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CAPITOLO PRIMO
DALLE ORIGINI DELLA POLITICA MEDITERRANEA DELL’UNIONE EUROPEA
FINO ALLA FINE DEGLI ANNI OTTANTA
Notevoli sono gli sviluppi che hanno caratterizzato l’approccio dell’Unione Europea
nei confronti del Mediterraneo nella fase che va dalla firma, il 25 marzo 1957, del Trattato
istitutivo della Comunità Economica Europea alla creazione abbastanza recente di un nuovo
ente multilaterale, quale è l’Unione per il Mediterraneo.
Più specificatamente, una prima fase della politica mediterranea dell’Unione è riconducibile
alla disciplina, così come prevista originariamente dal Trattato di Roma, delle relazioni con i
paesi mediterranei e alla conclusione degli accordi definiti di “prima generazione”; il punto di
snodo fondamentale che dà avvio ad una nuova fase si fa risalire al Vertice di Parigi del 1972
che, per la prima volta, cerca di dar vita ad un “approccio globale” della Comunità verso il
Mediterraneo.
1. La prima fase della politica europea nei confronti del Mediterraneo
Il primo decennio della Comunità Economica Europea non sembra caratterizzarsi per
un approccio specifico e attento all’area del Mediterraneo. Per certo, in quanto rientrante
nell’azione esterna della Comunità, la politica mediterranea della CEE non può non risentire
del contesto internazionale venutosi a creare nella fase successiva alla fine della seconda
guerra mondiale, caratterizzato dalla contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Infatti, il ruolo assunto dalle due superpotenze, in particolare gli Stati Uniti, in un’area
strategica, quale è quella mediterranea in quel particolare contesto storico, ha fatto sì che la
posizione della CEE fosse in qualche modo relegata ad un ambito più specificatamente
economico, e ciò in linea con quella che era la sua “vocazione funzionalista”, adottata per
promuovere anche l’integrazione al suo interno. D’altro canto, gli accordi che vengono
stipulati in questa prima fase, cioè gli accordi definiti di “prima generazione”, come vedremo,
rispecchiano bene questa tendenza.
All’interno di questo contesto internazionale c’è anche da aggiungere che l’autonomia
d’azione della CEE nell’area di riferimento risulta fortemente influenzata dalla politica
occidentale, con particolar riguardo alle linee guida dettate dalla NATO. Alla luce di ciò, da
6
un lato, la CEE sviluppa tutta una serie di accordi di natura economica con alcuni Stati, già
facenti parte del sistema difensivo occidentale
1
, in modo “da ampliare e rafforzare i vincoli di
interdipendenza all’interno del mondo occidentale e da portare gli Stati che ne fanno parte ad
un grado di sviluppo più elevato di quello che contraddistingue gli Stati confinanti, soggetti a
regime marxista”
2
, dall’altro lato, asseconda la politica occidentale, soprattutto statunitense, in
Medio Oriente senza però giocare, di fatto, un ruolo di primo piano
3
.
Infine, un altro punto da prendere in considerazione è riconducibile ad un fattore interno alla
stessa CEE, cioè il fatto che le decisioni sono prese, tendenzialmente all’unanimità, da parte
del Consiglio che, come noto, è formato dai rappresentanti degli Stati membri. Si verifica così
spesso una situazione nella quale le decisioni sono l’esito di compromessi tra gli Stati, in
particolar modo quelli più influenti della CEE. Di conseguenza, può succedere che le
decisioni possano non risultare all’altezza delle problematiche che, di volta in volta, si
pongono alla Comunità. Ciò è vero anche nel caso della politica europea nel Mediterraneo, la
cui incisività dipende da tutta una serie di priorità e di rapporti di forza che si vengono a
stabilire in un dato periodo in seno al Consiglio.
