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CAPITOLO PRIMO: BREVE STORIA DEL CILE E DEL PRESI-
DENZIALISMO CILENO
1-Bolívar e la sua idea di Repubblica
Il Cile, è uno degli stati che si è guadagnato l’indipendenza nel 1818, con i moti
ispiratisi alla Rivoluzione Francese e all’Indipendenza Americana. Inizialmente venne
messa in piedi una forma di governo dittatoriale, tipica degli stati di recente formazione
e si trasformò infine, nel 1833, in repubblica (come tutti gli altri stati del continente)
presidenziale, qualità che ha mantenuto fino ad oggi, seppur con qualche variazione nel-
le costituzioni che si sono succedute.
Simon Bolívar e gli altri illuminati liberatori del continente sudamericano, inten-
devano disfarsi del giogo monarchico e feudale ibero-lusitano (piø iberico, giacchØ era
la Spagna il principale nemico del Bolívar)
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, per fondare, questo secondo il disegno bo-
livariano, un grande stato centrale (piø avanti federale) composto dai territori liberati.
Ogni nuovo stato liberato avrebbe così fatto parte della “Gran Colombia”. Ciò però non
accadde, poichØ i governatori posti a capo delle zone liberate, nel 1830, a seguito (in re-
altà anche prima, visto che il Libertador si era già ritirato a vita privata) della morte di
Simon Bolívar, indebolirono il movimento, nel momento in cui rivendicarono il diritto
di proclamare ciascuno dei loro governatorati, stati totalmente indipendenti e sovrani.
Ma quali erano le idee di Bolívar sui fondamenti statuali, sull’origine del potere e
sulla democrazia? E l’America latina ed il Cile hanno rispettato questa volontà? Andia-
mo con ordine, per seguire l’evoluzione dei sistemi di governo del continente in genera-
le e del Cile in particolare.
Il Libertador, pur non essendo un esperto di legge, aveva in mente i piø grandi e-
sempi di democrazie nate dalla rivoluzione: la Francia con il suo esperimento di repub-
blica e governo rivoluzionario (dopo il rovesciamento della monarchia nel 1789), ma
soprattutto gli Stati Uniti, per i suoi ideali di libertà e la sua democrazia
3
. Bolívar era
favorevole al federalismo, ma temeva che esso fosse dannoso per gli stati nascenti: pen-
sò allora che uno stato centralista potesse essere, inizialmente, la soluzione migliore in
quelle circostanze, ma senza avventurarsi in imprese monarchiche assolute o anche se-
mi-democratiche.
La base del potere sarebbe stata comunque il popolo, poichØ la sovranità risiedeva
secondo lui, «nella totalità dei cittadini», ma soprattutto che «il non esercizio non com-
porta la perdita per desuetudine» e che «il bene o il male siano fatti in base alla volontà
del popolo»
4
, per cui ogni manifestazione popolare che avesse espresso la contrarietà
anche ai suoi progetti, sarebbe stata da rispettare. Simon Bolívar era convinto che il mi-
gliore governo fosse quello democratico e, durante la sua permanenza al potere cercò di
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Il Brasile, che otterrà l’indipendenza dal Portogallo per vie pacifiche nel 1822, al fine di evitare il dif-
fondersi dell’ondata indipendentista, si trasformerà direttamente da Regno a Repubblica.
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A dire il vero lo sono ancora oggi. Bolívar guardava alla prima per quanto riguarda la nascita di ideali
nuovi, e ai secondi per quanto riguarda lo sviluppo dei valori della Rivoluzione francese e le istituzioni
statali. Si può dire comunque che giudicasse piø importante il secondo aspetto, perchØ «buone istituzioni
favoriscono governi migliori per il popolo».
4
In merito alla seconda affermazione, si riferisce alla periodicità delle elezioni: il tempo che intercorre tra
un esercizio elettorale e l’altro non pregiudica la possibilità di sottoporre nuovamente a elezioni i poteri
legislativo ed esecutivo. Un mandato non è per sempre. Egli afferma che «La volontà popolare, manife-
stata in modo corretto, costituisce la radice innegabile dei poteri pubblici». Qualche tempo prima di mo-
rire dirà che «la vera sovranità è nella maggioranza della nazione». JosØ Luis Salcedo-Bastardo, Simon
Bolívar: la vita e il pensiero politico, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 1983, p. 115.
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restare fedele a questo principio: i suoi furono dunque governi popolari, repubblicani,
responsabili e rappresentativi. I due progetti costituzionali da egli redatti si ispiravano
alle opere di Locke e Montesquieu.
Il primo di questi progetti, quello di Angostura (1819), prevedeva un bicamerali-
smo con Senato ereditario, un Presidente eletto dal popolo alternabile e responsabile,
con un vice e un gabinetto solidali con il Presidente; il secondo, quello della Bolivia
(1825), conteneva la proposta di una terza camera, quella dei censori, cui competeva il
potere morale, e l’ipotesi di presidenza vitalizia. L’idea di democrazia che il condottiero
maturò col tempo, presentava comunque alcune riserve, una molto importante, dettata
dall’evoluzione della situazione e dall’esperienza. Tempo dopo infatti, esternò la sua de-
lusione con queste parole:
«Gli avvenimenti del continente provano che le istituzioni perfettamente rappre-
sentative non si confanno al nostro carattere, alle nostre consuetudini e al nostro
livello culturale […]. Fino a quando i nostri compatrioti non acquisteranno il ta-
lento e le qualità politiche di cui sono dotati i nostri fratelli del Nord, temo che un
sistema interamente popolare, lungi dall’esserci favorevole, significherebbe la
nostra rovina».
