6
riformistica e non di opposizione al sistema
2
.
Il grande successo degli ideali propugnati dai cooperatori ne
assicurò la rapida diffusione anche tra gli strati sociali
moderati e contribuì, in maniera decisiva, a determinare, un
po’ dovunque, un vasto consenso sociale attorno ad essi.
Storicamente la prima vera cooperativa è quella di consumo
istituita da 28 tessitori di Rochdale “Rochdale Pioneers
Equitable Society”: era l’anno 1844
3
.
Di seguito il fenomeno cooperativo si diffuse nei paesi
dell’Europa continentale con la differenza, rispetto al modello
inglese, della notevole influenza esercitata da movimenti
politici e religiosi, soprattutto in Italia dove assunse i toni di
una vera e propria lotta alla borghesia.
2
Per raggiungere questo risultato i primi cooperatori, anziché propugnare
idee rivoluzionarie, preferirono utilizzare, con gli opportuni adattamenti,
istituti già esistenti negli ordinamenti giuridici, in particolare la disciplina
delle società e delle associazioni commerciali, piegando queste ultime,
attraverso il meccanismo tecnico della mutualità, a divenire strumento di
accesso per gli strati sociali meno evoluti agli stessi istituti economici su
cui si fondava la società industriale (e in tal senso si parlava di rendere
popolare il credito, le assicurazioni ecc.).
3
Si trattava di una società cooperativa “polisettoriale”, retta dalle
seguenti regole: libertà di ingresso e di uscita per uomini e donne di
buona volontà, frugale investimento di capitale, unicità del voto,
distribuzione dei guadagni fra i soci a titolo di dividendo sull’acquisto,
divieto di operazioni con i non soci (RABBENO: La cooperazione in
Inghilterra, Milano, 1885; JENKINS: Law for cooperatives, Oxford,
1958; BURNS: Cooperative law, London,1977).
7
2. Origine del fenomeno cooperativo in Italia e la
travagliata legislazione del settore
In Italia l’esperienza cooperativa è partita in ritardo rispetto al
resto dell’Europa e si è sviluppata in maniera meno uniforme e
con maggiori difficoltà strutturali ed organizzative; venne
favorita dal riconoscimento della libertà di associazione
concessa dallo Statuto Albertino, dall’impegno sociale dei
cattolici e dei socialisti e dalla diffusione delle dottrine
mazzianiane
4
.
Dal punto di vista legislativo l’esperienza cooperativistica
italiana si presenta particolarmente articolata e complessa per
il sovrapporsi nel tempo di diversi corpi normativi.
Il moltiplicarsi di tali provvedimenti ha condotto ad un sistema
normativo particolarmente articolato, complesso e disordinato,
che da tempo attendeva un’organica riforma della materia.
Volendo sintetizzare possiamo suddividere la legislazione
cooperativistica italiana in due periodi:
1. il periodo intercorrente dal codice di commercio 1882 al
codice civile 1942;
4
RABBENO, La cooperazione in Italia, Milano, 1889; ROTA, La
cooperazione, Milano, 1868; FONTANELLI, Delle principali forme
dell’associazione cooperativa, Milano, 1871.
8
2. il periodo intercorrente dal codice civile del 1942 fino
alla riforma attuale.
Escludo il periodo intercorrente dal codice di commercio del
1865 al codice di commercio del 1882, poiché in tale ambito in
Italia il fenomeno cooperativo non trovava alcuna
regolamentazione, in quanto il codice di commercio vigente
non dedicava nessuna disposizione a questo nuovo tipo di
società forse in ragione del fatto che il codice italiano
prendeva a modello il codice francese del 1807, un testo
risalente ad epoca in cui il fenomeno era lungi dal ricevere
riconoscimenti legislativi.
