8
Il dibattito storico sulle ragioni per cui la capacità punitiva dello Stato non
sia esercitabile “al di fuori del tempo”, ma debba trovare limiti definiti
entro i quali esprimersi, ha portato alla formazione di molteplici
ricostruzioni. In realtà, mentre alcune di esse (quali, ad esempio, la teoria
dell’emenda e quella della prova) appaiono oggi superate, altre invece si
presentano più attuali. In particolare, l’orientamento prevalente tende ad
oscillare tra una prospettiva garantista, che concepisce la prescrizione del
reato come forma di tutela del singolo, ed una concezione utilitaristica,
come mancanza di interesse dello Stato ad una punizione tardiva.
Emerge la tipica ambivalenza del fondamento razionale del meccanismo
prescrittivo, la sua cd. “doppia anima”: infatti, mentre, da un lato, a
fondamento dell’istituto si pone una esigenza di garanzia di chiara
impronta personalistica, che impedisce la sottoposizione del singolo alla
“spada di Damocle” della giustizia penale per un tempo indeterminato,
dall’altro lato, però, il diritto positivo riconduce la prescrizione anche ad
una valutazione di opportunità politica, esprimendo l’idea di una
necessaria temporaneità della risposta statuale all’illecito.
Inoltre, nell’attuale sistema normativo, anche a seguito delle recenti
riforme legislative in materia, la prescrizione si presta a facili
strumentalizzazioni, che tendono a ridurre l’istituto, al di là delle originarie
rationes, ad una mera forma di “epilogo scontato” per tutti quei reati in cui
la magistratura non riesce a giungere tempestivamente ad un accertamento
sulla responsabilità dell’autore. Non deve, pertanto, essere taciuto il
rischio insito nello snaturamento dell’istituto prescrittivo, che sempre più
frequentemente costituisce una reazione patologica all’eccessiva lunghezza
dei processi.
9
In simili ipotesi, la prescrizione sancisce “il trionfo dell’oblio” e il
sostanziale perdono giudiziale, perché decreta la non punibilità del reato
quale sanzione per l’inceppamento della macchina processuale.
Ad integrazione di tutto ciò, le recenti riforme introdotte dalla l. 5 dicembre
2005, n. 251 non si sono occupate di risolvere tali preoccupanti distorsioni
applicative, andando al contrario ad accentuarne la gravità. Infatti, al di là
di alcune limitate eccezioni, la modifica legislativa ha portato ad una
generale abbreviazione dei termini prescrizionali, incidendo negativamente
sulla situazione processuale, già gravata dalla difficoltà di smaltire
tempestivamente l’eccessivo carico di lavoro. L’unica eccezione a tale
complessiva riduzione dei termini riguarda il cd. illecito “bagatellare” o di
minore gravità, e cioè quei delitti astrattamente puniti con una pena
detentiva massima inferiore ai cinque anni e tutte le contravvenzioni.
Oltre alla sistematica riduzione dei tempi prescrizionali, la cd. legge “ex
Cirielli” ha modificato anche il meccanismo di computo dei termini.
Mentre prima della riforma, il tempo necessario a prescrivere veniva
calcolato stabilendo determinati termini, a seconda dell’entità della pena
massima prevista in astratto dal legislatore, nella formulazione attuale,
invece, si stabilisce che il tempo necessario a prescrivere corrisponda
direttamente al massimo della pena edittale. La modifica normativa ha
investito, inoltre, anche altri aspetti collaterali della disciplina giuridica
dell’istituto prescrittivo come, ad esempio, le modalità per determinare la
pena di riferimento per il calcolo della prescrizione o alcuni aspetti del
regime normativo delle cause interruttive e sospensive della causa di
estinzione.
Particolarmente complesso e articolato è anche il regime transitorio
introdotto dalla riforma, che ha peraltro suscitato, in parte della dottrina e
della giurisprudenza, forti dubbi di legittimità costituzionale.
10
In particolare, il sistema delle disposizioni transitorie, prevedendo regimi
diversificati, finirebbe per introdurre forti disparità nel trattamento di
situazioni giuridiche simili, in contrasto soprattutto con l’art 3 Cost.
Simili considerazioni hanno spinto pertanto alcuni autori ad una
riflessione critica più approfondita sull’intero impianto della nuova
disciplina, finendo con il mettere in evidenza “luci e ombre” della riforma
nel suo complesso. Infatti, al di là della valutazione sulla compatibilità
costituzionale del regime transitorio introdotto dalla “ex - Cirielli”, appare
inevitabile sottolineare le molteplici incongruenze del nuovo assetto
legislativo che, sotto certi aspetti, appare l’emblema della realizzazione di
un “diritto diseguale”.