Il trattato di Roma non disciplina, se non molto limitatamente, le relazioni tra i sei paesi
contraenti
4
e i paesi terzi del Mediterraneo e i pochi riferimenti giuridici esistenti sono da
ricollegare soprattutto alla volontà dei paesi europei ex-coloniali di mantenere relazioni
particolari con i paesi ancora sottoposti a dominio coloniale
5
e con gli Stati di nuova
indipendenza
6
. Ciò vale, in generale, non solo per i paesi mediterranei sottoposti al regime
coloniale ma anche per tutti i paesi riconducibili al gruppo dei “Paesi e territori d’oltremare”
(PTOM) enumerati nell’Allegato IV del trattato
7
. I pochi elementi esistenti nel trattato sono
1
Si tratta in particolare di Grecia e Turchia, entrate a far parte dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del
Nord (NATO) il 18 febbraio 1952 e con le quali si concludono degli accordi di associazione, rispettivamente nel
1961 e nel 1963.
2
A. Quaglino, La Politica mediterranea della CEE (profili storico-giuridici), Torino, 1981, cit. p.5.
3
L’azione della CEE si concretizza infatti in una prima tranche di accordi di natura esclusivamente commerciale
con Israele e con i paesi del Mashreq e del Maghreb.
4
Gli Stati fondatori sono: Francia, Italia, Repubblica Federale tedesca, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo.
5
Per quanto riguarda nello specifico il bacino mediterraneo si tratta dell’Algeria che è stata fino al 1962, anno
dell’indipendenza, dipartimento francese.
6
Sempre con particolar riferimento all’area mediterranea si tratta di Marocco e Tunisia, che erano
precedentemente protettorati francesi e che ottennero l’indipendenza nel 1956; e della Libia, indipendente dal
1951, dopo essere stata sottoposta alla dominazione italiana fino al 1943 e successivamente al controllo militare
di Francia e Inghilterra.
7
Gli artt. dal 131 al 136 (Parte quarta del trattato di Roma) disciplinano infatti l’associazione esistente tra i
membri della Comunità e i PTOM, mettendo in luce come “scopo dell’associazione è di promuovere lo sviluppo
economico e sociale dei paesi e territori e l’instaurazione di strette relazioni economiche tra essi e la Comunità
nel suo insieme”; gli obiettivi precisi dell’associazione sono invece esplicitati nell’art. 132. Inoltre, è allegata al
trattato, ex art. 136, una Convenzione di applicazione volta a stabilire le modalità e la procedura
7
da ricondurre all’articolo 227 (e indirettamente all’articolo 226), al Protocollo “relativo alle
merci originarie e provenienti da taluni paesi che beneficiano di un regime particolare
all’importazione in uno degli Stati membri” e a due Dichiarazione d’intenti, di cui, la prima
relativa “ai fini dell’associazione alla Comunità economica europea dei paesi indipendenti
appartenenti al franco” e la seconda volta a garantire “l’associazione alla Comunità
economica europea del Regno di Libia”.
Entrando più nello specifico, è possibile evidenziare come l’art. 227 indichi quello che è
l’ambito di applicazione del trattato e, a tal proposito, al primo comma cita ovviamente i paesi
comunitari firmatari del trattato; mentre, al secondo comma, prende in considerazione
l’Algeria e i dipartimenti francesi d’oltremare, precisando poi le disposizioni direttamente
applicabili a questi territori, cioè: la libera circolazione delle merci, l’agricoltura (escluso l’art.
40, par.4), la liberalizzazione dei servizi, le regole di concorrenza, le misure di salvaguardia
contemplate agli artt. 108 e 226 e, infine, le istituzioni. Ulteriori disposizioni aggiuntive
sarebbero state stabilite, entro due anni dall’entrata in vigore del trattato di Roma, “mediante
decisioni del Consiglio, che delibera all’unanimità su proposta della Commissione”. Il
riferimento esplicito, in seno a tale articolo, all’art. 226, relativo alle misure di salvaguardia
volte a restaurare una situazione di equilibrio nei casi di gravi difficoltà in un determinato
settore economico o di perturbazione del contesto economico di una determinata area
regionale, fa intendere che, “in vista delle difficoltà di questo sviluppo, si prevedeva potessero
occorrere anche deroghe temporanee ai principi del trattato”
8
. D’altro canto è chiaro che, nel
momento in cui l’Algeria venne proclamata indipendente (nel 1962), tale norma non ebbe più
motivo d’esistere.
