Introduzione
«Non si può nascondere che la libertà illimitata di associazione, in materia
politica, è di tutte le libertà l’ultima che un popolo possa sopportare. Se essa non
lo fa cadere nell’anarchia, gliela fa per così dire rasentare ad ogni istante». Con tali
icastiche parole Alexis de Tocqueville enucleava due secoli or sono uno dei proble-
mi tutt’oggi più delicati e complessi del diritto costituzionale: la limitazione del
diritto di associazione politico-partitica con riferimento peculiare alla ipotesi in cui
l’esercizio del medesimo dia luogo alla costituzione di formazioni partitiche c.d.
“antisistema”, vale a dire ideologicamente avverse all’ordine politico-giuridico
costituito e aventi quale obiettivo programmatico l’eversione dell’ordinamento
costituzionale.
Scopo del presente elaborato è quello di portare un modesto contributo alla
copiosa letteratura scientifica sorta intorno a tale problematica, da un lato, nel-
l’assunto che essa, profilandosi quale questione mai esaustivamente appianata e
appartenente a quell’ordine di problemi giusfilosofici ineluttabilmente irresolubili,
abbisogna costantemente di nuovi apporti; dall’altro, poiché codesta queastio, cri-
stallizzatasi e assopitasi sul dibattito classico intorno all’archetipo di democrazia
protetta incarnato dalla Costituzione di Bonn, viene oggi ridestata, e parzialmente
5
modificata fisionomicamente, dall’incombere della minaccia terroristica (interna e
internazionale) e dalla crisi dello Stato di diritto da esso ingenerata. Paradigma
di tale reviviscenza dottrinale, e, consequenzialmente, oggetto privilegiato della
trattazione, è la normativa legislativa introdotta all’inizio del nuovo secolo nell’or-
dinamento giuridico spagnolo al fine di dichiarare illegali i partiti politici collusi
con il terrorismo armato.
Allo scopo di affrontare ex professo lo studio degli aspetti patologici del diritto
spagnolo dei partiti politici, si è ritenuto opportuno approntare preliminarmente
uno strumentario teorico-concettuale d’ampio respiro al quale è stato dedicato il
primo capitolo. Esso può essere idealmente frazionato in due parti: nella prima,
dopo avere appurato che il rapporto tra costituzionalismo e democrazia si configura
in maniera ambivalente, oscillando esso stesso tra il polo della limitazione e quello
della massimizzazione vicendevole (§1.1), si pongono a confronto, dal punto di
vista teoretico e giusfilosofico, gli speculari modelli teorici della democrazia pura,
permeata di relativismo agnostico e inerme nei confronti di gruppi e partiti liber-
ticidi (§1.2), e della democrazia protetta, assiologicamente orientata e tetragona
alle forze antisistema (§1.3), cercando in entrambe le ipotesi di fare emergere,
mediante un procedimento logico di reductio ad absurdum, i rispettivi paradossi
e le intrinseche aporie; nella seconda parte – restringendo il focus di indagine e
modificando l’approccio metodologico in favore di una serrata comparazione tra
gli ordinamenti giuridici italiano, tedesco, francese e spagnolo –, in primis, si
delinea il ruolo dei partiti all’interno del quadro costituzionale (§1.4) e si pone in
luce come la refrattarietà della fenomenologia partitica alla sussunzione in anguste
categorie giuridiche si riverberi sullo studio della restrizione del pluralismo in
materia di associazionismo politico-partitico (§1.5), in secundis, si disamina l’e-
strinsecarsi nei diversi ordinamenti giuridici del principio di democraticità partitica
6
interna ed esterna, con particolare attenzione alla declinabilità del medesimo come
limite di ordine pubblico materiale, i.e. vincolo metodologico-fattuale attinente
esclusivamente ai mezzi adoperati, ovvero come limite di ordine pubblico ideale,
i.e. vincolo teleogico-potenziale concernente (anche) i fini perseguiti (§1.6).
