2
CISS per sopperire a queste lacune conoscitive ha realizzato un percorso
formativo per badanti. Ho analizzato questo e altri percorsi per meglio
capire come i vari enti pubblici e non si stanno muovendo per migliorare la
qualità del lavoro di cura privato.
Nel primo capitolo si focalizza l’attenzione su alcune teorie che
mostrano e spiegano come l’immigrazione non sia solo un fenomeno
maschile ma sempre più anche femminile. Si spiegano le ragioni di
queste migrazioni, la natura dei progetti migratori di queste donne, che
decidono di migrare lasciando i loro affetti nel paese d’origine. In ultimo, si
descrivono le tappe delle migrazioni femminili in Italia.
Nel secondo capitolo si parla del sistema di Welfare italiano, propenso
soprattutto a fornire aiuti di tipo economici alle famiglie piuttosto che
realizzare una efficace programmazione di progetti volti ad offrire servizi di
cura. Si individuano le risposte istituzionali e le risposte sociali per il
soddisfacimento dei bisogni di cura della popolazione anziana.
Il terzo capitolo tratta del lavoro di cura svolto dalle assistenti familiari.
Si pone l’attenzione sulla difficile relazione intercorrente tra l’assistente
familiare e l’anziano. Si sottolinea l’esistenza di un Welfare invisibile
formato dalle donne straniere occupate nel lavoro di cura. Infatti, il lavoro
di cura prestato dai singoli carers dà forma ad un mercato in cui avviene
l’incontro tra la domanda di assistenza delle famiglie e l’offerta di lavoro
delle immigrate, anche se segmentato, poco visibile e sommerso.
Nel quarto capitolo si effettua una analisi comparativa tra alcuni corsi di
formazione organizzati da diversi enti ed organizzazioni. I corsi sono
analizzati e confrontati in base alla durata, alla loro organizzazione e
strutturazione e ai crediti formativi che rilasciano al termine del percorso
formativo.
Il capitolo quinto analizza il Progetto “Servizi integrati a sostegno
dell’assistenza familiare qualificata” realizzato dal CISS di Chivasso in
collaborazione con altri parterns locali. Dopo una breve panoramica sulla
struttura organizzativa del CISS, si esaminano le fasi di realizzazione del
progetto e le criticità del percorso formativo per assistenti familiari.
3
CAPITOLO PRIMO
L’IMMIGRAZIONE FEMMINILE IN ITALIA
1.1 La migrazione femminile: alcuni cenni teorici
Negli ultimi anni, le migrazioni femminili sono diventate un tema
centrale delle ricerche sociologiche italiane e straniere. Le donne sono
sempre state presenti nei flussi migratori, ma il fenomeno è stato per molto
tempo trascurato, Corigliano e Greco (2005), tra gli altri, mettono in
evidenza come le analisi che hanno cercato di spiegare i fenomeni
migratori abbiano prevalentemente avuto un approccio neutrale rispetto al
genere.
Esistono diverse teorie sulle migrazioni
1
che, pur nella loro diversità,
hanno una costante: l’idea che il migrante sia un uomo. Sebbene siano
prese in considerazione anche la famiglia e le reti, quali risorse che
contribuiscono a determinare e sostenere la scelta e il progetto migratorio,
le strategie migratorie sono state sempre e comunque affidate al genere
maschile.
Il ruolo delle donne, all'interno di questi approcci, ha per molto tempo
ricoperto unicamente la funzione di accompagnamento della forza lavoro
maschile e di riproduzione di pratiche sociali e culturali in ambito
1 Per la teoria neoclassica le migrazioni internazionali sono determinate dai differenti
livelli di domanda ed offerta di lavoro, infatti le diversità di salario spingono i lavoratori dei
paesi con un basso livello retributivo a muoversi verso i paesi con livello retributivo più
elevato. Si ritiene così che le migrazioni internazionali di lavoratori siano causate dalle
differenze dei tassi salariali tra i paesi. Un alternativa alle teorie neoclassiche sono le
teorie marxiste, che mostrano la contrapposizione tra la razionalità del calcolo utilitaristico
individuale a quella del capitale. L’attenzione è posta sul ruolo del rapporto di produzione
e delle strutture macro-economiche, includendo sia la divisione del lavoro domestico e
della ricchezza internazionale del lavoro e della produzione. Gli immigrati andavano a
collocarsi nei segmenti più bassi del mercato del lavoro ed erano preferiti dai datori di
lavoro, diventando una componente strutturale del processo di espansione capitalistica.
Per una trattazione esaustiva di questi diversi approcci si rimanda ad Ambrosini M. (2005)
e Decimo F. (2005).
