2
giuridici dei suddetti progetti. Successivamente, il capitolo si concentrerà in
particolare sulla riforma del Titolo V, operata con la legge costituzionale n. 1 del
1999. A tal riguardo, lo studio si focalizzerà sull’attenzione che il legislatore
nazionale ha riposto sulla forma di governo regionale.
Nel corso degli anni ’80 iniziò a farsi strada un riformismo statutario, per certi aspetti
del tutto nuovo in quanto operante “dal basso”. In questo periodo quattro regioni
(Piemonte
1
, Umbria
2
, Toscana ed Emilia Romagna
3
) adottarono importanti modifiche
ai rispettivi Statuti, innovando in particolare le regole sul rapporto tra Consiglio e
Giunta regionale, mentre in altre regioni l’attività riformatrice non ottenne buon
esito
4
. Nei casi in cui la riforma andò a buon fine, si evidenziò una tendenziale
fuoriuscita dal modello assembleare
5
; in particolare, un istituto molto utilizzato, in
questa fase, fu quello della “sfiducia costruttiva”
6
, soprattutto in Emilia Romagna ed
in Umbria. Nella prima si adottò il modello della sfiducia costruttiva “classica”,
intesa come unica possibilità per il Consiglio di mettere in crisi la Giunta. Nella
seconda Regione, invece, s’introdusse la mozione di sfiducia “eventualmente
costruttiva”, in virtù della quale il Consiglio poteva sfiduciare l’Esecutivo regionale
sia indicando il nome del successore, sia mirando ad ottenere semplicemente le
dimissioni della Giunta stessa, senza indicare il nuovo Presidente nella mozione.
1
Le modifiche allo Statuto del Piemonte furono approvate con l. 180/1991.
2
Il nuovo Statuto dell’Umbria fu approvato con l. 44/1992.
3
Il nuovo Statuto dell’Emilia Romagna fu approvato con l. 336/1990.
4
A. PIZZORUSSO, Le fonti del diritto regionale, Bologna, 1977, 13.
5
La regola della residualità delle competenze del Consiglio fu rovesciata o fortemente alterata e venne
valorizzato il ruolo della Giunta come organo propulsore dell’indirizzo politico ed amministrativo della
Regione. Vedi P. GIANGASPERO, Osservazioni sulle riforme degli Statuti, 1011.
6
R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino, 2003, 141.
3
La stagione del riformismo statutario dovette ben presto cedere il passo ad una ripresa
dell’iniziativa riformatrice dal centro. Gli stimoli alla modifica della forma di
governo regionale si trovarono ad operare su tre diverse linee di forza. Queste,
variamente combinate nei diversi progetti succedutisi nel decennio 1990-2000, non
poterono non coincidere con i tre diversi livelli di regolazione visti in precedenza. I
vari progetti, che poi sarebbero culminati nella legge cost. 1/1999, si articolavano in:
- interventi sulla disciplina costituzionale della forma di governo volti a
modificare il modello base di riferimento;
- interventi diretti ad ampliare il raggio d’azione dell’autonomia statutaria ed
a liberare l'iter formativo dello Statuto dalla legge statale di approvazione
(lasciando la scelta della forma di governo alla Regione);
- interventi sulla (e mediante) la legge statale, modificando il sistema
d’elezione del Consiglio regionale, se non la stessa forma di governo.
E’ facilmente intuibile, da quanto appena detto, che nel corso degli anni ’90 la
questione della forma di governo regionale (che era stata complessivamente
marginale all’interno della Costituente) acquisì un’importanza via via crescente.
A fronte di una diffusa insoddisfazione sul rendimento del sistema regionale di
governo, la Commissione Bicamerale
7
sulle questioni regionali fece registrare la
presa di posizione di molti autorevoli costituzionalisti favorevoli alla riforma degli
articoli 121 e seguenti della Carta
8
.
7
Allora presieduta da Augusto Barbera.
8
Questo accadde alla luce di due indagini conoscitive condotte sulla forma di governo fra il 1989 e il
1992.
