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INTRODUZIONE 
 
 
Per essere dei grandi leader è necessario diventare studiosi del successo e il miglior modo che 
conosco è quello di conoscere la storia e la biografia degli uomini che già hanno avuto successo. Così 
la loro esperienza diventa la mia esperienza. 
Napoleone Bonaparte 
 
 
 
La presidenzializzazione della politica è un processo che sembra investire in modo 
consistente tutte le democrazie contemporanee, provocando graduali cambiamenti all’interno 
del sistema politico e ampliando il ruolo e il potere di presidenti e primi ministri. Si tratta, 
dunque, di un processo che concerne il ruolo del leader all’interno del sistema e la sua azione 
in riferimento ai vincoli e alle risorse di natura contingente e strutturale che questi trova 
davanti a sé. Come è possibile notare osservando le dinamiche politiche odierne, i leader 
politici hanno acquisito un ruolo sempre maggiore all’interno di tali processi, occupando 
sempre più spesso un ruolo pivotale all’interno del sistema politico. Il processo di 
presidenzializzazione investe, infatti, tre ambiti che potrebbero definirsi “vitali” in ogni 
sistema politico: il governo, il partito e le campagne elettorali. Si è assistito, nel corso degli 
anni, ad un progressivo aumento del peso specifico dei leader politici nell’ambito 
dell’esecutivo, con un incremento dei poteri di policy-making del primo ministro o del 
presidente, nell’ambito del partito con il progressivo rafforzamento della figura del presidente 
o del segretario che spesso è anche capo dell’esecutivo, infine nell’ambito elettorale la 
presidenzializzazione è coincisa con una personalizzazione e spettacolarizzazione della 
competizione elettorale, che si è progressivamente connotata come una vera e propria horse 
race, ovvero “corsa di cavalli” [Campus 2008, 10]. Il minimo comune denominatore di questi 
diversi processi sembrerebbe essere il leader o, come lo ha definito Fabbrini [1999; 2011], il 
«principe» che rompe gli schemi del sistema vigente e assurge progressivamente a centro 
nevralgico dei processi che la politica mette in atto. In contesti politici strutturalmente e 
storicamente diversi si afferma questa tendenza che, con maggiore o minore forza, ha pervaso 
gran parte dei sistemi politici anche laddove (come in Europa) i partiti hanno da sempre 
rappresentato l’elemento fondante del sistema.     
Obiettivo di questo lavoro è, appunto, quello di evidenziare come il processo di 
presidenzializzazione caratterizzi, oggi, anche i sistemi politici di Francia e Spagna all’interno
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dei tre ambiti di ricerca, attraverso l’analisi di due leader che, sfruttando tanto fattori 
contingenti quanto strutturali, hanno contribuito al progressivo sviluppo di queste tendenze. 
Nicolas Sarkozy e José Luis Rodriguez Zapatero, sono due esempi di come i leader 
contemporanei, nonostante i vincoli sistemici e grazie alle opportunità che si presentano loro 
davanti, riescano a ritagliarsi un ruolo sempre più ampio e decisivo all’interno del sistema 
politico di cui sono protagonisti. La scelta di analizzare questi due leader e, attraverso essi, 
anche i relativi sistemi politici è stata effettuata proprio per la diversità dei ruoli istituzionali e 
dei contesti in cui essi si sono trovati e si trovano ad operare. Il primo è presidente di una 
repubblica semipresidenziale e, secondo quanto stabilito dalla Costituzione della Quinta 
Repubblica, dovrebbe “condividere” la guida del potere esecutivo con il primo ministro. 
