6
strumento principale allo scopo di ridistribuire in maniera sistematica una parte dei contributi
dei paesi membri alle regioni più povere della Comunità
4
. L’ideazione del Fesr, accompagnato
dalla nomina di un apposito Comitato per la politica regionale, testimonia la valenza regionale
che inizia a caratterizzare la politica di coesione della Comunità europea, sintomo della
crescente attenzione che inizia ad avere quest’ultima nel contesto generale delle politiche
europee.
Inizialmente, la Commissione doveva fissare i requisiti e le modalità per l’accesso alle
risorse del Fesr che riguardava i rappresentanti nazionali, il fondo doveva finanziare non
singoli progetti, ma un sistema coordinato di programmi distinguibili tra due tipologie:
programmi comunitari elaborati dalla Commissione e programmi nazionali di interesse
comunitario (Pnic) messi a punto dai singoli stati membri. Successivamente il ruolo dei
governi nazionali in tema di fondi strutturali diventerà ridotto, in favore di un crescente
rapporto che coinvolgerà le autorità regionali e l’anima dell’Unione europea, ossia la
Commissione.
A partire dalla nascita del Fesr, il contributo versato per le politiche strutturali regionali
(comprendente Feoga, Fse e Fesr) è stato di circa il 13 % dell’intero bilancio comunitario. Tale
quota non aumenterà sino alla riforma del 1988 in seguito descritta.
1.1.1. Contributo totale degli stati membri al Fesr, per il periodo 1975-1988
5
In suddetto periodo, nel quale persisteva un debole coordinamento delle politiche
economiche e conseguentemente delle azioni strutturali, il contributo totale è stato di 15703,19
milioni di ecu. Questi erano devoluti dai singoli stati secondo la seguente ripartizione:
- Italia 4137,85 mln. – Regno Unito 3648,38 mln. – Francia 2850,55 mln.
– Spagna 2120,75 mln. – Grecia 1887,72 mln. – Irlanda 975,88 mln. - Portogallo 742,27 mln. –
Germania 660,83 mln. – Danimarca 154,78 mln. – Belgio 143,12 mln. – Olanda 138,03 mln. –
Lussemburo 8,99 mln.
4
Il Fesr è stato istituito con il Regolamento n. 724/75 allo scopo di “correggere i principali squilibri
regionali della Comunità, in particolare quelli risultanti dalla prevalenza delle attività agricole, dalle trasformazioni
industriali e da una sottoccupazione strutturale”.
5
Commissione europea, Crescita, competitività, occupazione, Libro bianco, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali
delle Comunità europee, Lussemburgo, 1993.
7
1.1.2. Maggiore attenzione alla coesione con l’allargamento a dodici
Durante gli anni seguenti, si è assistito ad un allargamento consistente dell’Unione
verso paesi meno ricchi rispetto alla media degli Stati membri. Con l’entrata della Grecia nel
1981 ed il contemporaneo ingresso di Portogallo e Spagna nel gennaio 1986
6
, sono emersi
evidenti squilibri socioeconomici (e quindi differenze notevoli in quanto a possibilità di
sviluppo) a livello macroregionale tra le popolazioni della Comunità. La scarsa omogeneità di
reddito e benessere nel territori comunitari ha generato un impulso nevralgico nel processo
inerente i fondi strutturali e del conseguente ampliamento di politiche a carattere regionale
dell’Unione europea. Tale impulso è stato tradotto attraverso una netta presa di coscienza da
parte delle istituzioni comunitarie che hanno avvertito il bisogno di creare strategie atte allo
sfruttamento congeniale ed il più possibile funzionale delle risorse economiche (che sono
aumentate cospicuamente) estratte dal bilancio dall’Unione europea allo scopo di incentivare
la crescita delle aree beneficiarie.
Il primo segnale fu dato dall’istituzione, attraverso il regolamento n. 2089 del 1985 del
Consiglio, dei Programmi integrati mediterranei (Pim), creati per armonizzare e gestire la fase di
transizione dovuta all’ allargamento, sia per i nuovi paesi aderenti, ma specialmente per le
regioni meridionali di stati già appartenenti alla Comunità (ovvio pensare al Mezzogiorno), le
quali rischiavano di subire un contraccolpo dalle adesioni dei tre paesi precedentemente
menzionati. I Pim sono risultati essere uno strumento di legame tra le realtà europee del mar
Mediterraneo, dovevano avere carattere pluriennale e l’ elaborazione spettava alle autorità
regionali con successiva approvazione da parte della Commissione europea. La spesa dei
programmi era cofinanziata dalla Comunità fino al 70 %, tramite il Fesr ed il Feoga.
