24
1.4. La riforma del diritto di famiglia del 1975: uguaglianza dei
coniugi
La L. 19 maggio 1975, n. 151, entrata in vigore il 20 settembre 1975, ha
avuto un iter particolarmente laborioso.
In diverse legislature precedenti erano state presentate numerose proposte di
legge, ma solo nel 1970 il Comitato ristretto della Camera dei deputati
iniziava a svolgere i suoi lavori per redigere il testo unificato, che, approvato
dalla Commissione giustizia in sede redigente, decideva per l’anticipato
scioglimento del Parlamento.
Ve n i v a n o r i p r e s e n t a t e v a r i e p r o p o s t e d i l e g g e , p o i u n i f i c a t e i n u n t e s t o ,
analogo a quello decaduto, che veniva approvato alla Camera il 7 novembre
1962, poi trasmesso al Senato e affidato in sede referente alla Commissione
giustizia.
Occorreva attendere ancora tre anni prima della sua definitiva approvazione
al Senato nella seduta del 23 febbraio 1975 e alla Camera in quella del 24
aprile dello stesso anno
51
.
La l. n. 151/1975 nasce dalla volontà di rompere con il passato, a conferma
della volontà di superare la tradizionale concezione verticistica e gerarchica
della famiglia, fino a ieri imperniata (almeno simbolicamente) sulla potestà
maritale quale espressione dell’unità istituzionale del nucleo domestico
52
.
Questa riforma è stata unanimemente salutata e riconosciuta come la riforma
del diritto di famiglia, rappresentando un momento fondamentale nel suo
processo di evoluzione.
51
M. DOGLIOTTI, La potestà dei genitori e l’autonomia del minore, cit., p. 37.
52
A. CA V ANNA, Onora il padre. Storia dell’art. 315 del Codice civile (ovvero: il ritorno del flautista
di Hamelin), in Scritti giuridici, 2007, Milano, p. 30.
25
Il primo obiettivo della riforma del 1975, in applicazione dei principi
costituzionali, e segnatamente di quello secondo cui “Il matrimonio è
ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi” (art. 29 Cost.), fu
l’uguaglianza dei coniugi: nel Codice civile del 1942 era prevista la potestà
maritale e l’art. 144 c.c. stabiliva che il marito era il capo della famiglia e la
moglie era obbligata ad accompagnarlo dovunque egli ritenesse opportuno
fissare la propria residenza; con l’art. 24 della L. n. 151/1975 veniva stabilito
che, con il matrimonio, il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti ed
assumono i medesimi doveri e che la residenza della famiglia e l’indirizzo
della vita familiare sono decisi insieme da moglie e marito, i quali avrebbero
potuto avere ciascuno un proprio domicilio.
Ciò rappresenta un meditato programma antiautoritario che spinge il
legislatore a fare giustizia dell’antico nome della patria potestà, cui viene
sostituita un’allentata “codirezione”: qui, attraverso l’indebolimento
generale della potestà genitoriale, il modello visualizzato è un rapporto di
filiazione che abbia come perno esclusivo l’interesse dei figli e la
valorizzazione della loro personalità
53
.
Permanevano comunque asimmetrie di posizione fra i coniugi: la moglie
poteva mantenere il suo cognome, ma doveva aggiungervi quello del
marito
54
, mentre per il marito non era previsto nulla di simile, né era previsto
che i figli nati in seno al matrimonio potessero avere il cognome della
madre
55
.
53
A. CA V ANNA, Onora il padre. Storia dell’art. 315 del Codice civile (ovvero: il ritorno del flautista
di Hamelin), cit., p. 32.
54
“La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile,
fino a che passi a nuove nozze”.
55
R. SARTI, Legge 19 maggio 1975: La riforma del diritto di famiglia, Bologna, 2019, p. 10.
26
Sotto il profilo economico, entrambi i coniugi erano tenuti, ciascuno in
relazione alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro professionale
o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
Viene eliminata la figura di capo-famiglia, dominante nella vecchia
concezione giuridica, e con essa viene abolito il concetto di “potestà
maritale”.
Inoltre, il legislatore del 1975 ha previsto l’ipotesi che tra i due coniugi
possano nascere divergenze o disaccordi: per tali casi, nel nuovo art. 145 c.c.
viene contemplata la possibilità di un intervento del giudice nella vita di
coppia, precisando che tale intervento verrebbe ad essere decisorio soltanto
quando fosse richiesto espressamente e congiuntamente dal marito e dalla
moglie
56
.