In mancanza di un espresso riconoscimento le cooperative,
prima del codice di commercio del 1882, si costituirono come
società anonime approvate con decreto reale, o rimasero senza
costituzione legale, per lo più, in questo caso, adottando la
forma, per la verità non ben definita, delle società di mutuo
soccorso che, come si vedrà, nella maggior parte dei casi non
avevano scopi economici, ma assistenziali.
Nel breve periodo che separò il codice del 1865 dal codice di
commercio del 1882, avvertita come indilazionabile l’esigenza
di dare disciplina ad un fenomeno che anche da noi aveva
9
raggiunto proporzioni notevoli, si pose, innanzitutto, il
dilemma se fosse più opportuno dedicare alle società
cooperative una legislazione speciale, ovvero se il fenomeno
dovesse essere regolato, sia pure con gli opportuni
adattamenti, all’interno del nascente codice di commercio,
accanto agli altri tipi di società commerciali
5
.
La tendenza a disciplinare il fenomeno mediante leggi speciali,
in seno alla commissione per la riforma del codice, non
prevalse, e la disciplina delle società cooperative venne
collocata nel codice di commercio per l’apparente affinità
morfologica tra società ordinarie e società cooperative, e per la
convinzione che anche queste ultime avessero carattere
commerciale.
5
La base dell’orientamento favorevole a disciplinare la realtà cooperativa
solamente con leggi speciali stava, ad un lato nello sviluppo
disomogeneo del cooperativismo italiano già manifestante esigenze
centrifughe ed esigenze settoriali ( v. AA.VV.,Il movimento cooperativo
italiano, (1854-1925)) e dall’altro lato uno sviluppo ancora incompleto
della materia tale da non permettere di cogliere principi giuridici
abbastanza assodati e l’idea secondo la quale la società cooperativa era
da ricercarsi, più che nel diritto, nella scienza economica ( v.
MERGHIERI, Motivi del codice di commercio italiano, vol. II e III,
Napoli, 1886), anche se quest’ultima affermazione è stata contestata da
alcun economisti di fine ‘800 ( v. PANTALEONI, Esame critico dei
principi teorici della cooperazione, in Il giornale degli economisti, 1898,
I p. 404).
10
2.1 Il periodo intercorrente dal codice di commercio 1882 al
codice civile 1942
Con l’entrata in vigore del codice di commercio del 1882 si
vedono fissate nell’ordinamento italiano le prime norme in
tema di società cooperative.
Il codice di commercio del 1882 dedicò alle cooperative 10
articoli (219-228) e 7 articoli alle associazioni di mutua
assicurazione (239-245).
Omessa ogni definizione di tale forma di società, praticamente
essa venne concepita e disciplinata come una semplice
variante delle società commerciali, e in particolare della
anonima, e venne caratterizzata, tra l’altro dal principio della
variabilità del capitale, dalla unicità, da limiti di valore alla
partecipazione sociale, dalla nominatività delle azioni, dalla
necessità di gradimento degli amministratori per il
trasferimento di queste, ed infine della concessione delle
agevolazioni fiscali.
Da ciò se ne deduce che la cooperativa così configurata altro
non era che una sovrastruttura delle comuni società
commerciali e che, inoltre, mancando una qualsiasi
disposizione che vincolasse tali società al rispetto della
11
mutualità, intesa come reciprocità di prestazioni, il modello
legislativo non era assolutamente in grado di eliminare il
pericolo che sorgessero pseudo cooperative, cioè società
miranti unicamente a fruire delle agevolezze fiscali e di altra
natura.
Subito dopo l’entrata in vigore del codice di commercio si
ebbe un’ampia fioritura di leggi speciali e di progetti di
riforma
6
dando luogo così a una legislazione speciale a
carattere prevalentemente settoriale .
