a coloro che non riescono a frenare le proprie deviate e perverse pulsioni
sessuali che li portano ad abusare sessualmente dei minori; l’altra si
riferisce a quelle organizzazioni criminali che sfruttano la fragilità dei
fanciulli e le devianze sessuali dei pedofili per ricavarne ingenti profitti.
Ci si soffermerà, infine, ad esaminare una particolare e del tutto anomala
figura criminosa che il legislatore del 2006 ha inteso introdurre
nell’ordinamento al fine di anticipare ulteriormente la soglia della rilevanza
penale delle condotte che risultino essere espressione di un interesse
sessuale nei confronti dei fanciulli, tentando così di garantire loro una più
ampia tutela.
Il riferimento è all’art. 600 quater 1 c.p., all’interno del quale è prevista
l’incriminazione delle condotte aventi ad oggetto il materiale pornografico
minorile virtuale.
L’obiettivo è, quindi, quello di verificare se effettivamente tale previsione
risulti idonea a garantire maggiore protezione allo sviluppo della personalità
del minore ovvero se, al contrario, si risolva nella incriminazione di
condotte del tutto inoffensive, con conseguente violazione dei principi
cardine del diritto penale
1
.
1
Il rischio è che, in caso di violazione di alcuni dei principi cardine del diritto penale, quali quelli di
materialità e di necessaria lesività, si finisca per passare da una colpevolezza per un “fatto” lesivo di un
bene giuridico penalmente protetto, alla inammissibile figura della “colpa d’autore”, la quale si pone in
contrasto con i principi dello Stato di diritto. Sul punto cfr. FIANDACA G. – MUSCO E., Diritto penale,
Parte generale, IV ed., Bologna, 2004, 278.
6
Saranno, infine, proposti alcuni spunti di riflessione circa la necessità di un
approccio multidisciplinare al fenomeno degli abusi sessuali sui minori,
attraverso il necessario coordinamento di interventi di carattere giuridico,
psicologico e sociale, affinché alla repressione delle condotte lesive
dell’integrità psicofisica dei bambini, si affianchi una necessaria
prevenzione finalizzata – attraverso un’adeguata assistenza e idonei
trattamenti psicoterapeutici – a ridurre l’elevato tasso di recidiva che
caratterizza tutti i reati sessuali commessi in danno ai minori.
Rimane da segnalare che soltanto attraverso un coordinato impegno delle
famiglie, della società e delle istituzioni potrà essere consentito ai bambini
di vivere degnamente la loro infanzia ed alla società di garantire un più
elevato grado di civiltà, in quanto un Paese che non dedica un’adeguata
attenzione alla salvaguardia dei minori è un Paese che rischia di
compromettere il proprio futuro.
7
CAPITOLO I
IL CONCETTO DI PEDOFILIA DALL’ANTICHITA’ AI GIORNI
D’OGGI.
Sommario: 1. La pederastia e la pedofilia nell’antica Grecia. – 2. Gli abusi sessuali sui minori in epoca
romana e nel Medioevo. – 3. Il codice Zanardelli. – 3.1. Il bene giuridico tutelato. – 3.2. Le fattispecie
incriminatici. – 4. Il codice Rocco. – 4.1. I beni giuridici oggetto di tutela. – 4.2. Alcune novità introdotte
dal legislatore. – 4.2.1. La corruzione di minorenne. – 4.2.2. Il reato di incesto. – 4.2.3. I reati di lenocinio.
– 4.3. Considerazioni finali. – 5. L’odierno concetto di pedofilia. – 6. L’inarrestabile espansione della
pedofilia e della pedopornografia attraverso Internet.
1. La pederastia e la pedofilia nell’antica Grecia.
Il fenomeno degli abusi sessuali sui minori e del loro sfruttamento non è un
problema che emerge soltanto in epoca recente. La storia dell’umanità è,
infatti, costellata da forme e da episodi di violenza nei confronti dei
fanciulli, i quali hanno rappresentato, per molto tempo, una categoria non
protetta dalle leggi e ciò ha determinato che intere generazioni di bambini
subissero, all’ombra del silenzio, sopraffazioni di questo tipo.