Nell’ambito della filiazione, permaneva la differenza tra figli legittimi e figli
naturali, abolita soltanto in seguito, con la L. n. 219/2012.
Secondo quanto disponeva l’art. 232 c.c., si presumeva “concepito durante
il matrimonio il figlio nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla
celebrazione del matrimonio e se non sono trascorsi trecento giorni dalla
data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti
civili del matrimonio”.
In tema di separazione coniugale, la L. n. 151/1975 ne ha innovato
completamente la disciplina, configurando la separazione non più in termini
di colpa, ma adottando il parametro della intollerabilità della prosecuzione
della convivenza, a prescindere dall’accertamento della colpa di uno dei
coniugi.
In tale quadro normativo, l’affidamento rimaneva di tipo monogenitoriale,
poiché l’interesse del minore si identifica nell’affidamento al genitore
56
L. ROSA, Il nuovo diritto di famiglia: la legge 19 maggio 1975 n. 151, in Aggiornamenti sociali,
1976, n. 4., p. 233.
27
ritenuto più idoneo e dotato di potestà esclusiva circa l’educazione, la cura e
l’istruzione della prole, mentre il genitore non affidatario manteneva la
potestà congiunta solo con riferimento alle scelte di straordinaria
amministrazione, essendo le questioni di ordinaria amministrazione
demandate esclusivamente al genitore affidatario
57
.
L’ a r t . 1 5 5 c . c . p r e v e d e v a a n c h e l a p o s s i b i l i t à d i d i s p o r r e d i v e r s a m e n t e e
optare per l’affidamento congiunto, ma la regola per l’affidamento dei figli
in occasione di separazione e divorzio veniva disposta dal giudice in favore
dell’uno o dell’altro coniuge, per lo più alla madre, trovando origine nei
peculiari costumi e condizioni sociali radicati nella famiglia italiana, dove,
ad un padre dedito, quasi esclusivamente al lavoro esterno, corrispondeva
una figura materna votata alla quotidiana cura domestica della famiglia.
57
Cfr. M. NISATI, Provvedimenti riguardo ai figli, in AA.VV ., La tutela del padre nell’affidamento
condiviso, G. CASSANO (a cura di), Santangelo di Romagna, 2017, p. 28.
28
1.5. Dall’affidamento monogenitoriale all’affidamento condiviso:
la legge n. 54/2006 e il D.lgs. n. 154/2013.
Il Codice civile del 1865 demandava al Tribunale la decisione sia in merito
alla pronuncia della separazione, sia in merito a chi dei coniugi dovesse
tenere presso di sé i figli e provvedere al loro mantenimento, alla loro
educazione e istruzione
58
.
Questa scelta rimase invariata nel Codice civile del 1942.
Infatti, all’art. 155 c.c. veniva compiuta una scelta in favore dell’affidamento
esclusivo, che risultava essere la regola in caso di vicenda separativa
coniugale.
La giurisprudenza all’epoca era solita condizionare l’affidamento della prole
alla valutazione della sussistenza della colpa, evitando di lasciare i minori al
coniuge che avesse provocato la separazione.
È opportuno segnalare che, prima della sentenza della Corte costituzionale
n. 127/1968
59
, l’adulterio poteva dare luogo alla separazione solo se
58
L’ a r t . 1 5 4 , co. 1 c.c. del 1865 così prevedeva: “Il tribunale che pronunzia la separazione, dichiarerà
quale dei coniugi debba tenere presso di sé i figli e provvedere al loro mantenimento, alla loro
educazione ed istruzione”.
59
Nel caso di specie, venne sollevato un incidente di legittimità costituzionale dell’art. 151 co. 2 c.c.
dal Tribunale di Genova nel corso di un giudizio di separazione, in cui il Tribunale osservava che la
disposizione legislativa denunziata, nella parte in cui stabilisce l’adulterio del marito- a differenza
dell’adulterio della moglie- è rilevante solo se “contiene in sé anche l’estremo dell’offesa”, è fonte di
una illegittima disparità di trattamento fra i coniugi. La Corte costituzionale (sent. 19 dicembre 1968,
n. 127, in Giur. cost., 1969, c. 2208 ss.) ha ritenuto che il legislatore non possa collegare a identica
violazione del dovere di fedeltà coniugale conseguenze giuridiche diverse a seconda che i fatti che la
integrano siano attuati dal marito o dalla moglie; ha altresì escluso che in riferimento ad essi una diversa
disciplina giuridica possa trovare giustificazione nell’esigenza di garantire l’unità familiare, solo in vista
della quale la legge è abilitata a porre limiti all’eguaglianza dei coniugi. Si è ritenuto che l’art. 151 c.c.
fosse in contrasto con l’art. 29 Cost., in quanto la Costituzione prevede il principio dell’eguaglianza
29
commesso dalla moglie, mentre l’adulterio del marito rendeva ammissibile
la domanda di separazione coniugale solo se il fatto costituiva ingiuria grave
alla moglie.