Per quanto concerne, invece, il protocollo precedentemente citato, esso permette d’evitare
qualsiasi modifica del regime doganale accordato da alcuni paesi europei (in particolare: paesi
del Benelux, Francia e Italia) alle merci importate sul loro territorio da parte di alcuni paesi,
con i quali essi intrattenevano relazioni privilegiate. Si tratta, nel quadro specifico del
Mediterraneo, delle merci provenienti dal Marocco e Tunisia e dirette verso la Francia, e dei
dell’associazione tra i paesi e territori e la Comunità. Tutto ciò risulta essere in linea con la parte del trattato che
cita i principi alla base dell’azione della Comunità e, in particolare, l’art. 3, lettera k che esprime chiaramente
come l’attività della CEE miri a istituire “l’associazione dei paesi e territori d’oltremare, intesa ad incrementare
gli scambi e proseguire in comune nello sforzo di sviluppo economico e sociale”. Da tutto ciò si può dedurre
l’importanza che, fin dal principio, la Comunità accorda allo strumento dell’associazione e “all’idea di
solidarietà sottesa al medesimo”: così S. Angioi, Il principio di condizionalità e la politica mediterranea
dell’Unione Europea, Napoli, 2006, p.32.
8
F. Capotorti, I profili giuridici della politica mediterranea della CEE, in Rivista di diritto europeo, 1981, p. 4.
8
beni importati in Italia dalla Libia
9
. Anche in questo caso, quindi, alcuni paesi terzi del
Mediterraneo continuano a godere di un trattamento differenziato e privilegiato da parte di
alcuni paesi europei, in virtù dei legami tradizionali esistenti tra di essi.
Infine, le Dichiarazioni d’intenti prevedono di associare alla Comunità i paesi indipendenti
appartenenti alla zona del franco (tra cui vi sono Marocco e Tunisia) e il Regno di Libia, che
intrattenevano rapporti, di natura non solo economica, rispettivamente con Francia e Italia. In
considerazione dei legami economici preesistenti tra i paesi anzidetti, si cerca quindi di
perseguire due obiettivi: il primo è quello di “mantenere e intensificare le correnti tradizionali
di scambi”, mentre il secondo è quello di “contribuire allo sviluppo economico e sociale” di
questi paesi. Con tali Dichiarazioni si esprime di fatto la volontà dei paesi europei di avviare
negoziati volti a dar vita a convenzioni di “associazione economica” alla Comunità. Come
precisato da Capotorti, “l’espressione «associazione economica» sembrava denotare la
volontà di tener distinti gli accordi che si aveva in animo di stipulare da quelli di associazione
(senza aggettivi) contemplati dall’art. 238”. La prassi ha però poi dimostrato che, anche gli
accordi stipulati con i territori presi in considerazione nelle Dichiarazioni d’intenti
10
sono
riconducibili all’articolo 238 che disciplina gli accordi di associazione “classici” (cioè senza
ulteriori aggettivi).
Nel complesso, quindi, è possibile mettere in luce come, nonostante la carenza di strumenti
giuridici adeguati a dar vita ad una vera e propria politica comunitaria verso il Mediterraneo, i
documenti e gli articoli originariamente predisposti dal trattato istitutivo della CEE
dimostravano sia la consapevolezza dei paesi facenti parte della Comunità di interessi
strategici nell’area, sia la volontà di favorire, soprattutto alla luce delle particolari condizioni
storiche e politiche esistenti, lo sviluppo economico e sociale dei paesi mediterranei non
membri. E’ anche vero che la mancanza di riferimenti espliciti per quanto concerne le
relazioni tra CEE e Paesi terzi del Mediterraneo, per un verso, non sorprende vista
l’inesistenza, nel complesso, di una normativa europea di carattere regionale; per altro verso,
fa sì che le fondamenta delle relazioni tra paesi comunitari e paesi terzi del Mediterraneo
siano da ricondurre a norme strumentali di carattere generale (cioè, nello specifico, agli
articoli 113 e 238) che, in quanto tali, sono anche alla base degli accordi che la CEE instaura
9
Al comma quarto di tale protocollo si precisa comunque il ruolo della Commissione nell’evitare che
l’applicazione di tali disposizioni sia pregiudizievole agli altri Stati membri e, a tal fine, essa può adottare tutte le
misure necessarie “nelle relazioni tra Stati membri”.
