2
Secondo la maggior parte degli studiosi che si sono occupati di
questa tematica, in ogni gruppo umano si sono registrati casi di abusi
sessuali sui minori, sicché essi non possono essere considerati dei
semplici incidenti di percorso nel corso dell’evoluzione dell’uomo, ma
vanno analizzati separatamente, tenendo conto delle relazioni sociali e
culturali in cui si sono verificati nonché del periodo storico considerato e
della cultura dominante.
“Il diverso significato che viene ad assumere la relazione pedofila,
la sua relatività storica, prescinde dalla constatazione che c’è la costante
presenza di un minimo comune denominatore, che consiste nella
dissimmetria esistente nel rapporto tra l’adulto e il bambino o
l’adolescente. Tale asimmetria si costituisce in ogni caso come il cardine
di una relazione di abuso, al cui interno si determina un divario di potere
che nessuna passiva acquiescenza, scambiata o contrabbandata per
consenso, potrà annullare o ridurre”
2
.
Alcuni autori
3
hanno proposto di definire la pedofilia non come
una perversione, ma come un “pervertimento sociale”, in quanto essa è
considerata perversa soltanto in alcune società e in alcuni periodi storici,
2
SCHINAIA C., Pedofilia, Pedofilie. La psicoanalisi e il mondo del pedofilo, Bollati Boringhieri,
Torino, 2001, p.110.
3
Cfr. SCARDACCIONE G., BALDRY A., Tipologia dell’abuso sessuale e intervento giudiziario,
Rassegna Italiana Criminologia, VIII, 1997, pp. 127 – 150.
4
Cfr. MONNI P., L’arcipelago della Vergogna, cit., p.97
3
mentre in altri è considerata del tutto naturale. Invero, tale ultima tesi
non sembra poggiare su basi sufficientemente solide, in quanto non tiene
adeguatamente conto della complessità e conflittualità del fenomeno
anche in quelle società in cui, a prima vista, esso potrebbe apparire
tollerato.
La massima diffusione della pedofilia si fa generalmente risalire al
VI e V secolo a. C., nelle città greche di Sparta ed Atene. Essa
consisteva in una relazione sessuale tra adulti maschi e adolescenti,
spesso all’interno di un’esperienza spirituale e pedagogica attraverso la
quale l’amante adulto trasmetteva le virtù del cittadino. Le numerose
fonti storiche dell’epoca testimoniano il fatto che la relazione sessuale di
un adulto e di un minore in età compresa tra i dodici ed i diciotto anni
fosse considerata perfettamente lecita, mentre quella con un minore di
dodici anni fosse ritenuta illegale e socialmente riprovevole. La
pederastia nell’antica Grecia era una vera e propria norma sociale, una
forma di educazione riconosciuta dallo Stato ed in molti casi anche
incentivata. Il pederasta era considerato un pedagogo (pais, ragazzo e
igein, condurre), colui che aveva una funzione di guida nella vita anche
sessuale dei discepoli. I Greci ritenevano che fosse possibile trasmettere
la saggezza da una generazione all’altra soltanto attraverso l’amore e
l’attrazione provata da un adulto saggio per un giovinetto. In realtà,
4
come giustamente rilevato
4
, tra l’eros paedagogos (amore psichico e
spirituale dell’adulto verso il giovane discepolo da lui educato e formato)
e il graduale scivolamento verso la pedofilia il passo è assai breve.
L’erastes era l’amante, il quale era solito prendere l’iniziativa
corteggiando il fanciullo. L’eromenion era invece l’amato, il cui ruolo
era sostanzialmente passivo: si trattava di un contenitore amorfo che
avrebbe potuto prendere forma solo attraverso la relazione pederastia con
l’erastes.
La relazione si fondava su una serie di diritti dell’amante, quali il
godimento di un piacere rapido e rapinoso, e di obblighi, quali la
protezione e, talvolta, il sostentamento economico del ragazzo. L’età
dell’amato era importante ai fini della punibilità dell’amante, dato che i
rapporti sessuali con bambini impuberi era sanzionati gravemente dalla
legge, anche se poi, in realtà, non sono a noi pervenute notizie di
condanne di questo tipo nonostante la frequenza con cui questi abusi si
ripetevano. Si può dire che proteggere l’infanzia, distinguendo la
pederastia dalla pedofilia, era una costante preoccupazione degli
Ateniesi, pur se solo da un punto di vista formale.