4
Alcuni propendevano per la sostituzione del modello assembleare con quello
dell’elezione diretta del Presidente della Giunta
9
; altri, invece, spingevano per la
completa abrogazione degli articoli 121 e 122, sostenendo che la forma di governo
sarebbe stata, in questo modo, interamente regolata dall’autonomia statutaria, con il
solo limite dell’armonia con la Costituzione
10
. Una successiva ipotesi di riforma presa
in considerazione fu quella basata su un più complesso rapporto tra Costituzione e
Statuti. Fu lasciato, infatti, allo Stato la possibilità di definire una serie di soluzioni
alternative, fra i quali le Regioni avrebbero dovuto scegliere. Nonostante il
documento conclusivo dell’indagine conoscitiva si astenesse dal presentare al
Parlamento una proposta unitaria, da essa emergeva la consapevolezza che una
correzione della forma di governo regionale avrebbe dovuto avere ad oggetto non
solo le scelte statutarie, ma la stessa disciplina costituzionale.
Il primo rilevante tentativo di riformare le norme costituzionali relative al sistema
regionale di governo fu compiuto nel biennio finale della X legislatura. La riforma
proposta nel c.d. “progetto Labriola”
11
conteneva nell’articolo 15 il testo che
avrebbe dovuto aggiungersi all’articolo 122 della Costituzione.
9
Sì v. l’intervento di Serio Galeotti nella seduta del 24 ottobre 1989, che propose l’adozione del
modello del governo di legislatura (CAMERA DEI DEPUTATI, Forme di governo regionale, pag. 85).
10
Questa posizione fu sostenuta con nettezza da Massimo Severo Giannini (che per proponendo
l’ampliamento dell’autonomia statutaria suggeriva per il sistema elettorale il ricorso al sistema
maggioritario per collegi uninominali: v. CAMERA DEI DEPUTATI, Forma di governo regionale, pag. 7-
8) e in materia più sfumata da Valerio Onida (ivi, pag. 40). Si espressero criticamente su tale posizione
Livio Paladin e Giuliano Amato (ivi, pag. 59-60 e pag. 67).
11
Si tratta del disegno di legge costituzionale Camera n. 4487 (X legislatura) che dopo aver ottenuto il
voto favorevole da parte del Senato, su un testo che non si occupava del sistema regionale, fu
approvato dalla Commissione affari costituzionali della Camera, ma non giunse in porto per la fine della
legislatura.
5
Quest'ultimo avrebbe attribuito alla Regione la possibilità di deliberare il sistema
d’elezione del Consiglio regionale e la disciplina della forma di governo, con
disposizioni statutarie adottate a maggioranza dei due terzi dei componenti il
Consiglio. Per la prima volta faceva, quindi, la formale apparizione la locuzione
“forma di governo” in un progetto di riforma costituzionale; bisogna in ogni modo
precisare che la forma di governo standard rimaneva però quella delineata nel testo
originale del 1947. La potestà di deroga rimessa, invece, ad una delibera del
Consiglio regionale, era lasciata nelle mani del sistema dei partiti politici allora
dominante. D’altro canto la potestà statutaria non era minimamente modificata e lo
Statuto deliberato rimaneva soggetto ad approvazione con legge statale
12
.
La seconda Commissione Bicamerale (Commissione De Mita-Jotti) sulle riforme
istituzionali
13
propose una riforma dell’articolo 122 della Costituzione che avrebbe
introdotto un sistema riconducibile al parlamentarismo razionalizzato. Nel suddetto
modello si prevedeva l’elezione da parte del Consiglio del solo Presidente della
Giunta che avrebbe poi avuto il potere di nomina e revoca degli altri membri
dell’Esecutivo. La stessa Assemblea legislativa avrebbe potuto sfiduciare il
Presidente della Giunta solo costruttivamente, eleggendo, contestualmente, il
successore a maggioranza assoluta
14
. Al tempo stesso, questa scelta era bilanciata con
un’opzione più regionalista, dando la facoltà al Legislativo regionale di adottare una
diversa disciplina della forma di governo ed un diverso sistema elettorale rispetto a
12
Sul progetto Labriola v. fra gli altri G. MOR, Verso un nuovo regionalismo, Milano, 2000, 114.
13
Si trovo ad operare nel 1992-94, mentre implodeva il sistema politico del c.d. “prima Repubblica” e il
sistema elettorale proporzionale era abbandonato a livello nazionale ed integrato, per le elezioni
comunali e provinciali da un premio di maggioranza e con l’elezione diretta del vertice dell’Esecutivo.
