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INTRODUZIONE
L’idea di questa tesi e il mio interesse per questo argomento nasce alcuni anni fa, durante una
lezione, mentre il mio Professore, seduto sulla scrivania come sempre amava fare, raccontava con
enfasi il muoversi delle anime superbe sotto il peso della pietra del peccato recitando all’unisono il
Padre nostro. Così, mentre la sua voce disegnava nell’aria questo gruppo di anime raccolte insieme
e unite nella preghiera dalla coralità e dalla fratellanza, io, stupita, non credevo a ciò che sentivo,
perchØ la storia che lì si stava narrando era la mia storia, era la mia vita. Quel giorno, mentre
guardavo allibita i versi della Commedia come se li vedessi per la prima volta, essa mi è fiorita tra
le mani, sbocciando. Appartengo al Cammino Neocatecumenale (un cammino di riscoperta del
battesimo in seno alla Chiesa Cattolica) e faccio esperienza profonda della preghiera
quotidianamente. Essa mi appartiene come ci appartiene la voce della mamma: come l’atto fisico
del respirare, necessario e spesso automatico, tale è per me l’atto del pregare, soprattutto quel
genere di preghiera interiore, silenziosa, definita preghiera del cuore. Da questa esperienza
personale parte il mio interesse per questo tema. Ma non solo questo: nel Cammino
Neocatecumenale viviamo la fede in piccole comunità di persone (non piø di cinquanta, ma
solitamente molte meno, circa la metà) dove si realizza una forte comunione spirituale data dalla
liturgia e dalla preghiera in comune. E’ la stessa esperienza che Dante immagina per le anime del
Purgatorio.
Ho custodito questi pensieri nel segreto del mio cuore
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per alcuni anni, fino a quando ho avuto la
possibilità di dar loro vita, dandogli un corpo materiale e una base scientifica.
Lavorare a questa tesi è stata per me un’esperienza meravigliosa. Studiando e leggendo ho scoperto
che ciò che avevo custodito in me era vero, e si realizzava come io pensavo. Cresciuta dai miei
genitori a pane e Sacre Scritture, ho scoperto nella Commedia colori e odori che ben conoscevo:
come la trama di un tappeto sul quale ho giocato fin da bambina seguendone i disegni col dito, così,
meravigliata, stupita, ho ritrovato gli stessi disegni (lo stesso ordito) intessuti tra le parole di un
poema scritto da Dante settecento anni fa. La mia personale interpretazione del Purgatorio è che
esso sia, come tutta la Commedia fin dal primo canto, prima di qualsiasi altra cosa, la trasposizione
letteraria e allegorica della storia di conversione del suo autore. Ovvero che Dante, qui, in questo
testo (non negli altri) sia piø cristiano che poeta. Che egli abbia messo la sua poesia al servizio della
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Non sono parole mie ma le traggo dall’esempio di Maria la quale da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole
nel suo cuore (Lc 2, 19). Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2,51b).
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fede. E infine che sia proprio questo avvenimento a rendere la Commedia la sua opera piø grande,
piø bella, e piø elevata della storia della letteratura italiana. L’esperienza di fede e di conversione di
Dante ha riempito la sua poesia, già meravigliosa in sØ, dell’Amore vero, del quale si fa esperienza
nel Cristianesimo.
Da un punto di vista tecnico il mio lavoro è partito dalla definizione che D’Ovidio dà del
Purgatorio, ovvero che esso sia un colossale monastero salmeggiante, e si è sviluppato cercando di
dimostrare come questa definizione risulti perfettamente intonata allo spirito della cantica. Ho
perciò innanzi tutto analizzato il Purgatorio nella sua globalità, comprendendone il valore letterario
e i meriti del suo autore. Ho poi analizzato analiticamente tutti i luoghi e i personaggi dove il tema
della preghiera si mostra nella sua importanza. Per quanto riguarda l’analisi dei salmi e degli inni
ivi contenuti il mio desiderio e intento è stato quello di ridare lustro a parti appannate, impolverate,
della poesia del Purgatorio, che spesso risultano di non facile comprensione per il lettore moderno,
che non partecipa piø alle stesse esperienze di fede dell’autore della Commedia e dei suoi primi
lettori.