La consapevolezza dei crimini perpetrati nei confronti dei fanciulli, dunque,
è stata per molto tempo piuttosto limitata, anche se il codice di Hammurabi,
4000 anni fa, prevedeva la figura dell’abuso sessuale sui minori, nonché
pesanti sanzioni a carico dei responsabili
2
.
2
SALVATORI A., SALVATORI S., L’abuso sessuale al minore e danno psichico, Milano, 2001, 65.
8
Non è facile stabilire se in passato tali forme di violenze siano state
maggiori o minori rispetto ai nostri giorni.
Certo è che, soprattutto nei tempi più remoti, anche nella coscienza
collettiva, vi è stata una scarsa attenzione nei confronti della interiorità del
bambino, spesso considerato non come una “persona” che, in quanto tale,
necessita di notevoli tutele per poter crescere in modo sano, equilibrato ed
armonioso, ma come un mero “oggetto”, uno strumento nelle mani
dell’adulto attraverso il quale quest’ultimo poteva soddisfare le proprie
esigenze, lavorative o sessuali.
Prima di procedere oltre, si rende necessario chiarire il significato di due
concetti che esprimono tale tipo di relazioni sessuali: la pedofilia e la
pederastia.
La genesi del termine pedofilia deriva dal greco pais (che significa fanciullo)
e philìa (che vuol dire amore) e quindi sta ad indicare l’amore o, comunque,
un’attrazione nei confronti di un bambino.
Analoga etimologia ha anche il termine pederastia che deriva anch’esso dal
greco pais (fanciullo) ed erestès (amante), anche se a quest’ultimo venne
dato un significato diverso rispetto a quello di pedofilia.
La pederastia, infatti, che ebbe la sua massima diffusione fra il VI e il IV
secolo a.C., consisteva in una relazione sessuale tra il maschio adulto ed un
adolescente discepolo, attraverso la quale il “pedagogo” trasmetteva il
9
sapere e le virtù di cittadino. Il ruolo dell’adulto era, dunque, quello di
pedagogo: egli insegnava ai ragazzi “a godere della giusta misura dei
piaceri della vita: i canti e la danza, il vino e l’amore”
3
.
Nell’antica Grecia l’amore omosessuale fra l’adulto e l’adolescente non
veniva considerato come un abuso sessuale ma, al contrario, era socialmente
accettato: la pederastia assumeva, allora, prevalentemente il significato di
un rapporto educativo della gioventù maschile, con riferimento ai ragazzi
puberi di età compresa tra i dodici ed i sedici anni. Tale rapporto veniva
considerato come una vera e propria “iniziazione sessuale”, al punto che i
greci la ritenevano assolutamente fondamentale per il completamento
dell’istruzione di ogni ragazzo, tanto da prevedere diverse regole sociali di
corteggiamento che l’amante avrebbe dovuto seguire prima di pervenire al
culmine del rapporto sessuale con la sodomizzazione del fanciullo
4
.
L’introiezione del sapere passava anche attraverso l’annullamento fisico, la
passività e lo scambio tra sapere e piacere.
L’amato esisteva soltanto in funzione dell’amante; non poteva avere una sua
autonomia psicologica, una sua volontà, ma si connotava come fonte e
3
CANTARELLA E., Seconda natura: la bisessualità nel mondo antico, Editori Riuniti, Roma, 1988, 129
ss.
4
La sodomizzazione era considerata parte del processo di formazione dell’uomo adulto probabilmente
perché si reputava che le virtù virili fossero trasmesse attraverso lo sperma dell’amante, o forse perché,
trattandosi di un atto che umilia, simboleggiava la sottomissione del più giovane al più anziano per essere
ammesso nel gruppo dei detentori del potere. In argomento cfr. SCHINAIA C., Pedofilia Pedofilie: la
psicoanalisi e il mondo pedofilo, Torino, 2001, 111.
10
oggetto di piacere, pronto a ripagare con il suo corpo l’offerta di sapienza
che gli veniva tramandata dal maestro
5
. La passività del giovinetto, la sua
“offerta” fisica, erano l’unico modo per ripagare e ringraziare il maestro dei
suoi insegnamenti e della trasmissione della conoscenza e del “sapere”.