In ultimo, resta da accennare alla decisiva svolta normativa, introdotta di
recente dall’art. 29 dello Statuto di Roma della Corte penale
internazionale, grazie alla quale si è finalmente giunti al definitivo
riconoscimento formale del principio dell’imprescrittibilità. Le ragioni
ideologiche dell’istituto prescrittivo cedono il passo di fronte a quegli
illeciti che, per la loro eccezionale gravità e odiosità, imprimono un
marchio indelebile nel ricordo collettivo, impendendone l’oblio. In questo
senso, la riflessione sull’imprescrittibilità si lega inevitabilmente al tema
dei cd. crimina juris gentium, ossia a quelle violazioni gravi, ripetute e
sistematiche ai diritti umani universalmente riconosciuti.
Le gravi offese arrecate all’intero genere umano producono una
riprovazione e un’indignazione tale nella coscienza giuridica collettiva che
impediscono l’uso dei normali canoni di giustizia, richiedendo
l’applicazioni di speciali regole repressive.
Del resto, di fronte a simili violazioni, solo garantendo una capacità
punitiva “fuori dal tempo”, è possibile impedire la falsificazione della
storia e la distorsione del ricordo collettivo.
11
Prima parte
I fondamenti della prescrizione
12
Capitolo I
Il ruolo del tempo nel diritto
1) La funzione “coscienziale” del tempo
La prescrizione penale rappresenta la rinuncia dello Stato alla pretesa
punitiva attraverso l’attribuzione di valore giuridico ad un determinato
fatto naturale: il decorso del tempo. Nell’accostarsi al tema della
prescrizione, dunque, non è possibile prescindere da un’analisi del
ruolo del tempo nel diritto, a partire dalla sua definizione di
“ineluttabile e irreversibile successione di fatti”
1
. Già attraverso tale
nozione è possibile comprendere come l’idea di tempo implichi una
connessione cronologica di fatti diversi, i quali acquistano un preciso
valore proprio grazie alla relazione temporale che lega gli uni agli
altri. In altre parole, il tempo svolge una funzione “significante” o
“coscienziale”, consentendo di attribuire valore ai fatti tra cui si istaura
una relazione cronologica. Tale funzione può essere svolta anche
nell’ambito del diritto, dato che anche questo può essere inteso come
un insieme di fatti connessi tra di loro in base al rapporto temporale. Si
pensi, in proposito, all’elaborazione di una norma giuridica o di un
atto negoziale; si tratta di agglomerati di fatti a cui l’ordinamento
1
CAPOZZI, L’individuo il tempo la storia, Napoli, 2000, p.27.
13
giuridico riconosce un preciso significato, un determinato valore
giuridico, anche in ragione della loro successione temporale. Come
ogni entità sociale, dunque, anche “il mondo del diritto è
compenetrato nella dimensione coscienziale del tempo
2
”.
La prescrizione penale costituisce una delle manifestazioni forse più
intense della funzione significante del tempo nel diritto; infatti si tratta
di un istituto congegnato sul meccanismo del decorso di un certo lasso
temporale, prestabilito al momento della commissione del fatto, a cui
l’ordinamento riconosce e attribuisce un preciso effetto giuridico: la
rinuncia alla pretesa punitiva. Volendo tracciare una prima definizione
dell’istituto, al fine di coglierne i tratti caratteristici preliminari,
soprattutto nella sua relazione con il tempo, è possibile delineare la
prescrizione come “istituto di durata”, fondato su una relazione
temporale, avente una finalità di delimitazione degli effetti giuridici
3
.
Il primo aspetto da esaminare riguarda allora l’effetto giuridico, il
valore significante, che la funzione coscienziale del tempo svolge
nell’istituto della prescrizione. Al trascorrere di un determinato
lasso cronologico, che inizia dal tempus commissi delicti e
termina nel momento della punizione, si attribuisce l’effetto di
separare il nesso inscindibile tra il reato e la pena. In altre parole,
nel suo concreto operare, la prescrizione è in grado di recidere
definitivamente il legame tra reato e pena, impedendo a
quest’ultima di intervenire come conseguenza ineluttabile della
commissione di un fatto penalmente illecito
4
. Si determina così la
2
GIUNTA-MICHELETTI, Tempori cedere.Prescrizione del reato e funzioni della
pena nello scenario della ragionevole durata del processo, Torino, 2003, p. 8.
3
GIUNTA-MICHELETTI, Tempori cedere.Prescrizione del reato e funzioni della
pena nello scenario della ragionevole durata del processo, op. cit., p. 8 ss.