Gettate le basi teoriche dalle quali attingere plurime e complementari chiavi
di lettura, si passa, nel secondo capitolo, a sondare concretamente i meccanismi
normativi di ilegalización dei partiti politici vigenti nell’ordinamento giuridico
spagnolo. Codesta disamina si articola su due livelli strettamente interconnessi
inter se: il livello costituzionale – inerente, da un lato, ai principi, espliciti e non,
fissati dalla Carta e, dall’altro, ai limiti imposti al legislatore ordinario costituenti
i parametri giudiziali di legittimità costituzionale dell’attività di questi (§2.2) –
e il livello della legislazione ordinaria, la quale prende corpo nella disciplina
precostituzionale di cui alla Legge 4 dicembre 1978, n. 54 (§2.3), e in quella
postcostituzionale di cui alla Legge organica 27 Giugno 2002, n. 6. Quest’ul-
tima normativa – caratterizzantesi per la complessa identificabilità tassonomica
derivante dalla natura androgina di regime giuridico organico dei partiti politici
e, al contempo, di legge-provvedimento emergenziale in materia di antiterrori-
smo (§2.4.1) – rappresenta, come accennato, il nocciolo centrale dello studio
e, pertanto, viene ad essa concesso ampio spazio. In primo luogo, si opera una
minuziosa analisi esegetica e sistematica del testo di legge (§§2.4.2-2.4.5); in
secondo luogo, se ne evidenziano i principali profili di inopportunità, l’endemica
difettosità tecnico-giuridica e i maggiori dubbi di legittimità costituzionale, av-
valendosi, quale “bussola” d’orientamento, della sentenza 12 marzo 2003, n. 48,
con la quale il Tribunal Constitucional, quantunque con una pronuncia di tipo
interpretativo, ne ha dichiarato la legittimità costituzionale, o, per meglio dire, la
non incostituzionalità (§§2.4.6-2.4.11).
7
Infine, nel terzo e ultimo capitolo, adottando la metodologia del case study,
viene esaminata l’ampia serie di provvedimenti giurisprudenziali pronunciati in
applicazione della Ley Orgánica de Partidos Políticos e aventi a oggetto esclusivo
formazioni partitiche ideologicamente ascrivibili alla c.d. izquierda abertzale
(vale a dire il nazionalismo radicale basco di matrice indipendentista) e contraddi-
stinti da un forte legame con l’organizzazione terroristica Euskadi ta Askatasuna,
meglio conosciuta ai più con l’acronimo di ETA. Questi provvedimenti giudiziari
vengono dislocati su un percorso di “politica giurisprudenziale del diritto” che,
ben lungi dall’essere lineare e pacifico, si prospetta, per contro, come impervio e
accidentato, composto di ricorsi giurisdizionali, dissenting opinions e revirements
giurisprudenziali. Siffatta parabola viene segmentata, mutuando la terminologia
drammaturgica, in tre atti: 1) lo scioglimento autoritativo della cellula-madre
della costellazione dei citati partiti indipendentisti baschi, vale a dire Batasuna,
disposto dalla sentencia della Sala Especial del Tribunal Supremo 27 marzo 2003
(§3.2.1-3.2.4) e avallato dall’arrêt 30 giugno 2009 della Cour européenne de
droits de l’homme (§3.2.5); 2) la longeva propagazione degli effetti di siffatto scio-
glimento sulle proiezioni parlamentari (§3.3.1) e sulle gemmazioni palingenetiche
del partito (§3.3.2); 3) la recente riconduzione della izquierda abertzale nell’alveo
della legalità, concretizzante un drastico cambio di rotta di difficile e prematura
decifrabilità ma, ad ogni modo, potenzialmente costituente il tassello conclusivo
della vicenda (§3.4).
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Capitolo1
Prolegomeni allo studio della
democrazia protetta e dei partiti
politici antisistema
1.1 Un benefico ossimoro: la democrazia
costituzionale
La nozione di democrazia costituzionale sorge dal connubio tra la forma di
Stato democratica – da intendersi, perlomeno in via preliminare, secondo la «de-
finizione minima»
1
, proceduralistico-formale
2
di regime caratterizzato «da un
insieme di regole che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni col-
1
N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 1984, p. 4.
2
La concezione c.d. formale o procedurale di matrice kelseniana è sviluppata e compendiata
in vari testi dell’Autore austriaco. Su tutti, H. KELSEN, I fondamenti della democrazia, in Id., La
democrazia, Il Mulino, Bologna, 1984 (ed. or. 1955), pp. 181 ss.
11
lettive e con quali procedure»
3
– e la presenza di una Costituzione informata ai
principi liberal-democratici del c.d. costituzionalismo
4
.
Tale giustapposizione astringe democrazia e Costituzione (rectius: democrazia,
Costituzione e costituzionalismo
5
) in un nesso concettuale inscindibile, un’endiadi
3
Così N. BOBBIO, op. loc. cit. L’Autore elenca, senza alcuna pretesa di esaustività e a titolo
meramente esemplificativo, una serie di queste regole formali, definite «universali procedurali»,
in ID., Democrazia, in N. BOBBIO - N. MATTEUCCI - G. PASQUINO, Dizionario di Politica,
Utet, Torino, 2008, p. 241. Sulla definizione minima di Costituzione e sulle regole essenziali, cfr.
G. SARTORI, Democrazia. Cosa è, Rizzoli, Milano, 1994, pp. 254-255, secondo cui «eleggere i
governanti, avere opzioni elettorali, esprimere dissenso, costituiscono la denotazione minima della
parola democrazia; [. . .] se queste caratteristiche sono assenti, allora né il demos né il suo kratos
sono più in questione».