10
Si tratta, più specificatamente, degli accordi di associazione stipulati ex art. 238 con il Marocco e la Tunisia
nel 1969.
9
con paesi terzi diversi da quelli mediterranei. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, è
necessario approfondire il contenuto di tali articoli che rappresentano le fondamenta,
rispettivamente, della politica commerciale comunitaria e della politica di associazione.
Come è stato osservato
11
, il riferimento esclusivo a questi due articoli potrebbe risultare
fuorviante se ci si confronta con la prassi della politica europea nel Mediterraneo, la quale ha
gradualmente incrementato (da due a cinque) il numero delle fattispecie relative al tipo di
relazioni che si possono instaurare tra la Comunità e i paesi terzi del Mediterraneo. Più
specificatamente, è possibile distinguere gli accordi commerciali (ex art. 113) in accordi
preferenziali e non preferenziali; mentre, per quanto concerne gli accordi di associazione sono
distinguibili tre modelli: gli accordi cosiddetti della “prima generazione”, quelli noti come di
“seconda generazione” e gli accordi di cooperazione. E’ comunque importante tener presente
che queste diverse tipologie di accordo non presentano rigidi confini tra l’una e l’altra ma,
anzi, si è assistito ad un “fenomeno di contaminazione”
12
tra le diverse fattispecie individuate.
Si sono avuti, di conseguenza, accordi che, sebbene stipulati nella cornice dell’articolo 113,
hanno avuto un contenuto ben più ampio rispetto a quella che è la mera politica commerciale;
così come si è assistito ad accordi di cooperazione che, nonostante il loro fondamento
risiedesse nell’articolo 238, hanno ripudiato la definizione di accordi di “associazione”.
L’articolo 113, come detto, affronta più in dettaglio la politica commerciale della CEE. Al
primo comma sono individuate una serie di misure nelle quali si può concretizzare la politica
commerciale comune. Tale elenco non è però esaustivo, ma solo indicativo e include sia
azioni che devono essere esplicate in seno alla Comunità (come la politica d’esportazione e le
misure di difesa commerciale o le misure anti-dumping), sia misure che sono riconducibili ad
accordi con Stati terzi (quali, ad esempio, la conclusione di accordi tariffari o commerciali).
Con particolar attenzione a questo secondo aspetto poi, il terzo comma indica la modalità di
negoziazione degli accordi con i paesi terzi, evidenziando come le trattative siano condotte
dalla Commissione, la quale porta avanti tali negoziazioni conformemente alle direttive
impartitegli dal Consiglio e viene, contemporaneamente, assistita da un Comitato speciale
(designato dallo stesso Consiglio).
Circa la definizione della competenza della Comunità nell’ambito della politica commerciale
e la possibilità di concludere accordi in tale settore, un ruolo importante l’ha avuto la Corte di
11
F. Capotorti, I profili giuridici, cit., p.5 ss.
12
S. Angioi, Il principio di condizionalità, cit., p. 269.
10
giustizia, in particolar modo mediante il parere 1/78, relativo all’accordo internazionale sulla
gomma naturale, oggetto di negoziazione nell’ambito dell’UNCTAD (Conferenza delle
Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo)
13
. La discordanza di opinioni che si viene a
creare tra Commissione e Consiglio riguarda l’estensione della sfera d’applicazione
dell’articolo 113. La Corte adotta un’interpretazione “estensiva” relativamente a quelli che
sono i confini della politica commerciale comune e, di riflesso, a quella che è la competenza
della Comunità a tal riguardo. La Corte, infatti, rileva come, se è vero che all’epoca della
redazione del trattato di Roma sia stata data maggiore enfasi al tema della liberalizzazione
degli scambi, ciò comunque non impedisce che “la Comunità sviluppi una politica
commerciale intesa, per determinati prodotti, alla disciplina del mercato mondiale, piuttosto
che alla semplice liberalizzazione degli scambi”. Successivamente la Corte precisa anche che
“l’articolo 113 dà competenza alla Comunità per stabilire una politica commerciale basata su
principi comuni, indicando con ciò che la questione degli scambi esterni va risolta in
un’ampia prospettiva, e non unicamente con riguardo alla gestione di determinati sistemi
precisi, quali le dogane e le restrizioni quantitative”
14
. Infine, in quanto rientrante (almeno
parzialmente) nella politica commerciale comune, “la cooperazione internazionale nell’ambito
economico [..] non può, sotto il nome di politica economica generale, essere sottratta alla
competenza della Comunità”. Da tutto ciò si può quindi dedurre che gli accordi conclusi ex
art. 113 possono avere una portata più ampia e possono dunque essere volti a regolamentare
aspetti di carattere economico generale, riconducibili comunque alla politica commerciale
15
.
