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CAPITOLO PRIMO
GLI ASPETTI PRINCIPALI DELLA POVERTA’
1.1. Introduzione
In quest‟ultimo decennio si entra e si esce dalla povertà più
frequentemente, sono cresciute le famiglie coinvolte in oscillazioni tra
periodi della propria vita nei quali il reddito è sufficiente e condizioni di
povertà più o meno intense. Il rischio di povertà è molto più esteso
rispetto al passato, ora coinvolge quasi la metà della popolazione, e non
è legato solo a un periodo di crisi economica, ma a un insieme di
dinamiche sociali che generano crescente instabilità e insicurezza nella
vita delle persone, nel lavoro, nella famiglia, riducono l‟efficacia degli
attuali sistemi di protezione sociale, creano instabilità in tutte le
relazioni.
Il terreno su cui poggiamo le nostre prospettive di vita è notoriamente
instabile, come sono instabili i nostri posti di lavoro e le società che li
offrono, i nostri partner e le nostre reti di amicizie, la posizione di cui
godiamo nella società in generale e l‟autostima e la fiducia in noi stessi
che ne conseguono.
L‟insicurezza economica e sociale e, più in generale, il sentimento di
incertezza del futuro sono diventati assai diffusi nella società
contemporanea e questo avviene sia a seguito dell‟avvento di nuovi
rischi, sia per la trasformazione dei vecchi rischi sociale. Questi ultimi
perdono la loro natura aleatoria e circoscritta per diventare minacce
diffuse, alle quali difficilmente ci si può sottrarre e che una volta
sopraggiunte perdurano a lungo: le malattie diventano degenerative, la
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disoccupazione diventa di lunga durata, la vecchiaia è oramai una lunga
fase della vita accompagnata quasi inevitabilmente dalla non
autosufficienza
1
.
Per molte persone le esigenze di sicurezza e stabilità sono prioritarie e
per una quota molto estesa di popolazione, l‟instabilità delle relazioni
sociali, l‟incertezza sul proprio futuro raggiungono gradi intollerabili,
più che un rischio calcolato rappresentano un pericolo incombente che
erode ogni sicurezza, che crea un destino incerto e contesti di vita
precari. Ed è proprio all‟interno di questa instabilità che si nascondono le
cause della povertà.
Le facce della povertà sono numerose. Ce n'è una ogni cinque.
La maggioranza sono le facce delle donne, vengono poi le facce dei
bambini, dei giovani, dei disabili e degli anziani; degli indigeni, degli
emigranti e dei rifugiati, quelli che il "progresso" ha spinto alla
periferia. Definite collettivamente svantaggiati, o marginalizzati,
queste sono le persone che devono rappresentare il primo obiettivo di
ogni serio sforzo per eliminare l'indigenza dalla faccia della terra.
La povertà si manifesta del resto in molte forme: come una miseria
endemica e di massa nei paesi più poveri e meno sviluppati; come
sacche di indigenza che rimangono persino in mezzo alle nazioni più
ricche; come improvviso impoverimento dovuto a disastri naturali o
causati dall'uomo; come necessità temporanea determinata da
un'ondata di licenziamenti; o come la sofferenza persistente dei
marginalizzati che svolgono lavori servili per una paga irrisoria,
quando non addirittura per niente. Ma in qualunque modo si
manifesti, la povertà è sempre accompagnata dall‟esclusione sociale
1
REMO SIZA, Povertà provvisorie le nuove forme del fenomeno, FrancoAngeli, Milano, 2009, pag.
38.
9
che costituisce al tempo stesso una violazione della dignità umana ed
una minaccia alla vita stessa.
L‟ esclusione sociale sembra essere una condizione ancora più diffusa e
che rappresenta una delle tante contraddizioni di questa società,
caratterizzata dalla sperequazione economica (chi è ricco diventa sempre
più ricco, chi è povero diventa sempre più povero) e dalle tante povertà
sociali.