4
Secondo A. BARBERA, Le basi filosofiche del costituzionalismo, in ID. (a cura di), Le basi
filosofiche del costituzionalismo, Laterza, Bari-Roma 1998, pp. 3-4, il costituzionalismo «designa
un movimento politico, filosofico, culturale volto alla conquista di documenti costituzionali
improntati a principi liberali o liberaldemocratici» e caratterizzantesi per «valori e tecniche» quali:
la separazione tra la sfera politica e la sfera religiosa; la presenza di una Costituzione scritta,
rigida ed espressione di sovranità popolare/nazionale; il primato assoluto dei diritti dell’uomo e la
tutela dei diritti dei cittadini; il principio di maggioranza; la separazione dei poteri; un controllo
di costituzionalità delle leggi. F. MANCINI, Costituzionalismo, in Enciclopedia filosofica, Roma,
1979, p. 574, aggiunge ai «principali tratti distintivi della forma di governo costituzionale [. . .] la
pubblicità e soprattutto la responsabilità cui è soggetta l’azione dei governanti». Infine, per una
definizione sintetica di costituzionalismo, si veda P. BISCARETTI DI RUFFIA, Costituzionalismo,
in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 1962, XI, pp. 130 ss.
5
V. CRISAFULLI, Costituzione, in Enciclopedia del Novecento, Treccani, Roma, 1975, I,
pp. 1031-1032, in riferimento alla relazione tra Costituzione e costituzionalismo, ricorre all’e-
spressione di «Costituzione in senso politico-ideologico», ossia di «Costituzione nel senso della
ideologia liberal-democratica». Per una primissima positivizzazione della fusione tra Costituzione
e costituzionalismo, si veda l’icastico esempio offertoci dall’art. 16 della Déclaration des droits de
l’homme et du citoyen del 1789, secondo cui «Toute Société dans laquelle la garantie des Droits
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(ovvero un’endiatri ove si configurasse il rapporto trilateralmente, vale a dire ascri-
vendo all’aggettivo “costituzionale” la doppia valenza di Costituzione-documento
e di Costituzione-ideologia) nella quale i termini de quibus si contaminano recipro-
camente snaturandosi, perdendo autonomia e risultando, ove singolarmente intesi,
lacunosi e monchi. Questo gioco di influenze reciproche e di slittamenti semantici
è palesato dall’insufficienza della definizione minima di democrazia
6
; dalla per-
plessità, per non dire velato imbarazzo, suscitata dal definire Costituzioni proprio
sensu le carte fondamentali degli Stati autocratici; dalla possibilità – sul piano
socio-culturale e del sentire comune ancora prima che su quello tecnico-giuridico
– di costruire paradossali e tautologiche petizioni di principio (e.g.: «la democrazia
costituzionale è un ordinamento munito di Costituzione democratica»); infine,
dal riscontro in dottrina di discrasie terminologiche foriere di fraintendimenti,
logomachie e più o meno consci paralogismi.
Premesso ciò, è operazione necessaria, al fine di comprendere appieno la
dinamica in esame e disvelarne l’intima essenza, optare per un diverso angolo
prospettico di osservazione, dal quale la dialettica “democrazia - Costituzione”,
lungi dal pervenire al suesposto sposalizio, viene ad inverarsi in termini diametral-
mente opposti: come antitesi ovvero, spingendo al parossismo il ragionamento,
n’est pas assurée, ni la séparation des Pouvoirs détérminée, n’a point de Constitution».
6
Lo stesso N. BOBBIO, op. cit., pp. 4 ss., pur autodefinendosi fautore della «definizione
minima» di democrazia, riconosce tuttavia – correggendo il tiro dell’impostazione kelseniana –
nella tutela delle libertà fondamentali un’imprescindibile condizione di esistenza della democrazia
stessa, sebbene, a differenza di altri Autori e analogamente a Kelsen, finisca per invertire l’ordine
logico-argomentativo concependo tali libertà come «presupposto necessario per il corretto fun-
zionamento degli stessi meccanismi prevalentemente procedurali che caratterizzano un regime
democratico» e non come punto d’arrivo al quale finalizzare la tecnica democratica.
13
come ossimoro
7
. In altri termini, è necessario fare un passo indietro (sul piano
logico e su quello storico), dimenticare la sintesi, l’unum dinanzi al quale si è
oggi, e procedere analiticamente insistendo sulla funzione limitatrice (in tal senso
quindi antitetica) assolta dal costituzionalismo nei confronti della democrazia,
vale a dire sulla «funzione di vincolo alla assoluta estrinsecazione del principio di
maggioranza, a difesa dei valori indeclinabili della persona»
8
.
Tale funzione, a ben vedere, costituisce il proprium della dottrina costituzio-
nalistica moderna – quantomeno di matrice statunitense
9
–, la ratio essendi ac
7
Sulla visione della democrazia costituzionale in termini di «unione degli opposti», cfr.