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AVVERTENZA
Una breve avvertenza riguardo i salmi: la numerazione da noi utilizzata è quella della Bibbia CEI,
in quanto abbiamo scelto di seguire la stessa numerazione riportata da Chiavacci Leonardi.
Abbiamo però inoltre fatto riferimento alla Bibbia di Gerusalemme che utilizza invece la
numerazione ebraica, riportando tra parentesi la numerazione della BC. Anche in altri autori si
possono riscontrare tali differenze: ad esempio il commento di Bosco-Reggio segue la numerazione
della BC, mentre D’Ovidio, il nostro autore principale, segue la numerazione ebraica.
Riporto qui un breve passo, tratto dall’introduzione ai salmi della Bibbia di Gerusalemme:
Il salterio (dal greco psaltêrion, propriamente il nome dello
strumento a corde che accompagnava i canti, i salmi) è la collezione dei
centocinquanta salmi. Da 10 a 148, la numerazione della Bibbia ebraica (che
è qui seguita) è maggiorata di una unità rispetto alla numerazione della BC
(indicata tra parentesi); questa, con i LXX e la volgata, riunisce 9 e 10, e
114 e 115, ma taglia in due 116 e 147.
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Perciò, ad esempio, il salmo da noi citato come 50 (Miserere) è altrove numerato come 51: stessa
cosa per il salmo 113 (In exitu Israel de Aegypto), altrove detto 114.
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La Bibbia di Gerusalemme, Ed. Dehoniane, Bologna, 1974, I salmi, pag.1109.
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LA PREGHIERA NEL PURGATORIO DANTESCO
Chi salirà il monte del Signore,
chi starà nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro
Salmo 23, 3-4a
I. PERCHE’ PARLARE DI PURGATORIO “DANTESCO”
L’idea dell’esistenza di un luogo dove le anime si possano purificare prima dell’incontro con Dio
nasce con il Cristianesimo. E’ un’idea che evolve nel corso dei secoli: inizialmente la Chiesa
primitiva si preoccupava poco dell’aldilà, in quanto pensava che Cristo sarebbe tornato in tempi
brevi. Nel tempo si fece strada tra i cristiani l’ipotesi dell’esistenza e della necessità di un periodo di
purificazione prima di ricongiungersi con Dio, dopo la morte. Il Purgatorio è un’idea che ha valore
solo per le religioni che credono nell’immortalità, ma ancor piø per quelle religioni, in primis il
Cattolicesimo, che hanno fede in un doppio giudizio, uno alla fine dei tempi e, prima di esso, un
giudizio subito dopo la morte, legato alla responsabilità personale e al libero arbitrio.
Il Purgatorio come luogo non esiste fino al XII sec. Esso entra a far parte delle credenze della
cristianità occidentale solo verso il 1150 – 1250, cioè poco prima di Dante. Si configurava
nell’immaginario popolare come un luogo intermedio tra l’Inferno e il Paradiso, dove le anime dei
defunti subiscono una prova e per le quali è possibile intercedere tramite la preghiera
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Alcuni testi sono risultati fondamentali perchØ nel medioevo si fondasse pienamente la credenza in
un luogo di purificazione: primo tra tutti un passo dell’Antico Testamento, 2Mac 12, 38-45. Questo
testo fu di fondamentale importanza per i cristiani del medioevo, in quanto essi credevano
fermamente che ogni verità di fede, per essere tale, dovesse avere un fondamento doppio nelle
scritture. Doveva perciò esserci un testo premonitore nell’Antico Testamento e un testo di verità nel
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Tutte le informazioni relative alla questione della nascita del Purgatorio sono tratte da J. LE GOFF, La nascita del
purgatorio, Einaudi, Torino, 1982. Gli stessi testi sono riportati con medesima precisione e spirito interpretativo anche
da F. LIVI, Il dogma cattolico del Purgatorio e il “Purgatorio” di Dante, in Dante e la teologia, Leonardo da Vinci,
Roma, 2008, pp.71-108. Anche F. D’OVIDIO, in Il Purgatorio e il suo preludio, Hoepli, Milano, 1906, alle pp.343-
372, affronta l’argomento, facendo puntuale riferimento ai testi scritturali e spiegando le differenze strutturali e morali
tra il Purgatorio degli antichi e quello dantesco.