L‟introduzione del concetto di esclusione sociale ha contribuito a
rendere meno concentrata sulla dimensione del solo reddito la questione
della povertà. Assumere elementi quali: la capacità di disporre di beni e
servizi ritenuti essenziali, la multidimensionalità, la partecipazione
sociale, il coinvolgimento politico e l‟integrazione sociale nel tempo ha
consentito un raffinamento delle elaborazioni sul tema. Rendendo
possibile, inoltre, l‟introduzione di altre dimensioni del fenomeno quali
quelle della povertà soggettiva (percepita) e oggettiva, assoluta e
relativa, unidimensionale e multidimensionale, statica e dinamica.
Gli aspetti che concorrono alla caratterizzazione di una situazione di
povertà sono molteplici e tra loro interdipendenti, seppure secondo
dinamiche tutt‟altro che univoche e lineari; queste differenti
manifestazioni rendono il fenomeno difficile da definire e misurare.
Infatti esistono molteplici modi per definire questo termine che in sé
racchiude una complessità di aspetti che cambiano e si differenziano
nello spazio e nel tempo.
La Banca mondiale definisce la povertà come uno stato di pronunciata
privazione, intendendola come la privazione del benessere dell‟uomo.
“Povero è colui che non è in grado di soddisfare i propri bisogni primari e non chi
10
non ha la capacità di sopperire alle proprie esigenze: povero è chi ha “una
inadeguata capacità di disporre di risorse”
2
.
Al concetto di povertà è subito associato uno stato di deprivazione
monetaria, ma è ormai teoria consolidata che la povertà non può essere
intesa come la semplice mancanza di denaro, essa va intesa come una
privazione del benessere cui ogni individuo ha diritto, visto sia nella sua
individualità che nella complessità di un collettivo. E‟ il non poter
accedere ai servizi minimi, l‟incertezza del quotidiano, la privazione di
un‟adeguata educazione scolastica, il non avere accesso al servizio
sanitario, il non poter usufruire di un alloggio.
Un esempio in tal caso è offerto dall‟Unione europea che scrive: “Per
persone povere s’intendono: i singoli individui, le famiglie e i gruppi di persone le
cui risorse (materiali, culturali e sociali) sono così scarse da escluderli dal tenore di
vita minimo accettabile nello Stato membro in cui vivono”
3
.
Nel 2000, la Banca Mondiale pubblicò Voices of the Poor, uno
straordinario tentativo di capire la povertà dall‟interno, basandosi sulle
conversazioni con 64.000 persone povere di tutto il mondo
4
. Da queste
interviste emerge un resoconto complesso e umano della povertà, che
comprende questioni che spesso vengono ignorate dalla letteratura
accademica, come il bisogno di avere un buon aspetto e di sentirsi amati,
l‟importanza di sentirsi in grado di dare ai propri figli un futuro o
l‟angoscia mentale che quasi sempre accompagna la povertà. La
conclusione globale fu che “ancora una volta, l‟impotenza sembra essere
al centro di una brutta vita”.
Tale povertà non è semplicemente la ricchezza (anche se il reddito è
importate), ma una nozione più ampia di benessere, che deriva
2
FRANCESCO MARSICO, ANTONELLO SCIALDONE,Comprendere la povertà, Maggioli
Editore, Repubblica di San Marino, 2009, pag. 18.
3
Ibidem, pag. 20.
4
DUNCAN GREEN, Dalla povertà al potere, Altra Economia, Milano, 2009, pag. 8.
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dall‟essere in salute, dalla sicurezza fisica, da un buon lavoro, dall‟essere
inseriti in una comunità e da altri fattori non monetari.
Come si può notare quindi, la parola povertà, quella che in un primo
momento sembra una parola chiara e di ovvio significato, viene usata in
una larga serie di situazioni reali diverse, ugualmente designate col
termine povertà.
Quello della povertà è un fenomeno complesso e legato ai cambiamenti
storici, culturali e sociali delle società contemporanee il cui contrasto è
un impegno arduo in assenza di uno sforzo sostanziale sul piano della
informazione e della conoscenza.
La conoscenza della distribuzione della povertà tra le popolazioni e
l‟analisi delle caratteristiche che si associano a questo fenomeno è stato
studiato storicamente attraverso il riferimento a tre distinti e principali
modelli che si sono succeduti nel tempo che sono: la povertà assoluta, la
povertà relativa e la povertà soggettiva.