Inoltre ha uno stretto rapporto con il suo partito e si caratterizza per un discreto controllo dei 
media e dei mezzi di informazione nazionali. Il secondo, invece, è primo ministro di una 
monarchia parlamentare, è segretario del partito di governo eletto attraverso le primarie e 
rappresenta, certamente, un interessante caso di studio dal punto di vista della comunicazione 
politico-elettorale. Come si vedrà in seguito, il contesto sistemico, le disposizioni 
costituzionali e le leggi elettorali incidono in modo decisivo sull’azione dei leader fornendo 
loro, a seconda dei casi, sia forti vincoli sia grandi opportunità all’assolvimento delle loro 
funzioni. Accanto a questi fattori strutturali, un ruolo importante è giocato anche da fattori 
contingenti come il carisma, la personalità e l’abilità dei leader di sfruttare a proprio 
vantaggio gli avvenimenti che si trovano a dover affrontare sul proprio cammino. Sia in 
Sarkozy che in Zapatero tali fattori sembrano aver giocato un ruolo importante per la 
costruzione e il rafforzamento della loro leadership all’interno del sistema permettendo loro, 
nonostante contesti politici profondamente diversi, di acquisire una posizione di primo piano 
all’interno sia dell’esecutivo che del partito e contribuendo in modo decisivo alla 
personalizzazione delle competizioni elettorali.    
Questa tesi è suddivisa in cinque capitoli. 
Il primo capitolo è strutturato per fornire gli strumenti teorici utili alla conoscenza del 
fenomeno della presidenzializzazione della politica. Si apre con la classificazione dei sistemi 
democratici effettuata dal politologo olandese Arendt Lijphart [2001] che distingue tra 
modelli maggioritari e modelli consensuali, con lo scopo di delineare l’ambito e le regole 
entro cui si trovano ad operare gli attori politici coinvolti, rappresentando la base obbligata da 
cui partire nell’analisi di sistemi caratterizzati da un progressivo processo di leaderizzazione 
delle strutture politiche.
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Dopo aver delineato in linea teorica il quadro sistemico in cui gli attori politici si trovano 
ad operare, si analizza il fenomeno della presidenzializzazione della politica secondo il 
modello di studio elaborato da Poguntke e Webb [2007]. L’analisi del fenomeno viene così 
suddivisa nei tre ambiti d’azione (esecutivo, partito, elezioni) con lo scopo di comprendere 
quanto il fenomeno interessi i sistemi politici contemporanei.  
Nella terza parte del capitolo si delineano, poi, i concetti di leader e di leadership, 
attraverso una serie di contributi scientifici, come quello di Burns [1978] che distingue tra i 
due tipi di leader, quello di Tucker [1981] che elenca le tre fasi che dovrebbero comporre 
l’azione del leader, nonchè quelli di Blondel [1984] e Fabbrini [1999], con il primo che 
fornisce un contributo più teorico e di sintesi sull’argomento e il secondo che dà un contributo 
più empirico allo studio della leadership. Successivamente vengono analizzati due tipi di 
leadership. Da un lato la leadership carismatica così come descritta da Max Weber [1956] che 
risulta utile per spiegare come i leader contemporanei facciano sempre più ricorso al carisma 
e alla persuasione (il cosiddetto smart power) piuttosto che al potere coercitivo per 
conquistare il consenso degli elettori. Dall’altro lato la leadership antipolitica, che costituisce 
una delle più frequenti modalità con cui i leader tentano di raggiungere il potere e che tende a 
trasformarsi progressivamente, come suggerisce lo studio di Donatella Campus [2008], anche 
in pratica di governo. 
Il secondo capitolo è dedicato all’analisi del sistema politico francese nelle sue varie 
componenti (governo, partiti, campagne elettorali) per comprendere come il processo di 
presidenzializzazione interessi anche la democrazia francese. Vengono, innanzitutto, delineati 
i mutamenti dell’assetto istituzionale occorsi nel passaggio dalla Quarta alla Quinta 
Repubblica, ovvero dal sistema parlamentare istituito nel secondo dopoguerra al sistema 
semipresidenziale introdotto con la riforma del 1958. Si analizza, pertanto, la figura del 
presidente della repubblica e i suoi rapporti con il governo e con il primo ministro in 
particolare.  