14
Art. 122.5 Cost.
6
quello stabilito a livello statale. Per entrambe le modifiche, però, era richiesto il voto
favorevole dei due terzi dei componenti
15
, con l’ulteriore possibilità di esperire un
referendum su iniziativa di un quinto del Consiglio regionale o di un ventesimo degli
elettori regionali.
Il successivo sistema proposto, nel 1994, dal primo governo Berlusconi prese il nome
di “Comitato Speroni” e prevedeva in un particolare quadro politico-sociale
16
, il
conferimento dell’autonomia costituzionale alle Regioni
17
. L’atto con cui tale
autonomia si sarebbe dovuta esercitare, doveva essere approvato a maggioranza
assoluta dal “Parlamento regionale” con successiva sottoposizione a referendum
popolare confermativo, senza più necessità d’approvazione attraverso legge statale.
Allo Statuto era rimessa la completa potestà in tema di forma di governo regionale,
con il testo costituzionale che si sarebbe limitato a definire gli organi costituzionali
regionali, senza alcuna preclusione di scelta tra le varie forme di governo
democratiche. Il sistema elettorale, invece, era rimesso integralmente alla competenza
della legge ordinaria della Regione.
Un’altra esperienza di questo continuo processo di tentate riforme, fu la
“Commissione D’Alema” istituita con la legge cost. 1/1997, che licenziò un testo che
non forniva alcuna soluzione in materia di forma di governo regionale
18
.
15
Art. 122.6 Cost.
16
Nel quadro di un sistema caratterizzato dalla soppressione della differenza fra Regioni ordinarie e
Regioni speciali (articoli 26 e 27 del progetto) e di conseguenza anche da un unico tipi di Statuto.
17
Il testo del progetto di legge non menzionava l’autonomia costituzionale, ma solo l’autonomia
statutaria. Di “autonomia costituzionale” parlava però espressamente il Relatore per la parte
concernente la forma di stato, prof. Sergio Ortino.
18
Se ne vede una sintesi in R. BIFULCO, La potestà statutaria, in La Repubblica delle autonomie, T.
GROPPI, M. OLIVETTI (a cura di), Torino, 2003, 90 ss.
7
Tale materia doveva essere determinata dallo Statuto, nell'ambito di una complessiva
ridefinizione della potestà statutaria ordinaria, con cui venivano individuate
analiticamente le aree di competenza dello stesso. Il suddetto testo non poneva
nessuna indicazione circa i tipi di forma di governo adottabili dalla Regione e
nemmeno a proposito dei principi in materia elettorale. Questo tema dell’assoluta
libertà (soprattutto per la forma di governo), fu fortemente contrastato dai
parlamentari di Forza Italia, presenti in Commissione. Questi volevano, infatti,
introdurre in Costituzione l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale
derogabile dallo Statuto. La soluzione di compromesso fu raggiunta attraverso un
gioco di rapporti tra il testo dell’articolo 60 ( che conteneva la libertà di cui sopra) e
una disposizione transitoria volta a mantenere in capo al legislatore nazionale la
potestà di determinare il sistema elettorale regionale sino alle elezioni del 2000.
Nel maggio del 1998 i lavori della Commissione furono interrotti, ma ripresero alcuni
mesi più tardi quando vi fu la formazione di un nuovo governo. Nel marzo del 1999 il
Presidente del Consiglio D’Alema e il Ministro per le Riforme Istituzionali Amato
presentarono un disegno di legge alla Camera intitolato “Ordinamento federale della
Repubblica”
19
, che conteneva disposizioni riguardanti l’autonomia statutarie e la
forma di governo regionale, nonostante fosse già iniziata la discussione che poi
avrebbe portato all’approvazione della legge cost. 1/1999.
19
Si tratta dell’Atto Camera n. 5830 della XIII legislatura. Il testo si può leggere su Quaderni costituzionali,
1999, 227 ss. (e ivi, un breve commento di E. BALBONI, Una prima lettura, 117 ss.).