Secondo le convenzioni sociali dell’epoca, quanto più bello era il giovane
discepolo e quanto più nobile era il suo animo, tanto più grande era il
prestigio che ne veniva all’uomo che egli accettava come proprio maestro;
per converso, quanto più illustre era l’uomo che lo accettava come suo
pupillo, tanto più grande il prestigio e la saggezza che ne derivava per il
ragazzo.
L’adolescente, dunque, era amato per la sua bellezza e, a sua volta, amava il
suo erastès (amante), per la virtù propria dell’uomo adulto: il valore
6
.
Pedofila era invece considerata la relazione tra adulti e bambini prepuberi,
di età inferiore ai dodici anni e questa, al contrario della pederastia, era in
genere ritenuta socialmente riprovevole e dunque condannata dalla società.
Tuttavia, nonostante fosse ritenuto spregevole intrattenere relazioni sessuali
con fanciulli di età inferiore ai dodici anni, per quanto è dato sapere, in
molte città greche – come ad esempio Sparta – non vi era alcuna sanzione
5
SCHINAIA C., Pedofilia Pedofilie, cit., 115.
6
MONNI P., L’arcipelago della Vergogna. Turismo sessuale e pedofilia, Roma, 2001, 98 ss.
11
penale a carico di colui che fosse stato ritenuto responsabile di simili
condotte
7
.
In altre città, come ad esempio Atene, i rapporti sessuali con bambini
prepuberi erano sanzionati gravemente dalla legge, anche se poi – in realtà –
non sono a noi pervenute notizie di condanne di questo tipo nonostante la
frequenza con cui questi abusi si ripetevano. Si può dunque affermare che
proteggere l’infanzia, distinguendo tra pederastia e pedofilia, era una
costante preoccupazione degli ateniesi, pur se solo da un punto di vista
formale
8
.
Comunque, indipendentemente dalle differenze che potevano caratterizzare
le varie città dell’antica Grecia, un dato predominava e si palesava come
un’assoluta costante: la totale assenza di considerazione del mondo emotivo
del fanciullo e la mancata preoccupazione delle ripercussioni che simili
relazioni potevano avere sul suo sviluppo fisico e – soprattutto – psichico.
7
MONNI P., cit., 97.
8
FURFARO S., Pedofilia. Un fenomeno giuridico e sociologico, cap. III.
12
2. Gli abusi sessuali sui minori in epoca romana e nel Medioevo.
Anche in epoca romana il fenomeno degli abusi sessuali commessi in danno
di minori era piuttosto diffuso; se presso i greci, però, tali condotte si
celavano dietro un fondamento “educativo”, per i romani la giustificazione
di tali atti poggiava sulla diversità dello status delle persone
9
.
Il diritto romano, infatti, classificava le persone in due grandi categorie:
“personae sui iuris” e “personae alieni iuri subiectae”: una suddivisione
che, con la terminologia moderna, può essere resa con la distinzione tra
persone fornite e non fornite della capacità giuridica, che sostanzialmente
equivale ad essere o non essere soggetti di diritto.
Sulla base di tale distinzione era permesso intrattenere rapporti sessuali con
fanciulli, purché – però – si trattasse di schiavi o di liberti.
Tale tipo di sopraffazione era, invece, assolutamente vietata nei confronti di
ragazzi liberi, che – divenuti grandi – avrebbero dovuto imparare ad imporsi
e a dominare, anche in ambito sessuale e a non subire i desideri altrui.
Da ciò conseguiva che tali divieti non erano imposti allo scopo di tutelare lo
sviluppo psicofisico del fanciullo, ma esclusivamente per finalità di tipo
politico.
L’omosessualità e la pedofilia, quindi, non erano condannate se praticate
con schiavi e liberti, atteso che era un loro dovere assecondare i desiderata
9
SCHINAIA C., Pedofilia Pedofilie, cit., 116 ss.
13
del padrone; era, invece, considerato deprecabile che un cittadino libero
assumesse un ruolo passivo nei confronti di un altro suo pari.
