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Nel Sud del Mediterraneo si passerà, nel giro di 15 anni, da
200 a 300 milioni di abitanti, mentre il Nord resterà fermo ai 200
milioni attuali. Uno squilibrio del peso demografico che comporterà
un riordinamento strategico delle politiche dell’immigrazione. E il
tutto va confrontato con la problematica dell’Est europeo.
In quest’ultimo scorcio del millennio il corso della storia torna
dunque imprevedibilmente a passare sul Mediterraneo. Certamente la
propensione dell’Europa continentale verso le aree dell’Est non più
comunista ha mobilitato in quella direzione i flussi di investimenti e
le priorità politico-economiche, condizionando le capacità progettuali
dell’UE. Ma c’è da considerare, va ripetuto, la forza dirompente di un
esercito di disperati in marcia dal Sud del mondo. La mancata
regolamentazione di questo disordinato processo sarebbe gravissima.
D’altra parte si offre all’Europa un mercato di 304 milioni di
consumatori (di fronte ai 116 milioni dell’Est), un prodotto interno
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lordo e un interscambio commerciale che ne è il doppio, una
dipendenza energetica che impone cautela: il 24 per cento contro l’1
per cento dall’Est. Al Sud del Mediterraneo l’Europa offre
finanziamenti, assistenza tecnologica e sviluppo in cambio delle sue
richieste di sistemi democratici. Insomma un futuro diverso, un “clash
of civilization”, uno scontro di mondi e di culture. La Germania, la
Francia e l’Italia - sostengono i tecnici dell’Eurostat, l’ufficio statistico
della Commissione europea - sono i soci-chiave di questi accordi di
buon vicinato, poiché questi tre Paesi controllano il 65 per cento del
flusso di import-export con la conca mediterranea. Al di là della
solidarietà e della necessità di arginare l’immigrazione, il Sud è
dunque un grande affare per il Vecchio Continente.
In questo lavoro si vogliono mettere in luce le complesse
problematiche che hanno portato l’Unione Europea a rivolgere la sua
attenzione ai Paesi del bacino del Mediterraneo facendo di essi suoi
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interlocutori privilegiati non soltanto nelle relazioni economiche e
commerciali, ma anche nella sfera politica, sociale e culturale.
Si esamina innanzitutto l’importanza dell’area mediterranea
nel vasto panorama delle relazioni internazionali e, in particolare,
della Comunità europea, analizzando le ragioni di crisi, le prospettive
di sviluppo, le questioni strategiche e militari (anche in relazione alla
contesa Europa-Usa per l’egemonia nel Mediterraneo e alla luce dei
cambiamenti delle relazioni tra Est ed Ovest intervenuti negli ultimi
anni) e viene focalizzato il ruolo fondamentale che la Comunità oggi
riveste non solo a causa della sua posizione geografica.
Si esaminano altresì i presupposti della nascita della politica
globale mediterranea, si fa un bilancio dei risultati della cooperazione
tecnica e finanziaria fornita dalla Comunità negli ultimi dieci anni, si
analizza quanto è stato realizzato nel quadro della Politica
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mediterranea rinnovata, dal Consiglio europeo di Lisbona a quello di
Corfù, dove si consolida il concetto di partenariato.
Si esaminano poi in dettaglio le conclusioni del Consiglio
europeo di Essen e la necessità di raggiungere progressivamente la
liberalizzazione degli scambi con processi di modernizzazione e
ristrutturazione economica, nonché le strategie individuate dalla
Comunità, prima fra esse la creazione di un’area di pace e di stabilità
politico-militare, considerando che il Medio Oriente resta il “ventre
molle” del Mediterraneo, l’area dove appunto la pace è più precaria e
la ricerca della stabilità più laboriosa.
Il lavoro passa poi in rassegna la febbrile attività svolta dalla
Comunità per la istituzione del partenariato, i documenti della
Commissione, del Parlamento e del Consiglio, i rapporti tenuti con i
Paesi membri e con i Paesi Terzi in vista della preparazione, in effetti
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assai lunga e laboriosa, della risolutiva Conferenza di Barcellona che
ha visto anche momenti di tensione per l’esclusione della Libia.