Tale situazione vigeva in un’epoca in cui non era stato ancora introdotto
l’istituto del divorzio, che come noto fu previsto soltanto con la L. n.
898/1970
60
, e l’affidamento veniva disposto nell’ambito di una separazione
che poteva essere pronunciata solo per colpa.
La L. n. 898/1970, così come successivamente modificata, introdusse il
concetto di affidamento congiunto, con la necessità di garantire ai figli di non
perdere il rapporto con i genitori.
“Con l’affidamento monogenitoriale, i figli subiscono per intero l’impatto
della separazione e percepiscono la stessa come un evento traumatico,
irreversibile e fonte di angoscia, mentre, ove si realizzi l’affidamento
congiunto, i minori coinvolti sono portati a vedere la separazione come un
evento che riguarda soprattutto i rapporti tra i genitori e che, pur avendo
influenza su di loro e sul loro stato, non li colpisce direttamente ed anzi
aumenta la loro importanza, rendendoli ultimo legame della famiglia che fu
e centro della nuova forma di sodalizio che la sostituisce”
61
.
anche “morale” dei coniugi, ed esprime in tale modo una diretta sua valutazione della pari dignità di
entrambi, disponendo che a questa debbano ispirarsi le strutture giuridiche del matrimonio. Ne deriva
che lo Stato non può avallare o, addirittura, consolidare col presidio della legge un costume che risulti
incompatibile con i valori morali verso i quali la Carta costituzionale volle indirizzare la nostra società.
60
La legge è anche detta “Legge Fortuna-Baslini”. Nello stesso anno il Parlamento approvava le norme
che istituivano il referendum abrogativo (legge n. 352/1970), sicché gli antidivorzisti si organizzarono
per far abrogare la legge attraverso il ricorso al referendum abrogativo. Il 12 maggio 1974 gli italiani
furono chiamati a decidere se abrogare la legge Fortuna-Baslini che istituiva in Italia il divorzio:
partecipò al voto l’87,7% degli aventi diritto, votarono NO il 59,3% degli aventi diritto, mentre i SI
furono il 40,7%.
61
B. DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2006, p.
14.
30
La giurisprudenza sempre più frequentemente faceva applicazione del
regime di affidamento congiunto, ponendo in luce l’influenza positiva che
questo aveva sui rapporti tra i genitori e di conseguenza sulla situazione dei
minori
62
.
Nel corso della XII legislatura (1994-1996) furono presentante proposte per
l’istituzione del Tribunale per i minorenni e la famiglia, che avrebbero
dovuto porre fine alla dispersione delle competenze in questa materia.
La prima proposta di riferimento fu la n. 398/1996, elaborata in seno
all’Associazione “Crescere insieme”, fondata da Marino Maglietta, in cui si
prevedeva che i figli dovevano essere affidati ad entrambi i genitori e che
nessuno dei due poteva rinunciare all’affidamento; si prevedevano sanzioni
in caso di inadempienze.
Più avanti, con la XIV legislatura, a partire dalla proposta di legge n. 66
presentata alla Camera e attraverso successive modifiche, si arrivò il 16
marzo 2006 alla promulgazione della L. n. 54/2006, che introduceva l’istituto
dell’affidamento condiviso.
Intento preminente del legislatore era attuare appieno il diritto del minore ad
un rapporto equilibrato e continuativo con entrambe le figure genitoriali,
anche dopo la disgregazione del nucleo familiare, affermando il principio
alla bigenitorialità non come una legittima rivendicazione del genitore,
ancorché le richieste dei padri separati avessero avuto un peso determinante
nella riforma de quo, ma come un diritto soggettivo del figlio inquadrabile
nell’ambito dei diritti della personalità, e prevedendo, quindi, un
meccanismo che consentisse la partecipazione attiva di entrambi i genitori
62
V. a d e s . T r i b . m i n . P e r u g i a , d e c r . 1 ° m a g g i o 1 9 9 4 , i n Rass. giur. umbra, p. 619: “L’affido congiunto,
pur non maturo in tutte le sue promesse, appare risorsa importante per imprimere una svolta in senso
cooperativo ai rapporti tra i genitori”.
