I rapporti politici, economici e sociali tra i paesi del Mediterraneo sono
sempre più rilevanti per la stabilizzazione di un equilibrio internazionale.
L'Unione europea ha stretto fin dalla sua nascita relazioni con i paesi
della riva sud del Mediterraneo.
Oggi però i mutamenti dell’assetto politico mondiale e l'allargamento
dell'Unione europea ai Paesi dell’Europa orientale, fanno sperimentare al
Mediterraneo e particolarmente ai cosiddetti Paesi terzi mediterranei
un’erosione dello status preferenziale, che aveva caratterizzato le
precedenti relazioni con l'Europa.
È bene subito precisare a cosa ci si riferisce quando si usa l’espressione
Paesi terzi mediterranei; con essa ci si riferisce a tutti i paesi del Nord
Africa e dell’Asia sud occidentale con i quali l'Unione europea ha
instaurato, con la dichiarazione di Barcellona del 1995, il Partenariato
Euro-Mediterraneo, coinvolgendoli quindi nel cosiddetto Processo di
Barcellona, e cioè: Algeria, Egitto, Giordania, Libano, Marocco, Siria,
Tunisia, Territori palestinesi (Cisgiordania e Gaza), Turchia, Israele,
(Cipro e Malta3).
Con questi paesi l'Unione europea intende rafforzare quelle relazioni
politiche ed economiche che da sempre accomunano questi paesi con
l’Europa ed in particolare con i paesi dell'Unione che si affacciano sul
Mediterraneo (in primis la Francia).
All'interno dei Paesi terzi mediterranei si è soliti operare un’ulteriore
classificazione relativa ad alcuni paesi facenti parte di specifiche aree
geografiche o regioni; infatti vi sono paesi del Maghreb (in arabo al-
Maghrib, “il Tramonto, l'Occidente”), come Marocco, Algeria e Tunisia
e paesi del Mashreq (dalla radice araba sh-r-q, che significa "Est,
Oriente" o anche "luogo dell'alba") cioè Egitto, Giordania, Territori
palestinesi (Cisgiordania e Gaza), Libano, Siria ed Israele.
3 Poi entrati a far parte dell'Unione Europea con l'allargamento del 2004
2
L’Unione europea, proponendo di rafforzare la sua politica mediterranea
cerca di pervenire ad un nuovo equilibrio nelle sue relazioni estere e di
bilanciare il nuovo peso assunto dai paesi dell’Europa dell’Est con
quello dei Paesi terzi mediterranei, vista la necessità, all'interno della
leadership europea, di controbilanciare le rispettive aree di influenza di
Germania e Francia, assi portanti dell'Unione.
L'approccio della politica mediterranea dell'Unione europea è però stato
sempre influenzato, fin dalla nascita, dai troppi fattori di
destabilizzazione presenti nell'area, tra i quali possiamo annoverare: la
continua crescita demografica, i rischi militari legati soprattutto alla
proliferazione delle armi di distruzione di massa4, l’accentuazione degli
scarti di sviluppo, non solo tra Paesi terzi mediterranei ed Unione
europea ma anche all’interno dei singoli paesi, tra città e campagne, tra
zone costiere e interno ed infine i costanti e crescenti flussi migratori che
trovano nell’Unione europea la principale valvola di sfogo, migrazioni
dovute soprattutto alla mancanza di posti di lavoro e per sfuggire
all'oppressione dei regimi dei paesi di provenienza.
I flussi migratori verso l’Europa, sono appunto il classico esempio di una
problematica che va risolta insieme ai Paesi terzi mediterranei, attraverso
politiche adeguate, proprio perché si è compreso che nel Mediterraneo
non si può costruire un muro ideologico Nord-Sud, impermeabile ai
movimenti degli uomini, pur restando permeabile ai movimenti dei beni.
Oggi ancor di più quest'area “incute timore” vista la forza acquisita
dall’integralismo islamico negli ultimi anni, sia nelle forme terroristiche
che in quelle ambigue della sue espressione politica (basti pensare ai
Fratelli Musulmani), forza che sicuramente ha scosso le fondamenta di
uno sviluppo che non riesce ancora a decollare.
4
LANNON E., La déclaration interministérielle de Barcelone, acte fondateur du partenariat euro-
méditerranéen, in Revue du Marché Commun et de l’Union Européenne, 1996., p. 359 ss.