Tra il 1985 ed il 1986, sono stati ripensati e riorganizzati i Fondi strutturali la
formulazione dell’Atto unico europeo
7
. Da questo sono state fornite la basi per il verificarsi di
una politica di coesione effettiva, destinata a controbilanciare in maniera efficace le
conseguenze dei vincoli che sarebbero stati attuati pochi anni più tardi, in seguito alla nascita
del mercato comune europeo (Maastricht 1992). L’integrazione di diverse politiche tra gli stati
europei, ha rafforzato l’autorità delle istituzioni e degli organismi dell’Europa unita, generando
meccanismi che vedono allontanare automaticamente i contesti regionali e periferici della vita
della Comunità, in un’ottica di interdipendenza tra i paesi membri che coinvolge
primariamente le città e le zone economicamente più avanzate, limitando conseguentemente le
6
Gli stati di cui si componeva la Comunità diventarono così 12, dopo la precedente adesione di
Danimarca, Irlanda e Regno Unito datata 1973 (il referendum interno vide negare l’ingresso della Norvegia)
7
Da Il Sole 24 ore, 16 giugno, 2005: “L’Aue è entrato in vigore nel luglio del 1987, segnando un passo
cruciale per il definirsi di uno spazio europeo unico sotto il profilo commerciale e doganale. Esso stabilì
l’abbattimento di barriere in materia di circolazione di persone, merci, servizi e capitali tra gli Stati membri della
Cee”.
8
opportunità di emergere per le zone arretrate socioeconomicamente e non direttamente
coinvolte dallo sviluppo legato alla produzione ed alla circolazione dei flussi finanziari. Di qui
si è accentuata in modo preventivo l’attenzione verso la politica di coesione, con l’intento di
favorire le regioni meno prospere tra cui quelle del sud Europa. L’Atto unico ha consentito
che il riguardo per la coesione economica e sociale della Comunità aumentasse
sostanzialmente: il Consiglio europeo di Bruxelles del febbraio 1988, oltre ad assumere la
denominazione di “Fondi strutturali” invece che di “Fondi settoriali di solidarietà”, ha
modificato sensibilmente i meccanismi riguardanti i finanziamenti, portando ad una crescita
graduale nel corso dei cinque anni successivi, fino al raggiungimento di quasi il 30% dell’intero
bilancio comunitario, l’entità degli stanziamenti derivanti dai Fondi strutturali. Inoltre, il
suddetto Consiglio ha unificato i fondi sotto il profilo normativo congiuntamente con più
nitidi e specifici quadri circa gli obiettivi da raggiungere, uniformando il funzionamento dei
finanziamenti regionali devoluti dalla Comunità secondo alcuni criteri basilari.
È stato attraverso la pubblicazione del Regolamento n. 2052 del 1988
8
(seguito
nell’immediato da altri regolamenti dedicati al funzionamento dei singoli fondi, e rafforzato
cinque anni più tardi dal Reg. n. 2081/93), che si sono avute ulteriori conferme sull’intenzione
di rendere maggiormente forte e comprensibile l’attività dei fondi strutturali. In esso figurano
gli obiettivi tracciati in previsione degli effetti che sarebbero stati generati dall’integrazione
derivante dal Trattato di Maastricht. Il Regolamento, infatti, ha sancito i criteri validi per tutto
il decennio seguente (verrà modificato nel 1999) in modo da migliorare la gestionalità dei
fondi, innanzitutto concentrandoli nei settori di principale necessità, stabilendo i metodi e
perseguendo delle programmazioni pluriennali di medio termine per lo sviluppo regionale.
Esso si riferisce ampiamente al principio di cofinanziamento, secondo cui gli stanziamenti
economici comunitari non possono sostituirsi completamente all’ intervento finanziario dei
governi o delle amministrazioni ed enti locali. Inoltre è stato evidenziato l’esercizio della
pratica fondata sul principio di corresponsabilità, che prevede che rispondano in maniera
condivisa, circa i progetti da eseguire, dalla fase di ideazione, nell’applicazione e nel momento
della conclusione, l’Unione (tramite la Commissione), le autorità ministeriali dei governi
nazionali e gli enti pubblici amministrativi locali, o altri soggetti endogeni attuatori dei singoli
progetti.
8
Regolamento (Cee) N. 2052 del 24 giugno 1988, relativo alle missioni dei Fondi a finalità strutturali,
alla loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della Banca europea degli investimenti, degli
altri strumenti finanziari esistenti. In tale documento sono elencate le regioni ammissibili all’obiettivo primario dei
fondi strutturali: Andalucia, Asturias, Canarias, Extremadura, Comunidad Valenciana, Castilla-La Mancha,
Castilla y Leòn, Murcia, Galicia, Canarias, Ceuta y Melilla per la Spagna, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata,
Calabria, Sicilia, Campania, Sardegna per l’Italia, l’Irlanda del nord nel Regno Unito, i dipartimenti oltre
l’Atlantico appartenenti alla Francia e l’intero territorio per quanto riguarda Portogallo, Grecia ed Irlanda.