Nel contempo si andava affermando una tendenza già partita
prima del novecento che poi nel tempo si consoliderà
ulteriormente: parliamo della tendenza a concedere alle
cooperative, o ad alcune di esse, agevolazioni di carattere
tributario e creditizio fissando appositi indici di meritevolezza
che le cooperative dovevano presentare per poter aspirare al
trattamento privilegiato
7
e sottoponendo le stesse, frattanto,
6
VERRUCOLI, La società cooperativa, cit.,p.27 ss; GRAZIANI,
Società cooperativa e scopo mutualistico, in Riv. Dir.comm., 1950, I,
pp.276-277; DE FERRA, Principi costituzionali in materia di
cooperazione a carattere di mutualità, in Riv. Soc., 1964, pp.773-774.
7
Si vedano in proposito il r.d. 20 maggio 1897, n. 217 (artt. 145 e 153)
che concedeva l’esonero dell’imposta di registro, e il r.d. 4 luglio 1897 n.
414 (art. 27) che riguardava l’imposta sul bollo.
12
alla vigilanza e al controllo dello Stato o di organizzazioni
riconosciute.
La legislazione settoriale e la disorganicità delle norme che
prevedevano esenzioni tributarie fecero però ben presto
sentire l’esigenza di fissare, quanto meno con riguardo al
profilo delle agevolazioni fiscali, una serie di requisiti di
rapido riscontro, comuni a tutte le cooperative, quale che fosse
il loro soggetto, indicativi del carattere mutualistico e non
speculativo dell’impresa
8
.
Negli anni crebbero le agevolazioni a favore del settore
cooperativo, settore che si scontrò con un atteggiamento di
diffidenza e di avversione da parte del fascismo, giustificando
così una serie di leggi, che dopo il periodo giolittiano,
inasprirono progressivamente i controlli dello Stato sulla
cooperazione, accentuandone il carattere repressivo.
Si giunse così al codice civile del 1942.
8
Si veda in proposito il r.d. 30 dicembre 1923 n. 3269, il quale all’art. 66
introdusse una sorta di presunzione di mutualità collegata alla presenza,
nello statuto delle società, di tre clausole che provvedessero: il divieto di
distribuzione dei dividenti in misura al 5% rispetto al capitale sociale; il
divieto di distribuzione di riserve durante la vita della società; il divieto
di divisione fra i soci, in caso di scioglimento della società, del
patrimonio eccedente il capitale versato.
13
2.2 Il periodo intercorrente dal codice civile del 1942 fino
alla riforma attuale.
Anche nel codice civile del 1942, così come nel codice di
commercio del 1882, il legislatore ha preferito dettare una
disciplina generale ed unitaria di carattere prevalentemente
strutturale, ma non senza l’introduzione di alcune importanti
novità quali: il riconoscimento della cooperativa quale nuovo
tipo di società e la qualificazione della stessa anche sul piano
funzionale, con il richiamo di un elemento non direttamente
definito dalla legge qual’è lo scopo mutualistico. Per il resto la
cooperativa venne modellata sullo schema della società per
azioni, con l’introduzione di qualche profilo caratteristico delle
società di persone, e anteposta alla disciplina delle leggi
speciali.
Nel 1948 entrò in vigore la Costituzione; con l’entrata in
vigore della Costituzione, la legislazione italiana in tema di
società cooperative subisce una svolta importante grazie
all’espresso riconoscimento costituzionale della funzione
sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini
di speculazione privata di cui all’art. 45 Cost.; attraverso
14
questo articolo si manifesta, in generale, un mutato
atteggiamento dello Stato verso la cooperazione.
Di questo nuovo clima è immediata espressione il d.l.c.p.s. 14
dicembre 1947 n. 1577 (meglio nota come Legge Basevi)
permeato ai principi introdotti dall’art. 45 della Cost., pur non
potendosi considerare una legge attuativa della stessa
Costituzione in quanto a questa anteriore anche se di pochi
giorni. Con la legge Basevi il legislatore pose mano all’opera
di sistemazione dell’intera legislazione della società
cooperativa, alla luce di nuovi principi dello Stato
repubblicano
9
.
