" E' l'uso ordinario del linguaggio ad essere il punto di riferimento per tutta una serie
di questioni d'interesse filosofico riguardanti la soggettività umana, la comunicazione,
la comprensione, il coordinarsi dei singoli in relazioni sociali più o meno conflittuali o
cooperative"
1
Come opera il linguaggio? In che modo si può dire che il dire è un fare?
Rispondere a queste domande costituisce il fulcro della nostra Tesi, che si snoda
attraverso la teoria degli atti linguistici di Austin e la teoria conversazionale di Grice, in un
percorso di ricerca volto ad analizzare le diverse funzioni del linguaggio verbale.
Il lavoro di Austin trova il suo punto di partenza dalla nozione di enunciato
performativo, il cui proferimento costituisce l'esecuzione diretta di un'azione.
Egli, inoltre, è consapevole dell'esistenza di una molteplicità di sensi in cui il dire è un
fare, per cui il parlare è compiere una serie di atti linguistici che definisce: atto locutorio,
l'atto di dire qualcosa; l'atto illocutorio, l'atto nel dire qualcosa; l'atto perlocutorio, l'atto col
dire qualcosa.
L'attenzione dell'Autore, come anche la nostra, si concentrerà sull'atto illocutorio, in cui
si sviluppano e si esaminano tutta una serie di azioni linguistiche, dal promettere al
giudicare, dal ringraziare all'ordinare, in riferimento ad alcuni elementi convenzionali e
al contesto di una relazione interpersonale.
La riflessione sugli atti linguistici chiarisce la loro caratteristica di azione all'interno di
un confronto intersoggettivo tra parlante e ricevente.
E' da questa consapevolezza di un linguaggio che vede parimenti partecipi i soggetti
dell'interazione , parlante e ricevente, che si sviluppa l'analisi della linguaggio di Grice.
Da qui le risposte alle domande iniziali divengono sempre più chiare ed esaustive.
Grice, infatti, intende per comunicazione la produzione intenzionale da parte del
parlante-emittente di credenze o azioni su un destinatario-ricevente.
1
Sbisà Marina,1989,. pag. 275-276
Introduzione
GE II
III
In tale situazione comunicativa, egli definisce il Principio di Cooperazione e le
massime conversazionali, che danno un quadro completo di come i parlanti "collaborano
alla costruzione di un significato" che va da ciò che è detto esplicitamente a ciò che è
inteso.
Questa caratteristica del linguaggio umano di insinuare implicitamente, di fare intendere,
diventa elemento distintivo rispetto ad altri linguaggi convenzionali e naturali, tanto
che gli si attribuisce la precisa funzione di " comportamento comunicativo razionale".
La teoria degli atti linguistici di Austin e la teoria delle implicature conversazionali di Grice
hanno permesso lo sviluppo di diverse aree di ricerca, in cui il linguaggio assume la
veste di fecondo terreno d'indagine e di riflessione.
La nostra Tesi , intitolata La pragmatica linguistica. Austin e Grice, analizza la dinamicità
del linguaggio ordinario e si articola in due sezioni.
Una prima sezione di lavoro include la teoria degli atti linguistici di Austin, suddivisa
in due capitoli, in cui si analizza l'atto performativo, come azione del linguaggio, e in
particolare l'atto illocutivo e le sua articolazioni.
La seconda parte si interessa della filosofia del linguaggio di Grice, dalla sua
definizione di significato naturale e non naturale sino agli sviluppi delle implicature
conversazionali, in cui si cerca di cogliere sfumature e caratteristiche di un linguaggio
che si definisce cooperativo.
L'elaborazione della Tesi ha visto la preziosa collaborazione della Prof. Marina Sbisà
dell'Università di Trieste, che con gentile disponibilità ha fornito consigli e suggerimenti di
imprenscindibile interesse.
1
CAPITOLO. I
L’AZIONE DEL LINGUAGGIO
dire è cominciare a fare:
il performativo del dire è
l’inizio dell’esecuzione del fare.”
Paul, Ricoeur
I.1 L’enunciato performativo :un’azione linguistica
Il linguaggio è l’espressione potenzialmente più alta dell’essere umano.
Le parole sono un'esclusiva proprietà dell’uomo, sono atti vivi capaci di tradurre
pensieri e sentimenti, e di essere l’espressione più propria dell’Io. La parola, dunque, è
l’utensile più antico e prezioso dell’uomo, e rimane il veicolo comunicativo per eccellenza. Ma,
nonostante tutto, il servirsi del linguaggio verbale sembra così naturale all’uomo, come
respirare, mangiare, dormire, o qualsiasi altra funzione biologica, che spesso ha
trascurato di chiedersi quale sia la sua essenza e la sua funzione.