Questi si basano su due diversi approcci dove è bene fare una prima
separazione di partenza. L‟approccio di tipo unidimensionale, definibile
di tipo risorsista e legata per lo più a reddito e consumo, e l‟approccio di
tipo multidimensionale, che è quella che meglio caratterizza la povertà e
che stima non solo molteplici aspetti della vita (reddito, istruzione, salute
e diversi aspetti sociali, psicologici, ecologici) ma anche la stretta
relazione tra povertà, disuguaglianza, vulnerabilità.
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1.2. Approccio unidimensionale e multidimensionale.
Il primo studio scientifico sulla povertà fu effettuata dall‟economista
inglese Rowntree che nel 1909 analizzò la situazione nella città di
York. La definizione di povertà data da Rowntree si soffermava
essenzialmente sulla indisponibilità di reddito e di beni materiali.
Definì la povertà "la situazione di deficienza in cui il reddito annuo, di una
famiglia tipo composta da due persone, risulta inferiore al reddito annuo
stabilito”
5
. Infine si può notare come con questo termine Rowntree
prende in considerazione solo la sopravvivenza fisica, tralasciando
invece il soddisfacimento di ogni altro bisogno sociale. Il suo
concetto di povertà infatti secondo molti studiosi si limita alla sola
mancanza del denaro necessaria per soddisfare al minimo i bisogni
fisici. Le famiglie che avevano un reddito inferiore a tale soglia erano
in una situazione di povertà primaria che Rowntree distingueva dalla
povertà secondaria, ossia la povertà di quelle famiglie che,
nonostante avessero abbastanza reddito per avere il minimo di
efficienza fisica, apparentemente continuavano a vivere in povertà. Il
suo studio divenne un punto di riferimento per le analisi successive
che si ispirarono a tale definizione, l‟approccio unidimensionale.
Questo approccio ha uno spazio valutativo ridotto ad una sola
dimensione, per cui il criterio di discriminazione tra povero e non
povero è basato esclusivamente sull‟utilizzo dei consumi o del
reddito. La povertà unidimensionale considera il benessere il
possesso di beni materiali. Un maggior benessere è quindi legato ad
un più elevato ammontare di risorse, e sono considerati poveri coloro
5
E.RUSPINI, Da Rowtree alle indagini panel:un itinerario che ha trasformato il concetto di povertà,
Franco Angeli, Milano, 1998, pag. 93.
13
che dispongono di beni inferiori ad una determinata soglia. In questa
visione tradizionale, la povertà viene misurata in termini monetari.
Il premio Nobel indiano Amartya Sen ha influenzato moltissimo gli studi
recenti sulla povertà. Secondo l'economista, la misura della povertà va
rapportata al vivere bene e alla libertà di vivere bene. La variabile usata
per misurare la povertà è stata quasi sempre il reddito. Dato che il denaro
è strumentale a un buon tenore di vita, è vero che il basso reddito riduce
la possibilità di vivere la vita che desideriamo. Ma questo non è l'unico
criterio per determinare la povertà. La povertà è un fenomeno
multidimensionale e volerlo esprimere con un solo indicatore è
fortemente riduttivo
6
. Ad esempio, la libertà dipende anche dal fatto che
una persona sappia leggere e scrivere: l'analfabeta non può leggere i
giornali né scambiare idee in forma scritta.
L‟approccio multidimensionale definisce il benessere e la povertà degli
individui in base alla loro capacità di ottenere determinati tipi di beni di
consumo (cibo, abitazione, servizi sanitari, istruzione).
Questo approccio, nato intorno agli anni 70, estende il numero di
dimensioni definendo e misurando la povertà su una molteplicità di
variabili. Il reddito, quindi, è solo una delle dimensioni della povertà:
“Il benessere di una popolazione, dunque anche la sua povertà, che non è altro che
una manifestazione di insufficiente benessere, dipende sia da variabili monetarie
sia da variabili non monetarie. Anche se è sicuramente vero che un reddito più alto
può essere in grado di migliorare la posizione di alcuni dei propri bisogni monetari
o non monetari. Tuttavia può avvenire che contemporaneamente il mercato di
alcuni beni non monetari non esista. Pertanto è inappropriato usare il reddito come
unico indicatore del benessere, che dovrebbe essere affiancato da altre variabili
come l’ aspettativa di vita, il grado di istruzione, l’accesso ai servizi sanitari e
6
ANDREA BRANDOLINI, CHIARA SARACENO, ANTONIO SCHIZZEROTTO, Dimensioni
della disuguaglianza in Italia: povertà, salute, abitazione, Il Mulino, Bologna, 2009, pag. 70.