Sono compiutamente esaminati gli obiettivi che la Conferenza
ha raggiunto e le conclusioni alle quali è pervenuta. Vengono
sottolineate le difficoltà maggiori che essa ha incontrato da un lato sui
problemi politici, soprattutto riguardo alla distinzione tra violenza
(come lotta di liberazione) e terrorismo, e dall’altro sulla questione
sociale, riguardo alla questione dell’immigrazione che indubbiamente
costituisce un nodo assai difficile da risolvere.
Vengono analizzati gli obiettivi che la Dichiarazione finale di
Barcellona si prefigge, il programma di azione dell’UE e il programma
di lavoro che i partner si propongono. Si sottolineano i giudizi - in
massima parte largamente positivi - che sono stati espressi dai
rappresentanti dei 27 Paesi partecipanti, che hanno definito l’accordo
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una “pietra miliare” sulla strada delle relazioni future tra i ricchi del
Nord del Mediterraneo e i poveri del Sud.
La firma degli accordi euro-mediterranei di associazione con
Tunisia, Israele e Marocco ha avviato di fatto il programma della
Dichiarazione di Barcellona, mentre negoziati per la conclusione di
accordi analoghi sono in corso con Egitto, Giordania e Libano.
Restano sul tappeto la preparazione dell’adesione di Malta e
Cipro all’UE. Il primo di questi Paesi dovrà attuare delle profonde
riforme economiche per raggiungere gli standard europei; il secondo
presenta una situazione politicamente assai più complessa con la nota
divisione del Paese in due parti, l’una sotto l’influenza greca, l’altra
sotto l’influenza turca.
Infine, la questione della Turchia: l’accordo di unione
doganale, recentemente firmato, rappresenta per questo Paese un
passo irreversibile verso l’Europa, ma nonostante si sia pervenuti
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all’ultima fase di attuazione, resta fondamentale per i futuri rapporti
tra Ankara e l’UE il rispetto da parte del governo turco dei Diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali.
CAPITOLO PRIMO
ORIGINI ED EVOLUZIONE
DELLA POLITICA MEDITERRANEA
DELL’UNIONE EUROPEA
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1. L’area mediterranea nelle relazioni internazionali
e la sua importanza per la Comunità europea
La regione mediterranea rappresenta il 6% delle terre emerse e
nel 1989 comprendeva il 7% della popolazione mondiale e possedeva
l’8% della ricchezza.
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Queste percentuali sono di molto inferiori a
quelle che si riferiscono ai grandi imperi dell’antichità come quello
Romano, quello Persiano o quello Ottomano, tuttavia il Mediterraneo
è tuttora un luogo d’incontro, di civilizzazione, d’interessi strategici,
di scambi commerciali e culturali. Bisogna però ammettere che il
Mediterraneo odierno non costituisce un’area omogenea: la sua
evoluzione è stata infatti caratterizzata da una netta differenziazione
di ricchezza e di sviluppo tra il Nord e il Sud, tra i Paesi “europei”
colonizzatori e quelli “africani” colonizzati.
Il termine “Mediterraneo”, oggi, è solo un’espressione
geografica, in quanto l’area mediterranea è una regione che comprende
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diciannove Paesi diversissimi tra loro, che per facilità di studio
possono essere divisi in quattro subregioni: quella europea occidentale
di cui fanno parte Spagna, Portogallo, Italia e Francia; quella europea
orientale che comprende i territori dell’ ex Iugoslavia, Albania, Grecia,
Turchia e Cipro; quella nordafricana cui appartengono Marocco,
Tunisia, Algeria, Libia ed Egitto; ed infine la subregione del Vicino
Oriente di cui fanno parte Siria, Libano, Israele e Giordania.
In queste subregioni si notano diversità religiose, politiche,
economiche, sociali e militari che fanno del Mediterraneo un’area di
contraddizioni in cui le differenze tra Nord e Sud sono notevolmente
accentuate.
