5
filosofia aristotelica, ricalcando in questo senso, il lavoro del
prozio Ermolao Barbaro
2
. Naturalmente questa passione fu
incrementata anche dalla frequentazione del ricco panorama
intellettuale veneto. Furono, infatti, suoi maestri letterati quali
Benedetto Lampridio, Marcantonio de’ Passeri detto il Genova,
Federico Delfino. Nonché, attraverso l’ambiente universitario,
coltivò amicizie quali Bernando Navagero e Benedetto Varchi,
Sperone Speroni. È documentato anche uno scambio epistolare
con l’Aretino nel 1540, riguardante opinioni del Barbaro sugli
scritti dell’Aretino stesso
3
. Pare che a dare inizio alla
corrispondenza fosse stato l’Aretino, che si rivolse alla madre
del Barbaro per ringraziarla del giudizio positivo espresso nei
confronti dei suoi scritti religiosi. In seguito lo scambio col
Barbaro fu assiduo e prolungato anche se non del tutto
documentato. L’attenzione del Barbaro per la filosofia
aristotelica derivava proprio dal lavoro di Ermolao, che aveva
già ideato il progetto dell’opera omnia su Aristotele, ma anche
2
Famiglia veneziana nella storia 1996: 9-41.
3
ALBERIGO 1964: 90.
6
dagli insegnamenti di Lampridio, commentatore aristotelico
direttamente sugli originali greci. Fu frequentatore assiduo di
molti circoli intellettuali veneti, come testimoniato dalla sua
partecipazione ai Dialoghi degli amici Paruta o Sperone Speroni.
Partecipò anche, come fondatore, all’Accademia degli
Infiammati a partire dal 1540, a cui vi prese parte l’amico
Benedetto Varchi, conosciuto proprio durante il soggiorno
padovano di quest’ultimo
4
. Le frequentazioni così diversificate
per provenienza e attitudini provocarono un’inevitabile crescita
personale e intellettuale di Daniele Barbaro. Del resto il
panorama storico culturale della prima metà del Cinquecento
appariva assai variegato sia localmente, per ciò che riguardava
Venezia e il Veneto, sia per la situazione italiana ed europea.
L’Italia intera era in gioco nello scacchiere europeo, laddove
tiravano le fila della politica internazionale Francesco I di
Valois e Carlo V d’Asburbo
5
. Roma era stata appena devastata
dal sacco del 1527 e anche Venezia aveva rischiato di essere
4
PASCHINI 1962: 73-75.
5
DESIDERI 1987: 757-769.
7
risucchiata nella sfera d’influenza asburgica
6
. La Serenissima
riuscì, forte dei propri domini in terraferma, a resistere non
solo alla guerra franco-asburgica, ma tenne testa al diffondersi
della Riforma protestante e alla minaccia turca che giungeva
dai Balcani
7
. Sostanzialmente con la pace di Cateau-Cambrésis
(1559), che stabiliva la fine del conflitto tra Francia e Impero
asburgico, si determinava in Italia una condizione di
sudditanza agli Asburgo di Spagna, che, oltre a possedere
nominalmente tutto il Mezzogiorno, godevano dell’appoggio
incondizionato degli altri stati italiani. Di fatto solo Venezia
rimase indipendente e sovrana dei propri domini. In questo
clima politico, Barbaro ottenne il primo incarico ufficiale per la
Serenissima il 25 aprile 1549: si trattava della nomina
d’ambasciatore presso la corte inglese, anche se l’attività fu
piuttosto breve, nel 1551 risulta essere già sostituito da
Giacomo Soranzo. A partire dal 1550 il patriarca di Aquileia,
Giovanni Grimani, lo designa come suo possibile successore a
6
BRAUDEL 1974: vol. II, tomo II.
7
DESIDERI 1987: 812-813.