4
SILVANI, Lineamenti per una storia della prescrizione penale. Dall’ottocento al
codice Rocco, in Materiali per una storia della cultura giuridica, XXXIII, n.2, p.
429.
14
frattura di un nesso logico astrattamente inscindibile e, proprio
per questo motivo, la prescrizione viene concepita, nelle
intenzioni dei compilatori del codice del 1930, come “una
eccezione al rigido principio di giustizia in base al quale ad ogni
delitto deve seguire una punizione”
5
. Il trascorrere del tempo fa
venir meno l’interesse e la necessità della punizione, giacché per
giustificare l’attuazione del diritto non è più possibile invocare la
necessità di reintegrare l’ordine pubblico turbato dalla
commissione del reato. Infatti, se trascorre un notevole lasso
temporale, è ragionevole ritenere che l’equilibrio sia stato
ristabilito e che il ricordo del reato si sia ormai affievolito, fino a
scomparire dalla coscienza pubblica
6
. In questa ipotesi, per
concludere, non sarebbe più giustificato l’esercizio della potestà
punitiva perché è del tutto naturale che ciò che è avvenuto a
lunga distanza di tempo si sbiadisca e si perda nella memoria.
Da un punto di vista più strettamente sociologico, una punizione
tardiva rispetto al reato si presenta come svincolata dal suo dover
essere e appare, più che altro, quasi un mero desiderio di
5
Relazione al progetto definitivo per un nuovo codice penale, in Lavori
preparatori al codice penale e di procedura penale, V, pt.I, Roma, 1929, p. 206 in
base al quale “il rigido principio di attuazione della giustizia per cui al delitto
dovrebbe seguire in ogni caso la pena non tollererebbe idealmente ostacolo o
deroga alcuna: tanto meno quello che si concreta nel solo decorso del tempo.
Tuttavia (…) sarebbe come andare contro una legge inesorabile di natura
disconoscere tale azione corroditrice del tempo; o anche considerare il rapporto
giuridico penale tra quelli, in verità rari, che l’ordinamento giuridico sottrae
all’influenza estintiva del tempo. Data la natura squisitamente pubblicistica di tale
rapporto, il problema consiste nel non eccedere nella valutazione di questo
elemento naturale e del non largheggiare nell’ammissione di questa causa di
estinzione”.
6
In proposito, il decorso di un certo lasso di tempo priva di significato
l’accertamento della responsabilità in quanto “ogni giorno che passa è un giorno
che si aggiunge al libro dell’oblio”, vedi PADOVANI, Diritto penale, VI ediz,
Milano, 2002, p. 337, citazione di CRIVELLARI, Il codice penale per il regno
d’Italia, IV, Torino, 1892, p.569.
15
vendetta, sentimento che sicuramente non può essere fatto
proprio dagli ordinamenti civili. Per queste ragioni, la
prescrizione serve a cancellare collera e risentimento e trova,
inoltre, una naturale corrispondenza nell’ “oblio delle prove,
nell’usura del tempo sulla memoria dei testimoni”, dando vita
“ad un oblio imposto o giuridicamente consacrato, ossia ad una
presunzione ordinamentale di perdita della memoria che
esprime, al contempo, anche l’idea di un perdono tecnico-
giuridico, implicito al trascorrere del tempo”
7
. In questo senso,
la prescrizione penale si connota come prescrizione estintiva
della potestà dello Stato rispetto alla repressione del fatto
concreto; e precisamente costituisce una rinuncia preventiva ad
essa, frutto di una precisa scelta legislativa, condizionata
all’avvenuto decorso continuativo di un certo periodo di tempo.
Soltanto per effetto di tale rinuncia, e non per la mera decorrenza
del tempo, l’autore del reato non viene punito. Per queste ragioni,
è del tutto da escludere che si tratti di una “prescrizione
acquisitiva”, rispetto ad un presunto diritto dell’autore alla non
punibilità. In realtà, questo effetto consegue non direttamente
rispetto al trascorrere del tempo, ma solo attraverso un
“passaggio”logico-giuridico rappresentato dall’inevitabile
rinuncia statale al suo potere punitivo. Deve quindi essere
respinta la tesi che ritiene che il diritto alla non punibilità si possa
acquisire, perché finisce con lo snaturare la prescrizione,
riducendola ad una sorta di istituto che sanziona la negligenza
dello Stato quando non sia intervenuto tempestivamente,
privandolo di uno dei suoi poteri primari. Tale ricostruzione della
7
GARGANI, Il tempo dal reato, i crimini imprescrittibili, p.2.