Per comprendere la straordinarietà del linguaggio, e come le parole appartengano
all’universo dell’uomo e del suo vivere, bisogna entrare nel vivo della comunicazione
verbale e conoscere per gradi che cosa significhi per l’uomo “usare il linguaggio”.
Ogni individuo, quotidianamente e nei suoi rapporti interpersonali, usa le parole della
sua lingua per comunicare idee, intenzioni, emozioni, immagini, in un’unica definizione
I.L'azione del linguaggio
2
per trasmettere messaggi, ma parlando, compie anche una serie di azioni, ormai
consuetudinarie, come informare, esortare, insegnare, confortare, promettere, accusare,
giurare e tutto quant’altro è possibile “fare” con l’uso del linguaggio. Se così è, si potrebbe
anche contestare la vecchia credenza di un abisso tra il dire e il fare, poi comunemente
assunta come differenza tra teoria e prassi, e affermare, con tutta evidenza, che il
parlare non è soltanto un dire ma anche un fare, è “esercitare atti linguistici”.
“ La teoria degli atti linguistici studia ciò che facciamo parlando. Distinguiamo diversi
tipi di atti linguistici : gli atti locutivi, e cioè l’emettere suoni (atto fonetico), il
pronunciare frasi (atto fàtico) e il proferire enunciati (atto retico o proposizionale, atto
quest’ultimo che comprende a sua volta due atti, quello di far riferimento a qualcosa e
quello di predicare qualcosa di ciò di cui si fa riferimento) ; gli atti illocutivi, come
l’affermare, il giudicare, il consigliare, ecc. ; gli atti perlocutivi, come il convincere, lo
spaventare, ecc. , quando questi sono effetti di quanto qualcuno ha detto”.
2
Figura di primo piano, per lo sviluppo della teoria degli atti linguistici, è
indubbiamente il filosofo John L. Austin , che insieme all’insegnamento del secondo
Wittgenstein, è considerato il maggiore esponente della filosofia analitica contemporanea
, che va sotto il nome di “Oxford-Cambridge Philosophy”.
Quando si cita Austin, infatti, si parla in realtà di un metodo che trova il suo culmine
nell’opera Come fare cose con le parole, che raccoglie il testo di William James Lectures, le
lezioni tenute all’università di Harvard nel 1955, e pubblicate postume alla sua morte,
nel 1962.
L’opera austiniana ci riporta nel vivo del nostro problema, vale a dire l’analisi degli atti
che si compiono nel parlare e con il parlare un determinato linguaggio, e può anzi assumere,
inizialmente, la veste di guida del nostro percorso.
2
Leonardi, Paolo , 1992 , pag.139
I.L'azione del linguaggio
3
Per giungere alla definizione che il dire è anche un fare, in tutti i suoi molteplici
aspetti, Austin, passa attraverso la nozione di enunciato performativo.
Il nome Performativo, deriva dall’inglese perform (eseguire, compiere...), e indica
l’esecuzione dell’azione attraverso il proferimento di un enunciato.
Il concetto di enunciato performativo, usato da Austin, sembra derivare da una
problematica dibattuta ad Oxford da H. A. Prichard, che occupandosi di filosofia
morale e politica, riconosceva nella formazione di obblighi e diritti, che una promessa
non è soltanto un’affermazione ma è soprattutto un’azione.
Austin, distaccandosi poi dalla tesi prichardiana, sostenne che una promessa, come
molti altri enunciati esposti in seguito, eseguita secondo procedure convenzionalmente
accettate, costituisce essa stessa l’atto di assumersi un impegno, dunque di compiere
un’azione.
In realtà il nostro autore non considerò il performativo come un fenomeno isolato e
anomalo, ma come un aspetto coesistente al linguaggio, che in ogni modo volle
distinguere dagli altri atti. Austin definì i diversi usi del linguaggio, considerandolo dal
punto di vista pragmatico, per cui analizzò gli enunciati prodotti dal parlante come atti
di dire, ma in vari casi anche, di fare qualcosa. Per chiarire questo, infatti, già dalla
prima lezione del suo trattato, espone una differenza tra enunciati performativi e
constatativi, che sta alla base della sua fenomenologia linguistica.