8
causa dei gravi problemi di salute che lo attanagliano, tuttavia
le vicende che riguardano il patriarcato furono estremamente
complicate e ricoprirono un arco temporale che durò fino alla
morte del Barbaro stesso, nel 1570. Le complicanze furono
essenzialmente di carattere economico, infatti, il Barbaro
prevedeva un gravame familiare a cui sarebbe andato incontro
in caso d’accettazione. A ciò si aggiunsero i dubbi sull’età, in
quanto a trentacinque anni non gli sembrava opportuno
iniziare improvvisamente una nuova carriera. Nonostante ciò la
Repubblica gli affidò l’incarico. Seguirono le accuse
d’eterodossia avanzate dai parenti del Grimani, e il mancato
controllo sul patriarcato, che, di fatto, rimaneva, sia
spiritualmente che temporalmente, nelle mani del Grimani
8
.
La prima metà del Cinquecento appare fortemente
caratterizzata da sconvolgimenti religiosi che si susseguirono in
Europa dopo la proclamazione delle tesi luterane (1517). Aveva
inizio e dilagava a macchia d’olio la Riforma protestante.
8
PASCHINI 1948: 51-76.
9
Naturalmente questa si diffuse anche in Italia, maggiormente in
città quali Napoli, Ferrara e Venezia, e per lo più - anche se non
esclusivamente - in ambienti intellettuali
9
.
Avvenimento ′controffenssivo′, elaborato dalla Chiesa cattolica
allo scopo di impedire la diffusione del luteranesimo e del
calvinismo, fu il Concilio di Trento (1545-1563)
10
. Preso atto
dell’impossibilità di una riconciliazione tra cattolici e
protestanti, il concilio dei vescovi si occupò essenzialmente di
dottrina cattolica, sottolineando un rifiuto deciso a tutte le tesi
dei riformati. Ciò coinvolse anche Daniele Barbaro, che vi prese
parte nel 1561, occupandosi della sistemazione della materia
riguardante il controllo dei libri, la censura e la messa all’indice.
Nella circostanza si rivelò un ottimo mediatore, con notevole
sensibilità per i libri contrari al potere politico, ma si mostrò
anche cauto verso l’eccessivo potere degli inquisitori.
Intervenne anche per ciò che riguardava il salvacondotto ai
protestanti, mostrandosi inflessibile, in difesa della sua diocesi
9
FIRPO M. 1993.
10
DESIDERI 1987: 825-830.
10
e in linea con la politica veneziana avversa a quella imperiale.
Difese i diritti dei vescovi sul governo e sull’amministrazione
delle diocesi, motivato per l’esclusione dalla propria. Lasciò il
concilio definitivamente nel 1563 e premorì al Grimani nel
1570
11
.
Sono citate brevemente in rassegna le opere da lui composte,
con particolare attenzione per quelle considerate principali e
più importanti, come I dieci libri dell’architettura di M. Vitruvio
tradutti e commentati da Monsignor Barbaro eletto Patriarca di
Aquileia e M. Vitruvii De architectura libri decem cum commentariis
Danielis Barbari electi Patrinachae Aquileiensis
12
. Con la prima
Barbaro intende proporre un’organizzazione alternativa,
rispetto alla concezione medievale, di tutto il sapere attraverso
l’architettura, che diventa così struttura portante della
conoscenza, collegando l’un l’altra le varie branche del sapere.
Si passa quindi da una concezione piramidale e gerarchica di
conoscenza all’idea di ′raccomunanza′, di sapere appunto
11
ALBERIGO 1964: 92-93.
12
BARBARO 1556 e BARBARO 1567.