31
alla sua vita (o, se si preferisce, l’esercizio condiviso della potestà
genitoriale), secondo una visione paido-centrica
63
.
La Legge n. 54/2006 dà attuazione ad un principio introdotto nel nostro
ordinamento a seguito della ratifica della Convenzione di New York (art. 9,
co. 3) del 20 novembre 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che
prevede il diritto del minore alla bigenitorialità, affinché questi possa
conservare rapporti paritari e significativi con entrambi i genitori.
Il legislatore del 2006 ha elevato il ruolo del potere giudiziale nell’adozione
dei provvedimenti posti a tutela dei figli, spingendosi alla valutazione del
comportamento del genitore successivamente all’adozione degli stessi.
Infatti, l’art. 155 co. 2 c.c.
64
, come modificato dalla l. n. 54/2006, prevedeva
che il giudice era autorizzato ad occuparsi della crisi della famiglia, “con
esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale della prole”.
Gli aspetti innovativi e, in un certo senso, rivoluzionari, che emergevano
dall’art. 155 c.c. sono i seguenti: il figlio ha il diritto a mantenere quella
continuità del rapporto che la genitorialità comporta, per il solo fatto di essere
stato generato, e ciò in continuità con il disposto costituzionale di cui all’art.
30; tale diritto non è, e non può essere inficiato, dalle vicende personali della
coppia genitoriale; è un diritto proprio del minore nei confronti dei suoi
genitori separandi e risulta sotto tale profilo irrilevante che essi siano coniugi
o conviventi
65
.
63
M. NISATI, Provvedimenti riguardo ai figli, cit., p. 24.
64
Gli artt. da 155-bis a 155-sexies sono stati abrogati dall’art. 106.1, lett. a del d.lgs n. 154/2013.
65
Cfr. sul punto M. NISATI, Provvedimenti riguardo ai figli, cit., p. 40.
32
L’ a r t . 1 5 5-sexies c.c. prevedeva l’audizione del minore prima
dell’emanazione dei provvedimenti concernenti l’affidamento, come
strumento per tutelare i primari interessi dello stesso
66
.
Si poneva il problema di riconoscere al minore il diritto ad esprimersi nelle
questioni che lo riguardano, con riferimento alla valutazione della libertà e
autonomia delle sue scelte
67
.
Prima di ciò, la prospettiva giuridica era diversa, in quanto veniva
privilegiato l’affidamento monogenitoriale, in base al quale era demandato
al giudice di individuare il genitore più idoneo all’affidamento del minore.
In merito, una parte della dottrina ha evidenziato come il legislatore abbia
indirettamente dimostrato che, senza la collaborazione di entrambi i genitori,
l’istituto dell’affidamento condiviso non potrebbe funzionare
68
.
66
M. MAGLIETTA, L’affidamento condiviso: Com’è, come sarà, Milano, 2010, p. 92: “È consigliabile
che si cerchi all’interno delle famiglie, preventivamente, il momento giusto per dare voce alle esigenze
del minore. In secondo luogo, se ci sarà per i genitori un percorso di mediazione familiare in esso
dovrebbero essere ammessi i figli, senza considerare la loro età come una barriera insormontabile, ogni
volta che le circostanze della separazione facciano intravedere un motivo di interesse per essi ad
esprimere preferenze. (…) Sarà bene che il loro punto di vista possa esprimersi e che sia ascoltato”.
67
V. Cass. civ. 15 gennaio 1998 n. 317, in Giust. civ., 1998, I, p. 337 ss.: “Il principio secondo cui la
circostanza che un figlio minore, divenuto ormai adolescente e perfettamente consapevole dei propri
sentimenti e delle loro motivazioni, provi nei confronti del genitore non affidatario sentimenti di
avversione o addirittura di ripulsa- a tal punto radicati da doversi escludere che possano essere
rapidamente e facilmente rimossi, nonostante il supporto di strutture sociali e psicopedagogiche-
costituisce fatto idoneo a giustificare anche la totale sospensione degli incontri tra i minore stesso ed i
coniuge non affidatario”. Nel caso di specie, si trattava di un ragazzo di 13 anni, che rifiutava di
proseguire gli incontri con il padre, genitore non affidatario.