Come mai questa contraddizione con quanto affermato in precedenza? Rifacendo-
si alla storia, ebbe a pensare che la democrazia assoluta in una società che per la prima
volta si trovi a sperimentare l’indipendenza, fosse fragile e insidiosa, perchØ «L’uomo
ignora quali siano i propri interessi e agisce in costante contraddizione con essi;
l’individuo lotta contro la massa e la massa contro l’autorità». Questa affermazione sa-
rà fatta propria da alcuni soggetti per giustificare l’intervento militare nei governi, le dit-
tature e la soppressione dei movimenti e delle rivendicazioni in America Latina. Bolívar
intendeva in quel tempo, che prima di consentire al popolo di scegliere i propri rappre-
sentanti in competizioni elettorali, bisognasse educarlo, affinchØ non si lasciasse traviare
dai poteri, dalle affiliazioni lobbiste come dagli inganni e potesse pensare e decidere con
la propria testa.
PerchØ analizzare il caso della crisi cilena partendo da Bolívar? Primo perchØ la
storia del Cile dipende ovviamente e indiscutibilmente da questi fatti. Secondo perchØ il
modo di pensare, l’esempio del Bolívar e del periodo indipendentista, verranno citati dai
partiti politici cileni, dai militari, da destra e sinistra, proprio nel momento del golpe.
Molti dei suoi pensieri, delle sue idee, ma anche dei suoi riscontri in prima persona, aiu-
tano a capire che in America Latina, in Cile e in tutte le terre del pianeta, in ogni epoca,
gli uomini si trovano a dover fronteggiare situazioni diversamente immaginate, risve-
gliandosi bruscamente nella realtà e restando, molto spesso, delusi da questa
5
.
La situazione di frazionamento partitico
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, di confusione, di screditamento del go-
verno centrale e addirittura di Simon Bolívar stesso durante la fase indipendentista, ap-
5
Già nel 1830 Bolívar, ormai ammalato, morì con la delusione nel vedere vani gran parte dei suoi sforzi.
In una delle sue ultime lettere espresse tutta la sua amarezza con queste parole: «Ho governato per
vent’anni e in questi non ho ottenuto che pochi risultati certi: primo, l’America è ingovernabile per noi
nativi; secondo, chi serve una rivoluzione sta arando nel mare; terzo, l’unica cosa che si può fare in A-
merica è emigrare; quarto, questo paese cadrà inevitabilmente nelle mani della folla scatenata, per pas-
sare poi in quelle di tiranni quasi impercettibili, di tutti i colori e razze…». JosØ Luis Salcedo-Bastardo,
op. cit., p. 215.
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In prima epoca ottocentesca, e per i successivi decenni, il termine “partito” non aveva lo stesso signifi-
cato definitivamente assunto nel ‘900. Stava piø che altro ad indicare la fazione di appartenenza,
l’affiliazione: tale spirito di fazione era nominato appunto, “di partito”. Questo spirito favoriva il caos e la
disunione nella politica quanto nella società, marchi inconfondibili del regionalismo e del provincialismo,
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pare simile a quella cilena degli anni settanta. Solo che le vicende dell’ottocento avven-
gono in un periodo di assestamento o consolidamento di primordiali istituzioni in via di
democratizzazione; le altre in una fase di sgretolamento di una consolidata democrazia.
Il raffronto tra queste due situazioni si ferma qui. ¨ invece il caso di introdurre le pre-
messe del discorso sul presidenzialismo, sul Cile degli anni ’60 – ’70 e sulla crisi demo-
cratica.
2- Le tappe della vita repubblicana cilena
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Nel 1810, cominciò il processo di autodeterminazione del Cile, con la formazione
della prima assemblea di governo, un periodo chiamato Patria Vecchia, che durò fino
alla catastrofe di Rancagua nel 1814, quando le truppe reali spagnole, dopo le sconfitte
iniziali subite per mano dei criollos
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sudamericani, riconquistarono il territorio. Le trup-
pe indipendentiste, profughe a Mendoza, formarono con i soldati argentini “l’Esercito
delle Ande”, guidato dall’argentino JosØ de San Martín che liberò nuovamente e defini-
tivamente il Cile dopo la battaglia di Chacabuco, il 12 febbraio del 1817. L'anno succes-
sivo il governo del “Direttore Supremo”
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Bernardo O’Higgins Riquelme dichiarò l'indi-
pendenza del Cile. Proprio O’Higgins inaugurò un periodo di riforme che però lasciaro-
no insoddisfatta una grande parte dell'opinione pubblica, provocando la sua abdicazione
nel 1823. Durante i 10 anni successivi, il Cile avviò una serie di politiche per costruire il
nuovo stato. Dopo una serie di fallimenti e la formulazione di varie costituzioni, la vit-
toria conservatrice nella Rivoluzione del 1829
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diede inizio ad un periodo di stabilità: il
nuovo regime si chiamò Repubblica Conservatrice. Essa ebbe come suo massimo espo-
nente il ministro Diego Portales, che grazie all’ennesima costituzione, nel 1833
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riuscì
finalmente a costruire le basi politico-amministrative del Cile del XIX e del XX secolo.