11
enciclopedico. Altre opere del Barbaro sono Exquisitae in
Porphyrium commentationes Danielis Barbari del 1542 dedicata al
cardinale Benedetto Accolti, contenente quindici
componimenti, a cui segue il primo lavoro aristotelico Danielis
Barbari In tres libros rhetoricum Aristotelis Commentaria, del 1544,
che affronta la retorica aristotelica seguendo la tradizione
iniziata dallo zio Ermolao. Un’importanza non marginale ha
avuto il rapporto con la figura di Ermolao Barbaro, prozio di
Daniele, delineato nei tratti della sua personalità e nei suoi
interessi, rivolti soprattutto alla filologia e all’aristotelismo. Sarà
proprio in quest’opera, in cui esalta il pensiero aristotelico, che
crea quasi un ponte tematico con il lavoro svolto dal prozio
Ermolao, curatore dell’opera omnia aristotelica. Proprio
quest’ultimo è un importante humus da cui prende vita e su cui
si fonda il pensiero di Daniele Barbaro all’interno di
quell’ambiente denso di cultura filosofica quale fu l’università
di Padova del secolo XVI. Ai Commentaria seguì il Compendium
Scientiae Naturalis con cui in realtà pubblica i commenti in testo
latino di Ermolao, e il Della Eloquenza dialogo del Reverendissimo
12
Monsignor Daniele Barbaro, del 1557, ma in realtà scritto durante
il periodo universitario, nel 1535. Oltre a trattati
sull’architettura si occupò anche di prospettiva con La pratica
della prospettiva di Monsignor Daniel Barbaro, 1567, nella quale è
contenuta la prima descrizione della camera oscura, e di
scenografia con Danielis Barbari electi Patriarchae Aquileiensis
Scenographia pictoribus et scultoribus perutilis. Quest’ultima,
insieme al trattato sugli orologi De Horologiis describendis libellus,
sono le uniche due opere del Barbaro scritte in latino, rimaste
però incomplete. L’ultima opera nota, del 1569, è Aurea in
quinquaginta Davidicos Psalmos doctorum graecorum catena, scritta
originariamente in greco, edizione di cui però si sono perse le
tracce, affronta l’argomento religioso delle anime turbate dalle
eresie. Strutturata come i Commentaria, venne scritta su
sollecitazione del cardinal Sirleto a nome di papa Pio V.
Il tema principale dell’opera di Barbaro nella presente edizione
è il sogno. Che cosa ha rappresentato questo fenomeno, in
passato, nelle credenze e nelle religioni di tutti i popoli? Quale
il suo potere e quali le preoccupazioni suscitate nell’uomo
13
stesso? Premonizione? O forse segno della presenza e della
volontà divina? O soltanto frutto di una cattiva digestione o di
un malessere psicologico? La tradizione degli studi
sull’argomento è ricca e protratta nel tempo. Va da
Artemidoro
13
a Gerolamo Cardano
14
. È analizzato con l’occhio
esperto dell’oniromante
15
, cercando di spiegarne cause ed
effetti, provenienze e significati, ma soprattutto la sua presunta
veridicità o meno. Sempre grazie al fascino che
quest’argomento trasmise, esso è stato utilizzato quale
strumento narrativo dall’antichità fino ai tempi moderni. Si
pensi soltanto all’utilizzo, in epoca antica, che ne fece Cicerone
nel Somnium Scipionis
16
e allo stesso modo, durante il
Rinascimento, l’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco
Colonna
17
. Non dobbiamo dimenticare poi il valore del sogno
nelle religioni e, in particolare, in quella cristiana. Laddove
13
ARTEMIDORO 1987.
14
CARDANO 1989.
15
L’oniromanzia è quella pratica antica che consiste nell’interpretazione, più o meno
“ortodossa”, del sogno. Ciò poteva avvenire nei modi più disparati e attraverso i mezzi
più insoliti. Il padre di questa pratica è considerato Artemidoro da Daldi, che, vissuto nel
II sec. a.C., ha fornito con il Libro dei sogni un’antologia completa di tutte le più svariate
immagini oniriche corredate di altrettante interpretazioni.
16
CICERONE 1994.
17
COLONNA 1980.
14
questa manifestazione della psiche assumerà, secondo gli scopi
della Chiesa di Roma, un valore positivo ed educativo (ad
esempio le visioni dei santi) o, al contrario, un senso negativo e
meritevole di condanna (come le apparizioni e i sogni dei
miscredenti e delle streghe, che la Chiesa identificava quali
messaggi del diavolo)
18
. Il sogno come mezzo attraverso cui è
possibile all’uomo realizzare qualsiasi cosa, il sogno sfruttato
dallo scrittore come elemento sorpresa-suspence, quando a fine
opera svela che in realtà il protagonista stava dormendo. Il
sogno insomma è utilizzato quale tema centrale di un’opera, in
quasi tutte le epoche, in due modi: come fenomeno onirico della
psiche umana da analizzare, che riguardi sia la veglia che il
sonno, e come artificio retorico a servizio dell’autore al pari di
un ricordo della memoria, ma con più forza espressiva e,
soprattutto, con maggiore impatto emotivo sul lettore
19
. Si
parlerà del sogno nella letteratura antica in Omero,
Artemidoro, Cicerone, e nel Rinascimento con autori come
18
CHARPENTIER 1988: 13 segg.