3
Sono questi alcuni degli elementi di una più forte destabilizzazione che
fanno del Mediterraneo una delle aree più a rischio del mondo visto che
come ha scritto Fernand Braudel: “Il piacere degli occhi e la bellezza
delle cose nascondono i tradimenti della geologia e del clima, e fanno
dimenticare che il Mediterraneo non è mai stato un paradiso offerto
gratuitamente al diletto dell’umanità. Qui tutto ha dovuto essere
costruito, spesso più faticosamente che altrove”.
Diventa quindi evidente il perché la sfida comune lanciata dalla
Dichiarazione di Barcellona, ripresa poi dalla Politica Europea di
Vicinato, e cioè di una vasta zona di pace e di stabilità ai confini
dell’Unione europea, faccia appello a tutte le forze in campo; ad ogni
livello tutti siamo chiamati a raccogliere questa sfida, dai più alti
rappresentanti degli Stati ad ogni singolo individuo, ognuno è chiamato a
collaborare con gli altri per vincere questa sfida perché, alla fine, come
scrive Fernand Braudel “Il Mediterraneo sarà come vorranno che sia gli
uomini mediterranei”.
Inoltre, come ben evidenzia Bichara Khader5, uno dei più illustri studiosi
delle relazioni del mondo occidentale con quello arabo, “il Mediterraneo
è uno e multiplo, unito nella sua dimensione musulmana arabo-berbera,
africana e mediterranea, frammentato per il ventaglio di regimi socio-
politici, la varietà delle strategie di sviluppo e le scelte economiche”.
Quindi l'approccio verso esso non può essere univoco ma richiede
elasticità e comprensione.
Le relazioni tra l'Europa e Paesi terzi mediterranei hanno comunque
radici etniche e culturali comuni, che non riguardano solo il rapporto con
la Francia, e che sicuramente sono state caratterizzate da alti e bassi e da
una storia che s’interseca continuamente, la storia di “un mare troppo
stretto per separare ma troppo ampio per confondere”6, con economie le
5
KHADER B., L’Europa e il Mondo Arabo: le ragioni del dialogo, Torino, 1996
6
KHADER B., Le grand Maghreb et l’Europe enjeux et perspectives, Paris, 1992, p. 73.
4
cui prospettive di sviluppo, in una certa misura, dipenderanno le une
dalle altre.
Per ben comprendere il perché delle attuali relazioni tra l’Unione
europea e i Paesi terzi mediterranei, si deve fare quindi un passo indietro
perché sempre, nelle radici del passato, possiamo ritrovare i motivi e le
spiegazioni delle scelte presenti.
Purtroppo alcuni studiosi, non storici, delle relazioni internazionali
ritengono inutile se non addirittura fuorviante, studiarne la storia. La mia
opinione è del tutto opposta e faccio mie le parole di un grande maestro
degli studi mediorientali, Bernard Lewis “coloro che non vogliono
confrontarsi con il loro passato, sono incapaci di comprendere il
presente, e non saranno in grado di affrontare il futuro7 ”.
La storia infatti è la politica del passato, e la politica di oggi sarà la storia
del futuro. Richiamo utile per evitare sia l’errore di guardare agli eventi
storici del passato come fatti estranei alla politica del tempo e di oggi, sia
di ridurre le scelte politiche presenti a giochi tattici e di opportunità
valutabili al di fuori dei trend storici.
Ed è per questo che il presente lavoro è suddiviso in due parti: nella
prima parte e nel primo capitolo in particolare analizzerò l'evoluzione
storica della politica mediterranea, dal Trattato di Roma del 1957
istitutivo della Comunità economica europea, in cui le relazioni con i
Paesi terzi mediterranei erano per lo più fondate su preesistenti legami
bilaterali con le ex colonie basate, dal punto di vista giuridico, su norme
convenzionali prevalentemente a carattere generale, per arrivare fino alla
Politica mediterranea rinnovata del periodo 1992-1995 che con
l’introduzione della cooperazione decentrata, di fatto anticipò nella
concezione il Partenariato Euro-Mediterraneo.
7
LEWIS B., Natura della storia e compito degli storici, in Nuova Storia Contemporanea , vol. III,
n.6,1999, p.9
5
Il secondo capitolo è invece dedicato alla “svolta” nella politica
mediterranea dell'Unione europea, determinata dalla nascita del
Partenariato Euro-Mediterraneo, che per la prima volta aggiunge al
classico bilateralismo tipico delle relazioni precedenti, anche una
dimensione multilaterale. Sempre nel secondo capitolo sarà anche
analizzato il programma MEDA lo strumento finanziario usato per
sostenere economicamente la politica del Partenariato Euro-
Mediterraneo.