4
domestico e comunitario. Lo schema di Bohning (1991) sull’evoluzione dei
processi migratori mostra, ad esempio, che le donne compaiono sempre al
seguito del marito o del padre. Nel primo stadio emigrano i maschi celibi o
non accompagnati dal coniuge, nel secondo emigrano uomini soli non più
giovani, nel terzo le donne a seguito dei mariti, nell’ultimo stadio del
processo emigrano donne e bambini per ricongiungere il nucleo familiare.
Negli ultimi anni sono apparsi nuovi contributi alla spiegazione dei
fenomeni migratori che hanno inteso privilegiare un approccio di genere.
In particolare l’approccio strutturalista (Wallerstein,1985; Sassen, 2002)
e pone l’attenzione sullo studio della migrazione in generale e di quella
femminile in particolare, prestando particolare attenzione agli aspetti
macro-strutturali, soprattutto quelli legati all'organizzazione e
globalizzazione del mercato del lavoro.
L’ approccio strutturalista allo studio delle migrazioni femminili ci aiuta a
capire quanto le differenze e i ruoli di genere siano rilevanti nei processi
migratori. La teoria strutturalista, infatti, collega il costante aumento del
numero delle immigrate con la divisione internazionale e la
globalizzazione del lavoro domestico, in cui il progressivo aumento di
domanda di cura alla persona e all’ambiente domestico si traduce in
mansioni a basso costo prevalentemente attribuite alle donne straniere
(Ehrenreich e Colombo, 2003). Questa domanda di colf, baby-sitter,
badanti ha origine dall’aumento del tasso di occupazione femminile nei
paesi ad economia avanzata e dal perdurare di sistemi normativi (struttura
di genere
2
) che pongono la sfera domestico-affettiva come di naturale
competenza femminile. Esiste un elevato scarto tra lavoro di cura atteso e
manodopera disponibile, che viene in parte colmato attraverso una nuova
divisione del lavoro di riproduzione sociale, che si dispiega a livello
2
Il genere è la definizione socialmente costruita di donne e uomini. E’ l’immagine sociale
della diversità di sesso biologica, determinata dalla concezione dei compiti, delle funzioni
e dei ruoli attribuiti a donne e uomini nella società e nella sfera pubblica e privata. Per
genere non si intende solo una definizione socialmente costruita di donne e uomini, ma
anche una definizione culturalmente costruita della relazione tra i sessi. In questa
definizione è implicita una relazione ineguale di potere, col dominio del maschile e la
subordinazione del femminile nella maggioranza delle sfere della vita. (Saraceno, 2001)
5
internazionale e mobilita flussi di lavoratrici da diverse parti del mondo.
Secondo la prospettiva di Sassen (2002), quando le donne emigrano
partecipano a due configurazioni dinamiche: le città globali e i circuiti di
sopravvivenza nati per rispondere al progressivo impoverimento dei paesi
del Terzo Mondo. Nelle città globali si sono sviluppate le attività di gestione
e di coordinamento dell’economia globale, che hanno generato un
aumento della richiesta di professionisti di alto livello, di conseguenza lo
stile di vita di questi professionisti ha sviluppato la domanda di lavoratori
con bassi livelli di retribuzione e con mansioni di servizio. La
globalizzazione del lavoro domestico femminile è una sinergia tra bisogni
di aiuto per le donne dei paesi più avanzati e bisogno di lavoro per le
donne dei paesi poveri, e mette in luce come sempre più spesso le
famiglie borghesi e benestanti dipendano da donne immigrate dei paesi
meno avanzati economicamente. I fattori di globalizzazione economica e
sociale aumentano ed accentuano le differenze tra i paesi sviluppati e
quelli in via di sviluppo o sottosviluppati,ma allo stesso tempo permettono
ad un maggior numero di persone l’accesso al circuito economico.
Le migrazioni, sia maschili che femminili, sono dovute, secondo questi
approcci strutturalisti, ad una serie di fattori economici, come la
coesistenza tra settori ad alta e a bassa produttività, la diversità del tenore
di vita dei paesi di emigrazione rispetto a quello dei paesi d’immigrazione,
aspetti salariali, disponibilità di beni di consumo, e lo spostamento dei
lavoratori indigeni a segmenti del mercato del lavoro con alta produttività,
che portano ad un economia più discontinua ed una forza lavoro più
flessibile. La forza lavoro immigrata si dirige verso i settori dove la
regolamentazione del lavoro è più debole, dando vita ad un settore
secondario del mercato del lavoro. Secondo Piore, il concetto di mercato
del lavoro secondario va interpretato come un riflesso del dualismo della
struttura produttiva. Piore (1979) propone una visione macro del processo
migratorio, non più legata alle scelte individuali o familiari, che sottolinea
come la struttura economica propria delle nazioni sviluppate richieda
costantemente manodopera d’importazione. Questa teoria denominata
6
teoria del mercato duale del lavoro esprime un mercato del lavoro con
caratteristiche diverse da quelle del mercato tradizionalmente concepito, e
cerca di comprendere perché un sistema continui a richiedere
manodopera immigrata nonostante un elevata disoccupazione e perché i
salari non riflettano soltanto i livelli della domanda e dell’offerta di lavoro.