Venne così inaugurato un periodo repubblicano lungo quarant’anni, dal carattere autori-
tario, dominato dal governo conservatore. Solo nel 1871 ebbe inizio un indirizzo di go-
verno piø morbido, portato avanti dai liberali che fu caratterizzato, tra le altre cose, dalla
crescita economica. Alcune modifiche costituzionali varate dal governo di JosØ Joaquín
PØrez, introdussero il principio di non rieleggibilità immediata del Presidente della re-
pubblica, ponendo così fine all’epoca dei “decennati”, dai quali molto dipendeva il trat-
to autoritario del regime. Altre riforme minori furono approvate nel 1874.
nel loro significato peggiore. Questi condizionavano in negativo la formazione di un forte e sicuro potere
centrale. JosØ Luis Salcedo-Bastardo, op. cit., p. 117 - 119.
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Questo paragrafo è stato redatto sulla base delle tappe piø rappresentative della storia del Cile, presenti
nei siti http://it.wikipedia.org/wiki/Cile e http://www.icarito.cl/dossier.
8
¨ il nome degli ex coloni bianchi o dei figli di questi residenti in America del sud.
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Fino al 1826, la figura vertice delle istituzioni era chiamata proprio Director Supremo, dopodichØ, con
modifica Costituzionale del 4 luglio 1826, fu introdotto l’appellativo di Presidente della Repubblica, co-
me era negli Stati Uniti. Inoltre lo stato venne organizzato come repubblica federale.
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In questo anno alle elezioni presidenziali, il Congresso si trovò a scegliere fra tre candidati che non ot-
tennero la maggioranza assoluta al primo turno: Francisco Ruiz Tagle 100 voti; Joaquín Prieto 60 voti;
Joaquín Vicuæa 45 voti. Il Congresso si espresse per l’elezione di quest’ultimo, con la motivazione che la
costituzione non ordinava espressamente l’elezione tra i primi due. Questo fatto, che si ripeterà altre vol-
te, provocò allora lo scoppio della guerra civile. Fernando Muæoz León, Notas sobre la Historia Consti-
tucional de Chile: gØnesis y evolución entre 1810 y 1970, «Anuario de derecho Constitucional latinoame-
ricano 2005», p. 256. Bisogna notare che il numero dei votanti è esiguo perchØ l’elezione presidenziale
non era diretta ma affidata a “grandi elettori”, come negli Stati Uniti.
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In Cile furono varate in precedenza ben altre quattro Carte costituzionali, nel 1818, 1822, 1823 e 1828.
Quella del 1833 durerà fino all’adozione della costituzione del 1925.
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Nel 1891, il conflitto tra il Presidente JosØ Manuel Balmaceda e il Congresso cau-
sò la guerra civile: i membri del Congresso ottennero la vittoria e stabilirono la Repub-
blica Parlamentare. ¨ comunque importante dire che sotto Balmaceda fu eliminato il
principio unicamente censitario del voto, sostituito con l’esibizione documentata di de-
terminati requisiti economici. Il Cile dunque conobbe anche un cambio di sistema, da
presidenziale a parlamentare, con il fine di smussare il carattere autoritario degli esecu-
tivi. Il ventennio si caratterizzò, nonostante la prosecuzione della crescita economica,
per l’instabilità politica, il forte grado di corruzione del sistema politico e la nascita del
movimento proletario che portava l'attenzione sulla Questione Sociale. Dopo anni di
dominio delle oligarchie, che approfittavano del sistema parlamentare per la conduzione
dei loro affari, nel 1920, fu eletto Arturo Alessandri Palma, con l'appoggio dei movi-
menti popolari. La crisi di un sistema politico avverso ai cambiamenti, subì
un’impennata e costrinse Alessandri alla rinuncia in ben due occasioni: la prima il 12
settembre 1924 (con l’autoesilio in Italia del Presidente); la seconda dopo la promulga-
zione della costituzione del 1925, che segnò il ritorno alla Repubblica Presidenziale.
Dopo un susseguirsi di vari personaggi e golpe, che occuparono il posto dell’abdicante
Alessandri, Carlos IbÆæez del Campo, un “outsider”, assunse nel 1927 il comando del
governo, nelle prime elezioni del nuovo sistema presidenziale, grazie a un grande soste-
gno popolare e a un programma antioligarchico e antipartitico. La fine della Prima
Guerra Mondiale (nella quale il paese si era dichiarato neutrale) e la crisi del ’29, pro-
dussero però una forte crisi economica nel paese: il Cile fu, infatti, tra i piø colpiti dalla
recessione a livello mondiale. Per questo IbÆæez dovette rinunciare al mandato nel 1931,
circa due anni prima della scadenza dello stesso. La grave situazione generò un certo
grado di instabilità politica, la quale portò a un’ulteriore crisi che sfociò a sua volta in
un colpo di stato militare. Questo diede vita nel ’32, alla Repubblica Socialista del Cile,
la quale durerà effettivamente soltanto 12 giorni (dal 4 al 16 giugno) e si auto dissolverà
completamente alcuni mesi piø tardi, per il susseguirsi di una serie di giunte di governo
composte sia da civili sia da militari. Nel dicembre dello stesso anno infine, Arturo A-
lessandri, al secondo appuntamento del nuovo sistema con le elezioni presidenziali,
riassunse ancora il potere, stavolta riuscendo a tenerlo per un mandato intero, e cercò di
rimettere in sesto l'economia, senza però riuscire a calmare la tensione tra i partiti e nel-
la società.