4
Cfr. WEITBRECHT H.J., Compendio di psichiatria, traduzione italiana Piccin, Padova, 1970,
p.31.
5
Invero, anche nei tempi antichi cui stiamo facendo riferimento non
vi era unanimità di vedute circa la legittimità delle pratiche di pederastia.
Infatti, da alcune parti essa era celebrata come importante pratica sociale
e culturale necessaria nell’educazione di ogni ragazzo; in altre, come la
Jonia, veniva fortemente avversata. Anche quando essa era accettata
socialmente, tuttavia vi si accompagnavano atteggiamenti assai diversi
quali il disprezzo per i giovani troppo facili o troppo interessati e la
disistima degli uomini effeminati. Inoltre, veniva punita l’omossessualità
a carattere pornografico o mercenario.
È, dunque, ravvisabile un’ambiguità di fondo nell’atteggiamento
degli uomini del tempo verso tale devianza, visto che, se da un lato
sembrava essere tollerata ed addirittura incoraggiata, dall’altro,
all’interno del proprio nucleo familiare i padri tentavano di proteggere i
figli da tresche di questo tipo. “La differenza più incisiva tra la vita
“La differenza più incisiva tra la vita amorosa del mondo antico e
quella nostra risiede nel fatto che l’antichità sottolineava la pulsione, noi
invece sottolineiamo il suo oggetto. Gli antichi esaltavano la pulsione ed
erano disposti a nobilitare con essa anche un oggetto inferiore, mentre
noi stimiamo poco l’attività pulsionale di per sé e la giustifichiamo
soltanto per le qualità eminenti dell’oggetto
5
”.
5
FREUD S., Tre saggi sulla teoria sessuale, vol. 4, Ed. Newton, Milano, 1905, p.463.
6
Le parole dell’insigne autore citato esprimono una evidente critica
rispetto a quelle pratiche in cui è palese la totale assenza di
considerazione del mondo emotivo del ragazzo, valorizzato non per le
proprie qualità, ma dalla sola pulsione sessuale dell’adulto.
A Sparta, Lesbo e Mitilene, come pure in altre zone della Grecia,
donne adulte usavano avere delle amanti tra le adolescenti ed era
costume diffuso quello di unirsi alle ragazze prima del matrimonio, nello
stesso modo in cui questi riti iniziatici venivano fatti con i ragazzi da
parte di adulti maschi. Nell’antica Grecia assumeva, quindi, rilevanza
una relazione che oggi potremmo definire pedofilia
6
.
Anche presso i Romani la pederastia è stata molto praticata, pur
subendo, col passare del tempo, una sorta di regressione filosofico –
sociale. Infatti, i ragazzini oggetto di attenzione da parte degli adulti, con
l’espandersi della civiltà romana, erano sempre più frequentemente degli
schiavi o figli di schiavi e non più cittadini liberi, sicché alla grande
speculazione greca sull’amore si è gradualmente sostituita una forte
tendenza alla brutalità ed alla sopraffazione
7
. Lo stesso Cicerone nelle
sue invettive moralistiche non condanna l’omosessualità in quanto tale:
condanna solo quella forma particolare di omosessualità che è la
6
Cfr. FURFARO S., Un fenomeno giuridico e sociologico,edita nel sito internet che segue
http://dex1.tsd.unifi.it/altrodir/devianza/furfaro/index.litem, cap. III.
7
Cfr. FOUCAULT M., L’uso dei piaceri. Storia della sessualità 2, traduzione italiana a cura di
Feltrinelli, Milano, 1984
7
pederastia, nel senso ellenico del termine, vale a dire l’amore per i
ragazzi liberi
8
. In sostanza, un limite alla omosessualità era costituito
dalla condizione “libera” dei fanciulli coinvolti, in quanto costoro mai
avrebbero dovuto essere oggetto di tali pratiche poiché da grandi
avrebbero dovuto imparare ad imporsi e non a subire i desideri altrui.