68
F. BAGNATI, Affido condiviso: una normativa inadeguata che non assicura la giusta tutela ai figli,
in Guida dir., 2006, n. 9.p. 10: «Quella sull’affido condiviso è legge che, pur esprimendo un principio
di inequivocabile valenza culturale che è quello che i figli hanno diritto alla bigenitorialità, ne afferma
parallelamente un altro che è quello che la coppia genitoriale (intendendo anche quella di fatto) non
può “separarsi”».
33
Per contro, si è affermato che con la generazione di un figlio si crea
inevitabilmente un legame con entrambi i genitori: la legge in esame non ha
fatto altro che prediligere l’interesse del minore, cercando di conservare il
contesto unitario della famiglia in cui è nato, piuttosto che il desiderio dei
genitori di non avere rapporti tra di loro
69
.
La giurisprudenza ha più volte affermato che l’affidamento condiviso
costituisce la regola, mentre l’affidamento esclusivo deve essere inteso in
misura residuale, fermo restando che il giudice deve decidere nel superiore
interesse del minore
70
.
Il principio ispiratore dell’intera disciplina, nei rapporti genitori-figli nel
contesto di una crisi della coppia, è anche frutto della pressione esercitata
dalle associazioni sorte a tutela degli interessi dei padri separati e divorziati,
ai quali di rado i figli venivano affidati. Tuttavia, la legge si pone nell’ottica
dell’interesse del minore, ritenendo che normalmente esso si realizzi
garantendo l’apporto educativo di entrambe le figure genitoriali
71
.
La legge 10 dicembre 2012, n. 219 rappresenta il rafforzamento della L. n.
54/2006 ed è volta all’eliminazione della distinzione fra figli legittimi, cioè i
figli nati in matrimonio, e figli naturali, cioè concepiti da genitori non uniti
69
M. MAGLIETTA, L’affidamento condiviso- Com’è, come sarà, cit. p. 50: «La valutazione del
“miglior interesse del minore” era già stata fatta nel lunghissimo dibattito che ha preceduto la riforma
e la maggioranza dei cittadini ha ritenuto che il male minore, nella scelta tra i due tipi di stabilità, fosse
di sacrificare quella logistica. La scelta, dunque, è già avvenuta, la decisione già presa: non compete
a nessuno rimetterla in discussione, meno che mai al giudice, chiamato ad applicare le leggi e non a
riscriverle. In un paese democratico è sempre lecito non essere d’accordo su una regola voluta dalla
maggioranza: se una legge non piace è consentito cercare di cambiarla, come ha fatto chi ha proposto
l’affidamento condiviso. Non è consentito ignorarla».
70
V. a d e s . C a s s . civ. 2 dicembre 2010, n. 24526, in Mass. Giust. civ., 2010, n. 12, p. 1558.
71
M. NISATI, La tutela del padre nell’affidamento condiviso, cit., p. 45.
34
in matrimonio
72
: viene confermato il riconoscimento a tutti i figli di un unico
status giuridico.
La centralità del minore acquista maggiore valore tanto all’interno del
processo che lo riguarda, conferendo maggiore possibilità di ascolto, quanto
nella relazione con i genitori attraverso l’attuazione del principio della
responsabilità genitoriale
73
.
Il principio della bigenitorialità si identifica con l’interesse del minore e
rappresenta uno dei pilastri fondamentali che ha portato all’emanazione del
D.lgs. n. 154/2013.
Questa riforma ha modificato il concetto stesso di famiglia, che non solo non
è più fondata necessariamente sul matrimonio, ma rispetta la coesistenza con
più famiglie, dal punto di vista dei figli.
Viene introdotto il termine “responsabilità genitoriale” e viene disposto il
principio di unicità dello stato di figlio, stante la completa parificazione dei
diritti tra figli legittimi e figli naturali, non si deve fare più riferimento alla
potestà genitoriale ma alla responsabilità genitoriale, intesa come
quell’insieme di diritti e di doveri, di volta in volta indicati dalla legge, che
spettano e gravano su entrambi i genitori
74
.
72
L’ a r t . 3 1 5 c . c . , r u b r i c a t o “Stato giuridico della filiazione”, prevede: “Tutti i figli hanno lo stesso stato
giuridico”.
73
L’ a r t . 3 1 5-bis c.c., rubricato “Diritti e doveri del figlio”, prevede: “Il figlio ha diritto di essere
mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle
sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere
rapporti significativi con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento,
ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve
rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al
proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”.
74
M. NISATI, La tutela del padre nell’affidamento condiviso, cit., p. 50.