Tradizionalmente il mercato del lavoro secondario era destinato ad
adolescenti, anziani e donne. Queste ultime erano motivate solo ad
incrementare il reddito familiare o a disporre di una relativa autonomia
economica, ma con l’aumento dei livelli di istruzione, l’aumento di famiglie
monogenitoriali con la donna come unico genitore, il calo dei tassi di
natalità, le donne sono indotte a cercare professioni più stabili e
remunerative. Tenuto conto che la forza lavoro autoctona tende a ricercare
i segmenti di mercato che offrono maggiori garanzie, l’unica soluzione è
quella di ricorrere a forza lavoro straniera. Come descritto in precedenza,
la richiesta di manodopera disposta a occuparsi a basso costo ai lavori di
cura si iscrive in questo processo.
I processi migratori femminili possono essere visti anche secondo altre
lenti interpretative, come le teorie transnazionaliste (Schiller, 1992; Basch,
1994). Ragionare in termini di transnazionalismo
3
significa superare le
tradizionali categorie di emigrante e immigrato, e cessare di concepire la
migrazione come un processo che ha un luogo d’origine e un luogo di
destinazione. I trasmigranti sono coloro che collegano i due poli del
movimento migratorio, mantenendo un ampio arco di relazioni sociali,
affettive o strumentali attraverso i confini.
Cambia il processo migratorio: per molti migranti l’esperienza migratoria
non assume più la forma di uno spostamento definitivo, si parla di mobilità
transnazionale (Mahler e Pessar 2001). L’uso di un approccio
3
Portes e Landolt (1999) hanno distinto tre livelli di transnazionalismo: economico,
politico, socio-culturale. Ognuno di essi si articola in espressioni che manifestano gradi
diversi di istituzionalizzazione: in campo economico si può spaziare dagli operatori
commerciali transfrontalieri informali, agli sportelli aperti nei luoghi di immigrazione dalle
banche dei paesi di provenienza; in campo politico dalla partecipazione o dal sostegno
finanziario a comitati di iniziativa civica nei luoghi di origine all’elezione di propri candidati
nei parlamenti della madrepatria; in campo socio-culturale dall’esibizione di gruppi di
musica folk all’organizzazione regolare di eventi culturali in collaborazione con le
ambasciate.
7
transnazionale nello studio delle reti migratorie, comporta due novità: una
bi-direzionalità più accentuata degli scambi e dei flussi, vengono messe in
evidenza le trasformazioni indotte nei luoghi di origine dai migranti che,
oltre a inviare rimesse, mantengono in modo continuativo attività e
interessi in patria promuovendo attività economiche, sostenendo
programmi sociali, associazioni e istituzioni religiose, partecipando ad
attività politiche, si parla così di un’incorporazione dei transmigranti in
campi sociali stratificati, dalla famiglia ai regimi politici nazionali (Levitt, De
Wind e Vertovec, 2003); collocazione dei network nel complesso dei
legami che connettono paesi diversi. Il concetto di network comprende un
una serie di fenomeni sociali, che fanno riferimento ai processi di
inserimento nel mercato del lavoro, di insediamento abitativo, di
costruzione di legami di socialità e mutuo sostegno, di rielaborazione
culturale, nel senso del mantenimento, della riscoperta, della ridefinizione,
o della “reinvenzione” dell’identità “etnica” nelle società ospitanti.
La mobilità transnazionale può essere vista come la costruzione di un
network, che contemporaneamente dipende e rafforza le relazioni sociali.
Il processo migratorio può essere assimilato ad una catena nella quale le
decisioni di migrare individuali generano i network
4
, i quali condizionano le
decisioni individuali di migrare in un sistema definito network creating e
net-dependant (Zanfrini, 2004). Nel network le unità d’analisi non sono nè
le famiglie né i singoli individui, ma complessi di persone unite da
conoscenza, parentela ed esperienze di lavoro, rappresentando così una
visione del fenomeno migratorio di tipo meso. Il network a livello micro,
rappresenta per l’individuo una riduzione dei costi e dei rischi della
migrazione (offrendo assistenza, supporto materiale ed emotivo, contatti
per l’accesso al lavoro), mentre a livello macro attraverso il singolo atto
migratorio, rende la scelta migratoria meno rischiosa e meno costosa e
quindi via via più probabile.