Successivamente viene analizzato il sistema partitico francese, da un lato esaminando i 
mutamenti occorsi nella dimensione macro con il passaggio dal multipartitismo esasperato 
alla quadriglia bipolare fino all’attuale multipartitismo bipolare, dall’altro lato volgendo 
l’attenzione alla dimensione micro analizzando le dinamiche di cambiamento interne ai partiti 
stessi e in particolare il ruolo ricoperto dai leader, soprattutto nei partiti della destra 
evidenziando se al loro interno siano ravvisabili spinte centripete che testimonino una
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graduale presidenzializzazione così come evidenziato negli studi di Avril [1995] e Ventura 
[2007a].  
Il capitolo si conclude con l’analisi del rapporto tra media e politica a partire dal 1965 anno 
in cui per la prima volta si svolge l’elezione diretta del presidente che, come evidenziato da 
Maarek [2007] e Delporte [2007], segna l’introduzione di tecniche di marketing politico 
all’interno del confronto politico. L’ultimo paragrafo è riservato allo stretto legame esistente 
tra la politica e il mondo dei sondaggi, divenuti in Francia parte integrante del gioco politico.   
Nel terzo capitolo viene analizzata la leadership di Nicolas Sarkozy, dalla sua ascesa al 
vertice del partito fino ai giorni nostri. Viene analizzata la strategia politica e comunicativa 
portata avanti dall’allora ministro dell’Interno per conquistare il controllo dell’Union pour un 
Mouvment Populaire (Ump) nato nel 2002 dalla fusione delle diverse anime del centrodestra 
francese. Si passa poi all’analisi della campagna elettorale del 2007 che vede contrapposti  
Sarkozy e la candidata socialista Ségolène Royal. Viene analizzato prima il contesto sociale, 
tracciando un quadro della società francese alla vigilia del voto e, dopo, il contesto politico 
della Francia chiracchiana. Quest’ultimo permette a Sarkozy di elaborare quella che è stata 
definita da diversi osservatori come Barisione [2007] la “strategia della rottura” rivelatasi 
decisiva, come si vedrà, per gli esiti delle elezioni presidenziali.  
Nella seconda parte del capitolo l’analisi si sposta sugli aspetti principali della leadership 
presidenziale di Sarkozy: dai rapporti con l’esecutivo (e in particolare con il suo primo 
ministro Fillon) al suo legame con i media e con i mezzi d’informazione, illustrando lo stile 
comunicativo di colui che è stato definito, non  a caso da Jost e Muzet [2008], 
«téléprésident». Accanto a questi aspetti viene, successivamente, trattato lo stile di governo 
del presidente francese, analizzando il suo approccio in due ambiti di policy molto importanti 
come la politica estera e quella economica. Le considerazioni finali scaturite dallo studio della 
leadership del presidente francese sono oggetto di un bilancio finale, suddiviso analiticamente 
nei tre ambiti di riferimento: esecutivo, partito ed elezioni.  
Il quarto capitolo affronta lo studio del sistema politico spagnolo, concentrandosi 
sull’analisi dei tre aspetti che sono interessati dal processo di presidenzializzazione della 
politica. Dopo una breve ricostruzione storico-politica della fase di transizione alla 
democrazia culminata con l’elaborazione della Costituzione democratica del 1978, viene 
analizzato il ruolo che le stesse disposizioni costituzionali, ma anche fattori di natura 
contingente, attribuiscono alla figura del presidente del gobierno (il premier spagnolo) grazie 
ai contributi di importanti lavori in materia come quello di Heywood [1995]. L’attenzione si
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sposta, poi, sulla legge elettorale impiegata per le elezioni generali che sembra influenzare in 
modo consistente la struttura del sistema politico stesso, non a caso definita da Anna Bosco 
[2006] come una legge «proporzionale con effetti maggioritari». 
