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Premessa
Il mio lavoro intende ripercorrere brevemente alcuni aspetti dello sviluppo e
dell’attuale senso storico del concetto di «preistoria», vale a dire di quelle vicende
dell’esistenza umana che si ascrivono alle origini della specie umana. Il discorso,
ovviamente, non poteva non toccare le fondamentali tappe dell’esperienza dell’uomo
e gli annessi sviluppi della sua coscienza.
La preistoria, che da tempo immemore è stata relegata al di fuori della storia,
sta ora cercando di riscattare una propria posizione nell’olimpo delle vicende storiche
propriamente dette e ciò a partire da rinnovate acquisizioni concettuali e disciplinari
maturate nel corso di un processo, tardo novecentesco, di ridefinizione della storia
nel suo insieme.
A guidare le considerazioni che seguiranno presiedono alcuni fatti. Tra essi
figurano, da un lato, l’esigenza di mostrare come e quanto le esperienze preistoriche
si siano conservate, in qualche misura, nei comportamenti dell’uomo contemporaneo
e ne rappresentino un presupposto essenziale (si pensi all’istinto, alle varie modalità
del mangiare e del dormire, alle emozioni, quali la meraviglia o la paura dinnanzi
alla incontrollabilità della forza della natura o alla molteplicità delle risposte umane
alle costanti sollecitazioni della natura). Dall’altro lato vi è il sorgere delle colture
erbacee, da cui deriva la nascita dell’agricoltura. Non ci sarebbe quell’agricoltura
oggi a noi nota, pur con le differenze dell’evoluzione tecnica del settore, se una
femmina della specie Homo Sapiens Sapiens non avesse scoperto la coltura ovvero la
duplicabilità dei materiali che venivano raccolti dai maschi del gruppo nella normale
attività di caccia periodica. L’agricoltura nasce da una primordiale necessità di
sperimentazione umana legata al fattore tempo. Nell’attesa del rientro dei maschi
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dalle consuete battute di caccia, la donna cominciò a piantare in uno spazio limitrofo
al proprio ricovero i residui materiali erbacei raccolti dai cacciatori girovagando per
boschi e valli. L’attesa dei cacciatori in arrivo e il sopraggiungere della necessità di
nutrirsi indussero le donne a piantare quelle erbe che si erano mostrate utili alla
sopravvivenza del proprio gruppo. Da questa sperimentazione si è generata la
duplicabilità dei beni utili alla conservazione della donna e di quanti coesistevano
con essa.
Quando l’uomo della preistoria entra nella storia? Indiscutibilmente, nel
Neolitico o età nuova della pietra. Il Neolitico è lo scenario in cui si condensarono
trasformazioni rivoluzionarie, che avrebbero condizionato per sempre l’umanità. È
certamente rivoluzionario lo spirito che guidò l’uomo nel cogliere l’importanza del
passaggio da un sistema colturale e culturale basato sulla raccolta delle erbe, ad uno
basato sulla consapevole volontà di produrre erbe nello spazio e nel tempo. Quelle
colture erbacee costituiranno la base su cui porre le premesse per il suo sviluppo
umano. È questo il periodo della umana specie che Childe ha ribattezzato come
“processo di neolitizzazione”.
La constatazione che per anni la organizzazione culturale della formazione
scolastica abbia teso a contenere questa porzione dell’esperienza umana, la
preistoria, nelle parti introduttive alla cognizione della storia intesa come luogo
dell’apparire delle società organizzate, appare oggi decisamente discutibile. Troppe
volte si è guardato alla preistoria con grossolana attenzione nei programmi formativi
istituzionalizzati. Da ciò ne è derivato che il nostro senso comune si è limitato a
considerare la preistoria come una fase precedente alla storia e, pertanto, come una
specie di limbo, in cui l’uomo, pur nutrendosi di carni e di pesci non appariva né
7
carne né pesce sul piano storico. Il motivo centrale di questa condizione culturale era
– e resta – la mancanza della scrittura, cioè dell’elemento distintivo della civiltà.
Pertanto, dall’Umanesimo in poi, vero spartiacque tra il prima e il poi del tempo
storico, se ne è dedotto, in epoche più vicine a noi, che la preistoria fosse il regno
della incomunicabilità tra gli uomini, della mancanza di forme e contenuti del vivere
associato e regolato, in qualche modo, da strumenti scritti di raccordo sociale. Da
queste assenze, cioè dalla mancanza di una organizzazione sociale capace di reggersi
sulla scrittura, ne è derivato il concetto di «uomo primitivo».
Partendo dalla definizione dei termini preistoria e archeologia abbiamo
voluto, quindi, porre l’accenno sull’importanza di queste due categorie concettuali.