16
potestà punitiva dell’ordinamento poteva tutt’al più essere
giustificata nel sistema accusatorio del processo romano, ma oggi
non appare più avere fondamento, visto che la funzione penale
implica non solo esercizio di poteri, ma anche un complesso di
doveri, che non possono estinguersi mediante inadempimento. In
sintesi, alla base della prescrizione rinveniamo una precisa scelta
del legislatore di attribuire un valore determinato al trascorrere
del tempo e di renderlo idoneo a fondare una rinuncia alla pretesa
punitiva
8
. Sulle ragioni che hanno spinto il legislatore ad
attribuire tale funzione al trascorrere del tempo ci soffermeremo
nel prossimo capitolo, quando analizzeremo le origini storiche
dell’istituto e la sua ratio.
2) La dimensione temporale del fatto
E’ appena stato sottolineato come la prescrizione sia un istituto
attraverso il quale è possibile attribuire un certo determinato valore
giuridico al trascorrere del tempo. In questo senso, se ne deduce la sua
natura relazionale perché pone un certo evento in collegamento con il
tempo.
Resta da chiarire allora quale sia tale evento e, in particolare, quale sia
il fatto storico da dover prendere in considerazione come referente
temporale della prescrizione. In prima battuta, la risposta più ovvia
sembrerebbe il momento della commissione del reato, ma in realtà
occorre precisare che si tratta del concetto in senso “processuale” di
reato
9
. In altre parole, non è necessario che si tratti di un reato in senso
tecnico, consistente cioè nella integrazione di tutti i suoi elementi
8
MANZINI, Trattato di diritto penale, III, Torino, 1983, p. 528 ss.
9
Sulla distinzione tra reato in senso stretto e reato in senso processuale:
PAGLIARO, Presupposti della connessione, in AA.VV.Connessione di
procedimenti e conflitto di competenza, Milano, 1976, p.18.
17
essenziali quali la realizzazione del fatto tipico, antigiuridico e
colpevole, essendo, a questo fine, sufficiente la verificazione di un
fatto storico qualificabile come reato, ovvero di una situazione idonea
ad essere oggetto di verifica giudiziaria, secondo le forme e i modi
previsti dal processo penale. A titolo esemplificativo, nel caso di
lesioni personali, il dies a quo della prescrizione coincide con il
momento in cui si verifica l’evento lesivo per la vittima,
indipendentemente dal fatto che il soggetto agente sia o meno
colpevole, a prescindere cioè dall’accertamento del reato in senso
stretto; a dimostrazione di ciò, tale ipotetico reato si prescriverebbe
anche se non si riuscisse mai ad accertare la dinamica concreta
dell’accaduto. Al termine di questa ricostruzione resta, quindi, da
sottolineare l’importanza che il referente temporale della prescrizione
sia costituito da un elemento storico fattuale piuttosto che da un dato
strettamente normativo; tutto ciò infatti, permette di cogliere in modo
particolarmente evidente “la dimensione sociale, prima ancora che
giuridica”
10
, dell’istituto.
A questo punto, per meglio comprendere il collegamento della
prescrizione con la dimensione temporale del fatto-reato, e in
particolar modo con il valore giuridico che, nel diritto penale, viene
attribuito al tempo, può essere utile fare un confronto con la
prescrizione in ambito civilistico
11
. A grandi linee, è possibile
sostenere che mentre la prescrizione nel diritto civile guarda al futuro,
10
GIUNTA-MICHELETTI, Tempori cedere.Prescrizione del reato e funzioni della
pena nello scenario della ragionevole durata del processo, op. cit., p. 10.
11
Una importante distinzione tre la prescrizione penale e quella civile deriva dal
fatto che quest’ultima è del tutto svincolata dal piano processuale. In altre parole,
nel diritto civile il trascorrere del tempo della prescrizione non ha bisogno del
processo per produrre i suoi effetti tipici; al contrario del diritto penale dove
l’effetto estintivo del trascorrere del tempo può essere riscontrato solo in ambito
processuale.
18
nel diritto penale guarda al passato
12
. La prescrizione civile, infatti,
introduce un limite temporale all’esercizio di una situazione giuridica
soggettiva e delinea, quindi, il confine cronologico oltre il quale essa
non è più riconosciuta nel mondo del diritto e non è più oggetto di
tutela. Ad esempio, un diritto di credito di una somma di denaro non
può essere più esercitato una volta sia trascorso un determinato
periodo di tempo. Questa funzione si rivolge al futuro perché permette
e alimenta il dinamismo delle situazioni giuridiche, evitando che esse
si cristallizzino immutabilmente nel diritto. Alla luce di ciò emerge
con chiarezza anche la ratio stessa dell’istituto civilistico, ossia la
necessità di assicurare un punto di equilibrio tra le varie situazioni
giuridiche, al fine di garantire l’esigenza di certezza e stabilità
13
.