4
Ci sono network a dominanza maschile, network a dominanza femminile (di solito più
“maturi” in termini di anzianità di insediamento) e network che presentano una
composizione di genere bilanciata, con la formazione di nuclei familiari e seconde
generazioni (Abbatecola, 2002).
8
Nasce così la figura del migrante transnazionale. “Questa sembra avere
caratteristiche diverse dell’immigrato del passato: in numero sempre
maggiore arriva da un paese dell’est, ha un titolo di studio medio - alto,
attua strategie in campo economico più complesse e, soprattutto, sempre
più spesso è una donna” (Corigliano, Greco, 2005, pag 21).
È, infatti, la femminilizzazione delle migrazioni l’aspetto più interessante
dei nuovi processi migratori. Le immigrate usufruiscono nel paese
ospitante di una serie di reti sociali di connazionali, che garantiscono loro
un sostegno materiale e psicologico. Queste reti si basano su legami che
uniscono i migranti tra di loro, solitamente sono reti amicali o parentali che
influenzano il processo migratorio dalla partenza alla permanenza in Italia.
Le reti di sostegno su cui possono contare le donne straniere sono
importanti per il superamento degli ostacoli dovuti alle politiche di entrata e
di soggiorno nel nostro paese, a quelle del mercato del lavoro, della non
conoscenza della cultura e della lingua italiana e, spesso, sono formate da
altre donne, come sorelle, cugine, zie, che sono migrate prima di loro. Le
reti femminili danno luogo a svariate forme di sostegno, che spaziano dalla
vicinanza emotiva, alla ricostruzione di pratiche e legami comunitari, al
raccordo con la società ospitante e i suoi attori, all’aiuto materiale.
Queste reti migratorie mettono a disposizione il “capitale sociale etnico”
(Esser, 2004): un capitale sociale la cui utilizzabilità dipende dall’esistenza
di una “comunità etnica” insediata nella società ricevente o di un network
transnazionale. Questo capitale sociale, secondo Esser, soffre della
carenza di abilità e conoscenze che possano essere impiegate nel nuovo
ambiente, nonché dell’impatto di pratiche discriminatorie più o meno
esplicite. In certe circostanze però, l’impiego del capitale sociale etnico e
l’impegno a migliorarne la produttività possono diventare un’opzione
ragionevole, per esempio nell’investimento in forme di ethnic business o
nell’organizzazione di movimenti politici a base etnica.
Le donne diventano, quindi, soggetti attivi,
protagoniste del proprio
processo migratorio, e si comincia a considerare il genere non più come
una semplice variabile, ma come una categoria che permette di descrivere
9
i fenomeni migratori. Nell’ambito del transazionalismo le relazioni di
genere tendono a diventare più complesse, e si pone l’attenzione sulla
rinegoziazione di ruolo che le donne compiono all’interno e all’esterno
della famiglia. Infatti, le reti migratorie femminili sono un fattore di
trasformazione dei rapporti di genere e di costruzione di nuove identità
femminili: le donne conquistano attraverso l’emigrazione spazi di
autonomia ed emancipazione, accrescendo il loro status all’interno della
famiglia e della comunità di origine; ma non di rado devono affrontare la
sofferenza della “maternità transnazionale”, ossia dello sforzo di
mantenere nella misura del possibile i rapporti con i figli, pur essendo
obbligate a separarsi fisicamente per lunghi periodi da essi, al fine di
offrire loro la prospettiva di una vita migliore.
Come vedremo nel prossimo paragrafo il numero di donne che
decidono di migrare, anche verso il nostro paese, è in costante aumento, e
vanno a collocarsi nel mercato del lavoro domestico e di cura, andando a
ricoprire quei ruoli lasciati scoperti dalle donne autoctone sempre più
orientate verso attività lavorative che le portano fuori casa.