14
sociali…”
7
. In tal caso la povertà viene misurata nei termini dei singoli
elementi: la povertà in istruzione può essere determinata chiedendo il
livello di alfabetizzazione, la povertà nutrizionale viene determinata in
termini di malnutrizione ecc.
Lo studio multidimensionale della povertà è legato a misure di
esclusione sociale e deprivazione materiale, dove la mancata
disponibilità di taluni beni, il mancato accesso a specifici servizi o
l‟esposizione a problemi di tipo ambietale possono, congiuntamente,
determinare uno stato di disagio.
1.3. La povertà assoluta.
Per povertà, spesso, si intende la deprivazione assoluta di un individuo
rispetto ad un determinato modo di vivere in maniera accettabile, è
l‟assenza dei mezzi che non consentono ad un individuo di venire
incontro al soddisfacimento dei fabbisogni essenziali. Si parla, appunto,
di povertà assoluta dove i poveri sono incapaci di acquistare beni
(principalmente alimenti e abitazione) e servizi che permettono loro di
evitare gravi forme di esclusione sociale nel contesto di riferimento in
cui vivono.
Quando si parla di povertà assoluta si fa riferimento all'idea della
semplice sopravvivenza o a quella di un livello di vita ritenuto minimo
accettabile. Nel primo caso povertà è quasi sinonimo di "miseria nera",
di quella situazione cioè nella quale la carenza di risorse a disposizione
dell'individuo è così profonda che la sua stessa vita è messa in pericolo
o, quantomeno, è condotta in condizioni disperate. Questa accezione di
povertà è spesso usata con riferimento ad alcuni Paesi del terzo mondo
7
A.K. SEN, Lo sviluppo è libertà, Mondadori, Milano, 2000.
15
(o loro regioni particolarmente svantaggiate), così come per quei casi di
povertà estrema che si possono anche riscontrare ai margini delle ricche
società industriali. In questo caso la distinzione tra poveri e non poveri
è assai semplice e, almeno per quanto riguarda i Paesi Europei,
comporta che la povertà sia ristretta ad un numero alquanto limitato di
casi, tutto sommato eccezionali. Di conseguenza, il problema della
povertà si restringe a quello di un piccolo numero di persone che, in
base alle loro caratteristiche prevalenti, è facile designare come del tutto
"particolari".
Sempre alla povertà assoluta ci si richiama anche in un secondo caso,
quando invece che alla mera sopravvivenza si fa riferimento ad uno
standard di vita che viene ritenuto "minimo accettabile"
8
. In questo caso
per discriminare i poveri dai non poveri si definisce previamente un
insieme di bisogni ritenuti essenziali e le risorse che ne permettono un
soddisfacimento minimo; le persone (o le famiglie) che non dispongono
di questo minimo di risorse vengono qualificate come povere. I bisogni
che più spesso vengono identificati come essenziali sono
l'alimentazione, l'alloggio, il vestiario, la salute e l'igiene (talvolta si
aggiunge anche la vita di relazione). A questa lista di bisogni si affianca
una lista di consumi che ne permettono il minimo soddisfacimento,
tramutando poi i consumi, attraverso i prezzi di mercato, nella somma
di denaro necessaria. Si ottiene così una soglia di reddito minimo che
stabilisce il "confine della povertà”
9
. Questo metodo d'individuazione
della povertà ha illustri precedenti: esso fu usato da Rowntree (1909)
già nella sua prima ricerca sulla povertà nella città inglese di York e poi
8
CARITAS ITALIANA, FONDAZIONE E. ZANCAN, Famiglie in salita, Rapporto 2009 su povertà
ed esclusione sociale in Italia, Il Mulino, Bologna, 2009, pag. 17.
9
NERVO GIOVANNI, Il fenomeno della povertà. Aspetti etico-valoriali, Edizioni Messaggero,
Padova, 2008.