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Nuovo. In questo brano delle Sacre Scritture il popolo ebraico prega e compie sacrifici per i suoi
defunti, perchØ potessero essere accolti nel Regno di Dio pur avendo commesso un grave peccato
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Corrispettivi a questo brano, nel Nuovo Testamento, i cristiani del medioevo individuarono tre
passi, due Vangeli e una lettera di San Paolo; Mt 12, 31-32 scrive:
Perciò vi dico: ogni peccato e bestemmia saranno perdonati agli
uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata. E
chiunque dirà una parola contro il Figlio dell’uomo gli sarà perdonata, ma
chi dirà contro lo Spirito Santo non gli sarà perdonata, nØ in questo secolo,
nØ in quello futuro.
Questo riferimento all’esistenza di un secolo futuro portò i fedeli alla meditazione sulla vita dopo la
morte, e in particolare, in questo caso, riferita alla possibile punizione dei peccati commessi. Inoltre
introduce l’ipotesi della distinzione possibile tra peccati perdonabili e peccati non perdonabili.
In un passo del Vangelo di Luca (Lc 16, 19-26) Gesø racconta una parabola: è la storia di un uomo
ricco e di un mendicante, Lazzaro, che sedeva al suo portone, malato e affamato, e viveva degli
avanzi che riusciva a raccogliere dalla tavola del ricco signore. Dopo la morte il povero Lazzaro fu
portato nel seno di Abramo, mentre il ricco venne mandato tra i tormenti dell’Inferno. Dal luogo in
cui stava vedeva di lontano Lazzaro insieme ad Abramo e gridando chiese pietà. Ma Abramo
rispose:
Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e
Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai
tormenti. Per di piø, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di
qui vogliono passare da voi non possono, nØ di costì si può attraversare fino
a noi. (vv. 25-26)
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2Mac 12,38-45: Giuda poi radunò l’esercito e venne alla città di Odollam; poichØ si compiva la settimana, si
purificarono secondo l’uso e vi passarono il sabato. Il giorno dopo, quando ormai la cosa era diventata necessaria, gli
uomini di Giuda andarono a raccogliere i cadaveri per deporli con i loro parenti nei sepolcri di famiglia. Ma
trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei; fu perciò
a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti. Perciò tutti, benedicendo l’operato di Dio, giusto giudice che
rende palesi le cose occulte, ricorsero alla preghiera, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente
perdonato. Il nobile Giuda esortò tutti quelli del popolo a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi
quanto era avvenuto per il peccato dei caduti. Poi fatta una colletta, con un tanto a testa, per circa duemila dramme
d’argento, le inviò a Gerusalemme perchØ fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e
nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. PerchØ se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero
risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa
riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota.
Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perchØ fossero assolti dal peccato.