Il terzo capitolo è dedicato invece alla nascita della Politica europea di
vicinato e gli effetti che questa ha avuto sul Partenariato Euro-
Mediterraneo. Dal 2004, infatti, la politica mediterranea dell’Unione
europea ha un carattere dualistico: da una parte, la Politica europea di
vicinato, a carattere bilaterale, che si occupa essenzialmente delle
materie comprese nel secondo “pilastro” del Partenariato Euro-
Mediterraneo (il partenariato economico e finanziario), materie
prevalentemente gestite dalla Commissione; dall’altra, il Partenariato
Euro-Mediterraneo, a carattere multilaterale, che rimane competente per
le materie del primo e del terzo “pilastro” (il Partenariato politico e di
sicurezza e quello sociale, culturale ed umano), di cui si occupano
prevalentemente i governi.
Con la Politica europea di vicinato quindi non è stata chiusa l'esperienza
del Partenariato Euro-Mediterraneo ma l'effetto principale è stato quello
del superamento del programma MEDA e l'avvento del nuovo Strumento
europeo di vicinato e partenariato (ENPI).
Il quarto ed ultimo capitolo della prima parte è dedicato agli ultimi
sviluppi della politica euromediterranea con il progetto dell’Unione per il
Mediterraneo , proposto dal Presidente francese Sarkozy, ed avviato con
la Dichiarazione di Parigi del luglio 2008. Progetto che sul piano
geografico e strategico assicurerà all'Unione europea una copertura più
6
vasta ai confini Sud e Sud-Est dell’Unione e che porterà ad un maggiore
coinvolgimento dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo nei processi
decisionali (con la co-governance) ed al lancio di grandi progetti in
macrosettori prioritari stabiliti di comune accordo con tutti i partner
dell'Unione per il Mediterraneo.
La seconda parte del presente lavoro è invece dedicata all'analisi dal
punto di vista economico, politico e culturale dei paesi con i quali
l'Unione europea dal 1995 ad oggi ha sottoscritto gli Accordi
euromediterranei di associazione, strumento necessario per promuovere
il principale obiettivo economico della Dichiarazione di Barcellona, cioè
l'area di libero scambio del 2010.
Nel primo capitolo vi sarà quindi, un'analisi di una selezione dei
principali dati macroeconomici di Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto,
Giordania, Siria, Libano e Territori palestinesi (Cisgiordania e Gaza),
dati che, tranne qualche eccezione, in questi ultimi anni hanno
risvegliato l'attenzione dell'Unione europea sull'area mediterranea.
Questa analisi comprende anche i dati sulla evoluzione delle libertà
economiche dei singoli paesi, così come offerte dall’Index of Economic
Freedom dell’Heritage Foundation, probabilmente, il think-tank più
autorevole ed influente di tutti gli Stati Uniti d'America.
Il secondo capitolo è invece una riflessione sul carattere persistentemente
non democratico dei regimi dei paesi oggetto di indagine alla luce dei
rapporti annuali sul livello di libertà democratiche offerti da Freedom
House, un istituto di ricerca che ha come obiettivo la promozione della
democrazia liberale nel mondo. I paesi oggetto di analisi hanno in
comune due caratteristiche: l'essere paesi arabi ed a maggioranza di
religione islamica. All'influenza dell’islamismo viene spesso attribuito la
responsabilità del carattere non democratico di questi regimi. Quindi in
questo capitolo svilupperò riflessioni di stampo comparativo con
7
l'occidente sotto il profilo storico, religioso e politico-culturale, per
ragionare sull'effettiva possibilità di costruire, nei paesi oggetto di
analisi, Stati democratici affidabili.
Il terzo ed ultimo capitolo analizza brevemente uno dei paesi che da
sempre ha rappresentato uno dei principali interlocutori dell'Europa nel
Mediterraneo, cioè la Tunisia. La Tunisia è un esempio di quei paesi
arabi e a maggioranza di religione islamica in cui non vi è democrazia.
La Tunisia però è stata anche il primo paese a firmare ed a rendere
operativo l'Accordo Euro-Mediterraneo di associazione, e sarà il primo a
rispettare (e ad anticipare) la data del 2010, auspicata dalla Dichiarazione
di Barcellona, per l'apertura dell'aerea di libero scambio con i paesi
dell'Unione Europea (già attuata comunque per quel riguarda i prodotti
industriali).