S. HOLMES, Vincoli costituzionali e paradosso della democrazia, in G. ZAGREBELSKY - P.
PORTINAIO - J. LUTHER (a cura di), Il futuro della costituzione, Einaudi, Torino, 1996, pp. 167 ss.
L’Autore, partendo inizialmente da siffatta prospettiva – l’ossimoro paradossale – e scorrendone
in rassegna i fondamenti giusfilosofici riscontrabili in John Locke, David Hume, John Stuart
Mill e Immanuel Kant, se ne distacca e – attraverso un interessante e suggestivo percorso logico-
argomentativo che passa dalla teologia di William of Ockham e Richard Hooker alla traduzione
di questa in termini politici operata da Jean Bodin, fino ad arrivare al pensiero di James Madison
e di John Hart Ely – vi contrappone l’idea secondo cui i vincoli costituzionali, lungi dall’essere
sistematicamente antidemocratici, possano rinsaldare la democrazia.
8
Così I. NICOTRA, Democrazia “convenzionale” e partiti antististema, Giappichelli, Torino,
2007, pp. 12 ss., ove la riflessione viene proseguita ponendo l’accento sulla connessione delineabile
tra contrattualismo e costituzionalismo.
9
Per una sintetica e precisa esposizione delle differenze tra il costituzionalismo americano
di tipo liberale e quello francese di tipo radical-rousseauviano, esito delle diverse caratteristi-
che insite nelle due Rivoluzioni di fine XVIII secolo, vedasi G. BONGIOVANNI - G. GOZZI,
Democrazia, in A. BARBERA (a cura di), op. cit., pp. 215 ss., secondo cui se la Rivoluzione
francese è contro l’assolutismo monarchico e punta all’affermazione della «illimitata capacità del
legislatore virtuoso», capacità tale in quanto «espressione della volontà generale della nazione»,
per contro la Rivoluzione americana ha per nemico il legislatore (nello specifico quello britannico)
e persegue l’obiettivo di porre ad esso dei limiti. Sul tale punto cfr., M. FIORAVANTI, Costituzione:
14
operandi della democrazia costituzionale. La tecnica costituzionale, in altri termi-
ni, è, anzitutto, «limitazione del governo mercé il diritto»
10
, razionalizzazione del
regime democratico
11
, il quale, di conseguenza, non potrà più constare di mere
«regole formali sul chi e sul come delle decisioni», ma dovrà comporsi anche di
«regole sostanziali sul che cosa si deve o non si deve decidere»
12
.
Siffatta concezione di Costituzione, in termini assiologici e quindi antinomici
rispetto alla democrazia tout court, sul piano prettamente storico è testimoniata –
ci ricorda Giovanni Sartori – dal fatto che i padri del costituzionalismo moderno,
da Immanuel Kant ad Alexander Hamilton e James Madison, forti di una tradizio-
ne bimillenaria di visione negativa della democrazia come forma di degenerazione
dispotica, per definire l’ordinamento costituzionale rifiutavano, finanche, l’uso di
tale parola – democrazia per l’appunto – ricorrendo invece al concetto di repubbli-
ca
13
.
Orbene, non è scopo di queste pagine (la velleità di) fornire una definizione
esaustiva di democrazia costituzionale; per contro, ciò che preme a chi scrive
problemi dottrinali e storici, in ID., Stato e Costituzione. Materiali per una storia delle dottrine
costituzionali, Giappichelli, Torino, 1993, pp. 106 ss.
10
C.H. MCILWAIN, Costituzionalismo antico e moderno, Il Mulino, Bologna, 1990, p. 44.
11
Sul concetto di governo limitato, sulla differenza tra esso e la separazione dei poteri e
sullo «spostarsi dell’equilibrio costituzionale dal legislativo al giudiziario», cfr. N. MATTEUCCI,
Costituzionalismo, in N. BOBBIO - N. MATTEUCCI - G. PASQUINO, op. cit., pp. 209-210.
12
Così L. FERRAJOLI, Democrazia e costituzione, in G. ZAGREBELSKY - P.P. PORTINAIO - J.
LUTHER (a cura di), op.cit., pp. 321-322, che fa notare come tale dicotomia sia riscontrabile ictu
oculi nella Costituzione italiana bipartita in una parte sostanziale (“Diritti e doveri dei cittadini”) e
in una formale (“Ordinamento della Repubblica”).
13
G. SARTORI, op. cit., pp. 150-151. È interessante notare, a parere dello scrivente, come
la quaestio concernente l’esatta portata semantica di democrazia e repubblica e la loro eventuale
fungibilità si riverberi oggi nel dibattito ermeneutico avente ad oggetto l’art. 139 Cost. it.
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