Infatti, dopo il massacro del “Segundo Obrero”, avvenuto alla fine del mandato di
Alessandri, i partiti di tendenza socialista e comunista, decisero di sostenere per mezzo
della coalizione chiamata FRAP, il candidato del Partido Radical
12
, Pedro Aguirre Cer-
da, che vinse alle elezioni del 1938. Il mandato di Aguirre Cerda diede inizio a un peri-
odo di governi di stampo radicale. Egli riuscì a compiere diverse riforme e stabilire una
rivendicazione sul territorio Antartico antistante al Cile. La precoce scomparsa del Pre-
sidente nel novembre ’41 portò a nuove elezioni. Juan Antonio Ríos, il suo successore,
dovette fare fronte alla crescente opposizione e alle pressioni degli Stati Uniti, affinchØ
il Cile dichiarasse guerra all’Asse durante la Seconda Guerra Mondiale, cosa che accad-
de solo nel 1943.
In virtø del prorogato sostegno dato dal Partito Comunista, un altro radicale, Ga-
briel GonzÆlez Videla succedette a Ríos nel 1946. Tuttavia, con l’inizio della Guerra
Fredda i comunisti furono esclusi dalle decisioni politiche attraverso la Legge di difesa
permanente della Democrazia. La legge chiamata anche “maledetta”, venne eliminata
10 anni dopo, il 6 agosto, quando nel 1952, Carlos IbÆæez tornò alla politica riuscendo a
farsi rieleggere con l'appoggio, oltre che dei partiti, di una grossa fetta della cittadinan-
12
Il Partido Radical in Cile si è storicamente collocato in politica nei meandri a destra dell’arcata assem-
bleare. Il fatto del massacro però lo portò a schierarsi con le forze progressiste.
7
za, uomini e donne, che proprio nel 1952 erano riuscite ad esercitare il diritto al voto al-
le presidenziali
13
. La coalizione denominata Bloque de Saneamiento DemocrÆtico, perse
però il consenso a seguito di una serie di misure liberali ma forti per ravvivare l'econo-
mia e per l’insostenibilità dell’alleanza tra diverse visioni ideologiche formatesi nella
coalizione di maggioranza al Congresso.
Nel 1958, venne eletto l’indipendente della destra Jorge Alessandri, il figlio di Ar-
turo Alessandri, che si trovò di fronte il caos prodotto dal terremoto del 1960, il piø for-
te registrato nella storia del paese, cosa che non impedì che si tenessero i mondiali di
calcio in Cile, nel 1962. Nel corso degli anni sessanta il panorama politico che si stabilì
nel paese sudamericano è chiamato “dei Tre Terzi”, in virtø della divisione netta del si-
stema, scompostosi in destra conservatrice, in una parte democristiana di centro e dalla
sinistra socialista e marxista. Temendo una vittoria di quest’ultima, la destra sostenne il
Democratico Cristiano Eduardo Frei Montalva alle elezioni del 1964. BenchØ Frei Mon-
talva abbia provato a eseguire la sua “Rivoluzione in Libertà” attraverso la riforma agri-
cola e la cilenizzazione del rame, alla fine del suo mandato, la tensione politica produsse
una serie di scontri tra gli estremi di questo spettro politico e all’interno dei centristi
stessi.
3-Il presidenzialismo in generale e la costituzione del 1925
Molti stati, specie quelli di nuova formazione, hanno avuto spesso davanti a loro il
dubbio sui fondamenti costituzionali da adottare, in particolare per ciò che concerne le
forme di governo. Per ciò che concerne le forme di stato invece, quella di repubblica è
sembrata la soluzione ragionevolmente piø scontata, specie per quegli stati usciti dalla
fase coloniale e di nuova indipendenza. Questo accadde nonostante il fatto che gli stati
chiamati in causa nel coadiuvare le loro ex colonie a scrivere le leggi fondamentali
14
,
avessero per sØ istituzioni molto spesso monarchiche. Nelle repubbliche la questione in
ballo è quella esistente tra i sostenitori del parlamentarismo e quelli del presidenziali-
smo. In questo “duello” la vittoria dei primi si è avuta soprattutto nel periodo precedente
la seconda guerra mondiale, mentre i secondi hanno prevalso in quello successivo. Il
dubbio non è da poco, poichØ una parte della sorte statuale, assieme al suo buon funzio-
namento, sono legati anche a questa scelta. Gli stati sudamericani nati nel XIX secolo
come il Cile, sono andati nella direzione presidenziale. Questa decisione venne rinnega-
ta a Santiago per circa una trentina d’anni, a partire dalla fine degli anni ’90
dell’ottocento, quando gli venne preferito un sistema parlamentare. A metà degli anni
venti del novecento però, il presidenzialismo fu ripristinato. A seguire vengono mostrati
quali sono i principali vantaggi individuabili in tale sistema.