L’enunciato constatativo, chiamato anche da molti filosofi asserzione, ha il compito di
descrivere un fatto, di esporre un evento, di dire qualcosa che può essere verificabile
secondo i criteri di verità o falsità ; mentre l’enunciato performativo serve di per sé a
compiere l’azione stessa, senza descriverla o esporla, ma eseguendola hic et nunc . C’è
una chiara asimmetria tra il dire ÇMario ha promesso di portarmi al cinema.È e ÇIo ti
I.L'azione del linguaggio
4
prometto di...È ; nel primo caso abbiamo la semplice descrizione di un’azione, quella del
promettere, che può essere vera o falsa, nel secondo si ha l’esecuzione dell’azione
stessa del promettere.
“ L’opposizione semplice tra constatativo e performativo, (.....) fornisce una dicotomia
soddisfacente per la riflessione: un kantiano vi ritrova facilmente la distinzione tra il
teorico e il pratico che ispira le due Critiche. Questa dualità, che si esprime in differenti
maniere (teoria e prassi, considerazione e azione, vedere, fare, ecc.), qui è fondata su
una serie di criteri omogenei che abbiamo già menzionato :
_ il constatativo può essere vero o falso ; il performativo va incontro ad infelicità o
disgrazia a seconda che siano rispettate o no le regole convenzionali che ne
costituiscono lo spazio di gioco ;
_ nel constatativo il senso della proposizione non cambia con le persone (io, tu, egli
mangia, corre, ecc.) ; nel performativo invece solo la prima persona del singolare dà al
verbo la sua forza di performativo. La simmetria è dunque caratteristica del
constatativo ;
_ nel constatativo il dire è distinto dal fare e non cambia il suo oggetto ; nel
performativo il dire è fare.”
3
Abbiamo illustrato in modo molto sintetico i principi che stanno alla base di questa
differenza esposta da Austin, ma ne chiariremo più dettagliatamente ogni singolo
elemento, in modo da evidenziare le particolari funzioni del performativo.
Prima condizione per la buona riuscita dell’atto linguistico performativo, è che siano
rispettate determinate convenzioni, senza le quali si potrebbe affermare che sia infelice.
G J.Warnock, in un testo recente del 1973, riprende con chiarezza la formula
performativa, affermando che “Dove esista una convenzione per cui fare (nel nostro
3
Ricoeur Paul. ,1977 , pag. 37 – 38
I.L'azione del linguaggio
5
caso : dire) x equivalga a fare y , y verrà effettivamente fatto solo se x viene fatto (nel
nostro caso : detto) dalla persona giusta, a tempo e luogo dovuti, nel modo
appropriato, e così via.”
4
Potremmo chiarire questa caratteristica di convenzionalità del performativo,
riprendendo alcuni esempi citati da Austin stesso. Innanzitutto, egli indica alcuni casi
in cui l’enunciare la frase costituisce l’esecuzione di un’azione, dunque di un atto
linguistico performativo, e tra questi cita come esempi il “Si, prendo questa donna
come mia legittima sposa.” ; “Battezzo questa nave Queen Elizabeth” ; “Lascio in
eredità il mio orologio” ; “Scommetto uno scellino” e molti altri enunciati, che sono
tratti dai nostri modi di dire comuni.
Ciò che rende particolari queste parole, conferendo anche una certa validità, è il
rispetto delle regole che ne rendono idonea l’esecuzione.
Cercheremo dunque di analizzare, in modo particolare, alcuni singoli esempi rilevando
ciò che per convenzione rende l’enunciato potremmo dire operativo.
Prendiamo l’esempio del “Si” del matrimonio, esso è innanzitutto valido se espresso
dalla persona giusta, per cui l’uomo o la donna che lo pronunciano non dovrebbero
essere già sposati con qualcun’ altro, altrimenti l’atto sarebbe nullo ; “avremo
commesso, in modo estremamente interessante l’atto di bigamia - ma non avremo
compiuto l’atto preteso, vale a dire sposarsi.”
5
L’atto non sarebbe neanche valido se i soggetti in questione non sono adatti alla
situazione, si prenda il caso paradossale, di un uomo che pronunci il suo “Si”, ma ha a
fianco un cane; potrebbe essere una sorta di finzione scenica, ma non la reale
esecuzione di un atto.
4
Warnock, Geoffrey J, 1973, pag. 106
5
Austin, John L. , 1962a, pag.18
I.L'azione del linguaggio
6
Anche le circostanze devono essere idonee, per cui a celebrare la cerimonia del
matrimonio dovrebbe essere un sacerdote, se ci troviamo nell’ambito di una chiesa, o
un capitano se si svolge su una nave, infatti, anche in questo caso, se l’enunciato fosse
emesso da qualsiasi persona in circostanze anomale, allora non avrebbe alcuno effetto.
Bisogna, inoltre, che entrambi pronuncino la formula del rito matrimoniale per intero,
e che rispondono “Si” al momento opportuno.