8
Il “disegno di legge Amato-D’Alema” si muoveva su un doppio binario. Da un lato,
veniva ampliato il raggio d’azione dello Statuto regionale, che aveva la competenza a
regolare i principi fondamentali d’organizzazione e funzionamento della Regione e la
forma di governo. Al tempo stesso il procedimento di formazione dello Statuto
veniva regionalizzato, sia pure prevedendo la partecipazione di rappresentanti degli
enti locali alla sua elaborazione. Era, in ogni modo, prevista una forma di governo
standard caratterizzata dall’elezione del Presidente della Giunta a suffragio universale
e diretto, naturalmente con la possibilità di deroga da parte dello Statuto. Il suddetto
disegno, in merito ai profili appena designati, venne stralciato dalla legge cost.
1/1999 e divenne, in seguito all’approvazione delle Camere, la legge costituzionale
3/2001.
9
2: La legge elettorale 43/1995.
La “rivoluzione costituzionale” appena descritta investì le Regioni solo dopo che i
sistemi elettorali del Parlamento nazionale e quelli di Comuni e Province erano stati
modificati; piùttosto che da esigenze derivanti dalle disfunzioni del modello
assembleare delineato negli Statuti o dalla prassi parlamentare classica affermatasi
nel ventennio successivo alla loro adozione, la richiesta di una riforma elettorale e
della forma di governo regionale nasceva dall’esigenza di rivitalizzare le Regioni e di
ridefinirne il ruolo complessivo
20
. In questo clima, la legittimazione popolare diretta
dei Presidenti fu percepita come un elemento chiave per riconfermare l’ente nel suo
complesso.
Il primo governo Berlusconi presentò alla Camera, nel luglio del ’94, un disegno di
legge costituzionale volto ad introdurre l’elezione diretta del “Presidente della
Regione” e ad ampliare l’autonomia statutaria, estendendola alla forma di governo
regionale. Tale disegno, presentato in seguito alla richiesta della Conferenza dei
Presidenti della Giunta delle Regioni, non ebbe, però molta fortuna, date le
divergenze politiche in seno al Parlamento che portarono all’insabbiamento dello
stesso
21
.
20
Per una lettura in questa prospettiva della stessa riforma adottata con legge cost. n. 1/1999 v. G.
PITRUZZELLA, Forma di governo regionale e legislazione elettorale, Palermo, 1999, 502-504.
21
A causa delle riserve della Lega nord (la quale si apprestava, di li a pochi mesi, ad uscire dalla
coalizione del centro-destra) e dell’opposizione di centro-sinistra, v. C. FUSARO, La rivoluzione
costituzionale…, Roma, 1993, 37.
10
Esauritasi la possibilità tecnica di una riforma costituzionale, l’inizio del 1995 fu
caratterizzato da una comune volontà di evitare che le elezioni delle 15 Regioni a
Statuto ordinario avvenissero con il sistema proporzionale integrale vigente all’epoca.
Tutto ciò accadeva, soprattutto, alla luce della situazione generale, nella quale gli altri
organi di governo erano eletti con sistemi prevalentemente o parzialmente
maggioritari. In questo clima prese corpo la riforma della legge elettorale regionale,
condotta in porto dalla l. n. 43/1995 che novellava la preesistente legge del 1968.
Il primo aspetto particolarmente importante era il mantenimento del sistema
proporzionale per la distribuzione di quattro quinti dei seggi del Consiglio Regionale.
Questi erano ripartiti a livello provinciale fra le liste concorrenti che avessero
superato la soglia del tre per cento dei voti validamente espressi; a meno che le stesse
non fossero collegate con una lista regionale che avesse superato la percentuale del
cinque per cento. La parte dei seggi restante, invece, sarebbe stata distribuita fra le
liste concorrenti a livello regionale, collegate a quelle provinciali, naturalmente con il
sistema maggioritario.
L’articolo 2 della legge in questione prevedeva che le liste regionali sarebbero state
guidate da un “capolista” che avrebbe dovuto svolgere, di fatto, il ruolo di candidato
alla Presidenza della Giunta regionale
22
. Veniva, inoltre, individuata una soglia di
maggioranza sicura, pari al cinquantacinque o al sessanta per cento dei seggi del
22
Non si trattava di un’elezione diretta (che non poteva essere introdotta da una legge ordinaria, ma
sola da una di rango costituzionale), ma di una mera indicazione giuridicamente non vincolante.