Chi indica il sistema presidenziale quale forma di governo migliore, mette in risal-
to i quattro principali vantaggi che può presentare: come primo vantaggio è descritta la
responsabilità, ovvero la capacità del sistema di rendere immediato il rapporto tra opera-
to istituzionale del Presidente e richieste dei suoi elettori, cosa che nei regimi parlamen-
tari è minima, a causa della “dispersione” della stessa, in favore della contrattazione, sia
all’interno delle assemblee che tra queste e il governo di propria fiducia; per secondo
vantaggio si parla dell’identificabilità, ovvero proprio la possibilità di determinare diret-
13
Legge n. 9.292 del gennaio 1949. Le donne avevano ottenuto il diritto al voto per le municipali nel
1934. Inizialmente la partecipazione non fu alta, ma con il susseguirsi delle elezioni, finirono per egua-
gliare la partecipazione maschile nel 1970.
14
Vedi ad esempio gli stati africani di nuova indipendenza, ex colonie della Gran Bretagna o del Belgio.
Che poi siano stati governati o meno con un regime democratico è un altro discorso.
8
tamente con elezione popolare il capo del governo, per cui un Presidente eletto è mag-
giormente gradito ai suoi elettori, i quali scelgono oltretutto un indirizzo politico ben
preciso; in terza battuta vi è il vantaggio dei controlli reciproci, per cui le azioni di ese-
cutivo e legislativo sottostanno a sollecitazioni e freni vicendevoli; in quarto luogo si
considera il Presidente come una figura con cui è piø facile dirimere le controversie. In
caso, ad esempio, di eventuali “attriti” tra istituzioni, si potranno condurre delle trattati-
ve e raggiungere degli accordi con una sola persona anzichØ con piø individui, il che na-
turalmente è piø agevole. Il fatto che il rapporto tra Presidente e ministri sia fiduciario e
dunque i secondi possano essere rimossi piø facilmente
15
, spiegano il resto.
Il governo Alessandri, facendo leva sul consenso del popolo verso questo sistema
e sui vantaggi sopra descritti, (nel suo breve ritorno alla presidenza dal 12 marzo al pri-
mo ottobre ’25), propose l’adozione di un nuovo testo Costituzionale, affidando
l’incarico di elaborarne gli schemi a una Commissione specifica. Contemporaneamente
propose, ma solo teoricamente e in alternativa, la convocazione di un’assemblea costi-
tuente
16
, nel caso in cui il lavoro della prima non lo avesse soddisfatto. Mentre molti nel
Congresso speravano proprio nella seconda soluzione, Alessandri pensò di sottoporre il
progetto elaborato dalla Commissione, direttamente a consulta popolare. Nel giugno di
quell’anno, i cittadini furono chiamati a esprimersi con il “voto azzurro” o il “voto ros-
so”: il primo si impegnava a tenere in vigore il sistema parlamentare, mentre il secondo
proponeva il ritorno al presidenzialismo e l’adozione dlla nuova costituzione. Dato
l’estremo spregio attribuito al parlamentarismo, derivato dal fatto che dal 1891 al 1924
un impressionante numero di esecutivi si erano avvicendati (ben 121, per un totale di
530 ministri con incarico ricevuto) e vista la larga diffusione della corruzione, si riscon-
trarono due dati di fatto: il primo fu l’avversione per la politica dimostrata da
un’astensione al referendum, calcolabile attorno al 50% degli aventi diritto al voto; co-
me secondo dato, la maggior parte dei votanti si espresse in favore del presidenzialismo
con il 70% circa delle preferenze.
Il 18 settembre 1925 la nuova costituzione
17
venne promulgata ed entrò in vigore.
Nella Carta, il tratto presidenzialistico era rintracciabile in varie norme. Oltre
all’elezione diretta, vi si riscontravano i seguenti elementi caratterizzanti: i ministri sa-
rebbero stati di assoluta fiducia del Presidente, sottintendendo la possibilità di nomina e
rimozione secondo la volontà dello stesso; si sopprimevano rispetto al precedente siste-
ma, le interpellanze parlamentari dirette ai ministri, ovviamente non piø responsabili di
fronte alla Camera; veniva infine dichiarata incompatibile la carica di ministro con quel-
la di parlamentare, salvo in caso di guerra. Fu questo un colpo mirato a segnare il defini-
tivo e netto distacco tra le personalità dell’esecutivo e quelle del Congresso. Questa co-
stituzione sopprimeva anche alcune autorità come il Consiglio di Stato e la Commissio-
ne Conservatrice, e ne istituiva altre come il TRICEL (Tribunale di validazione Eletto-
rale). Fu una novità anche l’introduzione dell’istituto del ricorso per sospetta incostitu-
15
Nei sistemi parlamentari la fiducia è accordata all’intero governo, per cui in caso di attriti tra gli organi
esecutivi e legislativi le ripercussioni possono, in teoria, essere piø gravi e con tempi di risoluzione piø
lunghi.
16
Il testo sarebbe dovuto passare alle Camere per avere l’approvazione, ma il timore di Alessandri fu
quello che il Congresso avrebbe anche potuto stravolgerne il contenuto, se non il presidenzialismo stesso.
17
Per la redazione del paragrafo sono stati consultati i seguenti testi: “Constitución Política de la Repú-
blica de Chile 1925” dal sito http://www.senado.cl; Fernando Muæoz León, op. cit. p. 272; Jaime Antonio
Etchepare Jensen, Sistemas electorales, partidos políticos y normativa partidista en Chile 1891-1995,
«Revista de Estudios Políticos», Nueva Época, num. 112 Aprile-Giugno 2001, p. 157.