Il parere espresso dalla Corte sulla politica commerciale comune è risultato conforme al ruolo
13
Corte di Giustizia, parere del 4 ottobre 1979 emesso in forza dell’art. 228 n°1,2° comma del trattato CEE, in
Raccolta 1979, p. 02871. In particolare, la Commissione ha deciso di chiedere il parere della Corte in seguito
alla “divergenza di opinioni che si è manifestata fra essa e il Consiglio circa la delimitazione della competenza
rispettiva della Comunità e degli Stati membri a negoziare e a concludere l’accordo di cui trattasi [..] Secondo la
Commissione, l’accordo in oggetto rientra per intero, o quanto meno, per l’essenziale nell’ambito dell’art. 113
del trattato CEE, relativo alla politica commerciale comune. Per questo motivo, la negoziazione e la conclusione
dell’accordo sarebbero di competenza esclusiva della Comunità [..] Secondo il Consiglio, la materia dell’accordo
esorbita dalla sfera della politica commerciale e dà quindi luogo alla ripartizione di poteri fra la Comunità e gli
Stati membri, di guisa che l’accordo va concluso, alla stessa stregua di altri accordi analoghi, secondo la tecnica
dell’accordo misto, cioè congiuntamente dalla Comunità e dagli Stati membri”.
14
La Corte prosegue: “la stessa conclusione si può trarre dal fatto che l’enumerazione, nell’art.113, degli scopi
della stessa politica commerciale (modificazioni tariffarie, conclusione di accordi tariffari e commerciali,
uniformazione delle misure di liberalizzazione, politica d’esportazione, misure di difesa commerciale) è
concepita come un’enumerazione non limitativa, la quale non deve, in quanto tale, escludere il ricorso,
nell’ambito comunitario, a qualsiasi altro procedimento destinato a disciplinare gli scambi esterni”.
15
E’ il caso dell’accordo tra CEE e Israele del 1975, nel quale l’aspetto commerciale e quello economico sono
rispettivamente presenti e tra loro interconnessi.
11
che questa ha assunto nell’ordinamento comunitario “soprattutto in quanto strumento atto a
garantire lo sviluppo del sistema delle relazioni esterne”
16
.
Gli accordi commerciali tra CEE e paesi terzi del Mediterraneo si distinguono in accordi
preferenziali e non-preferenziali. La distinzione tra queste due categorie di accordi è ben
chiara nel quadro dell’accordo GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), al quale
sono vincolati i paesi comunitari. Ai sensi dell’articolo 24 del GATT, infatti, è prevista una
deroga al “principio della Nazione più favorita”
17
nei casi in cui sia disposta l’istituzione di
aree di libero scambio, all’interno delle quali alcuni paesi godono di alcuni vantaggi, non
generalmente validi (e quindi, senza che tali privilegi siano estesi a tutti gli altri membri
dell’organizzazione), volti in qualche modo a rafforzare le loro relazioni reciproche. E’ in
questo contesto, quindi, che si ricorre alla stipula di accordi di natura preferenziale
18
. Al
contrario, negli accordi commerciali non preferenziali resta valido il principio della Nazione
più favorita.