La seconda condizione di base del performativo è che deve essere espresso con il
verbo alla prima persona singolare del presente indicativo attivo, che serve a rendere
esplicita l’intenzione comunicativa che il parlante ha quando parla. “L’intenzione
infatti (...) prende il suo vero senso soltanto in una dichiarazione d’intenzione del tipo Çio
ho l’intenzione di...È, la quale presenta alcuni dei tratti del performativo, soprattutto
quello di avere il suo senso di dichiarazione d’intenzione solo alla prima persona.”
6
La caratteristica dei performativi, cosiddetti espliciti, è che vi sia una parola indicante
ciò che il parlante sta facendo, nell’atto stesso in cui parla. L’importanza indicata dalla
prima persona, per il caso dell’enunciato performativo, chiarisce, ancora una volta, la
differenza tra la formula Çio prometto È, con cui lo stesso soggetto compie l’azione, e
la formula Çegli prometteÈche descrive un’azione ; questa differenza non si rileva in
altri verbi, come ad esempio Çio mangioÈ o Çegli mangiaÈ poiché in entrambi si
descrive l’atto del mangiare. Mentre nel promettere, tipico enunciato performativo
esplicito, colui che enuncia deve essere l’esecutore dell’atto.
Nel caso della promessa, e in genere negli atti performativi, entrano anche in gioco gli
stati emotivi e intenzionali del soggetto in questione, perché il performativo possa
funzionare bene e portare a termine l’azione.
6
Ricoeur Paul , 1977, pag.40-41
I.L'azione del linguaggio
7
Il promettere, infatti, presuppone l’obbligo di un certo comportamento successivo che
ne riveli l’intenzione. Il dire ÇPrometto di comprarti un orologioÈ, deve
necessariamente essere seguito da un comportamento consecutivo, che permetta la
riuscita del performativo ; allora questo non è solo un’enunciazione esteriore ma anche
descrizione di un atto interiore, espresso con sincerità.
“L’interesse per la citata ricerca ai fini di una teoria degli enunciati appare più grande
ancora se si considera che la distinzione tra performativo e constatativo è subordinata
ad un’altra distinzione che attraversa tutti gli enunciati, (...) e cioè la distinzione tra il
senso che una proposizione assume ad opera dell’atto locutorio e la differente forza
che questa proposizione ha, a seconda che il medesimo senso (...) sia quello di una
constatazione o di un ordine o di una preghiera, ecc. Questa seconda dimensione, che
si deve all’atto illocutorio, è la chiave del problema posto alla filosofia dell’azione dalla
teoria dello<<speech act>>.”
7
7
Ricoeur Paul , 1977, pag. 41
I.L'azione del linguaggio
8
I.2 Origini della teoria austiniana.
Nel precedente paragrafo abbiamo cercato di dare un quadro, per lo più sintetico, di
“enunciato performativo”, cercando di illustrarne le condizioni di base, ma sarebbe
limitativo soffermarci soltanto ad un’analisi di superficie quando si tratta di analizzare
un aspetto del linguaggio così particolare e complesso.
E’, innanzitutto, interessante ricordare come la problematica del cosiddetto
performativo, e in genere della teoria degli atti linguistici, rientra a pieno titolo nella
disputa di filosofia analitica del linguaggio, che vede contendersi le due più importanti
roccaforti della filosofia anglosassone, Cambridge e Oxford.
A Cambridge, all’inizio degli anni ’20, Ogden e Richard nella loro celebre opera Meaning
of Meaning (1923) indagarono sul significato delle parole del linguaggio. Il loro
proposito fu quello di praticare una sorta di “debabelizzaaione” del linguaggio, per cui
l’operazione consisteva nel definire con esattezza il significato di ogni parola,
eliminando tutti gli altri superflui e incomprensibili. Questa soluzione se da un lato
avrebbe permesso di eliminare possibili malintesi, dall’altro avrebbe comunque
evidenziato la molteplicità delle funzioni del linguaggio. Da qui le tradizionali divisioni
schematiche del linguaggio puramente descrittivo o referenziale, da cui ebbe origine la
cosiddetta “fallacia descrittiva”.
Durante gli anni trenta del novecento, si sviluppò uno dei più importanti indirizzi di
pensiero, il positivismo logico. “ accomunato da concezione della filosofia come lavoro di
chiarificazione concettuale”.
Il comune indirizzo di ricerca su cui vertono i filosofi appartenenti a questa dottrina,
alla cui diffusione contribuì decisamente la lettura ,da parte dei membri del “circolo di
Vienna” , del Tractatus logico-filosoficus di Wittgenstein, è una concezione scientifica del
I.L'azione del linguaggio
9
mondo, che applicato al caso del linguaggio, significa una perfetta verificabilità degli
enunciati linguistici .