La prima, quale momento essenziale della storia umana; la seconda, quale valido
supporto alla storiografia nella definizione dei primi passi fatti dall’uomo nel lungo
percorso verso la civiltà.
L’uso dell’archeologia, nello specifico, si realizza piuttosto tardi sul piano
storico – infatti dobbiamo aspettare gli stimoli dell’Illuminismo ed il progressivo
esaurirsi del dibattito seicentesco sui fossili – e comporta la contestuale scoperta ed
attenzione verso una serie di documenti che non appartengono alla tradizionale
logica della fonte scritta, pur risultando egualmente validi esempi di un passato
remoto e, quindi, utilissimi alla ricostruzione del trascorso umano. Si coglie, cioè,
l’importanza di affiancare al documento scritto, volontario o involontario, tutto ciò
che è, in sostanza, espressione della vita materiale dell’uomo vissuto in epoche molto
antiche. È in quest’ultimo clima culturale che trova applicazione l’archeologia,
disciplina che in buona sostanza media tra il passato e il presente, integrando le fonti
osservazionali utili allo storico e colmando in tal modo alcune lacune alle sue
conoscenze.
8
Aver colto l’interdipendenza tra la storia e l’archeologia ha costituito un
punto importante per una ricostruzione attenta del passato umano e, in termini più
generali, ha consentito di valutare quale sia stato l’apporto delle cosiddette scienze
ausiliarie alla conoscenza storica – si pensi alle argomentazioni su questo punto di
Leopold von Ranke.
L’abbinamento storia e archeologia ha portato, poi, nel corso dell’Ottocento
ad una conoscenza storica che si è rivelata più che mai fondamentale per la
formazione della coscienza civile non soltanto del cittadino dello stato-nazione, ma
anche – e ciò è vero soprattutto dopo l’avvento del multiculturalismo novecentesco –
del cosiddetto cittadino del mondo. Aprire una finestra sul passato umano, inteso
come luogo dello sviluppo delle differenti evoluzioni dell’umana specie, ha
significato, tra Otto e Novecento, sperimentare l’esperienza del prima e del poi,
consentendo di ragionare sulla diversità dei gruppi umani nel tempo e nello spazio –
lo ricordava di recente Barak Obama nel suo discorso d’insediamento alla Casa
Bianca.
La sfida lanciata al rapporto Preistoria/Storia dalla più recente storiografia –
ma non solo da essa – ci è parsa la seguente: porre al centro della memoria umana il
rapporto con il passato. E in questa direzione di ricerca abbiamo dedicato alcune
pagine del presente lavoro.
Infine, riconsiderare il rapporto Preistoria/Storia e verificarne i reciproci
innesti culturali, partendo dal piano metodologico, costituisce l’obiettivo iniziale e il
fine di queste pagine.
9
Capitolo primo
Storia e metodologia.
1.1 La metodologia della ricerca storica.
“Non esiste probabilmente una scienza tanto lodata e contemporaneamente
tanto biasimata, quanto la storia. È stata definita maestra di vita, ma le si è negato il
nome di scienza anteponendole la stessa poesia; a volte le si è dato un posto da
regina, a volte un posto da serva nell’ambito delle altre scienze”. Così esordisce
Topolski nel suo libro dedicato “alla metodologia della storia”
1
al fine di sottolineare
quanto gravoso sia per lo storico accostarsi alla ricostruzione del passato e quanto
necessario risulti difendere una disciplina essenziale per l’uomo.
A dire il vero il tema non era nuovo allorché Jerzy Topolski esponeva le sue
argomentazioni. Siamo nei primi anni settanta del secolo scorso. Vi era già stata, e
da lungo tempo, da parte dello storico francese Marc Bloch l’esigenza di esprimere
una “apologia” del lavoro dello storico
2
. Ma, nonostante ciò, lo storico polacco
sentiva doveroso ripetere che lo storico appare come un condottiero che combatte le
proprie battaglie su un vero e proprio campo pieno di insidie e “acuti scontri”
3
, in
difesa dell’onestà della ricostruzione di un passato il più conforme possibile alla
realtà. In qualche modo Topolski voleva ricordare quanto e come la metodologia
1
Cfr. J. Topolski, Metodologia della ricerca storica, Il Mulino, Bologna, 1975 (trad. dalla II edizione
polacca, Warszawa, del 1973).
2
Cfr. M. Bloch, Apologia della storia, Einaudi, Torino, 1998. Vale la pena qui sottolineare che la
scelta del termine “mestiere” non viene compiuta casualmente da Bloch, ma per puntualizzare che
l’attività dello storico è simile a quella di un artigiano che medita sul proprio compito quotidiano. Cit.
p. 18.