Nel diritto penale cambia radicalmente la prospettiva e
l’interpretazione del decorso del tempo: non più orientato verso il
futuro, ma in un’angolazione chiaramente retrospettiva; come limite
alla memoria dell’ordinamento. La prescrizione penale riduce
progressivamente la quantità di fatti che il sistema giuridico deve
ricordare, determinando una condizione di oblio naturale connesso al
decorso del tempo
14
.
12
GIUNTA-MICHELETTI, Tempori cedere.Prescrizione del reato e funzioni della
pena nello scenario della ragionevole durata del processo, op. cit., p. 12. “ La
prescrizione civile costituisce nulla più che il tempo del diritto, il confine
cronologico oltre il quale cessa la sua esistenza, tant’è che una volta morto , ossia
prescritto, il preteso diritto non può più esercitarsi , venendo meno quella
coercibilità (rectius azionabilità) che distingue le posizioni giuridiche da quelle
morali. (…) Per contro, nel diritto penale, ove il meccanismo prescrizionale funge
da limite alla punibilità, il tempo acquista un significato esattamente opposto a
quello della prescrizione civile. (…) La prescrizione penale in effetti guarda al
passato , poiché determina la non punibilità di un illecito già accaduto o
l’ineseguibilità di una pena già irrogata. Essa non promuove alcun dinamismo
sostanziale, ma limita la memoria dell’ordinamento, riducendo gradualmente la
quantità di fatti dei quali il sistema penale trattiene temporaneamente il ricordo, in
attesa di dimenticarli in modo definitivo”.
13
PANZA, Contributo allo studio della prescrizione, Napoli, 1984, p.3.
14
In questo senso, la prescrizione incarna la cd. “dimenticanza naturale”, a
differenza di altri istituti, presenti nel diritto penale, come ad esempio l’amnistia e
l’indulto, che, pur svolgendo analoga funzione, partono da presupposti diversi,
19
Infine, come ultima considerazione circa la dimensione temporale del
fatto, deve essere sottolineato che il lasso temporale necessario al
maturare della prescrizione non è uniforme, ma varia a seconda della
gravità del fatto illecito. Questa considerazione è del tutto coerente
con l’impostazione di fondo dell’istituto: quanto maggiormente il fatto
illecito contrasta con i valori propri dell’ordinamento, cioè quanto più
è grave, tanto più il legislatore è legittimato a presumere che “la
maturazione sociale della dimenticanza
15
” richieda più tempo. A
dimostrazione di ciò, lo stesso art. 157 , 1° co., c.p. chiarisce che “la
prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al
massimo della pena edittale stabilita dalla legge”, e quindi che il
confine temporale necessario per determinare l’effetto estintivo deriva,
in primo luogo, dal disvalore del fatto. A tale proposito, è stato
sostenuto da alcuni autori
16
che sarebbe stato preferibile ancorare la
presunzione prescrizionale al minimo edittale piuttosto che al massimo
perché nella quantificazione del minimo sarebbe più facilmente
rilevabile il disvalore sociale del fatto. Nel determinare il massimo
della pena prevista in astratto dal legislatore, invece, influirebbero
altre considerazioni (come ad esempio la teoria retribuzionistica della
sanzione penale), oltre alla gravità del fatto, tali da inquinare tale
valutazione
17
.
principalmente basati sulla eccezionalità, e che, proprio per questo, li distinguono
dalla prescrizione. Infatti, a proposito dell’amnistia o dell’indulto, si parla di istituti
che determinano una “contrazione deliberatamente indotta della memoria”.
GIUNTA-MICHELETTI, Tempori cedere.Prescrizione del reato e funzioni della
pena nello scenario della ragionevole durata del processo, op. cit., p.12-13.
15
GIUNTA-MICHELETTI, Tempori cedere.Prescrizione del reato e funzioni della
pena nello scenario della ragionevole durata del processo, op. cit., p.13.
16
GIUNTA-MICHELETTI, Tempori cedere.Prescrizione del reato e funzioni della
pena nello scenario della ragionevole durata del processo, op. cit., p.13.
17
Vedi sul diverso peso funzionalistico del minimo e del massimo edittale
PADOVANI, La disintegrazione attuale del sistema sanzionatorio e le prospettive
di riforma: il problema della comminatoria edittale, in Riv. It. dir. proc. Pen.,
1992, p. 419 ss.