli abbia violato i patti coi quali le fu
accordata”
6
.
Da questa idea centrale si fanno scaturire le ragioni per avversare quegli istituti
che, piø d’altri, sono ricevuti come veicoli di un generalizzato potere di
4
MONTESQUIEU, Lo spirito delle leggi (1748), Libro XII, Capo Il, Della libertà del cittadino, a
cura di S. Cotta, vol. I, p. 321 e 322.
5
BECCARIA, Dei delitti e delle pene (1764), par. XIX, in La letteratura italiana. Storia e testi,
vol. 46, Illuministi italiani, tomo III, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, a cura di F.
Venturi, p. 62.
6
BECCARIA, cit., par. XVI, p. 54
6
sopraffazione degli individui. In primo luogo la tortura, perchØ “se il delitto è
incerto è cosa ingiusta porre al tormento un cittadino che forse è innocente”
7
, ed
anzi “non devesi tormentare un innocente, perchØ tale è secondo le leggi un uomo
i di cui delitti non sono provati”.
8
E, poi, il carcere preventivo, che, quando sia
rimesso all’arbitrio dei magistrati e attuato nella stessa guisa della pena, fa sì che
un cittadino “resta disonorato, sebbene innocente, tosto che alcune infelici
combinazioni si riuniscano contro di lui”
9
; le regole probatorie e di giudizio,
concepite secondo una logica vessatoria che scarica sull’imputato le difficoltà e le
incertezze della ricerca giudiziaria, “quasichØ le leggi e il giudice abbiano
interesse di non cercare la verità, ma di provare il delitto”, fino ad ammettere “le
tiranniche presunzioni, le quasi-prove, le semi-prove (quasi che un uomo potesse
essere semi-innocente o semi-reo, cioè semi-punibile o semi-assolvibile)”, mentre
i delitti “per meritar pena debbono essere certi”; la ridda di ipotesi di absolutio ab
instantia e la possibilità di perseguire senza limite una persona determinandone
“l’incertezza della sorte”
10
.
Il tema esce dal dibattito con linee ben definite: dire “innocente” vale quanto
connotare lo status del cittadino nell’integrità delle sue prerogative originarie, e
tale è per la legge l’accusato sino a che non intervenga la decisione di
colpevolezza.
Di qui i corollari, che si snodano puntuali lungo due filoni: durante il processo i
diritti di libertà dell’accusato possono essere limitati non perchØ a suo carico
esista una imputazione, ma in quanto ricorra in concreto la necessità di garantire il
buon esito dell’indagine giudiziaria; d’altro canto, perchØ l’imputato sia dichiarato
7
VERRI P., Orazione panegirica sulla giurisprudenza milanese (1763), in BECCARIA, Dei
delitti e delle pene, con una raccolta di lettere e documenti relativi alla nascita dell’opera e alla
sua fortuna nell’Europa del Settecento, a cura di F. Venturi, 3° ed., p. 132. L’argomento è ripreso
dal Verri nelle Osservazioni sulla tortura, e singolarmente sugli effetti che produsse all’occasione
delle unzioni malefiche alle quali si attribuì la peste che devastò Milano l’anno 1630 pubblicata
per la prima volta nel 1804, par. II, a cura di G. Barni, p. 91 e seg., che soggiunge un ulteriore e
assai interessante argomento, ispirato alle “naturali garanzie” che competono all’accusato e di cui
è depositario garante il giudice: “il porre un uomo innocente fra que’strazi e miserie è piø ingiusto,
quanto che fassi colla forza pubblica istessa confidata ai giudici per difendere l’innocente dagli
oltraggi”.
8
BECCARlA, Dei delitti e delle pene (1764), par. XIX, in La letteratura italiana. Storia e testi,
vol. 46, Illuministi italiani, tomo III, Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, a cura di F.
Venturi, p. 54 e seg.
9
BECCARIA, Dei Delitti, cit., par. XXIX, p. 70 e seg.
10
BECCARIA, Dei Delitti, cit., par. XXXI, p. 83, par. XIV, p. 51, par. XXX, p. 73.
7
colpevole occorre la prova piena della sua reità, mentre non ha bisogno di essere
provata l’innocenza, che è il dato tenuto fermo dalla legge sino a prova contraria.
1.2 La presunzione d’innocenza nei paesi di common law.
Il rilievo che nei paesi di Common Law il nesso tra presunzione di
innocenza e libertà personale non trova alcuna significativa espressione
11
è senza
dubbio ineccepibile. Ma sarebbe affrettato trarre da esso il corollario che nella
tavola di valori anglosassone la tutela della libertà personale dell’imputato sia
avulsa dalla linea garantistica postulata in termini generali dalla presunzione
d’innocenza in fatto di rapporti tra autorità e singolo all’interno del processo
penale.