3
Cfr. J. Topolski, Metodologia della ricerca storica,cit., p. 11.
10
della ricerca storica sia nata come strumento, di cui lo storico si avvale per dirigere
consapevolmente le sorti delle proprie lotte personali
4
.
Ma, volendoci attenere ad un profilo discorsivo più generale, occorre
precisare che la metodologia delle scienze persegue due distinti tipi di interessi: da
un lato, abbiamo l’attività conoscitiva della ricerca scientifica, mentre dall’altro il
prodotto, cioè il risultato finale, di tale ricerca. Nel primo caso la scienza è concepita
come un procedimento di ricerca che consiste nella formulazione di affermazioni
date (o ipotesi) e nel secondo caso la scienza è concepita come l’effetto del suddetto
procedimento di ricerca o verifica degli enunciati ipotizzati
5
.
La storia, come ogni altra disciplina scientifica, richiede la posizione di
problemi di fatto e quindi l’elaborazione di un’apposita metodologia i cui settori di
interesse sono essenzialmente i seguenti:
a) Le considerazioni sulle attività conoscitive nella ricerca storica;
b) Le considerazioni sui risultati della ricerca stessa;
c) Le considerazioni sull’oggetto delle ricerche storiche quindi sugli avvenimenti
storici.
Quanto al procedimento vero e proprio della metodologia della storia è
possibile rilevare tali passaggi:
1. Scelta dell’ambito di ricerca;
4
Si ricorda che il temine metodo deriva dal greco méthodos, composto da meta, che include qui l’idea
del perseguire, del tener dietro ed odos ,“via”, letteralmente si intende “l’andar dietro, l’andar via per
giungere a un determinato luogo o scopo, direzione a un termine a una meta”. Cfr. G. Greco, D.
Monda, “Il diritto e il rovescio della storia”, Liguori Editore, Napoli, 2006, cit. p. 8.
5
Per l’estensione, meglio sarebbe dire adattamenti, di questi concetti alla storia cfr. J. Topolski,
Metodologia della ricerca storica,cit. p. 23; Id., La storiografia contemporanea, cit., pp. 37 ss.
11
2. Impostazione del quesito in tale ambito;
3. Determinazione delle fonti di ricerca (la c. d “euristica”);
4. Critica interna ed esterna delle fonti (comprensione
6
);
5. Descrizione;
6. Spiegazione;
7. Formulazione sintetica dei risultati della ricerca;
8. Valutazione degli uomini e degli avvenimenti del passato.
L’ultimo punto appare particolarmente controverso poiché richiede allo
storico l’elaborazione di un giudizio, propriamente morale, che potrebbe inficiare la
validità dei risultati della ricerca storica. Il problema non è nuovo, ma ha radici nel
passato. Come è noto, la metodologia della ricerca storica, sul piano rigorosamente
scientifico, divenne, nella lunga stagione del positivismo, un’ossessione.
Non solo la Francia o la Germania, ma tutta l’Europa venne attraversata da
una febbre storiografico- metodologica, il cui obiettivo era quello di fornire la storia
di uno statuto scientifico, di una propria grammatica interna, di un dizionario
specifico.
7
Ricordiamo, infatti, che nella concezione positivista la storia veniva
equiparata alle altre scienze sociali e le veniva applicato lo stesso metodo con cui la
scienza studiava il mondo della natura
8
. Gli storici, pertanto, desiderando più o meno
6
Come Marrou ha rilevato, “l’elaborazione della conoscenza storica ci mostra in atto l’operazione
logica fondamentale: la comprensione. […] Da un punta di vista empirico la comprensione storica si
manifesta come l’interpretazione di segni o di indizi, la cui realtà immediata ci permette di cogliere
qualcosa dell’uomo di un tempo”. Cfr. H. I Marrou, La conoscenza storica, il Mulino Bologna, 1988,
cit., p. 68.
7
P. Rossi, Storicismo e metodologia, il Saggiatore, Milano 1992.
8
Cfr. E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, trad. it. Einaudi, Torino, 1966, p. 63. L’idea di fondo è quella
espressa da Bertrand Russell per cui si credeva che si potesse giungere a “una matematica del
comportamento umano non meno precisa della matematica delle macchine”. Cfr. B. Russell, Portraits
12
consapevolmente di sottolineare il carattere scientifico delle loro ricerche, ne
adottarono la stessa terminologia e credettero di seguire un identico procedimento.
9
Nel corso degli anni ci si è interrogati se, ed eventualmente in che misura, la
metodologia dovesse occuparsi anche dell’euristica e della critica (esterna ad interna)
delle fonti, e cioè dei problemi legati alle cosiddette scienze ausiliarie della storia
10
.