Rappresenta una delle economie più dinamiche dell'area e rappresenta
sicuramente il regime più stabile e più filo occidentale del Nord Africa.
8
CAPITOLO 1
1.1 Il rapporto tra l’Europa ed i Paesi terzi mediterranei: dal Trattato
di Roma del 1957 agli Accordi di prima generazione
Fin dall’inizio del XIX secolo, le relazioni economiche tra paesi Paesi
terzi mediterranei ed Europa si basano sulla necessità di integrare una
parte di essi, il Maghreb, nell’economia della “metropoli”8, visto che
Marocco, Tunisia e Algeria erano sotto il controllo della Francia.
Questo tipo di “politica” avrà tre conseguenze principali che di fatto
faranno assumere ai paesi del Maghreb le tipiche caratteristiche di
economie sottosviluppate e cioè disarticolazione, specializzazione,
dipendenza9:
la disarticolazione, si traduce nell’esistenza di un settore agricolo
non all’avanguardia e strettamente legato ai bisogni della
metropoli;
la specializzazione si manifesta a livello della natura dei beni,
generi alimentari prodotti non in relazione alle esigenze delle
popolazioni locali, ma in funzione delle richieste estere10;
la dipendenza, tutto dipende dalla domanda proveniente dal
mercato estero, il mercato nazionale non ha voce ed è troppo
debole per farsi sentire.
8
In francese la parola sta a identificare la porzione di territorio del paese sul continente europeo, in
opposizione ai territori d'oltremare. Nell'antica Grecia il termine veniva usato nelle colonie per
riferirsi alla città da cui dipendevano
9 MEZDOUR S., Les relations économiques Maghreb-CEE: suggestions pour une novelle politique, in
Revue du Marché Commun et de l’Union Européenne, 1992, p. 300 ss.
10 questo alimenterà costantemente il deficit alimentare del Maghreb
9
Al momento della nascita della Comunità economica europea (CEE), nel
1957, Marocco, Tunisia e Algeria11 erano, in ragione dei rapporti
privilegiati con la Francia, i paesi mediterranei più prossimi alla
Comunità, sul piano sia politico che economico.
Come sul metodo di costruzione europea si scontravano posizione
diverse, anche sulle relazioni esterne della Comunità vi erano diverse
posizioni12, come quella “regionalista” della Francia di Charles de
Gaulle, fautrice di un’Europa forte e indipendente rispetto alle due
superpotenze USA e URSS, che privilegiava forti legami con le ex
colonie; e l’altra, che potremmo definirla “internazionalista” sostenuta
soprattutto dalla Germania, industrialmente forte ma senza legami
coloniali, e che quindi era contraria a legami preferenziali con specifiche
aree del mondo ed inoltre considerava vitale per l’Europa un’alleanza
strategica con gli USA , all’interno della quale favorire l’introduzione
delle logiche del libero mercato come le più adatte allo sviluppo
dell’economia europea.
Nel secondo caso quindi la cooperazione alla sviluppo veniva ritenuta
più facilmente realizzabile all’interno della cooperazione
internazionale13, ma di fatto negli anni '60, in questo aspetto della
politica della comunità, prevalse la visione regionalista14.
Il Trattato di Roma, infatti, si colloca in un quadro storico ancora
sostanzialmente coloniale o di recente decolonizzazione15, quindi in esso
11 L’Algeria, essendo al momento della nascita della CEE, dipartimento francese, viene di fatto integrata
alla Comunità con l’articolo 227 (ora articolo 299)paragrafo 2 del Trattato di Roma che afferma che:
“Per quanto riguarda i dipartimenti francesi d’oltremare, le disposizioni particolari e generali del
presente trattato riguardanti: libera circolazione delle merci, agricoltura (escluso l’articolo 40
paragrafo 4), liberalizzazione dei servizi, regole di concorrenza, misure di salvaguardia (articoli 109
H, 1091 e 226) e le istituzioni; sono applicabili fin dall’entrata in vigore del trattato”.
12 RIZZI F., Un Mediterraneo di conflitti. Storia di un dialogo mancato: storia di un dialogo mancato,
Meltemi Editore, Roma, 2004, p. 58
13 DI NOLFO E., Storia delle Relazioni Internazionali, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp.869 sgg
14
Il Marocco e la Tunisia sono espressamente menzionati nel protocollo degli accordi di associazione
del Trattato di Roma per le “relazioni economiche privilegiate”, da loro intrattenute con la Francia.