Successivamente all’entrata in vigore del d.l.c.p.s. 14 dicembre
1947 n. 1577 – che subì importanti modifiche con la legge del
17 febbraio 1971 n.127 e che, pur essendo una legge speciale
possiede norme di carattere prevalentemente generale – si è
avuta in Italia una legislazione settoriale sempre più intricata e
9
Nel 1949, nel 1950 e nel 1951 la legge in questione, sotto il titolo
generico di provvedimenti per la cooperazione, ha apportato delle
modifiche al settore cooperativo, riordinando il sistema di vigilanza e dei
controlli; vennero dettate nuove norme di carattere sostanziale con
riferimento al numero minimo dei soci, ai requisiti dei soci, limiti al
possesso azionario. Venne estesa, a tutte le cooperative la disciplina già
esistente dei requisiti mutualistici per godere delle agevolazioni tributarie
e, infine, disciplinati ex novo, i consorzi di cooperative.
15
complessa, talora con finalità esclusivamente agevolative
10
.
10
Le leggi che meritano di essere ricordate i particolare sono: Il decreto
legge 10 febbraio 1948 n. 105 contenente disposizioni sull’ordinamento
delle banche popolari; il decreto legge 7 maggio 1948 n. 1235
sull’ordinamento dei consorzi agrari, ai quali viene ex lege attribuita la
qualifica di cooperative; d.p.r. 15 febbraio 1952 n. 138 per la disciplina
delle compagnie portuali; legge 3 maggio 1982 n. 203 contenente norme
sui contratti agrari; legge 17 luglio 1975 n. 400 contenente norme intese
ad uniformare ed accelerare la procedura di liquidazione coatta
amministrativa degli enti cooperativi; legge 4 agosto 1978 n. 479
contenente provvedimenti per l’occupazione giovanile; legge 5 agosto
1981 n. 416 e successive modifiche, nella quale un vasto spazio venne
dedicato alle cooperative editrici; legge 19 maggio 1983 n. 72, meglio
nota come Visentini-bis,contenete norme di carattere generale sui
conferimenti, sui dividenti e sulle partecipazioni delle cooperative; legge
27 febbraio 1985 n. 49 contenente provvedimenti per il credito alla
cooperazione e norme urgenti sulla salvaguardia dei livelli di
occupazione; legge 28 febbraio 1986 n. 43 contenente provvedimenti per
la promozione e lo sviluppo dell’occupazione giovanile nel mezzogiorno;
legge 8 novembre 1991 n. 381 contenente disposizioni per le cooperative
sociali; legge 31 gennaio 1992 n. 59 contenenti nuove norme in materia
di società cooperative, con disposizioni che miravano fra l’altro ad
agevolare la raccolta del capitale di rischio da parte delle cooperative
(vedi in proposito: BUONOCORE, Riflessioni conclusive, succ.
pubblicate in riv. Not., 1992 I p. 707, con titolo “La legge 31 gennaio
1992 n. 59 e la mutualità degli anni a venire”; GENCO: La riforma
cooperativa. Note di commento e criteri applicativi sulla legge 31
gennaio 1992 n. 59, Bologna, 1992.).
Si ricorda inoltre: il D. Lgs. settembre 1993 n. 385 contenente il T.U.
delle leggi in materia bancaria, attraverso il quale si è introdotta una
nuova disciplina per le cooperative di credito, abrogando il T.U. sulle
casse rurali ed artigiane del 1937; legge 1948 n. 105 sulle banche
popolari; legge 17 febbraio 1992 n. 207 relativa alle azioni delle banche
popolari e delle cooperative di assicurazione; D.Lgs. 14 dicembre 1992 n.
481, attraverso il quale si è recepita la seconda direttiva CEE in materia
creditizia del 15 dicembre 1989 n. 486.
Da ultimo si ricordano: legge 7 agosto 1997 n. 266 (legge Bersani),
disciplinante la piccola società cooperativa; legge 24 novembre 2000 n.