Ebbene, è chiaro che la metodologia della storia non debba completamente escludere
dalle sue considerazioni l’euristica, (vale a dire l’arte di pervenire a nuove scoperte
mediante l’uso di materiali storici, sul loro dislocamento e sul metodo di cercarli e di
raccoglierli).
Queste informazioni costituiscono il punto di partenza delle ricerche storiche;
esse indicano, dove è possibile, la ricerca degli elementi necessari per conoscere il
from memory, Allen&Unwin, London, 1956, p. 20. Sullo stesso tema si vedano i testi B. Russell,
Introduzione alla filosofia matematica, Longanesi editore, Milano, 2004. “La fede in una realtà del
tutto differente da quella che appare ai sensi nasce con forza irresistibile da certi stati d’animo, che
sono all’origine di gran parte del misticismo e della metafisica. Quando uno stato d’animo del genere
è dominante, non si sente il bisogno della logica. Di conseguenza i mistici più intransigenti non
impiegano la logica, ma si richiamano direttamente all’espressione immediata dell’intuito. Un
misticismo così pienamente dichiarato è però raro in occidente. Quando decresce l’intensità della
spinta emotiva, chi abbia l’abitudine al ragionamento cercherà delle basi logiche in appoggio al
convincimento che sente di sé. Ma dato che il convincimento esiste già, costui sarà disponibile a
qualsiasi conferma”. Cfr. B. Russel, Misticismo e logica, Longanesi, Milano, 1980. Cit. p. 6.
9
Cfr. E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, cit. p. 64. Si pensi alla prassi particolarmente diffusa di
applicare il concetto di legge quale risultato di un processo induttivo basato sull’ osservazione dei
fatti. Un tentativo in questo senso è stato quello delle periodizzazioni storiografiche utilizzate come
strumento conoscitivo, la cui validità dipende dall’interpretazione adottata.
10
Per quanto concerne le scienze ausiliarie, rientrano in questa categoria la scienza delle fonti, la
scienza degli archivi e delle biblioteche, la paleografia e la neografia, la diplomatica, la cronologia, la
genealogia, l’araldica, la numismatica che si occupano delle fonti e della loro critica esterna ed
interna. A tal proposito, Musi ricorda che anche la linguistica rientra nella categoria delle scienze
ausiliarie della storia. Cfr. A. Musi, Memoria cervello e storia, Guida Editore, Napoli, 2008, cit. p.13.
Ma si veda anche J. Topolski, Metodologia della ricerca storica, cit., p. 61.
13
passato e i luoghi dai quali si possono attingere le conoscenze non contenute nelle
fonti. Contemporaneamente, esse devono indicare qual è la tecnica per raccogliere e
ordinare i materiali che servono per la ricostruzione dell’oggetto della ricerca storica
assunta in esame. Quanto alla critica, invece, essa non può rimanere indifferente alla
metodologia in quanto definisce le regole e la struttura critica dell’attività conoscitiva
attraverso cui si esplica la critica
11
.
Nella scienza contemporanea, per metodo scientifico si intende l’insieme di
norme, direttive e convenzioni seguite nell’impostazione e nella conduzione della
ricerca. Esse si conformano a criteri generali di razionalità e obiettività, che
garantiscono non solo la significatività e la comunicabilità dei processi di
acquisizione teorica, ma anche la riproducibilità e la verificabilità delle osservazioni
su cui tali processi si basano. In effetti un metodo, può essere dichiarato ufficiale
allorquando diventa ripetibile
12
.
1.2 L’uso della storia.
“Papà spiegami allora a che serve la storia”
13
.Così comincia il principale
“vademecum” della storiografia contemporanea annotato da Marc Bloch ed è questo
il quesito a cui lo storico francese era chiamato a rispondere negli anni quaranta del
11
Cfr. J. Topolski, Metodologia della ricerca storica, cit. p.63 .
12
La metodologia si configura in questo senso come una congerie di principi metodici, di
procedimenti tecnici di accertamento o di controllo su cui si basa una determinata disciplina, per
l’acquisizione e la verifica dei risultati. È l’uso coerente e rigoroso di un determinato metodo
scientifico nello svolgimento di un’attività teorica, che dà la possibilità di realizzare i progetti
scientifici e di stabilire quale ne sia il significato e il valore, la logica dell’indagine, del farsi della
scienza. Cfr. G. Greco, D. Monda, Il diritto e il rovescio della storia,cit. p. 14.
13
Cfr. M. Bloch, Apologia della storia, cit. p.7.