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Ecco introdursi con questi versetti del Vangelo la distanza possibile tra i due regni dell’aldilà ma,
per noi piø importante, il rapporto direttamente proporzionale tra beni e mali in vita e altrettanti
beni e mali dopo la morte. La parabola continua con il ricco che chiede ad Abramo di mandare
Lazzaro ad avvertire i suoi parenti ma Abramo rifiuta, perchØ se essi non hanno ascoltato la voce di
Dio attraverso i profeti non ascolterebbero nemmeno un uomo tornato dai morti. E’ qui evidente la
mancanza di una predestinazione e l’importanza dalla libertà nella scelta della condotta di vita: il
ricco non è all’Inferno per le sue ricchezze nØ Lazzaro è salvo semplicemente per la sua povertà, ma
gioca un ruolo determinante la coscienza dell’uomo davanti a Dio: il ricco si è guadagnato la
dannazione eterna per la sua cattiveria nei confronti del povero. Egli avrebbe ben potuto per amore
alleviare le sofferenze di Lazzaro, ma non lo fece. Questo l’ha condotto negli Inferi
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Anche un passo della Lettera di San Paolo ai Corinzi (1Cor 3, 11-15) introduce la questione
dell’aldilà, ponendo le basi per una discussione sulla corrispondenza tra meriti e colpe, tra vita
terrena e vita eterna:
Nessuno infatti può porre altro fondamento che quello che è stato
posto, cioè Gesø Cristo. Ora, se uno costruisce sopra questo fondamento con
oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno si
renderà manifesta, perchØ si rivelerà nel fuoco e il fuoco proverà ciò che
vale l’opera di ciascuno. Se l’opera di qualcuno che ha costruito sopra
rimarrà, egli ne riceverà la ricompensa: se l’opera di qualcuno invece sarà
consumata dal fuoco, ne avrà danno, però si salverà, ma come attraverso il
fuoco.
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La questione della predestinazione è importante per la fede nel Purgatorio: i Protestanti, che a differenza dei Cattolici
credono nella predestinazione delle anime, rifiutano la possibilità dell’esistenza di un luogo di purificazione dopo la
morte dove poter ripagare i propri peccati. Dante tiene molto a questo argomento, tanto da fare del Purgatorio il regno
della libertà, dove le anime riconquistano la libertà dal peccato e il proprio libero arbitrio. Per questo Dante pone come
guardiano del monte un’anima pagana come Catone, il quale rinunciò alla vita per amore della propria libertà. Cfr.
Purg. I, 70-72: Or ti piaccia gradir la sua venuta: / libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta.
Cfr. D’OVIDIO, Il Purgatorio e il suo preludio, cit., pp.3-147, dove l’autore dedica ampio spazio alla critica del I canto
e in particolare alla figura di Catone.
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Il fuoco è spesso associato all’immagine della sofferenza nell’aldilà, sia eterna che temporanea. Molte sono le letture
bibliche che fondano questa credenza nel fuoco a partire dall’ A.T. e dalla fede ebraica (es. Is 66,15s, Zac 13,9); nel NT
è prima di tutto Giovanni Battista a parlare di Cristo come colui che “battezza in Spirito Santo e fuoco” (cfr. Mt 3,11)
ma Gesø stesso manterrà questo linguaggio classico. Cfr. B. RENAUD e X. LEON-DUFOUR, alla voce Fuoco, in
Dizionario di Teologia Biblica, a cura di X. Leon-Dufour, Marietti, Casale Monferrato, 1971, V ed. riveduta e corretta
(1976), pag.438: Egli parla della «Geenna del fuoco» (Mt 5,22), del fuoco in cui saranno gettati la zizzania
improduttiva (13, 40; cfr. 7,19) ed i sarmenti (Gv 15,6): sarà un fuoco che non si spegne (Mc 9, 43s), in cui «il loro
verme» non muore (9,48), vera fornace ardente (Mt 13, 42.50). Null’altro che un’eco solenne del VT (cfr. Lc 17,29).
Dante riprenderà questa immagine, molto sentita a livello popolare, ma in larga misura ne farà uso solo nella prima
cantica. Per quando riguarda invece il Purgatorio egli differenzierà questo regno intermedio dal regno degli inferi anche
eliminando il fuoco purificatore: lo ritroviamo solo verso la fine, nei canti XXV-XXVI, dove le anime dei lussuriosi si
purificano camminando tra le fiamme, e successivamente al canto XXVII, dove Dante, Virgilio e Stazio dovranno
attraversare un muro di fuoco che circonda il Paradiso Terrestre prima di potervi accedere. Cfr. Purg. XXVII, 10-12
Poscia «Piø non si va, se pria non morde, / anime sante, il foco: intrate in esso, / e al cantar di là non siate sorde».