340 che prevede numerose semplificazioni sulle norme codicistiche di
diritto societario; legge 3 aprile 2001 n. 142 disciplinante il lavoro in
cooperativa. Il quadro dello sviluppo della legislazione italiana non
sarebbe completo se si tacesse della riforma tributaria varata in epoca
16
3. I principali problemi della legislazione cooperativa
Per comprendere l’effettiva portata della nuova legislazione
societaria è necessario ricordare quali siano i principali
problemi di quella che era la legislazione in tema di
cooperative.
Il primo problema consisteva nella individuazione della causa,
cioè dell’essenza mutualistica, per passare, quindi, alla ricerca
del punto di equilibrio tra le componenti funzionali che
tradizionalmente connotano le cooperative sia come società sia
come imprese, vale a dire l’equilibrio esistente tra la mutualità
egoistica, la mutualità altruistica, la raccolta e la
remunerazione del capitale.
immediatamente successiva al 1970, nel contesto della quale il d.p.r. 29
settembre 1973 n. 601, disciplinando organicamente la materia delle
agevolazioni tributarie, ha dettato un titolo apposito (il terzo) per
risistemare, alla luce duce dei nuovi principi e dei nuovi tributi, la
materia delle agevolazioni alla cooperazione in tema di imposta dirette.
Non va trascurata, infine, l’importanza della legislazione regionale, che,
dapprima limitata alle sole regioni a statuto speciale, dopo il
trasferimento della potestà legislativa prevista dall’art. 117 della Cost., ha
registrato un’imponente fioritura anche nelle regioni a statuto ordinario.
Le leggi regionali, però, contengono esclusivamente norme di
promozione e sostegno
(v. D’ALESSIO-IRACE-LOGIUDICE-
RISPOLO-FARINA-SANTORO-TROISE, Cooperazione e regioni.
quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano, 1977; ROMBOLI,
Problemi costituzionali della cooperazione, in Riv. trim. Dir. Pubbl.,
1977, p. 133 ss.) e per di più sono espressione di un disegno di
incentivazione che riguarda non solo e società cooperative vere e proprie,
ma tutte le forme di collaborazione e di integrazione fra imprese di
piccole e medie dimensioni.
17
Il secondo problema stava, invece, nel riordino della materia,
dal momento che successivamente al codice civile del 1942 e
dopo il varo della Costituzione si sono susseguiti, svariati
intervanti legislativi, numerosi, disorganici ed occasionali tale
da non essere in grado di impedire la proliferazione di pseudo
cooperative.
La vastità degli interessi coinvolti nel fenomeno e
l’insoddisfazione generalmente avvertita per le piccole riforme
settoriali, spiegano le ragioni per le quali in Italia da tempo si
tenti l’impresa, non lieve, di introdurre una riforma organica
dell’intero settore.
Già nel 1954 ad opera della Commissione Centrale per le
cooperative venne elaborato e pubblicato un progetto di codice
della cooperazione, contenente disposizioni di carattere
generale.
Tuttavia, solo dopo venti anni l’idea di una riforma organica è
stata ripresa con impegno, a partire dal disegno di legge che
portava il nome del senatore De Marzi, al quale fecero seguito
altri progetti, successivamente riproposti con varianti non
18
decisive nelle successive legislature
11
.
In questo contesto si inserisce la recentissima riforma del
diritto societario entrata in vigore il primo gennaio 2004
12
, la
quale, incidendo significativamente sulla legislazione generale,
11
I progetti di riforma ai quali ci si riferisce nel testo sono: il progetto De
Marzi, presentato al senato il 27 luglio 1974 con il n. 1739; il progetto
ministeriale approvato nel 1975 da un comitato di studiosi istituito presso
il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale.
Nella successiva legislatura, aperta nel 1976, si ebbero tre progetti: il
progetto Lombardi, presentato alla camera il 28 luglio 1976 con il n. 167;
il progetto Pacini, presentato al Senato il 23 luglio 1976; il progetto Di
Marino, presentato al Senato il 29 luglio 1977 con il n. 868.