9
Ancora sul finire degli anni ottanta, la Commissione ha provveduto all’elaborazione di
un sistema di calcolo per disporre di un quadro oggettivo che fornisse una graduatoria di
prosperità delle singole aree regionali. Tale classificazione è stata articolata su tre fasce di
livello di benessere denominate «Nuts» (nomenclatura delle unità statistiche territoriali)
9
.
L’Atto unico europeo ha dunque aperto una strada importante per la politica regionale
della Comunità, la quale alcuni anni dopo sarebbe sfociata nella stesura di un apposito Titolo,
“Coesione economica e sociale”, del Trattato di Maastricht del 1992
10
. Tale periodo, la
seconda metà degli anni ottanta, oltre a sancire una consistente crescita della politica regionale,
si configura come il momento del concreto nascere della volontà d’integrazione europea,
intesa nella generalità delle sue politiche.
La situazione della regione europea inizia quindi a tendere verso un’integrazione dai
lievi caratteri federali, intesi a responsabilizzare le entità locali europee grazie alla ricezione dei
fondi strutturali, favorendo in tal modo un rapporto tra Bruxelles (istituzioni centrali) e le
entità periferiche regionali, in un contesto strutturale paritario per l’accesso alle risorse
stanziate per la politica regionale, che scavalchi le autorità statali. Comincia ad essere avvertita
l’esigenza di conferire maggior potere alle istituzioni locali e periferiche che sono a margine del
sistema dell’Unione, cercando di controbilanciare gli effetti dell’interdipendenza tra attori
statuali, tenendo conto delle istanze delle singole regioni, in una prospettiva che può essere
definita dalle caratteristiche glocali. É una politica che presenta vasti tratti di intervento
solidale, in particolar modo la politica regionale è lo strumento chiave per consentire la
formazione di un Europa in cui non vincano le disparità sociali ed un’iniqua possibilità di
crescita, ma oltre a simboleggiare tale peculiarità, la ricerca di coesione tra i territori europei è
una premessa fondamentale nel discorso di unitarietà tra stati aderenti ad una medesima entità
che è unica nel suo insieme di caratteristiche, a cui è preferibile fornire un’ossatura forte ed al
contempo più omogenea possibile, da cui ne tragga beneficio il complesso progetto europeo.
9
Commissione europea, Direzione generale della Politica regionale, Le politiche regionali i territori
dell’Europa, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2004, p.56: “nomenclatura
adottata dall’Istituto statistico delle Comunità europee (Eurostat) allo scopo di disporre di uno schema unico e
coerente di ripartizione territoriale. Nei programmi attuali di sviluppo regionale, l’obiettivo 1 dei fondi strutturali
riguarda principalmente le regioni Nuts 2, mentre l’obiettivo 2 interessa territori di livello Nuts 3. La
classificazione a tre livelli, è stata istituita da Regolamento (Ce) n.1059/2003 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 maggio 2003. La dimensione media delle classi di unità amministrative è considerata dal punto
di vista della popolazione facendo riferimento ai seguenti limiti: da 3 a 7 milioni (Nuts1); da 800 000 a 3 milioni
(Nuts2); da 150 000 a 800 000 (Nuts3). In ogni Stato membro possono sussistere ulteriori livelli di dettaglio,
decisi dallo stesso Stato membro, inferiori al livello Nuts 3”.
10
“…la Comunità mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle
regioni meno favorite o insulari, comprese le zone rurali”.
10
Tabella 1 – Ripartizione dei fondi strutturali devoluti ai singoli stati nel 1986
Fonte: Commissione europea, Relazione sulla politica regionale
Bruxelles, 1988
1.1.3. Una rappresentanza per le regioni
Un ulteriore sintomo del progresso dell’Unione sotto l’aspetto federalista, nel senso di
relazioni dirette tra gli organi centrali comunitari e le autorità pubbliche regionali locali, è stata
la nascita, nel 1988, del Consiglio consultivo delle autorità regionali e locali. La creazione di
tale organo fu voluta fortemente dalla Commissione che lo ha istituito, ed è la manifestazione
della volontà delle entità substatali di organizzarsi autonomamente per poter assumere un
ruolo attivo nella vita politica dell’Unione, specie nelle fasi inerenti la gestione dei fondi
strutturali.