In tema di politica di associazione si deve, invece, considerare l’articolo 238 del trattato
istitutivo che, al primo comma, recita come segue: “La Comunità può concludere con uno
Stato terzo, una unione di Stati o una organizzazione internazionale, accordi che istituiscano
un’associazione caratterizzata da diritti e obblighi reciproci, da azioni in comune e da
procedure particolari”. L’articolo si contraddistingue per una certa vaghezza in quanto non
indica esplicitamente né quale dovrebbe essere l’oggetto dell’accordo di associazione, né cosa
si deve intendere con “azioni in comune e procedure particolari”. Inoltre, la reciprocità di
diritti e obblighi (prevista da tale articolo) è una caratteristica propria di quasi tutti gli accordi
ed è da escludere che sia da intendere “in senso stretto (nel senso, cioè, che ogni obbligo
debba egualmente ricadere sulle due parti) perché le differenze tra la Comunità e i paesi
candidati all’associazione, sotto il profilo del rispettivo grado di sviluppo e della capacità di
recar vantaggio all’altro contraente, sono così marcate da consentire un limitato grado di
reciprocità”.
19
In generale, si può affermare che gli accordi d’associazione, non presentando sempre elementi
di perfetta analogia, perseguono l’obiettivo di dar vita a un quadro di rapporti più ampio
rispetto al mero accordo commerciale, volto soprattutto all’istituzionalizzazione della
16
S. Angioi, Il principio di condizionalità, cit., p. 26.
17
Secondo questo principio, qualora uno Stato membro del Wto riservi un trattamento più favorevole ad un altro
Stato membro dell’organizzazione, dovrà estendere tale principio a tutti gli altri membri dell’organizzazione.
19
F. Capotorti, I profili giuridici, cit., p. 11.
12
cooperazione tra la Comunità e i paesi terzi. Alla luce di ciò, gli accordi di associazione
prevedono l’istituzione di alcuni organi comuni, composti in modo paritetico da
rappresentanti di entrambe le parti, a prescindere dal diverso peso contrattuale di cui esse
godono
20
. E’ poi bene notare che il modello di accordi di associazione che si sta trattando si
differenzia dall’associazione così come intesa precedentemente in riferimento alla relazione
esistente tra CEE e PTOM (artt. 131-136 del trattato istitutivo).
Soprattutto in una prima fase, tale tipologia di accordi venne vista come strumento mediante il
quale si preparava l’adesione del paese associato alla Comunità; ciò sulla base degli accordi
d’associazione che si sono definiti “di prima generazione”, in particolare quelli con Grecia e
Turchia. Ciononostante, in una fase seguente si è avuto modo di osservare una prassi diversa,
cioè “quella di ritardare, attraverso la concessione dello status di associato, una domanda di
ammissione all’UE”
21
, fatto verificatosi in occasione degli accordi d’associazione di “seconda
generazione” (si tratta, per esempio, degli accordi stipulati tra UE e gli Stati dell’Europa
centro-orientale prima dell’adesione di quest’ultimi). La Comunità ha fatto ricorso alla
conclusione di questa categoria di accordi per instaurare rapporti con Stati terzi collocati sia in
aree attigue alle Comunità (si pensi all’area del Mediterraneo, piuttosto che i Balcani), sia in
zone geograficamente molto distanti dalla Comunità stessa (è il caso dei paesi ACP, oppure
dei paesi latino-americani). Inoltre, se è comunque possibile dar vita ad accordi
d’associazione in tutte le attività esterne che la Comunità conduce, la prassi evidenzia come
essi siano stati utilizzati principalmente nel campo dell’aiuto allo sviluppo e della politica
commerciale. In questo secondo ambito, a volte, si verificano situazioni nelle quali non vi è
una differenza sostanziale tra accordo d’associazione e accordo commerciale e la scelta circa
la denominazione dell’accordo (d’associazione o commerciale) risponde soprattutto ad
esigenze di carattere politico. Ad ogni modo, quindi, per comprendere l’effettiva portata degli
accordi d’associazione è necessario guardare al contenuto vero e proprio dell’accordo, a
prescindere dalla denominazione che questo assume e dal fondamento giuridico che ne è alla
base.