Successivamente sono stati riproposti i progetti Pacini (26 giugno 1976 n.
59) e Lombardo (26 giugno 1976 n. 165).Sono stati inoltre presentati la
proposta di legge Cappelloni (21 maggio 1980, n. 1745) che ricalca il
precedente progetto Di Marino; la proposta di legge Ravaglia (29
settembre 1980, n. 2034); un progetto elaborato nel 1980 dalla Direzione
generale della cooperazione presso il Ministero del Lavoro; e un
progetto-parere formulato dalla Commissione centrale delle cooperative
il 2 aprile 1982.
Vi sono stati poi progetti di riforma che interessano settori specifici di
attività cooperativa, soprattutto quelle delle casse rurali e artigiane (v. il
disegno di legge Bartolomei, n. 231 e la proposta Lo bianco, n. 972 del
1980, in Giur. Comm., 1980, I, p.522; GATTI, La riforma del testo unico
delle casse rurali e artgiane nel quadro della modifica della disciplina
della cooperazione di credito, in Dir. Fall., 1982, I, p. 537 ss.;
BUONOCORE, Cinquant’anni di testo unico: esperienze e riflessioni, in
Banca, impresa, società, 1988, p. 103 ss.).
Inoltre, la proposta di legge Piro, presentata alle camere il 5 marzo 1986
con il n. 3547, tendente ad abrogare i commi 2°, 3°, 4°, 5° della’art. 20
del T.U. (sulla quale v. VERRUCOLI, Una proposta di legge in tema di
privilegi delle Casse rurali ed artigiane, in Riv. Coop, 1986, p. 128 ss.)
12
Ai sensi dell’articolo 223-duodecies, comma 1, disposizioni di
attuazione, Codice civile, le cooperative già costituite alla data di entrata
in vigore della legge sono tenute a uniformare l’atto costitutivo e lo
statuto alle nuove disposizioni inderogabili entro il 31 dicembre 2004.
Peraltro, il rispetto di questo limite temporale è condizione per
conservare le agevolazioni fiscali (articolo 223-duodecies, ultimo
comma).
19
introduce una disciplina delle società cooperative con pretese
di organicità (benché taluni profili non siano stati affatto o
interamente considerati dal legislatore della riforma e
rimangano dunque totalmente o parzialmente disciplinati in
altra sede, dando luogo così a problemi di coordinamento
13
),
che non può che contribuire all’eliminazione o quanto meno
alla riduzione delle deficienze e incongruenze del precedente
assetto normativo
14
. Fra l’altro il redattore della riforma si è
anche preoccupato di attenuare al massimo la distinzione tra
cooperative costituzionalmente riconosciute e cooperative
diverse, così come previsto all’art. 5 della legge delega,
istituendo, con la riforma, cooperative a mutualità prevalente e
cooperative diverse, la cui distinzione rileva solo sul piano
dell’accesso alle agevolazioni fiscali.
13
Così è ad esempio per l’aspetto della vigilanza, che ha di recente
trovato disciplina specifica nel decreto legislativo del 2 agosto 2002,
numero 220, Norme in materia di riordino della vigilanza sugli enti
cooperativi, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, della legge 3 aprile 2001,
numero 142.
14
Decreto legislativo 17 gennaio 2003, numero 6, Riforma organica della
disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione
della legge 3 ottobre 2001, numero 366, in Gazzetta Ufficiale, 22 gennaio
2003, numero 17, supplemento ordinario, numero 8.
Curiosamente, in forza dell’articolo 223-terdecies, comma 2, disposizioni
di attuazione, Codice civile, alle banche popolari, alle banche di credito
cooperativo e ai consorzi agrari continuano a applicarsi le norme vigenti
alla data di entrata in vigore della legge numero 366 del 2001; avremmo
dunque una persistente vigenza del vecchio diritto cooperativo limitata a
queste tipologie cooperative.