Non si può, infatti, dire che l’epoca coloniale sia acqua passata
e l’attuale situazione mediorientale non sia diretta conseguenza di
quanto è avvenuto nei decenni trascorsi. Molti Stati mediterranei si
1
Commission des Communautés Européennes, Le dialogue Europe-Sud, OPECE,
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trovano, nel loro sviluppo istituzionale, in ritardo di almeno un
centinaio di anni rispetto a quelli europei, e alcuni popoli devono
ancora raggiungere l’indipendenza nazionale. Emblematico in questo
senso è il caso palestinese, che è anche il più conosciuto, ma
altrettanta importanza rivestono anche gli scontri etnico-confessionali
in Libano, quelli fra Grecia e Turchia a Cipro e le lotte nel Sahara
Occidentale contro il Marocco. Tutti questi e altri conflitti evidenziano
un “arco della crisi” che va dallo Stretto dei Dardanelli a quello di
Gibilterra.
In realtà queste non sono le sole ragioni di crisi e ad esse vanno
aggiunti anche i problemi derivanti dalla definizione del controllo
degli stretti e degli accessi al Mar Mediterraneo.
La situazione di crisi è stata fino al termine della guerra fredda
acuita dalla cosiddetta “guerra strisciante” tra le due superpotenze, che
Luxembourg, 1989.
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in quest’area si sono confrontate più che in ogni altra, a causa dei forti
interessi economici e strategici in gioco in questa parte del mondo che
è punto d’incontro fra tre continenti e dunque zona di transito degli
interessi internazionali.
A partire dal termine del secondo conflitto mondiale l’URSS
ha cercato in ogni modo di imporsi sulla scena internazionale come
superpotenza tentando di creare zone d’influenza, ovunque era
possibile, senza scontrarsi direttamente con gli Stati Uniti.
Per ciò che concerne la politica sovietica nell’area
mediterranea essa includeva varie dimensioni, in particolare quella
politica, quella economica e quella militare.
Per quanto riguardava gli interessi economici sovietici
nell’area mediterranea e mediorientale se ne potevano individuare due
categorie: la prima riguardante Paesi quali l’Afganistan e l’Etiopia
che, privi di materie prime e gravitanti nell’orbita sovietica,
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ricevevano un notevole flusso di aiuti economici; la seconda vari
Paesi ricchi di materie prime, ai quali l’Unione Sovietica concedeva
aiuti per poi trarne futuri giovamenti economici.
Per quanto riguardava invece il settore militare, la presenza
sovietica nell’area mediterranea comprendeva sia il commercio delle
armi, che rappresentava un modo per instaurare rapporti di amicizia e
alleanze militari, sia una presenza militare vera e propria attraverso
l’insediamento della V Squadra, con una funzione soprattutto
protettiva nei confronti della flotta commerciale, e le basi militari
situate nei Paesi amici.
Gli interessi politici dell’URSS nel Mediterraneo, infine, erano
in prevalenza dettati dal suo ruolo di superpotenza mondiale in antitesi
con gli USA: l’Unione Sovietica esclusa dai negoziati per la
conclusione pacifica dei conflitti in Medio Oriente ha più volte
proposto di dare al problema una soluzione generale e non bilaterale,
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come si tentava di fare da parte americana, attraverso una conferenza
internazionale con la partecipazione di USA, URSS, OLP, Israele e
Stati Arabi. Tali proposte, però, sono state sempre respinte da parte
degli USA per il timore che in questo modo si venisse a costituire
nella regione mediterranea-medioorientale uno spazio d’intervento
sovietico.
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Per ciò che concerne il ruolo degli Stati Uniti, la loro presenza
militare va posta in stretta correlazione con le strategie operative della
NATO nell’area in questione.
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Sull’argomento cfr. anche: F. Halliday, Soviet policy in the Arc of Crisis, Institute
for Policy Studies, Wasghington D. C., 1981 e I. Brower, La politica dell’URSS nel
Mediterraneo e nel Medio Oriente, CEDIP, Catania, 1986