1.2 La presenza delle donne in Italia
Nelle prime ricerche europee degli anni Cinquanta e Sessanta sui flussi
migratori non venivano considerate le donne come attori decisivi delle
migrazioni, infatti per la letteratura classica il protagonista delle migrazioni
internazionali in quegli anni era l’uomo. La componente femminile è stata
per lungo tempo considerata solo come un fattore di stabilizzazione del
flusso migratorio e l’attenzione era rivolta più al ricongiungimento familiare:
la donna raggiungeva il marito nel paese d’immigrazione e assumeva il
tradizionale ruolo di moglie e madre. Alcuni storici delle migrazioni
(Ambrosini, Decimo, 2005), comunque, hanno mostrato che flussi
migratori prevalentemente femminili che partivano dall’Europa, sono
esistiti anche in passato tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
10
La realtà migratoria femminile italiana è importante ed interessa tutto il
territorio nazionale, anche se la differenziazione economica e geografica
delle singole realtà locali hanno indotto una prima localizzazione del flusso
migratorio centrata nelle grandi città e nelle regioni del centro-sud. Il
passaggio ad un fenomeno di settentrionalizzazione, in particolare nel
nord-est, dei flussi migratori è avvenuto agli inizi degli anni novanta, in
virtù della connessione fra ragioni strettamente economiche (legate alle
opportunità occupazionali offerte dal territorio locale che hanno indotto una
"migrazione interna" al territorio italiano degli stranieri già presenti) e la
comparsa di nuove correnti migratorie provenienti direttamente dai Paesi
dell'Europa Orientale.
La relativa compenetrazione temporale fra gli eventi accennati fa
definitivamente perdere alle regioni del nord-est quel carattere di
"estraneità territoriale" inerente al primo flusso immigratorio originario dalla
sponda Sud del Mediterraneo, rendendole, al contrario, nuovi poli attrattivi
per la nuova e vecchia immigrazione.
La storia dell’immigrazione femminile in Italia è riconducibile a quattro
periodi temporali che scandiscono le fasi del fenomeno (Tognetti-
Bordogna, 2006): dalla metà degli anni Sessanta, agli inizi degli anni
Ottanta, gli anni Novanta, il nuovo millennio.
La prima fase inizia verso la metà degli anni Sessanta, e i flussi
migratori sono caratterizzati da una forte presenza femminile: sono le
donne a costruire le prime catene migratorie. Sono donne sole,
provenienti principalmente dalle Filippine, Capo Verde, Eritrea. Sono
donne giovani che giungono nel nostro paese grazie alle organizzazioni
missionarie presenti nei loro stati di origine, che fanno da tramite tra le
donne immigrate e le donne italiane che cercano collaboratrici
domestiche. In questi anni vediamo una doppia presenza delle donne,
perché iniziano a lavorare fuori casa oltre che ad occuparsi della famiglia.
Per la mancanza di una buona rete di servizi si vedono costrette a
ricorrere a collaboratrici domestiche, badanti, baby-sitter.
11
La seconda fase ha inizio nei primi anni Ottanta, ed è caratterizzata da
un elevata immigrazione maschile, a seguito di politiche introdotte da
alcuni paesi europei (come Francia, Germania, Inghilterra che avevano
una maggiore attrazione economica) che frenano l’immigrazione. Quando
l’uomo raggiunge una stabilità lavorativa ed economica si crea un flusso
di immigrazione femminile per il ricongiungimento familiare. I lavoratori
migranti trovano occupazione principalmente nel settore terziario, in
particolare al centro-nord che permette loro maggiore stabilità lavorativa e
di conseguenza un’immigrazione più stanziale. Al sud la precarizzazione
del lavoro permette a questi nuovi lavoratori solo di inserirsi in ambiti
lavorativi precari e instabili, determinando continui flussi migratori in
entrata e in uscita.
A partire dagli anni Novanta prende avvio una terza fase che è
caratterizzata da un sostanziale equilibrio tra uomini e donne. da un flusso
migratorio composto da donne provenienti da paesi dell’Est Europa.
Donne in possesso di un titolo di studio, con esperienze lavorative alle
spalle, il cui progetto migratorio è legato al risparmio di denaro da poter
inviare alla famiglia rimasta nel paese d’origine.
Nel nuovo millennio assumono sempre maggiore rilevanza, anche per il
welfare, le donne immigrate, in particolare le donne che svolgono lavoro di
cura (le cosiddette badanti). Queste donne provengono principalmente dai
paese dell’Ex Unione Sovietica, e arrivano in Italia spinte dalla critica
condizione economica in cui si trova la loro famiglia, sono principalmente
madri che quindi si devono separare dai propri figli. Sono presenti su tutto
il territorio nazionale, e hanno un costante collegamento con il paese
d’origine ed inviano a casa soldi, vestiti ed altri beni materiali.
Le donne migranti sono in aumento nel nostro paese, basti pensare che
al 1 gennaio del 2006 il numero di donne immigrate era pari a 1.319.926,
mentre al 1 gennaio del 2007 tale numero è aumentato a 1.465.849,
anche se a questo aumento non è seguita una maggiore accettazione ed
integrazione.