A tale proposito, Plutarco racconta che i cittadini romani usavano mettere al
collo dei loro figli una “bulla d’oro” affinché quando giocavano nudi, non
venissero confusi per degli schiavi e fatti oggetto di “attenzioni”
10
.
In ambito legislativo va ricordata la Lex Scantinia De Nefanda Venere,
probabilmente risalente al 149 a. C.
11
, secondo la quale, in caso di rapporto
sessuale fra un adulto e un fanciullo prepubero – e quindi di età inferiore ai
dodici anni – veniva punito severamente l’adulto
12
.
Questa legge prevedeva inoltre che, in caso di rapporto omosessuale tra due
cittadini liberi, venisse punito soltanto quello che tra i due aveva assunto
l’atteggiamento passivo; il colpevole, in tal caso, avrebbe dovuto pagare una
multa molto elevata, pari a diecimila sesterzi.
Tale impostazione legislativa pone in evidenza come, in epoca romana,
l’etica sessuale riflettesse la concezione politica che in nessun ambito
tollerava la sottomissione di un libero cittadino.
10
La bulla d’oro era un gioiello simbolo della purezza, formato da due pietre concave sovrapposte tra le
quali venivano inseriti degli amuleti, al fine di preservare il fanciullo dal malocchio e segnalare la sua
condizione sociale. Al riguardo cfr. FURFARO S., Pedofilia. Un fenomeno giuridico e sociologico, cap.
III.
11
ROTONDI G., Leges Publicae Populi Romani, 1912, in Noviss. Dig. It., vol. XIV, 229.
12
DI BERARDINO A., L’omosessualità nell’antichità classica, in AA. VV., Ecclesiae Memoria, Misc. J.
Metzler, Roma, 1991, 28.
14
Anche in tale contesto storico, quindi, non si prese in considerazione –
almeno inizialmente – la necessità di apprestare una maggiore attenzione e
tutela a quella fase fondamentale ed imprescindibile della corretta
formazione di un uomo, vale a dire l’infanzia.
Con l’avvento del Cristianesimo, poi, si fornirono le basi religiose per la
condanna di ogni comportamento sessuale non finalizzato alla procreazione
e di conseguenza si incominciò a considerare con disprezzo non solo i
rapporti omosessuali, ma anche qualsiasi forma di abuso sessuale nei
confronti dei minori
13
.
Questa inversione di tendenza riguardava, però, solamente l’aspetto etico
della società e solo quando il Cristianesimo ottenne il riconoscimento
ufficiale dello Stato, si ebbero anche delle innovazioni in ambito legislativo
con la previsione di pene severe nei confronti di coloro che avessero
compiuto degli atti pedofili.
La Chiesa, pertanto, ebbe un ruolo molto importante di cooperazione, con
gli imperatori che si alternarono alla guida di Roma, nella diffusione di un
nuovo sentimento di attenzione e di “rispetto” per il mondo dell’infanzia.
Tuttavia, la “costante storica” degli abusi sessuali perpetrati in danno dei
minori non venne interrotta neanche dalle nuove concezioni etico religiose.
13
GIALLONGO A., Il bambino medievale, Bari, 1999, 48 ss.
15
Un esempio in tal senso è riscontrabile nel Medioevo dove, con la
diffusione delle corporazioni, era frequente che un bambino apprendista, di
età compresa tra gli otto e i dieci anni, lasciasse la famiglia d’origine per
vivere e lavorare con un maestro artigiano.
Nonostante di pedofilia non si potesse nemmeno parlare, a causa delle
convinzioni etico religiose del tempo, nel XIII secolo la scoperta di
numerosi contratti con cui si “affittavano” bambini a padroni, testimonia
quanto fosse diffusa l’usanza di un apprendistato in casa di estranei, dove
normalmente si stabiliva una sorta di promiscuità relazionale
14
.
Qui l’allievo non era iniziato solo al lavoro, ma anche al sesso: il bambino,
infatti, veniva sfruttato nel lavoro e considerato come una merce da
utilizzare per soddisfare qualsiasi tipo di desiderio.