 Passando allo studio dei partiti spagnoli l’analisi tende, in questa sede, a concentrarsi quasi 
totalmente sulla dimensione intrapartitica ovvero sulla loro struttura interna e sul ruolo che 
essi hanno all’interno del sistema politico spagnolo. In particolare, ci si concentra sullo studio 
della struttura interna e sulla storia politica del Partito socialista spagnolo (Psoe), 
evidenziando il ruolo e il peso in esso ricoperto dal leader.  
Il capitolo si chiude con l’analisi del rapporto tra politica spagnola e sistema dei media, e 
del peso che esso ha avuto nello spostamento del baricentro politico verso i leader politici a 
discapito di programmi, ideologie e degli stessi partiti. In proposito particolarmente rilevanti 
risultano essere gli studi di Rico [2005] e di Picarella [2009] che costituiscono un importante 
filone di ricerca sull’americanizzazione della politica spagnola. 
Il quinto capitolo è dedicato all’analisi della leadership del premier spagnolo José Luis 
Rodríguez Zapatero dalla sua elezione alla guida del partito alla sua esperienza di leader 
dell’opposizione fino alla vittoria delle elezioni del 2004. Viene delineato il contesto politico 
alla vigilia delle elezioni sconvolto dai tragici eventi dell’11 marzo con l’attentato terroristico 
compiuto da Al Qaeda a Madrid. Largo spazio è dedicato all’analisi delle campagne elettorali 
del 2004 e del 2008, grazie anche ai contributi di Rico [2005], Sánchez-Cuenca [2009] e 
Bosco [2009], che sottolineano la progressiva personalizzazione e spettacolarizzazione delle 
campagne che trovano in Zapatero un protagonista indiscusso.  
Successivamente viene analizzata la leadership governativa del premier spagnolo in tre 
ambiti d’azione: il settore dei mass media, con la importante riforma del settore operata nel 
2006, la politica estera che si caratterizza da subito per la “questione Iraq”, e la politica 
sociale, con le numerose riforme introdotte nel campo dei diritti civili. L’ultimo paragrafo è, 
invece, dedicato a dare un quadro generale della leadership di Zapatero degli ultimi undici 
anni, a pochi giorni dall’annuncio della sua intenzione di lasciare la guida del partito.   
Nelle conclusioni, infine, dopo aver illustrato i risultati dell’analisi condotta si passa alla 
comparazione diretta tra i due leader mettendoli a confronto sia sulla base di criteri sistemici 
derivanti dal ruolo ricoperto, dal sistema partitico e dal grado di personalizzazione della 
competizione, sia sulla base di fattori contingenti legati alla personalità, alle caratteristiche 
personali dei due leader. Lo studio comparato permetterà, così, di stabilire il grado di 
presidenzializzazione dei due sistemi politici e quanto questo sia dovuto a fattori strutturali,
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endogeni ai sistemi politici e quanto sia, invece, causato da fattori più legati ai leader e alla 
loro azione.    
Lo studio sulla presidenzializzazione dei sistemi politici in Francia e Spagna condotto in 
questa sede si avvale, dunque, di un metodo di ricerca comparato basato sul confronto tra le 
caratteristiche della leadership di Nicolas Sarkozy e Luis Zapatero, dalla loro ascesa alla 
guida del partito fino ad oggi, passando per la loro elezione alla guida del paese. La scelta di 
questo metodo di ricerca risiede nell’idea secondo cui esso possa rappresentare lo strumento 
più adeguato per consentire di isolare e mettere in luce i fattori che sono alla base delle 
dinamiche proprie della presidenzializzazione e che sembrano trovare espressione all’interno 
di questi due contesti politici. Tale convinzione sembra essere supportata dalle parole di 
Giovanni Sartori, secondo cui il metodo comparato «è, quasi sicuramente, il metodo migliore 
di controllo delle validità delle ipotesi, delle generalizzazioni, delle spiegazioni e delle teorie» 
[Pasquino 2007, 11]. L’analisi delle caratteristiche personali e dei fattori sistemici che i leader 
hanno a loro disposizione contribuisce a definire il quadro entro cui collocare le 
considerazioni personali sulla loro leadership. Pertanto, si è assunta la presidenzializzazione 
dei sistemi politici francese e spagnolo come ipotesi iniziale da sottoporre a successiva 
verifica empirica: lo studio analitico del ruolo del leader all’interno del triplice contesto 
“esecutivo – partito – elezioni”, sarà lo strumento d’analisi della ricerca. La successiva 
comparazione tra i due sistemi e, in particolare, tra i due leader all’interno di essi, servirà per 
ottenere le risposte su come l’azione dei leader in sistemi politici strutturalmente diversi come 
quello spagnolo e francese porta a conseguenze analoghe, ovvero alla presidenzializzazione 
dei sistemi stessi.