9
zionalità delle leggi
18
, compito affidato momentaneamente al giudizio della Corte Su-
prema.
Il presidenzialismo puro, o per meglio dire “il prototipo”, è una forma di governo
cosiddetta forte, poichØ si basa su tre elementi caratterizzanti [quattro secondo Shugart e
Carey]: primo, l’elezione diretta o anche indiretta, del capo dell'esecutivo; secondo, la
durata dei mandati del capo dell'esecutivo e dell'assemblea è fissa e non prevede la fidu-
cia tra i due organi; terzo, l'esecutivo eletto, nomina e dirige il governo; [quarto], il Pre-
sidente ha poteri legislativi garantiti costituzionalmente
19
. Il sistema adottato dal Cile
con la costituzione del 1925, come dimostrano gli organi e le loro funzioni descritte sot-
to, specie quelle della presidenza, sembra accogliere pienamente queste quattro caratte-
ristiche.
Il Capitolo IV era dedicato al Congresso, diviso in due rami, la Camera dei Depu-
tati e il Senato, il quale aveva una leggera asimmetria di poteri, riguardanti però compe-
tenze “marginali”. Le prerogative di base delle due camere erano esercitate in assemblea
plenaria: tra esse vi erano l’approvazione del bilancio annuale, la concessione del per-
messo al Presidente di varcare i confini nazionali, l’approvazione o meno dei trattati in-
ternazionali stipulati dal Presidente e altre funzioni di minore rilievo. Importante tra
queste era quella indicata al comma 13 art. 44 Cost., che prevedeva delle riserve di leg-
ge sul restringimento della libertà personale e di impresa, sulla sospensione o restringi-
mento del diritto di riunione, quando vi era pericolo per la difesa dello Stato, la conser-
vazione del regime costituzionale e la pace interna. Il Congresso deteneva naturalmente
il potere legislativo: la formazione delle leggi poteva essere avviata indifferentemente in
una delle camere da uno dei suoi componenti o su messaggio del Presidente della Re-
pubblica.
La Camera era composta di 120 membri, rinnovabili ogni quattro anni. Erano pre-
rogative esclusive di questo organo, funzioni quali il controllo degli atti di governo e la
dichiarazione di messa in stato d’accusa del Presidente o di altri soggetti previsti
dall’art. 39 Cost. (dopo verifica da parte di una commissione e votazione della maggio-
ranza assoluta dei deputati)
20
.
Il Senato era composto di 45 membri e si rinnovava parzialmente dopo quattro
anni. Ogni senatore durava in carica otto annualità. Erano attribuzioni esclusive del Se-
nato, funzioni quali conoscere i motivi di messa in stato d’accusa al Presidente, decidere
su eventuali accuse contro un ministro e altre funzioni minori, sempre in materia di ac-
cuse contro funzionari di stato. Il Senato aveva altresì la funzione esclusiva di consulen-
za, da prestare al Presidente.
Il Capitolo V regolava l’istituzione presidenziale: all’art. 62 Cost., si leggeva che
per essere eletti alla presidenza, i candidati dovessero avere un’età superiore ai 30 anni e
18
Questo istituto esisteva già ma era di natura politica essendo compito del Senato (quando il parlamento
non era riunito in sessione ordinaria, mentre a quest’ultimo stesso quando era riunito), dare un vaglio co-
stituzionale alle leggi. Alessandri era in realtà contrario all’istituzione di questo strumento, poichØ soste-
neva che tale elemento affidava un’importante prerogativa legislativa nelle mani di un Tribunale.
19
Matthew S. Shugart, John M. Carey, Presidenti e assemblee: disegno costituzionale e dinamiche eletto-
rali, Il Mulino, Bologna 1995, p. 37. Lijphart descrive il presidente dei sistemi presidenziali con dei crite-
ri similari, esprimibili in: 1-Il presidente non deve essere dipendente dalla fiducia assembleare ma avere
un mandato fisso; 2- Il presidente deve essere eletto con voto popolare; 3- Il presidente deve guidare un
esecutivo monocratico. Questo modello descritto da Shugart e Carey e da Lijphart è un modello generale,
“estremo”, visto il fatto che poi esistono delle forme presidenziali ibride (ad esempio con elezioni del ca-
po dell’esecutivo in cui l’esito del voto dei cittadini non è determinante; con durata condizionata degli or-
gani elettivi; con interferenze costituzionali nella nomina dell’esecutivo; di poteri legislativi congiunti e di
diverse limitazioni per il numero di – o la distanza tra – mandati spendibile dai candidati). Ivi, pp. 38-39.
20
Il passaggio completo di messa in stato d’accusa al Presidente è descritto all’art. 39 Cost. 1925, lett. a)
e ss.
10
avere gli stessi requisiti per l’elezione a deputato o senatore. Il Presidente sarebbe rima-
sto in carica per un periodo di sei anni, con un esplicito divieto sulla una rielezione im-
mediata. Per ambire nuovamente alla presidenza quindi, era necessario un intervallo di
almeno un mandato.
Al Presidente era affidata l’amministrazione e il governo dello stato: la sua autori-
tà si estendeva a tutto ciò che ha per oggetto il mantenimento dell’ordine pubblico e la
sicurezza esterna. Al Presidente erano attribuite, tra le altre, le funzioni speciali di con-
correnza per la formazione delle leggi, della loro firma e promulgazione, di emanazione
di regolamenti, decreti e istruzioni al fine di dare applicazione alla legge e la nomina e
revoca, secondo la sua volontà, dei ministri di stato. Al Presidente erano riservate delle
attribuzioni speciali tra cui quelle di disposizione delle forze armate e loro dislocamento
nel territorio dello stato
21
.