La tesi fondamentale, dunque, di questa dottrina era basata sul cosiddetto criterio di
verificazione secondo cui una frase che non può essere ,in linea di principio , verificata è
priva di significato. L’empirismo radicale dei neo – positivisti , che implica l’adozione
di metodi di verifica degli enunciati, ha una sua fondamentale importanza in uno studio
del linguaggio, poiché ci chiarifica, sotto alcuni punti di vista, lo sviluppo delle diverse
correnti di linguistica. Le polemiche che presto si levarono contro le tesi del
positivismo logico furono numerose, e se da un lato portarono allo sfaldamento del
movimento , dall’altro diedero vita alla più generale corrente di filosofia analitica.
E’ interessante anche citare , in questo contesto, la posizione assunta da Husserl, che
pone le distanze tra un'espressione puramente teorica e verbale, e il “vivere” quella
stessa espressione. Viene, dunque, superata la superficialità di Ogden e Richard, che
riducono il significato ad un problema linguistico lessicale, e con la tesi husserliana il
problema del significato è innanzitutto un problema di fenomenologia vissuta, che si
traduce in espressione verbale. Ed è proprio l’espressione di “fenomenologia del linguaggio”
che caratterizza l’analisi linguistica di Husserl, e il problema del vissuto riesce a
trascinare il significato di una parola in un ambito più concreto, nell’ambito del
linguaggio ordinario.
In questo clima, tra gli anni ‘40/’50 , si maturò ad Oxford la reazione contro il
significato generale delle parole, e l’interesse degli analisti inglesi si spostò sull’analisi
del linguaggio ordinario e sul modo improprio con cui i filosofi hanno usato le parole
comuni.
I.L'azione del linguaggio
10
“La tesi centrale dei filosofi di Oxford è espressa dallo slogan Meaning is Use (“il senso
è l’uso”): descrivere il senso di una parola consiste nel precisare il suo modo di
impiego, e nell’indicare quali sono gli atti di linguaggio che permette di compiere”
8
Caposcuola della filosofia analitica dell’università di Oxford, fu notoriamente Austin
,che nel suo libro Come fare cose con le parole considera il termine “uso” ambiguo e vasto,
e allo stesso modo nega che il significato di una espressione sia la cosa più importante,
e si mostra avverso alle questioni più generali, mentre tende a ricondurre tutto a
problemi singoli e specifici. “Si potrebbe cioè dire che per lui (N.d.T. Austin)
l’ancoraggio ai significati concreti delle parole specifiche esercita la stessa funzione che
ha la forza di gravità nell’impedire che chi si trova sulla crosta terrestre possa sfuggire
nello spazio.
Quell’ancoraggio linguistico concreto impedisce cioè che i discorsi si perdano nel
vuoto di entità fittizie come concetti, universali, immagini. Invece per Austin l’ubi
consistam del significato, che lo preserva da dibattiti inconcludenti e insensati, è dato
sempre dalla sua connessione con parole particolari.”
9
La “svolta linguistica” della filosofia analitica inglese, del secondo dopo guerra, fa
parte di un processo più vasto che, da un’analisi degli usi cognitivi del linguaggio, si
sposta ad un’analisi pragmatica, e pone le basi per il problema delle “funzioni”. La
distinzione di base che si sviluppa, non è più tra usi cognitivi ed usi pratici del
linguaggio, ma tra i diversi tipi di attività e di azioni per cui si può affermare che
parlare è agire, ,ed è esercitare attività linguistiche, ed è questa la tesi principale di
Austin.
" Lo scopo dell'analisi austiniana era quello di affinare i nostri strumenti linguistici per
arrivare ad una migliore comprensione del mondo cui il linguaggio si riferisce: Il suo
8
Ducrot ,Oswald e Todorov ,Tzvetan , 1972, pag. 108
I.L'azione del linguaggio
11
lavoro avrebbe dovuto condurre ad una new science of language, la quale avrebbe dovuto
incorporare le fatiche dei filosofi, dei grammatici e dei linguisti. La sua battaglia è stata
una battaglia contro la fretta, l'illusione riduttivistica e le supersemplificazioni dei
filosofi."
10
In questo contesto di analisi pragmatica rientra il concetto di enunciato performativo
di Austin, parte integrante del percorso di scoperta della teoria degli atti linguistici.
9
Emanuele Pietro, 1993, pag. 161
10
Antiseri, Dario e Baldini, 1989, pag.103