Dopo circa tre anni di esistenza, soprattutto grazie alle pressioni tedesche, il suddetto
Consiglio consultivo delle autorità regionali e locali è stato posto in discussione. In seguito, nel
1994, è nato un organo a cui si tentava di conferire maggiore autorevolezza, il Comitato delle
regioni (Cdr). Le funzioni ed i poteri del Cdr all’interno delle istituzioni europee sono di natura
strettamente consultiva. I pareri espressi sono tali, per cui non vi è alcun vincolo nell’attività
politica che possa derivare dalle indicazioni del Comitato. Ma il fattore che conferisce maggior
significato all’esistenza del Cdr, è che le realtà regionali possono disporre di un canale diretto
con le istituzioni centrali dell’Unione, congiuntamente con la presenza di uffici delle singole
regioni presso la Commissione. Il Comitato é un mezzo grazie al quale le regioni cercano di
sfuggire al controllo dei propri governi nazionali perché avvertono l’importanza di dialogare
11
direttamente con i vertici comunitari, nel tentativo di sottrarre il più possibile le politiche
strutturali europee alle logiche stato-centriche che influenzano già quasi tutte le politiche
comunitarie. Va comunque sottolineato che talvolta le autorità regionali “dispongono anche di
altri canali di influenza politica da utilizzare, tra cui lo stesso Consiglio dei ministri nei casi in
cui i governi nazionali di paesi con una forte struttura governativa subnazionale consentano ai
rappresentanti regionali di partecipare alle loro delegazioni su determinate materie. Il Cdr è
tuttavia rafforzato dal fatto che molti suoi membri sono politici esperti a livello regionale e
locale che si adoperano molto attivamente affinchè il comitato non sia limitato al ruolo di
cassa di risonanza che molti governi desidererebbero avesse”
11
.
Lo status giuridico del Comitato delle regioni è quello di organo consultivo del
Consiglio, della Commissione e del Parlamento europeo. “Il Cdr, su propria iniziativa,
formula regolarmente pareri sulla politica regionale e su qualsiasi argomento che ritiene debba
essere discusso in seno all’Unione. Inoltre, deve essere obbligatoriamente consultato su
tematiche relative ai seguenti ambiti: coesione economica e sociale, reti infrastrutturali
transeuropee, sanità pubblica, istruzione, cultura, politica del lavoro, politica sociale, ambiente,
formazione professionale e trasporti. I membri del Comitato, nominati dal Consiglio
dell’Unione su proposta degli stati membri, devono aver ricevuto un mandato elettorale,
regionale o locale oppure da parte di un’assemblea eletta”
12
.
È inoltre doveroso riportare che talvolta le regioni, come nel caso della Campania,
decidono di investire nella creazione di una propria sede di rappresentanza permanente in
quello che è il quartiere comunitario di Bruxelles (una sorta di mini ambasciate potrebbero essere
definite), onde garantirsi una considerevole visibilità nei confronti degli organi comunitari e
verso le altre realtà regionali europee. Tale aspetto è un segnale incoraggiante riguardo il
carattere internazionale che le realtà regionali stanno assumendo, un ulteriore sintomo
dell’autonomia crescente e dell’ europeizzazione dei singoli territori.
Pertanto, nella pagina, si riporta la pagina web di presentazione della sede di Bruxelles
dell’ente regionale campano.
11
N. Nugent, The Government and Politics of the European Union, terza ediz. a cura di Sandro Gozi, il
Mulino, Bologna, 2001, p. 317.
12
Commissione europea, Direzione generale della politica regionale, Al servizio delle regioni, ufficio delle
pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2004, p. 30.
12
REGIONE CAMPANIA
RAPPRESENTANZA DI BRUXELLES
Al fine di rafforzare i legami con l'Europa, il Presidente della Regione Campania On.le Antonio
Bassolino; ha inaugurato il 27 maggio 2002 la Rappresentanza di Bruxelles della Regione.
La Rappresentanza della Regione Campania, Servizio dell'Area Generale di Coordinamento Gabinetto
del Presidente, è situata nel cuore della city comunitaria.
AMBITI DI ATTIVITA' E FUNZIONI
Attraverso la Rappresentanza di Bruxelles, la Regione Campania si propone di realizzare un efficace
sistema di relazioni con le Istituzioni comunitarie nelle materie di competenza regionale.
A tale scopo cura:
ξ gli adempimenti connessi ai rapporti tra le Istituzioni comunitarie e la Regione;
ξ il reperimento e l'analisi delle informazioni utili all'attività legislativa svolta dalla Regione
Campania con particolare riferimento alla legislazione comunitaria;
ξ l'attività di documentazione e di informazione della legislazione comunitaria;
ξ lo sportello informativo sulle attività produttive regionali e sulle iniziative di divulgazione di
prodotti campani al servizio anche di Enti pubblici e privati;
ξ la promozione, anche mediante azioni sul territorio, dell'immagine e dei prodotti regionali;
ξ i rapporti con la comunità campana in Belgio;
ξ il monitoraggio delle opportunità di finanziamento per le iniziative regionali;
ξ le azioni di supporto ai competenti servizi regionali circa l'iter comunitario di selezione ed
approvazione di programmi e di progetti di interesse regionale;
ξ l'attività di supporto a favore degli Enti locali della Campania e/o Enti di rilevanza nazionale;
ξ l'assistenza e supporto all'attività del Presidente e del Governo Regionale.