20
Tali organi includono, di solito, un Consiglio d’associazione, composto da rappresentanti della Comunità e
degli Stati terzi, con un ruolo di indirizzo circa la politica generale che deve essere condotta dall’associazione e il
compito di assumere decisioni vincolanti, tendenzialmente all’unanimità. In secondo luogo, vi è un Comitato
d’associazione o Comitato degli ambasciatori con funzioni di carattere esecutivo e che può essere istituito dal
Consiglio d’associazione, ovvero essere già originariamente previsto dall’accordo d’associazione. Infine, spesso
è presente anche un organo di natura parlamentare denominato Commissione o Conferenza parlamentare
dell’associazione, in seno alla quale vi sono, in pari numero, rappresentanti del Parlamento europeo e dei
Parlamenti degli Stati terzi e che svolge una funzione di controllo sulle attività del Consiglio d’associazione.
21
U. Draetta, Elementi di diritto dell’Unione Europea, Parte istituzionale, Milano, 2009, p. 228.
13
Interessante è anche notare la modalità di stipulazione di questi accordi, la quale era
originariamente disciplinata dall’articolo 238, che prevedeva il voto unanime del Consiglio
previa consultazione dell’Assemblea. In seguito alle modifiche apportate con il trattato di
Amsterdam fu però riconosciuto al Parlamento europeo (ex art. 300) un potere di intervento
diretto nella conclusione definitiva dell’accordo: quest’ultimo, previamente negoziato dalla
Commissione e poi concluso dal Consiglio, doveva essere infatti sottoposto alla procedura del
parere conforme da parte del Parlamento, il quale godeva quindi, di fatto, di un potere di
veto
22
.
1.1 Gli accordi di “prima generazione” con i paesi arabi e i paesi non-arabi
Sulla base degli strumenti giuridici a propria disposizione, la Comunità sviluppa, in
questa prima fase, un “approccio case-by-case”
23
nei confronti dei paesi mediterranei non
membri. L’incapacità di dar vita ad una politica coerente e globale è dovuta a tutta una serie
di fattori tra i quali, come precedentemente sottolineato, vi sono, da un lato, una diversa
sensibilità dei paesi europei verso l’area mediterranea e un contesto politico-strategico a
livello internazionale che influenza fortemente l’azione esterna della CEE; dall’altro lato, il
fatto che la Comunità si trovi ad interloquire con soggetti molto eterogenei l’uno dall’altro e
tra i quali sussistono tensioni, prima fra tutte quella del conflitto arabo-israeliano, nonché, in
misura senz’altro diversa, la questione cipriota e quella dell’ex Sahara spagnolo. Ne deriva
una molteplicità di accordi bilaterali riconducibili tendenzialmente alle cinque categorie
indicate nel paragrafo precedente
24
.
E’ però evidente come, fin dal principio, l’azione della CEE abbia seguito due diverse macro-
strategie a seconda che essa avesse a che fare con l’Europa del Sud, che veniva vista come
“un’area di progressiva integrazione”
25
o con il resto dei paesi mediterranei, considerati
semplicemente come “area di interconnessione”
26
. Si trattò, comunque, in generale, di
interazioni di natura più specificatamente economica.
22
Il ruolo giocato dal Parlamento risulta però in parte penalizzato dalla prassi, creatosi in ambito comunitario, di
procedere, nella fase anteriore all’entrata in vigore dell’accordo, all’applicazione provvisoria dello stesso. Questa
pratica è stata fortemente criticata dal Parlamento che ha fatto spesso uso di alcuni espedienti in suo potere (quali
quello di bloccare sul piano finanziario i fondi necessari agli accordi) per boicottarla. cfr., S. Angioi, Il principio
di condizionalità, cit.p. 35.
23
E.R. Grilli. The European Community and the developing countries, Cambridge University Press, 1993, p. 181.
24
Si tratta cioè degli accordi commerciali ex art. 133 (preferenziali o non-preferenziali) e degli accordi di
associazione ex art.238 (noti come di “prima generazione”, di “seconda generazione” e di cooperazione).
25
S. Angioi, Il principio di condizionalità, cit., p. 270.
26
Ibidem.