11
Consiglio
23
. Il nuovo sistema consentiva il raggiungimento di tale soglia, al gruppo di
liste collegate ad un candidato alla Presidenza della Giunta con il maggior numero di
voti. Per rendere possibile tale meccanismo la legge consentiva da un lato di
“giocare” sulla distribuzione del quinto dei seggi attribuito a livello regionale e,
dall’altro, di attribuire i seggi in sovrappiù alla lista vincente per consentire il
raggiungimento della suddetta soglia. Naturalmente il “premio di maggioranza” era
attribuito alle liste collegate che ottenevano la maggioranza relativa a livello
regionale. Venne, oltretutto, reso variabile il numero di consiglieri attribuiti a
ciascuna Regione utilizzando a tal fine la riserva di legge di cui all’articolo 122,
primo comma, della Costituzione
24
.
Per salvaguardare la maggioranza espressa a tutela dagli elettori mediante tale
insieme di meccanismi l’articolo 8 della l. 143/1995 stabilì che la durata della
legislatura regionale sarebbe stata ridotta ad un biennio. Tutto questo accadeva solo
nel caso in cui il rapporto tra il Consiglio e la Giunta regionale era messo in crisi nei
primi due anni della legislatura consiliare. Venne così introdotta nell’ordinamento
una norma di dubbia costituzionalità sotto tre diversi punti di vista:
1) per un eccesso di potere legislativo nell’esercizio della competenza a fissare la
durata della legislatura regionale;
23
Era portata al cinquantacinque per cento la lista che otteneva meno del cinquanta per cento dei voti,
al sessanta la lista che avesse ottenuto tra il quaranta e il cinquantacinque per cento dei voti (art. 3.2 n. 7
e 8).
24
Sulle variazioni affettivamente verificatesi nel 1995 v. C. FUSARO, La legge elettorale, Roma, 1996, 293,
nt. 124.
12
2) per l’integrazione dell’elenco costituzionale delle cause di scioglimento anticipato
del Consiglio contenute nell’articolo 126 Cost. e ritenuto tassativo proprio a tutela
dell’autonomia regionale;
3) per invasione della competenza dello Statuto, la cui riserva in materia
d’organizzazione interna della Regione doveva ritenersi assoluta.
Il meccanismo adottato si rilevò quindi di non chiara applicazione e di problematica
efficacia, soprattutto in virtù della limitazione al primo biennio dell’effetto suddetto
definito da molti come «forma di governo di “mezza legislatura”»
25
.
Gli esiti nella legislatura regionale 1995-2000 furono all’altezza delle aspettative, ma
incompleti: i capilista vincenti furono tutti investiti della carica presidenziale.
Tuttavia, soprattutto nelle regioni d’Italia a maggiore instabilità, alla scadenza del
biennio protetto, nel 1997-98 ricominciò il balletto delle crisi, aggravato dall’incerto
consolidamento del sistema dei partiti, specie nell’area di centro. Ciò riavviò la
polemica sui c.d. ribaltoni
26
. La forza politica acquisita in ragione della
legittimazione diretta da parte dei sindaci delle città (specie i capoluoghi di regione)
provocava, a detta dei dirigenti politici regionali, un insopportabile squilibrio a danno
della regione e degli interessi da essa rappresentati. Si propose, così, con forza
l’esigenza di applicare anche alle Regioni la terapia dell’elezione diretta dei vertici di
governo.
25
v. L. ELIA, Forme di governo, Milano, 1985.
26
Mutamento radicale dell’indirizzo politico prescelto dagli elettori reso possibile da modesti, ma
decisivi spostamenti di collocazione di pochi consiglieri.
13
3: La forma di governo nella legge costituzionale 1/1999.
Il progetto di riforma presentato dai Democratici di Sinistra nel novembre del ’98,
che avrebbe portato in seguito alla legge cost. 1/1999, nasceva principalmente
dall’incompletezza della razionalizzazione operata con la l. 43/1995 (come visto nel
paragrafo precedente). Tale progetto si limitava a sostituire l’articolo 121.1 della
Costituzione con una disposizione che prevedeva l’elezione diretta del Presidente
della Giunta e la facoltà, per lo stesso, di nominare e revocare i membri
dell’Esecutivo regionale. La proposta di riforma in questione era poi affiancata da
una norma transitoria.