Brochure scaricata dal sito web istituzionale www.regione.campania.it
13
1.2. Concentrazione delle risorse dei fondi strutturali del periodo 1994-1999
13
Sono qui descritte le caratteristiche di gestione dei fondi, affiancati dalla nascita dello
Strumento finanziario orientativo per la pesca (Sfop), a cui vanno aggiunte le 13 Iniziative
comunitarie.
Nel quinquiennio 1994-1999, i fondi strutturali sono stati indirizzati verso aree meno
agiate in base a sei obiettivi (di cui l’ultimo è stato istituito nel 1995 al momento dell’adesione
di Austria, Finlandia e Svezia) che ne hanno delineato i criteri di assegnazione.
- L’obiettivo 1 era mirato allo sviluppo ed all’adeguamento strutturale delle regioni in
forte ritardo di crescita. Salvo alcune deroghe particolari, erano ammissibili le regioni di livello
Nuts 2, con Prodotto interno lordo pro capite inferiore al 75% della media comunitaria. Le
regioni che erano soggette al suddetto obiettivo comprendono circa il 26% della popolazione
degli stati allora membri. Le risorse finanziarie destinate erano 96.200 milioni di ecu (prezzi
1992), circa il 68% dell’intera somma devoluta dall’Ue attraverso gli stanziamenti strutturali.
L’obiettivo 1 implicava l’utilizzo di tutti i fondi strutturali, Fesr, Fse, Sfop e Feoga sezione
orientamento, il finanziamento comunitario poteva ricoprire sino al 75% del costo totale dei
singoli interventi strutturali, l’80% nei paesi in cui interveniva il Fondo di coesione ed
addirittura l’85% nelle regioni ultraperiferiche e le isole greche maggiormente defilate sotto
l’aspetto geografico, periferiche dunque. La Comunità poteva coprire invece massimo la metà
se il finanziamento era diretto alle imprese.
- L’obiettivo 2 era dedicato alla riconversione delle regioni e delle zone in industriali in
declino. Per potervi accedere vi erano tre condizioni che delineavano l’ammissibilità delle
regioni. Queste erano un tasso di disoccupazione superiore alla media degli stati membri, una
percentuale di posti di lavoro nel comparto industriale superiore alla media ed una flessione
dell’occupazione sempre nel settore dell’industria. Nel periodo 1994-99 tale obiettivo ha
coperto circa il 16%, coinvolgendo il Fondo europeo di sviluppo regionale ed il Fondo sociale.
Come per gli altri obiettivi che seguono, ad eccezione del primo dunque, esso poteva
finanziare al massimo il 50% del costo totale dei singoli progetti strutturali ed il 30% se
l’investimento era da realizzare attraverso l’investimento nelle imprese private.
- L’obiettivo 3 era posto per contrastare la disoccupazione di lungo termine e favorire
l’inserimento professionale dei giovani e delle persone che rischiavano l’esclusione dal mercato
del lavoro. Inoltre si poneva la finalità di incrementare le pari opportunità tra uomini e donne,
13
I dati specifici riportati sono tratti dalla pubblicazione Commissione europea Politiche strutturali 2000-
2006, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2000.
14
ed era applicato verso le regioni non comprese nel primo obiettivo. Il Fondo sociale europeo
era deputato al finanziamento del terzo obiettivo.
- L’obiettivo 4 era volto a favorire l’adattamento dei lavoratori ai mutamenti industriali
ed all’evoluzione dei sistemi di produzione. Anch’esso veniva sostenuto esclusivamente dal
Fse e seguiva le stesse proporzioni degli altri obiettivi nel finanziamento degli interventi.
- L’obiettivo 5a era relegato all’adeguamento delle strutture agricole e della pesca ed era
finanziato attraverso il Feoga sezione orientamento e lo Strumento finanziario di orientamento
per la pesca. Attraverso questo gli interventi, sono state migliorate le condizioni strutturali
nella pesca e nel settore agricolo di tutta l’Unione, sono stati offerti delle indennità
compensative per le zone agricole particolarmente svantaggiate. Inoltre l’obiettivo 5a ha
compiuto finanziamenti tesi ad una migliore ed adeguata commercializzazione dei prodotti e
mirava a favorire l’insediamento dei giovani agricoltori europei. Esso si estendeva a tutti i
territori europei con programmazioni complementari per le zone appartenenti all’ambito del
primo obiettivo, formulando misure proprie nel caso delle regioni non coinvolte dall’obiettivo
1. L’obiettivo 5b, dedicato al sostenimento dello sviluppo delle zone rurali particolarmente
fragili, era diretto alle aree che, oltre a presentare un scarso sviluppo dell’economia, avevano
un alto numero di occupati nel settore agricolo da cui però il reddito tratto era modesto.
Un’altra caratteristica di ammissibilità era la tendenza della zona interessata ad un costante
spopolamento. La sezione “b” del quinto obiettivo era sostenuta da tutti i fondi strutturali,
tranne lo Sfop, e ricopriva circa il 9% dell’intera cittadinanza comunitaria.