19
HAGGE 1986: 71-74.
15
Gerolamo Cardano, Francesco Colonna, in correlazione con
l’opera del Barbaro.
La Predica, in particolare, non è né un trattato né un romanzo. È
in versi, scelta inusuale per l’argomento proposto. Il Barbaro
analizza il tema apparentemente come se riguardasse un
argomento scientifico, spiegandone le cause e proponendone
esempi, ma in realtà usa una forma letteraria diversa dal
trattato e si affida alla poesia. Il testo dichiara gli scopi del
Barbaro: questi non utilizza lo strumento-sogno come artificio
retorico, bensì, più vicino all’opera di Artemidoro, propone una
spiegazione, poco scientifica e molto poetica, di quello che
rappresenterebbe il sogno, almeno nella cultura cinquecentesca.
L’argomento è introdotto da un prologo (A2r) in endecasillabi
in cui è asserita la possibilità di sognare per chiunque e in
qualsiasi modo. Attraverso lo strumento delle terzine è
introdotto quanto sviluppato poi più compiutamente in
seguito. Seguono l’invocazione (A3r), l’Argumento et divisione de
la predica (A3v-A4r), Prima parte (A4v-B2v), Parte seconda (B3r-
C1r), Parte terza (C1r-C3v), Parte ultima (C4r-D3r), Del dubbio
16
(D3r-D4r), A madonna Giulia Fereta (D4v), A Dio padre e A Dio
figlio (E1r), Alla Vergine (E1v-E3v). Quello che appare
immediatamente nella mente del lettore, è una notte un po’
scura, illuminata tuttavia da una luna splendente, che favorisce
l’abbandono al mondo dei sogni. Al v. 10 si trova il primo
riferimento tecnico, quello a Omero (Odissea, XIX, 560-565). La
citazione si riferisce alla credenza antica secondo cui i sogni
uscivano da due porte, quella d’avorio, sinonimo di falsità e
dalla quale perciò provenivano tutti i sogni menzogneri, e la
porta di corno, cui le caratteristiche del materiale assicuravano
veridicità anche ai prodotti che ne fuoriuscivano. Un sognatore,
quindi, poteva vedere nei propri sogni tutto ciò che voleva, da
un leone o cavallo fino alla ricchezza in denaro o al dominio di
un regno intero. Era anche possibile che un avvenimento
spiacevole e angoscioso turbasse le notti degli uomini, chi
sognava di volare e invece chi affogava in mare. C’era poi chi
traeva diretto beneficio trovando la risposta ai propri studi o ai
propri perché attraverso i sogni, che racchiudevano la
soluzione tanto ricercata. Il sogno è descritto usando spesso
17
convenzioni antiche: così i «neri sogni» sono definiti «con le
piume oscure» secondo la descrizione che è fatta anche da
Ovidio nelle Metamorfosi (XI, 592 segg). Possono essere
facilmente oggetto d’interpretazioni da parte d’indovini, maghi
e preveggenti che, attraverso le immagini che essi credono di
vedere, illudono di poter anticipare il futuro. Barbaro in questo
passo lascia intuire quasi una certa diffidenza verso tali figure;
di questi interpreti di sogni, sembra che non abbia stima, ma
anzi quasi mette in guardia la credulità del lettore di fronte alla
ciarlataneria. Il Prologo prosegue nell’elencazione di ciò che può
accadere in sogno; non passa inosservato il riferimento a Dante,
quando Barbaro scrive «Chi potrebbe ridir le faccie, e i volti»
(Commedia, Paradiso I, 5-6). Il tono diventa più colloquiale e
l’autore si rivolge direttamente al lettore «bramoso», assetato
d’informazioni sull’argomento, assicurando la giusta
ricompensa alla sua curiosità attraverso l’aiuto di «un vecchio
padre instrutto», un anziano savio, che a sua volta ha
illuminato l’autore. Dopo l’Invocatione, è accennata
l’organizzazione dell’opera, l’autore spiega come e quando