Quest'ultima era volta a regolare il sistema di elezione del Presidente fino all’entrata
in vigore dei nuovi Statuti mediante l’ulteriore previsione di nuove elezioni
presidenziali e consiliari nel caso di sfiducia o dimissioni del Presidente. Accanto a
questo “nucleo duro” originario, la riforma venne poi estesa a due istituti connessi: da
un lato la disciplina dello scioglimento anticipato del Consiglio regionale
27
; dall’altro,
soprattutto, il procedimento di formazione, il contenuto ed i limiti dello Statuto
ordinario
28
.
27
Determinato da cause endogene rispetto al funzionamento della forma di governo: esigenza che era
stata alla radice dell’art. 8 della l. 43/1995 e della legge “antiribaltini” esaminata dalla Camera negli
ultimi mesi del 1999.
28
Estensione connessa all’idea di consentire alle varie Regioni scelte autonome in relazione alle
modalità di rapporto fra i loro organi supremi, demandando in toto allo Statuto la scelta della propria
forma di governo.
14
Nonostante molte difficoltà, incentratesi principalmente sulla disposizione che
divenne poi l’art. 5 della legge in questione, si arrivò al termine dell’iter previsto dal
138 della Costituzione all’approvazione della legge cost. 1/1999 che modificò
radicalmente il Titolo V approvato nel 1947.
Le modifiche apportate dalla suddetta legge alla Costituzione portarono tra i tanti
effetti sostanziali una rilevante innovazione da un punto di vista “formale”.
All’interno dell’articolo 123 vennero, infatti, introdotti nuovi contenuti; la
disposizione in questione precisava che lo Statuto tra le varie funzioni, aveva, anche
quello di determinare la forma di governo regionale. Per la prima volta venne
introdotta nella nostra Costituzione l’espressione “forma di governo”, utilizzando una
nozione dottrinale alla quale si riconobbe un ruolo prescrittivo.
Per forma di governo tradizionalmente si intende “assetto delle relazioni tra gli
organi investiti della funzione di indirizzo politico e di governo”
29
, per questo gli
Statuti possono disciplinare l’organizzazione ed il funzionamento degli organi politici
regionali. Del resto la capacità della Regione di definire la propria forma di governo,
cosi intesa, deriva dall’attitudine (sancita dalla Costituzione) della Regione di definire
un proprio indirizzo politico. Alla luce di quanto appena affermato la maggioranza
della dottrina è orientata a ritenere che la locuzione “forma di governo” non porti ad
una reale innovazione poiché la lettura della stessa non risulta essere lineare.
29
R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto costituzionale, Torino, 2003.
15
Tralasciando, infatti, la disposizione transitoria contenuta nell’articolo 5, la legge
1/1999 prevede, da un lato, la possibilità per gli Statuti di scegliere liberamente la
propria forma di governo.
D'altro canto però, tende a riformare dal ”centro” tale questione, proponendo
l’elezione diretta del Presidente della Giunta, che pur potendo essere disattesa dal
Consiglio, viene con diversi accorgimenti imposta dal legislatore costituzionale
30
.
Dato quindi il nuovo assetto dal quale risultano tre possibili forme di governo (che
troviamo nella normativa transitoria, nell’articolo 123 della Cost. ed in quello
liberamente adottabile dalla Regione) possiamo facilmente intuire che a questi tre
livelli corrispondono diversi spazi per gli Statuti regionali.
Quest'ultimi pur totalmente assenti nella disciplina contenuta nell’articolo 5,
diventano consistenti con riferimento al modello standard rispetto al quale gli Statuti
incontrano vincoli piuttosto rigidi. La massima ampiezza però la troviamo nelle
“forme di governo derogatorie”, dove le Regioni hanno possibilità di scelta
abbastanza ampie, circoscritte solo da alcuni vincoli costituzionali.
Come già detto, con l’espressione forma di governo si fa riferimento ai “rapporti
intercorrenti tra gli organi principali di uno Stato-apparato (o di un altro ente dotato
di poteri di imperio): rapporti che possono assumere diverse figure, a seconda della
diversa distribuzione di potere tra i vari organi”.
30
M. OLIVETTI, Sulla forma di governo delle Regioni dopo la legge costituzionale n. 1 del 1999,in
Dir. pubbl., 2000, 943 ss.