- L’obiettivo 6 , infine, era dedicato a rendere possibile la crescita delle regioni a
scarsissima densità di popolazione. Era specifico per le aree finlandesi e svedesi che
presentavano una densità al massimo di 8 abitanti/Km². Il sesto obiettivo racchiudeva tutte e
quattro le tipologie dei finanziamenti strutturali, coprendo lo 0,4% della popolazione
comunitaria.
Accanto a tali obiettivi si delineavano tredici iniziative comunitarie; Interreg II,
riguardante la cooperazione transfrontaliera, le reti energetiche e la cooperazione nel settore
dell’assetto del territorio; l’iniziativa relativa all’occupazione, divisa in quattro sezioni qui
descritte: Occupazione now, per la promozione delle pari opportunità per le donne e del loro
accesso alle professioni del futuro con particolare riguardo agli incarichi direttivi. Occupazione
Horizon, indirizzata al miglioramento delle prospettive occupazionali per i disabili.
Occupazione Gioventù, rivolta all’inserimento nel mercato del lavoro dei giovani con meno di
venti anni nonché privi di qualsiasi qualifica o formazione di base. L’ultimo dei quattro era
Occupazione Integra che cercava di integrare le persone a rischio di esclusione sociale e
mirava a prevenire situazioni di razzismo e xenofobia. Le altre iniziative comunitarie erano
15
Leader II per lo sviluppo rurale, Adapt per l’adattamento dei lavoratori ai mutamanti
industriali e della società dell’informazione, PMI per favorire l’aumento della competitività
delle piccole e medie imprese, Urban per la rivitalizzazione delle zone urbane altamente
degradate, Konver per favorire la diversificazione economica delle regioni dipendenti dal
settore della difesa, Regis II per l’integrazione delle regioni ultraperiferiche, Retex rivolto alla
diversificazione economica delle regioni dipendenti dall’industria del tessile e
dell’abbigliamento, Resider II per la riconversione delle zone siderurgiche, Rechar II per la
riconversione dei bacini carboniferi, Peace per il sostegno al processo di pace e riconciliazione
tra le comunità cattolica e protestante in Irlanda del Nord e, infine, l’iniziativa denominata
Pesca dedicata alla diversificazione economica delle zone dipendenti particolarmente dalla
pesca.
Tabella 2 – Ripartizione per obiettivi dei finanziamenti strutturali devoluti ai singoli stati.
Periodo 1994-1999 (cifre in milioni di ecu)
16
1.3. Competitività, sviluppo sostenibile e coesione in Europa
Il completamento del mercato unico, l’introduzione dell’euro e gli aiuti strutturali
hanno favorito un maggior tasso di convergenza all’interno dell’Unione e una migliore
stabilità. Ciò sicuramente non è stato sufficiente a formare un territorio coeso, in grado di
affrontare unitariamente le sfide poste dalla globalizzazione che richiedono un nuovo modello
di sviluppo economico basato specialmente sulla conoscenza. Tale processo richiede una
diversificazione dell’economia, un ampliamento delle capacità di governance e quindi
migliorare le capacità istituzionali. Esso presuppone altresì la creazione di opportunità per le
imprese, l’adeguamento delle strategie dedicate all’occupazione, così come dei sistemi educativi
e delle politiche sociali. In particolar modo alla luce dell’allargamento a 25 Stati membri, le
disparità regionali dell’Unione Europea sono state molto accentuate, facendo nascere la
necessità di un miglior coordinamento e di una maggiore considerazione dei divari in materia
di competitività regionale, sviluppo sostenibile e di una complessiva coesione sociale.
Promuovendo la solidarietà tra i popoli dell’Unione, al fine di incentivare la coesione
tra le aree del continente, i fondi strutturali assumono un ruolo chiave nella vita dell’Ue. Gli
strumenti finanziari strutturali offrono l’esercizio di un impatto sostanziale al miglioramento
delle condizioni di vita dei cittadini delle regioni più povere dell’Unione europea. “È stato
calcolato che circa un terzo dell’aumento di prodotto interno lordo nelle regioni
maggiormente svantaggiate, sia da attribuire ai fondi stanziati a titolo degli strumenti
strutturali”
14
.
Le disparità regionali vengono misurate raffrontando il Pil pro capite, espresso in
parità di potere d’acquisto, con la media europea. Anche se vi è dunque maggior convergenza,
continuano ad esservi spaventosi divari sociali ed economici tra le regioni europee. Tra il 1988
ed il 2003, Spagna, Portogallo e Grecia (investiti anche dal Fondo di coesione) hanno fatto
registrare importanti segnali di crescita, avvicinandosi molto alla media comunitaria del
Prodotto interno lordo pro capite. Nello stesso periodo il Pil delle principali regioni
beneficiarie del primo obiettivo dei fondi strutturali, è passato mediamente dal 63 al 71 % della
media delle regioni dell’Unione.