Inoltre, prevalentemente in epoca alto medievale, la scarsissima attenzione
all’igiene e le abitudini del tempo, imponevano che adulti e bambini
condividessero spazi comuni, sia di giorno che di notte.
In particolare, la totale assenza di pudore comportava che gli adulti
praticassero attività sessuale davanti ai fanciulli, i quali molte volte
venivano costretti a partecipare a tali pratiche
15
.
14
GIALLONGO A., Il bambino medievale, cit., 41.
15
ARIES P., Padri e figli nell’epoca medievale e moderna, Roma-Bari, 1994, 113.
16
L’abuso sessuale sul minore non assumeva un grande significato di
riprovazione sociale, in quanto – come sottolineato da Ariès – era proprio il
sentimento dell’infanzia che risultava assente in questo periodo storico.
Diversa educazione, almeno nei ceti più elevati, era riservata alle bambine,
il cui unico valore da preservare fino al matrimonio era la verginità.
Alcuni Autori raccontano che, per conservare la castità delle bambine fino
al matrimonio, esse dovessero essere gelosamente recluse nelle proprie
abitazioni o, comunque, sempre sorvegliate
16
. Ciò doveva avvenire finché le
fanciulle non avessero compiuto il dodicesimo anno di età, periodo nel
quale in genere venivano “concesse” in matrimonio a persone molto più
anziane.
Soltanto nella seconda metà del Seicento, si cominciarono a guardare con
una certa riprovazione le abitudini promiscue tra adulti e bambini ed in
Francia nacque una letteratura pedagogica ad uso dei genitori con lo scopo
di salvaguardare l’integrità e l’innocenza infantile.
Finalmente stava incominciando lentamente a diffondersi un nuovo
atteggiamento nei confronti della sessualità e della psiche dei bambini e
degli adolescenti.
Tra il Settecento e l’Ottocento, l’idea che la sensibilità dei bambini fosse
diversa da quella degli adulti e che l’infanzia dovesse essere protetta e
16
GIALLONGO A., Il bambino medievale, cit., 208-222.
17
rispettata, acquistò sempre maggiore consistenza e si iniziò a prendere
coscienza del fatto che gli abusi sui minori avrebbero potuto danneggiare in
modo irreversibile sia il loro fisico che la loro psiche
17
.
A tale graduale presa di coscienza, tuttavia, non corrispose una diminuzione
degli episodi di violenza nei confronti dei bambini, i quali furono sempre
più spesso oggetto delle perversioni dei pedofili.
Inoltre, sia nel XVIII che nel XIX secolo, in tutto il contesto legislativo
internazionale, si è ancora molto lontani da un corpus di norme poste a
garanzia e tutela del minore
18
.
17
SCHINAIA C., Pedofilia Pedofilie, cit., 26.
18
SALVATORI A., SALVATORI S., L’abuso sessuale, cit., 25.
18
3. Il codice Zanardelli.
3.1. Il bene giuridico tutelato.
Nel codice Zanardelli del 1889, in relazione alle fattispecie delittuose
relative ai reati sessuali, dobbiamo prendere in considerazione gli articoli
che andavano dal 331 al 344, collocati nel Libro II, Capi I e II del Titolo
VIII, rubricato “Dei delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie”.
In particolare, tali previsioni legislative riguardavano prevalentemente la
violenza carnale, gli atti di libidine, la corruzione di minorenne, la relazione
incestuosa, le offese al pudore e il ratto a fine di libidine o di matrimonio.
Importanti, ai fini della nostra trattazione, risultano anche gli artt. 345 e 346
c.p., collocati nel Capo III e relativi al reato di lenocinio.
Come risulta evidente dalla rubricazione del Titolo, i beni giuridici che il
legislatore dell’epoca intese tutelare erano costituiti dal buon costume e
dall’ordine delle famiglie
19
.
Lo scopo di tali norme era dunque quello di salvaguardare il necessario
equilibrio delle relazioni familiari, il quale avrebbe potuto spezzarsi ed
infrangersi irreversibilmente nell’ipotesi in cui si fosse verificato un caso di
violenza sessuale o un reato simile.
19
PESSINA E., Il nuovo codice penale italiano, Milano, 1890, 329.
19