Piuttosto è da sottolineare che la presenza in tale ordinamento dell’habeas corpus
quale specifico strumento di tutela della libertà personale possa spiegare come su
questo terreno la presunzione di innocenza non abbia avuto nØ modo nØ ragione di
far avvertire una propria immediata incidenza, mentre, in altri ordinamenti
l’assenza o l’inadeguatezza di istituti analoghi abbia imposto e imponga di risalire
direttamente al principio per ricavarne le risorse normative di salvaguardia dei
medesimi valori.
12
Uno studioso del Common Law, Gustav Radbruch, definisce il processo inglese
come un “duello giudiziario” che “non si svolge piø con le antiche rituali asce di
legno e corno, ma con parole”
13
. In questo tipo di processo le parti stanno di
fronte egualmente armate e l’accusatore, nonostante sia il rappresentante del
potere statuale, non gode nei confronti dell’accusato di alcun privilegio.
Di seguito l’Autore aggiunge:
“l’imputato è trattato, fino alla prova contro di lui, come un’innocente, anzi come
un gentiluomo. Gli è persino concesso di farsi interrogare sotto giuramento sul
11
AMODIO, La tutela della libertà personale, cit.
12
HAURIOU M, PrØcis Ølèmentaire de droit costitutionnel,:per le diverse vie di sviluppo seguite
in Inghilterra e in Francia dal garantismo processuale p. 269; PISANI, L’assoluzione per
insufficienza di prove: prospettive storico-sistematiche, in La frode in assicurazione –
L’assoluzione per insufficienza di prove: sottolinea, con riferimento al sistema anglosassone, il
nesso che intercorre fra la tutela della libertà personale e il diritto alla dichiarazione d’innocenza,
p. 246.
13
RADBRUCH, Lo spirito del diritto inglese, Giuffrè, Milano, 1962, p. 14.
8
fatto che lo riguarda; al contrario il silenzio viene considerato come un suo buon
diritto e non gli viene nemmeno calcolato a suo svantaggio. Al giudice, come al
membro veramente imparziale, è affidata soltanto l’osservanza delle regole del
duello quando si esperiscono le prove e quando si stabiliscono, nella sentenza, i
risultati della lite; l’esperimento delle prove spetta alle parti”.
14
Tutto questo ci fa capire come, nel diritto inglese, non abbia mai preso valore,
come invece è accaduto nel nostro paese, la forma inquisitoria nella quale di
fronte all’imputato non stava l’accusatore, ma soltanto il giudice che, in tal modo,
assumeva egli stesso le vesti dell’accusatore mentre l’imputato non era null’altro
che un oggetto del processo, privo di qualsivoglia diritto.
Quindi, nei paesi di common law, la presunzione di innocenza, è da sempre
considerata come un diritto concretamente vissuto nell’esperienza giudiziaria di
tutti i giorni.
1.3 L’origine della presunzione d’innocenza nel diritto francese.
In Francia, possiamo far risalire l’origine di questo principio al pensiero
dei philosophes e dei giuristi in epoca illuminista.
Tale pensiero trova il suo punto di confluenza nella DØclaration des droits de
l’homme et du citoyen del 1789, che all’art 9 prescrive : “Tutti gli uomini sono da
considerare innocenti, finchØ siano dichiarati colpevoli e che l’arresto si può
effettuare solo in casi di estrema necessità all’infuori dei quali tale arresto dovrà
essere represso dalla legge”.
15
La rottura col passato non potrebbe essere registrata con maggiore chiarezza. Ai
meccanismi inquisitori, congegnati in modo che “non è detto che in mancanza di
14
ibidem
15
“Tout homme Øtant prØsumØ innocent jusqu’à ce qu’il ait ØtØ dØclarØ coupable, s’il est jugØ
indispensabile de l’arrêter, toute riguer qui ne serait pas nØcessaire pour s’assurer de sa
personne, doit ètre severement rØprimØe la Loi” .La norma del 1789 passa poi immutata nell’art.
13 della DØclaration des droits de l’homme adoptØe par la Convention nationale le 29 mai 1793 -
DØclaration des droits de l’homme et due citoyen. Una disposizione così precisa non si ritrova
invece nelle Dichiarazioni americane, che si rifanno al piø generale diritto dell’accusato di avere
“a speedy trial by an impartial jury of twelve men of his vicinage, without whose unanimous
consent he cannot be found guilty”: Virginia Bill oj Rights (1776), sec. 8, e poi, attraverso altre
successive Carte, Constitution of the United States (1787); Amend. V. Il riferimento specifico alla
presunzione di innocenza non si troverà piø nemmeno nella Constitution de la Republique
Française du 5 fiuctidor An III.
9