A parte rari casi, l’impatto della politica di coesione non può essere messo in
discussione, perché l’effetto sotto l’aspetto macroeconomico è considerevole. Il valore delle
politiche che cercano di contribuire ad un’omogeneità di benessere della realtà europea nel suo
insieme, è da osservare anche in qualità di studio ed analisi di potenzialità regionali inesplorate
o inespresse sulle quali l’Unione preme molto. In effetti, sarebbe limitato offrire opportunità
14
Commissione europea, Relazione sull’impatto dei fondi strutturali, Bruxelles, 2002.
17
di sviluppo sociale ed economico senza agire in previsione di un’autonomia futura delle
regioni meno prospere, in grado di crescere e competere con le proprie energie oltre che con
l’aiuto, finanziario e logistico, reso disponibile dalla Comunità attraverso le politiche regionali e
la ricerca di coesione. L’Ue come realtà politica nel suo complesso (come dovrebbe essere
intesa abitualmente), attraverso la convergenza dei suoi territori ed il conseguente
rafforzamento della propria identità e unità, compie concreti investimenti sul proprio futuro
oltre a devolvere risorse per i cittadini delle aree marginali. In tal modo, il rendimento
economico europeo nel suo insieme può trarne benefici concreti.
I fondi strutturali e la loro attuazione quindi, sono un’importante strumento per
l’integrazione politica ed economia dell’Unione, promuovendo uno spirito di collaborazione
solidale tra le diverse aree continentali. La politica di coesione è volta a sostenere le priorità
che sono state fortemente espresse tra il 2000 ed il 2001. Altrettanto importanti sono gli
accordi di partenariato tra il settore pubblico ed il privato, il miglioramento delle capacità
istituzionali in materia di ideazione ed attuazione delle politiche, la cultura della valutazione
degli effetti dei finanziamenti strutturali oltre che una maggior trasparenza delle attività,
accompagnata dallo scambio di buone pratiche ed aperto dibattito sia tra le istituzioni centrali
e quelle periferiche, sia tra quest’ultime. Ad ogni modo, è da tenere in considerazione la
valutazione ed il miglioramento di tutte le pratiche e delle esperienze che figurano come
elementi del sistema di esecuzione delle politiche regionali, onde consentire l’approfondimento
della qualità della governance in qualsiasi contesto o situazione.
La filosofia basilare dei fondi strutturali volti a favorire la coesione tra le disparate
realtà regionali dell’Unione europea, prevede la promozione del principio di sussidiarietà
15
ed
una corretta governance. Il partenariato tra soggetti pubblici ed operatori privati, la
programmazione pluriennale elaborata in base ad un’attenta analisi delle opportunità, delle
debolezze e delle potenzialità di una regione, la gestione decentrata dunque, sono tutte
pratiche volte a garantire una massima efficacia delle strategie europee in funzione delle
15
Il principio di sussidiarietà è volto a garantire che le decisioni prese siano quanto più possibile vicine al
cittadino, verificando costantemente che l'azione da intraprendere a livello comunitario sia giustificata rispetto
alle possibilità offerte a livello nazionale, regionale o locale. Concretamente, per le questioni che non sono di sua
esclusiva competenza l'Unione interviene soltanto se la propria azione è da considerarsi più efficace rispetto ad
un'azione intrapresa a livello nazionale, regionale o locale. Il principio di sussidiarietà è strettamente legato ai
principi di proporzionalità e di necessità, secondo cui l'azione dell'Unione non può andare al di là di quanto è
necessario per il conseguimento degli obiettivi del trattato. Il Consiglio europeo di Edimburgo del dicembre 1992
ha stabilito gli elementi fondamentali della nozione di sussidiarietà nonché le linee direttrici per l'interpretazione
dell'articolo 5 (ex articolo 3B) che accoglie la sussidiarietà nel trattato sull'Unione europea. Le conclusioni del
Consiglio sono state inserite in una dichiarazione che serve da pietra angolare al principio di sussidiarietà. Con
l'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, l'approccio globale che discende dalla dichiarazione anzidetta è stato
accolto in un protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al trattato
istitutivo della Comunità europea. La Commissione europea redige annualmente un rapporto destinato al
Consiglio europeo ed al Parlamento europeo, rapporto che è principalmente dedicato all'applicazione del
principio di sussidiarietà.
18
regioni. Queste però presuppongono una gestione corretta dei fondi, un aggiornamento
rapido e costante degli amministratori delle aree beneficiarie, una sviluppata etica inerente gli
stanziamenti economici pubblici, uno spirito di collaborazione ed una forte dedizione, oltre
che senso di responsabilità, verso il comune progetto europeo. La politica di coesione
dovrebbe migliorare le capacità delle regioni intensificando le pratiche di buon governo nel
rispetto della sussidiarietà. Attraverso la consapevolezza degli operatori delle proprie azioni,
può essere offerto un chiaro valore aggiunto in termini di concepimento ed attuazione dei
progetti da realizzare. Questa è l’unica metodologia applicabile allo scopo di rendere davvero
proficue le azioni strutturali realizzabili attraverso i finanziamenti devoluti dalle autorità
europee centrali a quelle periferiche.