Dunque, l’etica sessuale dei romani, da questo punto di vista, altro non
era che un aspetto della loro etica politica.
Tale atteggiamento si rifletteva anche sulla produzione legislativa
del tempo. Famosa in materia di pederastia è la Lex Scatinia, con la
quale, in caso di rapporti tra adulti e fanciulli impuberi, veniva punito
solo l’adulto, mentre non vi erano condanne nel caso in cui
l’omosessualità e la pedofilia venivano praticate con schiavi e liberti,
tenuti a compiacere in tutto e per tutto i loro padroni. Era considerato
deprecabile solo che un cittadino libero assumesse un ruolo passivo nei
confronti di un altro suo pari
9
. La successiva Lex Iulia de adulteriis
puniva lo stupro solo nei confronti degli uomini liberi, mentre per i servi
vi era una sorta di risarcimento in favore del dominus.
8
Cfr. CANTARELLA E., Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico. Rizzoli, Milano, 1995,
pp.129 – 130.
9
Cfr. DI BERARDINO A., L’omosessualità nell’antichità classica, in W. Henkel (a cura di),
Ecclesiae Memoria, Misc. J. Metzler, Roma, 1991.
8
Con l’imperatore Domiziano si intervenne in materia di rapporti
tra padroni e schiavi sancendosi il divieto di castrare i servi per favorire
rapporti omosessuali. Il Cristianesimo, poi, fornì le basi religiose per la
condanna di ogni comportamento non eterosessuale, in quanto contro
natura perché non preordinato al concepimento. Anche le successive
codificazioni punirono con severità ogni manifestazione di
omosessualità.
Al contrario, nel mondo pagano non si riuscì mai a comprendere
in pieno il valore della persona umana ed in particolare quello del
fanciullo, considerato una non - persona e, quindi, privato di ogni diritto.
Da tale concezione non poteva non derivare come conseguenza la
tolleranza verso ogni forma di abuso nei confronti dei minori. Del resto,
è quasi fisiologico che il disprezzo della persona umana e gli attentati ai
suoi valori producano squilibri e sconvolgimenti nella compagine
sociale.
Dunque, mentre il Cristianesimo tentò di operare una efficace
restaurazione morale, il mondo pagano non tutelò affatto i diritti dei
fanciulli, consacrando crudeli tradizioni e teorie giuridiche innaturali.
Alle teorie dei filosofi e dei legislatori della società pagana, vengono
contrapposte le dottrine della società cristiana, i principi della nuova
9
religione. I Padri e gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli sono unanimi
nel condannare l’infanticidio, l’esposizione e la vendita dei fanciulli.
Una differenza evidente tra le due contrapposte concezioni è
ravvisabile nella disciplina giuridica dell’aborto. I pagani lo
ammettevano, considerandolo addirittura un obbligo sociale a causa della
sovrappopolazione, mentre, invece, esso era espressamente vietato ai
cristiani, in quanto essi ritenevano che impedire la nascita equivaleva ad
uccidere, in quanto è già essere umano quello che sta per nascere.
L’argomento dei diritti del fanciullo come soggetto di diritto è
trattato da Sant’Agostino con notevole ampiezza, la cui dottrina si erge a
barriera impenetrabile posta a difesa e protezione della vita del fanciullo.
La Chiesa, di conseguenza, stabilisce pene gravissime contro coloro che
abusano della debolezza della giovane età. Può, dunque, affermarsi che
le innovazioni del Cristianesimo, pur restando almeno apparentemente
nella cerchia etica e religiosa, influenzarono notevolmente l’ordine
giuridico del tempo, impregnando di spirito evangelico le leggi civili, in
specie dopo che la nuova religione ottenne il riconoscimento ufficiale
dello Stato. Si spiega così anche la severità delle pene previste per gli
abusi sui fanciulli. Infatti, fino a poco tempo prima quelle pratiche erano
state considerate lecite e dunque per poterle definitivamente
delegittimare era necessario perseguirle con forza e decisione.
10
La Chiesa, pertanto, ebbe un ruolo importante di cooperazione con
gli imperatori che si alternarono sul trono romano nella diffusione di un
nuovo sentimento di attenzione e di rispetto per il mondo dell’infanzia.