In seguito all’adozione del testo costituzionale, i fantasmi dei problemi avuti con
il parlamentarismo sembravano aleggiare ancora sul Cile. In effetti le sorti di un regime
non dipendono solamente dal tipo di istituzioni e dal loro rapporto, ma anche dal siste-
ma partitico e da quello elettorale (se sono presenti due o tre attori, oppure vi sono molti
partiti). Gioca un ruolo altrettanto importante pure il rapporto intercorrente tra il Presi-
dente e i partiti che lo supportano: il primo risulterà piø forte se è questo stretto e vice-
versa se non è molto stabile.
Proprio per le difficoltà incontrate, benchØ il presidenzialismo abbia riscosso mol-
to successo, non sono mai mancati i critici del sistema. Le maggiori debolezze della
forma di governo presidenziale sono state essenzialmente individuate e riassunte da
Shugart e Carey, nei tre punti seguenti: primo, la rigidità temporale del mandato, favori-
rebbe lo stallo, specie in caso di forti divergenze politiche tra assemblea e governo, esat-
tamente come accadrà in Cile nel ’73; secondo, vi sarebbe la tendenza maggioritaria da
parte di chi sta al governo, ovvero la mancanza, o meglio il debole spirito collaborativo
tra gli organi elettivi nelle decisioni e nel processo legislativo, presente anch’esso nel
caso del Cile; terzo, la doppia legittimazione democratica che potrebbe portare una o en-
trambe le istituzioni elettive ad avanzare per sØ ed escludendo l’altra, la pretesa di rap-
presentare l’elettorato in caso di conflitto. E anche su questo, il Cile vi rientra
22
. Vi è in
realtà un altro punto di critica, indirettamente imputabile al regime presidenziale, cioè
quello che lo accusa di possibili derive autoritarie, per l’aspetto forte e personale della
carica di capo dell’esecutivo
23
. Paradossalmente non è questo il caso cileno, almeno non
è ciò che è successo nel corso dello svolgimento democratico della repubblica dal 1925
al 1973, salvo qualche episodio nel momento in cui ci fu l’ascesa di uomini con forte
personalità. Ben si intende però, che il regime di questo paese, specie dopo la riforma
del 1970, è considerato il sistema presidenziale per eccellenza, in cui la carica di capo
dell’esecutivo ha goduto di un potere meno limitato che negli altri sistemi presidenziali.
A supportare questa osservazione, sono state proprio le riforme del 1943 e del 1970 a
rendere il sistema presidenziale cileno tra i piø forti.
La prima riforma costituzionale inerente la presidenza, avvenne sotto il mandato
di Ríos: essa andava nella direzione di un rafforzamento dei poteri del Presidente e gli
affidava nello specifico, quello di iniziativa esclusiva sui progetti legislativi inerenti le
modifiche delle suddivisioni politica e amministrativa del Cile, il controllo sul costo dei
servizi pubblici erogati dallo Stato e il potere di concedere o meno aumenti sulle retri-
21
Per descrivere l’istituzione presidenziale sono state prese solamente le funzioni principali. Oltre a que-
ste sono attribuite ad essa funzioni di minore importanza per ciò che concerne l’argomento della tesi, artt.
dal 60 al 72 Cost. 1925.
22
Matthew S. Shugart, John M. Carey, op. cit., p. 50.
23
Matthew S. Shugart, John M. Carey, op. cit., p. 62.
11
buzioni agli impiegati pubblici. L’attribuzione di maggiore peso, fu quella di concedere
al capo del governo la possibilità di far ricorso a referendum costituzionali in un piø
ampio ventaglio di circostanze, nel caso in cui vi fossero forti contrasti tra l’indirizzo
politico del governo e quello del Congresso
24
. In questa stessa riforma era presente un
altro rinforzo del potere presidenziale, che concedeva al capo dell’esecutivo il permesso
di legiferare con decretazione d’urgenza in caso di emergenza economica, effettuando
spese non autorizzate con legge, per un’entità non superiore al 2% del bilancio
25
, allo
scopo di farvi fronte.
La riforma costituzionale del 1970, con il democristiano Frei a mandato in sca-
denza, spostò ulteriormente l’ago della bilancia del potere in favore del capo del gover-
no, assegnatario a questo punto di un potere enorme, quasi incredibile per un regime
democratico. Secondo quanto stabilito dal testo, il Presidente avrebbe potuto da quel
momento governare, previa delega parlamentare, con decreti aventi forza di legge; per
giunta, nessun emendamento si sarebbe potuto presentare su un disegno di legge, se non
fosse stato a essa pertinente, il che significò rafforzare il veto presidenziale
26
. Come mi-
sura di contrappeso venne creato un Tribunale Costituzionale: questo Tribunale sarebbe
stato chiamato a pronunciarsi sulla costituzionalità dei progetti di legge, dei trattati in-
ternazionali e dei decreti aventi forza di legge
27
, quasi tutti affidati all’iniziativa del Pre-
sidente. I membri del suddetto tribunale erano nominati secondo tale ripartizione: due
giudici erano scelti dalla Corte Suprema, tre dal Presidente, in accordo con il Senato.