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CAPITOLO I 
LA PRESIDENZIALIZZAZIONE DELLA POLITICA 
 
1.1 Democrazie consensuali e democrazie maggioritarie 
 
Un sistema politico è considerato la struttura portante della vita pubblica di qualunque 
Paese democratico, poiché al suo interno le diverse componenti (partiti, governi, 
amministrazioni) interagiscono in un processo di interdipendenza reciproca, assolvendo in tal 
modo alle funzioni che è chiamato a svolgere. Pertanto un mutamento che interessi una sola di 
queste componenti provoca, come inevitabile conseguenza, una modificazione delle altre. 
Tale caratteristica è facilmente verificabile nel caso della riforma di una legge elettorale: un 
simile cambiamento provocherà molto probabilmente una trasformazione del sistema partitico 
e di governo. 
È questo il fulcro della teoria sistemica elaborata da David Easton [1965] e perfezionata, in 
seguito, da Almond e Powell. Questa teoria si basa sul rifiuto della concezione basata sulle 
istituzioni formali e sul loro funzionamento tipica dell’approccio istituzionale tradizionale 
(che concentra la propria attenzione sulle istituzioni e sul loro funzionamento), avanzando 
piuttosto l’idea che essa sia composta da un sistema d’interazioni. La politica, secondo questa 
visione, non è un’organizzazione bensì qualcosa di “vivo”, soggetto a modificazioni, che 
interagisce con il suo ambiente esterno in base a una serie di input ricevuti (dopo un processo 
di filtraggio compiuto dai partiti definiti, appunto, gatekeepers) dal governo e trasformati in 
output, sottoforma di policies, ovvero di politiche pubbliche.  
Il contributo più significativo nello studio comparato dei sistemi politici è stato dato da 
Arendt Lijphart [1984; 2001] che ha elaborato i due modelli polari, suddividendo in essi 
trentasei democrazie in base alle loro strutture istituzionali. I due poli ispirano le loro “forme” 
istituzionali a due principi contrapposti: il principio maggioritario e il principio consensuale. 
Lijphart ha fatto ciò combinando e sistematizzando i dati empirici a sua disposizione, raccolti 
precedentemente da diversi studiosi, tra cui Maurice Duverger e Robert Dahl che, a loro volta, 
avevano già formulato una dicotomia tra regimi politici simile a quella teorizzata dal 
politologo olandese. Il merito di Lijphart è stato, però, quello di aver schematizzato per la 
prima volta tutta una serie di conoscenze accumulate nel campo della scienza politica, non
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effettuando una semplice comparazione tra le diverse forme di governo, ma sintetizzando tali 
conoscenze attraverso una «macrocomparazione dei sistemi politici» [Vassallo 2005, 27].  