È anche vero, come giustamente sottolineato da qualche autore
10
,
che spesso l’abuso si nasconde dietro al silenzio, nel senso che,
probabilmente, gli amanuensi cristiani distrussero le testimonianze
letterarie considerate “scandalose”. Tale silenzio trovava giustificazione
nel fatto che la pedofilia veniva ritenuta dai cristiani una perversione
sessuale, in quanto tale assolutamente innominabile. Sul punto, è
interessante notare che nei manuali o dizionari di teologia morale
cristiana e cattolica mancava, almeno fino a qualche tempo fa, la voce
“pedofilia”, menzionata solo tra le perversioni sessuali.
Comunque, anche l’associazione “pedofilia – violenza” può
spiegare il silenzio, fino ai tempi recenti, della stessa Chiesa cattolica, la
cui morale, peraltro, è tradizionalmente copiosa in materia di sessualità
11
.
Tale atteggiamento di rigorosa chiusura mentale, probabilmente, non è
stato molto di aiuto alla Chiesa cattolica nella sua attività di tutela dei
diritti del fanciullo, dal momento che per poter affrontare adeguatamente
un problema è necessario conoscerlo nelle sue sfaccettature e soprattutto
10
Cfr. FURFARO S., Pedofilia, cit., cap.III.
11
Cfr. MONNI P., L’arcipelago della Vergogna, cit.,pp. 94-95.
11
non appare utile eluderlo ed ignorarlo quasi come se non esistesse nella
realtà quotidiana.
Che il problema non sia stato risolto è, del resto, testimoniato
dalla circostanza che esso ancora oggi è di angosciante attualità.
Nello studio del fenomeno della pedofilia è senz’altro importante
“codificare”, almeno teoricamente, la nozione di pedofilia.
L’inquadramento teorico della questione, tuttavia, non è affatto
agevole, a causa delle difficoltà di far convergere tra loro i diversi
orientamenti manifestatisi nel corso del tempo. Alcuni si sono sviluppati
in senso socio – antropologico, altri in senso prevalentemente clinico.
Secondo la prima chiave di lettura, che potrebbe definirsi
panculturale, la pedofilia è definita un “pervertimento sociale”
12
, ossia
un comportamento considerato perverso solo in alcune società ed in
periodi storici determinati, costituendo, in altri un comportamento
assolutamente normale.
Del resto, si è già avuto modo di evidenziare come non in tutte le
civiltà la pedofilia abbia assunto il significato di un’attività connotata da
elementi di negatività.
12
Cfr. ROCCIA C. FOTI C., L’abuso sessuale sui minori, Unicopli, Milano, 1994.
12
In una sorta di via mediana tra l’interpretazione panculturale e
quella clinica si può collocare l’interpretazione tendente ad evidenziare
nei comportamenti dei pedofili la specificità di stati emotivi legati
all’impellenza ed all’urgenza. Essi, in particolare, costituirebbero, di
fatto, degli ostacoli all’avvicinamento naturale tra uomo e donna
finalizzato ad una relazione amorosa.
La terza chiave di lettura è quella di tipo clinico. Da tale punto di
vista la pedofilia viene considerata un disordine psicosessuale in cui è
evidente una devianza rispetto ai comportamenti generalmente accettati,
data la necessità di particolari condizioni per suscitare l’eccitazione
13
.
In particolare, la pedofilia è collocata tra le patologie legate alla
sfera della sessualità ed è configurata come una perversione.
Nell’approccio clinico gli psichiatri che si sono interessati al problema
hanno dato particolare rilievo alla dimensione psichica e al vissuto
infantile. Si è ipotizzato che il fattore esplicativo della pedofilia coincida
con l’arresto dello sviluppo psicosessuale, dovuto ad un trauma precoce
o all’aver vissuto la propria sessualità in un ambiente restrittivo.
13
Cfr. O’GRADY R., Schiavi o bambini?, Gruppo Abele, Torino 1995, p.16.
13
Altri fattori scatenanti sono stati individuati nei conflitti di tipo
sessuale raggiunti senza il contributo della fantasia, probabilmente a
causa di un insuccesso o per una formazione distorta della coscienza
causata da una patologia
14
.