Proprio quest’ultima disposizione che cercava di porre un contrappeso a quanto stabilito
prima, risultò inefficace dal momento che la maggioranza dei componenti sarebbero sta-
ti scelti dal Presidente.
Questo è, in via generale, il discorso che concerne le basi del sistema presidenzia-
le cileno. C’è da aggiungere in riferimento al secondo e al terzo inconveniente di cui i
regimi presidenziali potrebbero soffrire, che l’elezione di un esecutivo con maggioranze
relative bassissime
28
, altro non farebbe che complicare la situazione.
4-Il sistema elettorale
La costituzione del 1925, assieme alla legge elettorale (la quale subì diverse modi-
fiche poco rilevanti a cavallo degli anni trenta), gettarono da subito le basi, o resero piø
facile il formarsi di un sistema multipartitico
29
.
Il terzo comma art. 37 Cost., prevedeva esplicitamente che a un numero di 30.000
abitanti, sarebbe corrisposto un seggio da deputato alla Camera, e che per ogni frazione
addizionale di 15.000 abitanti in un distretto, fosse aggiunto un ulteriore seggio. La leg-
ge elettorale fissava a 25 il numero di distretti, i quali producevano una quantità di de-
putati che andavano dai due per i distretti meno popolati di campagna, ai diciotto di
24
Ley de Reforma Constitucional n. 7.727 del 23.11.1943, art. 45.
25
Ley de Reforma Constitucional n. 7.727 del 23.11.1943, artt. 21 e 72. Matthew S. Shugart, John M. Ca-
rey, op. cit., p. 273. Fernando Muæoz León, op. cit., p. 268.
26
Ley de Reforma Constitucional n. 17.284 del 23.01.1970, artt. 44, 45, 46, 48 e 53. Anche quello parzia-
le risultò annullato, spostando le trattative dall’interno del congresso a quello tra questo e il presidente. La
contrattazione partitica subì un netto calo. Matthew S. Shugart, John M. Carey, op. cit., 309-310-311.
27
Come si può notare l’istituzione del Tribunale avvenne alcuni anni dopo la creazione dell’istituto del
ricorso. Fernando Muæoz León, op. cit., p. 269.
28
Il già citato caso di Alessandri nel ’32.
29
Patricio Navia, La transformación de votos en escaæos: leyes electorales en Chile, 1833-2004, «POLÍ-
TICA y gobierno», Vol. XII, Num. 2, 2° sem. 2005, p. 239.
12
Santiago, la capitale, passando per i dodici di Valparaíso e così via
30
. Gli articoli 40 e 41
Cost., stabilivano invece il numero di circoscrizioni senatoriali (9, le quali producevano
un numero fisso di 5 senatori cadauna), rimandando alla legge elettorale la loro delimi-
tazione e la ripartizione dei seggi di Camera e Senato.
Nello specifico, la legge elettorale del 19 settembre 1925, adottata con decreto
legge n. 542, prevedeva per l’assegnazione dei seggi di entrambe le camere, il metodo
proporzionale con ripartizione D’Hondt, in sostituzione del sistema fino allora utilizza-
to, quello “cumulativo”
31
in vigore dal 1874. I partiti ottennero in virtø di questa modi-
fica, una grande influenza sulle liste, da allora in avanti chiuse. Questo per ciò che ri-
guardava le camere.
Il sistema di elezione del Presidente non aveva bisogno di particolari spiegazioni:
il vincitore sarebbe stato il candidato che avesse riportato la maggioranza assoluta dei
voti in elezioni universali, basata su un collegio nazionale unico. Nel caso ciò non fosse
bastato, la parola sarebbe spettata al Congresso in sessione plenaria, il quale avrebbe
provveduto alla ratifica del candidato che avesse riportato alle urne la maggioranza rela-
tiva dei voti, o ad un’elezione autonoma tra i primi due, o, nei casi previsti dalla costitu-
zione, sarebbe stato il Presidente del Senato a provvedere
32
. Le terze, ma non meno si-
gnificanti, erano le elezioni municipali, impostate anche’esse sul criterio di proporziona-
lità
33
.
30
Patricio Navia, op. cit., p. 242.
31
Consisteva nell’attribuire a ciascun elettore, una quantità di preferenze uguale al numero di cariche da
assegnare nella circoscrizione. Il cittadino poteva poi distribuirle secondo la sua volontà, tra due o piø
candidati, o concentrarli, “accumularli” appunto, su uno solo, da qui il nome del sistema. Jaime Antonio
Etchepare Jensen, op. cit., p. 149.
32
Artt. 63, 64 e 65 Cost. 1925; in democrazie multipartitiche con sistemi presidenziali e sistemi elettorali
proporzionali, i presidenti e il loro partito di provenienza detengono spesso una maggioranza relativa.
Matthew S. Shugart, John M. Carey, op. cit., pp. 77-273.
33
Nel 1959 venne modificata la durata in carica dei sindaci: con Ley de Reforma Constitucional n. 13.296
del 02.03.1959, si passò da 3 a 4 anni (art. 102, 1° c.). In un secondo comma dell’articolo si prescrisse lo
svolgimento della loro elezione l’anno dopo quello per il Senato e per la Camera. Matthew S. Shugart,
John M. Carey, op. cit., p. 379.