1.3.1. Lisbona e Göteborg
Il Consiglio Europeo di Lisbona del 2000, ha definito una politica per un “nuovo
obiettivo strategico per l’Unione, allo scopo di rafforzare l’occupazione, la riforma economica
e la coesione sociale nel quadro di un’economia basata sulla conoscenza”
16
. L’obiettivo più
frequentemente citato nel suddetto Consiglio, ovvero fare dell’Europa l’economia basata sulla
conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita
economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro ed una maggior coesione sociale, si
fondava su una riforma di tipo economico e sociale.
La strategia di Lisbona ha invitato le istituzioni comunitarie ed i paesi membri, a far
riferimento ad una serie di misure nel campo delle riforme economiche e sociali, attraverso le
quali propendere ad un tasso di crescita economica del 3%. Per quanto concerne i problemi
pertinenti l’occupazione, il Consiglio ha posto l’obiettivo di innalzarne il tasso al 70% entro il
2010, con particolare riguardo all’inserimento professionale delle donne. Altre strategie
dichiarate a Lisbona hanno mostrato la volontà di favorire la creazione di uno spazio di ricerca
unico europeo, ponendo l’attenzione sul processo di integrazione in modo che anche la ricerca
scientifica e tecnologica inizi ad usufruire di un campo di condivisione e collaborazione
europeo.
Se Lisbona 2000, nell’ambito della coesione sociale tra le aree europee, ha posto
l’accento sulla necessità di innescare meccanismi tali da poter incrementare l’occupazione, il
Consiglio europeo tenutosi a Göteborg l’anno seguente, ha enfatizzato l’importanza di dare
priorità alla sostenibilità dello sviluppo dell’Unione europea.
16
Commissione europea, Direzione generale della politica regionale, Le politiche strutturali e i territori
dell’Europa, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2002, p. 33.
19
Lo sviluppo sostenibile è inteso come un progresso che oltre essere in grado di
soddisfare i bisogni del momento, non pregiudichi quelli delle generazioni future. Il Consiglio
del 2001 ha dunque arricchito la precedente strategia di Lisbona con la tematica ambientale
che si affianca alla riforma economica ed alla coesione sociale.
“La strategia prevede che tutte le principali politiche dell’Unione, con ovvio riguardo
alla coesione territoriale regionale, vengano meticolosamente sottoposte ad una valutazione
d’impatto sotto il profilo della sostenibilità. Si dovrà pertanto prestare particolare attenzione ai
cambiamenti climatici limitandone gli effetti, introdurre sistemi di trasporto sostenibile, ridurre
quindi i rischi per la salute pubblica e gestire le risorse naturali in maniera più responsabile.
Uno degli obiettivi prefissati a Göteborg deriva dal protocollo di Kyoto, dunque la necessità di
diminuire ulteriormente l’emissione dei gas ad effetto serra entro il 2012 di una percentuale
pari all’ 8% rispetto ai livelli del 1990. In Europa tali emissione avevano fatto registrare una
diminuzione del 3,5% nel 2000”
17
.
Tra le attività dell’Unione si annovera dunque una strategia concreta volta a
conseguire i risultati, in tema di clima e difesa dell’ecosistema nel suo complesso, stabiliti a
Kyoto. A differenza di altre potenze, l’Europa ha manifestato anche recentemente notevole
attenzione verso tale delicatissima questione.
1.3.2. Competitività delle regioni e fondi strutturali
La competitività regionale può essere definita come la capacità di una singola regione
di anticipare le sfide socioeconomiche interne ed esterne, adeguandosi efficacemente ad esse,
creando nuove opportunità economiche tra cui nuovi posti di lavoro qualitativamente migliori
per i propri residenti. Tale capacità dipende da una serie di fattori tra cui il volume degli
investimenti pubblici e privati, il capitale umano, la qualità delle infrastrutture, la produttività
effettiva del lavoro, la validità delle capacità delle istituzioni locali, il capitale sociale, le risorse
in materia di ricerca ed innovazione e l’accesso ai mercati. Decisiva in tale prospettiva è la reale
tenuta delle amministrazioni pubbliche, poiché da queste dipende la promozione e la crescita
del territorio regionale. Inoltre, è solo in un contesto socioeconomico positivo, che può
verificarsi un’attrattività propizia per gli investimenti, sia endogeni che provenienti al di fuori
del contesto specifico regionale.
17
Commissione europea, Direzione generale della politica regionale, Competitività, sviluppo e coesione in
Europa; Da Lisbona a Göteborg, ufficio delle pubblicazioni ufficiali della Comunità europee, Lussemburgo, 2003, p.
14.