Altri studiosi
15
hanno, invece, individuato nell’angoscia di
castrazione un elemento che caratterizza fortemente il comportamento
pedofilo. Tale ansia determinerebbe nel pedofilo l’incapacità di avere
una sessualità di tipo genitale, causando una regressione ad una fase
orale e anale che indurrebbe il soggetto considerato a preferire i bambini
agli adulti. Non tutti, però, sono concordi nell’attribuire all’ansia da
castrazione importanza decisiva ai fini dell’ inserimento della pedofilia
nel novero delle perversioni. Infatti, essa è considerata perversione,
secondo l’interpretazione prevalente, non tanto in correlazione a conflitti
di natura sessuale, quanto in riferimento ad eventi e relazioni traumatiche
vissute dal soggetto soprattutto in età infantile, oppure a gravi carenze
nella formazione della propria identità. In sostanza, il pedofilo che abbia
vissuto, durante l’infanzia, un’esperienza sessuale traumatica con un
adulto tende a ricercare, a sua volta, rapporti sessuali con bambini. Ciò,
14
Cfr. JARIA A. CAPRI P., La pedofilia:aspetti psichiatrico – forense e criminologici, in F.
Ferracuti, Trattamento di criminologia, medicina criminologia e psichiatria forense, VII Giuffrè,
Milano, 1987.
15
Cfr. KERNEBERG O., Relazioni d’amore, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996.
14
infatti, gli consente di evitare il confronto con una sessualità matura,
quale potrebbe essere quella di un adulto
16
.
Ancora dal punto di vista clinico, si è evidenziato come la
pedofilia possa definirsi come un insieme di fantasie, impulsi sessuali o
comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti che in generale
riguardano oggetti inanimati, sofferenza ed umiliazioni di se stessi o del
partner, bambini o altre persone non consenzienti. Il punto focale di tale
patologia risiederebbe nell’attività sessuale ricorrente con bambini
impuberi. I pedofili tenderebbero, dunque, a considerare legittime le loro
pratiche, ritenendole educative o spesso giustificandole con le
“provocazioni” dei bambini stessi.
Gli studi statistici compiuti in materia consentono di tracciare un
identikit del pedofilo che si allontana alquanto dall’immagine mitizzata
dai media dell’ anziano “sporcaccione”. In genere, il pedofilo è un uomo
di mezza età, professionista, appartenente a ceti sociali medio alti, con
un buon livello di istruzione, stimato e ben inserito nella comunità in cui
vive. Generalmente non è coniugato, e se lo è conduce una vita
matrimoniale soddisfacente. Non necessariamente il suo interesse
sessuale è rivolto ai propri figli, potendosi indirizzare anche e soprattutto
16
Cfr. ROCCIA C. FOTI C., L’abuso sessuale sui minori, Unicopli, Milano, 1994.
15
verso bambini estranei che egli, comunque, frequenti per le più svariate
ragioni.
17
In conclusione di questo breve excursus sulla pedofilia ed in
particolare sulle modalità di valutazione della stessa, può dirsi che
certamente oggi non vi è alcun retaggio delle antiche concezioni che la
tolleravano ed anzi essa viene considerata come una vera e propria
malattia mentale del soggetto, spesso originata da traumi di tipo sessuale
vissuti durante l’infanzia.
Gli studi e le analisi condotte sul fenomeno hanno consentito,
altresì, di superare gli stereotipi in voga negli anni passati, in quanto si è
dimostrato che il pedofilo può tendenzialmente far parte delle più diverse
comunità e dei più diversi ambienti e ceti sociali. Inoltre, si è
evidenziato, dati alla mano, che spesso il pedofilo è un parente o,
comunque, un conoscente della vittima.
Sul piano sanzionatorio, la tendenza dominante nell’opinione
pubblica è quella di richiedere pene molto più severe di quelle
attualmente previste dalla legge italiana e ciò soprattutto in un’ottica
retributiva della sanzione penale e non tanto intimidatoria, essendo
richiesta tale maggiore severità anche da chi ritiene le pene ininfluenti
sulla futura commissione del reato. Ammettere tale funzione della
17
Cfr. O’GRADY R., Schiavo o bambini?, Gruppo Abele, Torino, 1996.