L’analisi di Lijphart parte dal problema della rappresentanza democratica, cercando di 
individuare, sulla base delle caratteristiche strutturali delle diverse democrazie in esame, il 
sistema politico più adatto ad assicurare a tutti i cittadini il benessere e l’uguaglianza politica 
nel caso in cui le preferenze dei cittadini si presentino diversificate. Dunque il suo scopo è 
quello di valutare il rendimento di due tipi di democrazie con riferimento a tre ambiti: le 
politiche macroeconomiche, il controllo della violenza e il grado di soddisfazione dei 
cittadini. Infatti, un presupposto che Lijphart contesta, è la presunta equivalenza tra 
democrazia maggioritaria e democrazia tout court, in virtù della quale le democrazie 
maggioritarie garantirebbero un maggiore rendimento sistemico rispetto a quelle consensuali 
e sarebbero, dunque, notevolmente preferibili. Si crea, in tal modo, una dicotomia tra 
principio maggioritario, che pone il potere di governo nelle mani di pochi leader e partiti, e 
principio consensuale che suddivide, invece, il potere tra i diversi attori istituzionali. Il primo 
principio presuppone una democrazia basata sulla competizione, in cui i rappresentanti sono 
eletti attraverso elezioni libere, periodiche e competitive e prendono le decisioni in base al 
principio di maggioranza. Il secondo principio, invece, è sotteso a una democrazia 
caratterizzata nell’ambito dei processi decisionali dall’importanza del negoziato e del 
compromesso. 
Pertanto Lijphart suddivide trentasei regimi democratici nelle due suddette macrocategorie, 
individuando dieci elementi differenziali riferiti a due dimensioni, “partiti-esecutivi” e 
“federale-unitaria”. Tali dimensioni, però, non sono situate necessariamente su uno stesso 
continuum. Per quanto riguarda la prima dimensione, le cinque differenze concernono: 1) 
sistemi bipartitici e sistemi multipartitici; 2) sistemi elettorali maggioritari e sistemi elettorali 
proporzionali; 3) concentrazione del potere esecutivo in governi di maggioranza e 
dispersione del potere esecutivo in ampie coalizioni multipartitiche; 4) dominio dell’esecutivo 
sul legislativo ed equilibrio fra esecutivo e legislativo; 5) sistemi pluralisti e competitivi di 
rappresentanza degli interessi e sistemi neo-corporativi predisposti alla concertazione. Per la 
seconda dimensione le differenze riguardano: 1) governi centralizzati rispetto a governi 
federali; 2) parlamento monocamerale e dispersione del potere tra camere con poteri simili e 
composizione differenziata; 3) costituzioni flessibili e costituzioni rigide; 4) predominio del 
parlamento sul potere legislativo opposto al controllo giurisdizionale delle corti
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costituzionali; 5) banche centrali dipendenti dall’esecutivo e banche centrali indipendenti 
[Lijphart 2001, 21].   
Si tratta, dunque, di una analisi empirica dei sistemi politici ottenuta attraverso l’uso del 
metodo statistico, che permette di dimostrare come in un sistema elettorale particolarmente 
distorsivo come quello impiegato nel modello Westminister, si avranno, tra gli altri elementi, 
pochi partiti e governi monocolori, mentre in presenza di leggi elettorali proporzionali si 
tenderà ad avere un sistema multipartitico e governi di coalizione meno stabili. Dunque, 
mediante la combinazione dei vari indici è possibile ottenere il grado di “maggioritarismo” o 
“consensualismo” di tutti i Paesi analizzati. 
 
 
1.1.1    Il modello maggioritario 
 
Gli esempi forniti da Lijphart per descrivere i modelli maggioritari sono diversi (Nuova 
Zelanda, Canada, Australia, Barbados), ma certamente il più rappresentativo è quello 
rappresentato dal Regno Unito, dal cui parlamento tale modello deriva il suo nome alternativo 
(Westminster). Il sistema politico britannico, infatti, assomma in sé tutti i caratteri propri del 
modello maggioritario elencati nella classificazione di Lijphart. In questa sede ci si 
concentrerà sui principali fattori della prima dimensione dello schema lijphartiano, quella 
“partiti-governi”. Innanzitutto tale sistema politico presenta un forte accentramento dei 
poteri nelle mani di un esecutivo espressione di una sola forza partitica, che lo amministra in 
rappresentanza di «una popolazione molto più vasta di quella che si è espressa in suo favore» 
[ibidem, 28] e che gode, però, di una stretta maggioranza. Dal secondo dopoguerra ad oggi, 
infatti, solo tre volte il sistema politico britannico è venuto meno a tale regola. Ciò è avvenuto 
nel 1974 e nel 1976, quando il Labour Party non fu in grado di ottenere la maggioranza 
assoluta dei seggi alla Camera dei Comuni, creando veri e propri “gabinetti di minoranza” che 
ebbero, comunque, vita breve, e nel 2010 quando dalle urne i Conservatori sono stati costretti 
a formare un governo di coalizione con i Lib Dems per ottenere la maggioranza assoluta alla 
Camera dei Comuni. Un’altra caratteristica di tale sistema risiede nella predominanza 
dell’esecutivo sul legislativo, nonostante si sia in presenza di un sistema parlamentare. Questo 
fattore è dato dalla presenza all’interno del governo di leader appartenenti all’unico partito 
che può godere di una larga e coesa maggioranza in parlamento assicurando, in tal modo, la 
longevità del governo stesso e la sua operatività. Tale principio, dopo l’indebolimento subito
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nel corso della prima metà degli anni Settanta, ricevette nuovo slancio sotto i governi 
conservatori di Margareth Thatcher che inaugurò la pratica dei comitati interministeriali, 
portando ad un progressivo rafforzamento del primo ministro e dei ministri più importanti del 
suo gabinetto a scapito del Parlamento e della collegialità del gabinetto stesso. Terzo carattere 
specifico del sistema maggioritario fatto proprio dall’esperienza britannica è il sistema 
bipartitico, che vede la competizione per la vittoria ristretta ai due partiti maggiori, il Partito 
laburista e quello conservatore. Infatti  a partire dal 1945 fino agli anni Settanta la somma dei 
loro voti non scese mai al di sotto dell’80%, declinando poi negli ultimi trent’anni, con la 
proporzionale crescita della terza forza politica, i Liberal Democrats, anche se tale crescita 
non è mai stata tale da far pensare seriamente alla nascita di una sistema tripartitico. Legato al 
bipartitismo è ciò che Lijphart definisce la «natura unidimensionale del sistema partitico» 
[ibidem, 32], volendo con ciò dire che programmi e policies dei due partiti spesso si 
differenziano attorno a ciò che Rokkan [1970] ha definito cleavage, frattura, rappresentata 
spesso dalla tematica socioeconomica. In virtù di questo il Partito laburista tende a 
rappresentare le istanze della sinistra dello spettro politico, mentre i Conservatori coprono gli 
orientamenti della destra. Un quarto importante fattore che caratterizza il sistema 
maggioritario è il sistema elettorale (plurality), che nel Regno Unito è basato su un metodo 
maggioritario uninominale, chiamato first past the post. In base a questo sistema il territorio 
del regno è diviso in collegi (costituencies) quanti sono i seggi della Camera dei Comuni da 
assegnare e prevede l’elezione del candidato che ottiene in ciascuno di essi la maggioranza 
assoluta dei voti, o la minoranza più ampia. Si tratta di un fattore molto importante per questo 
sistema politico, poiché essendo tale sistema elettorale fortemente distorsivo e poco 
proporzionale, crea quelle che Rae [1967] ha definito come «maggioranze costruite» [Lijphart 
2001, 33], legittimate cioè più dagli strumenti elettorali che dal voto popolare. Tra gli esempi 
più noti, certamente da ricordare è la vittoria ottenuta dal Partito laburista di Tony Blair nel 
1997 che ottenne il 63,6% dei seggi con il 43,2% dei voti. Proprio per l’accusa mossa da 
numerosi gruppi politici (tra cui i Liberal Democrats) di non garantire un’equa rappresentanza 
della volontà popolare sono state avanzate diverse proposte di riforma dell’attuale legge 
elettorale, nonché si è deciso di introdurre sistemi elettorali proporzionali in altre 
consultazioni come nel caso delle elezioni al Parlamento europeo.