L’Algeria, ancora colonia francese nel 1958, non è menzionata in quanto stipulerà l’accordo di
associazione con i sei paesi CEE nel 1969
15 Durante il periodo coloniale, questi territori sono sotto il controllo della Francia (metropoli): il
Marocco è protettorato francese dal 1912 al 1956, la Tunisia dal 1881 al 1956, l’Algeria è colonia
francese dal 1848 al 1962.
10
si possono trovare solo le premesse del dialogo, che solo più tardi darà
vita ad una vera e propria politica mediterranea.
L’Europa della CEE non aveva sviluppato una politica estera organica e
articolata perché, essendo all'inizio del suo “cammino” era
prevalentemente concentrata sulla costruzione e sul rafforzamento del
processo di integrazione. In questo periodo, quindi, le relazioni con i
Paesi terzi mediterranei erano per lo più fondate su preesistenti legami
bilaterali con le ex colonie; queste, dal punto di vista giuridico,
all'interno del Trattato di Roma si fondavano su norme convenzionali
prevalentemente a carattere generale.
Il Trattato di Roma , riconobbe espressamente il principio
dell’associazione economica con i Paesi terzi nell’intento di preservare
ed ampliare le vie tradizionali di scambio e di contribuire allo sviluppo
delle aree extra-comunitarie16. Gli articoli 113 (ora articolo 133), 227
(ora articolo 299) e 238 (ora articolo 310), un Protocollo e due
Dichiarazioni sono, tra le varie disposizioni, quelle giuridicamente più
rilevanti17.
Per quanto riguarda il protocollo, esso è presente fra gli allegati al
Trattato ed era un “protocollo relativo alle merci originarie e provenienti
da taluni paesi che beneficiano di un regime particolare all’importazione
in uno degli Stati membri”18.
Questo protocollo, lasciò invariato il regime doganale di favore del quale
fruivano, prima dell’entrata in vigore del Trattato di Roma, le
importazioni da alcuni Paesi tradizionalmente legati ad uno Stato
membro. In tal caso dunque, il proposito di non arrecare danni
all’economia dei paesi mediterranei, e di conservare a loro beneficio
alcune facilitazioni, motivate da vincoli politici che hanno profonde
16 KHADER B., L’Europa e il Mondo Arabo, cit, 1996, p. 156 ss.
17 CAPOTORTI F., I profili giuridici della Politica Mediterranea della CEE, in Rivista di Diritto
Europeo, 1981, p.1 ss.
18
Ibidem p. 5 ss.
11
radici, hanno per conseguenza l’ammissione di “regimi particolari”
difformi dai criteri regolatori del mercato comune.
Per quel che riguarda le Dichiarazioni d’intenzione annesse al Trattato,
una di esse prevedeva l’associazione alla Comunità di Paesi indipendenti
appartenenti alla zona del franco, in modo particolare Marocco e
Tunisia.
Ciò che è deducibile da questi documenti ufficiali, è la disponibilità degli
Stati membri della CEE ad avviare, immediatamente, negoziati con i
paesi citati al fine di concludere convenzioni di associazione
economica19 alla Comunità ciò in vista di un duplice obiettivo:
mantenere ed intensificare le tradizionali correnti di scambio
commerciale tra la CEE ed i paesi in questione e contribuire allo
sviluppo economico e sociale di questi ultimi20;.
Questi documenti, per quanto giuridicamente superati, dimostrano
quanto sia stato forte l’interesse comunitario nell’area mediterranea, a
mantenere regimi speciali negli scambi con alcuni paesi, i cosiddetti
“paesi associati”21, categoria prevista dal Trattato di Roma proprio per
consentire la continuazione del trattamento preferenziale tra alcuni
membri della Comunità e Paesi terzi mediterranei.
L’articolo 238 del trattato CEE (ora articolo 310), riguarda gli accordi di
associazione22 ed enuncia che la Comunità può concludere “con uno
19 L’espressione “associazione economica” usata nella dichiarazione d’intenzione annessa al Trattato di
Roma, sembra denotare la volontà di tenere distinti gli accordi che si aveva in animo di stipulare, da
quelli di associazione (senza aggettivi) contemplati dall’art. 238 (ora articolo 310); in realtà, poi,
quando nel 1969 sono stati siglati i due accordi con il Marocco e la Tunisia, è all’art. 238 che i
regolamenti di approvazione e di esecuzione si riferiranno.
20 MARTINES F., La politica di cooperazione allo sviluppo della CEE, in Rivista Italiana di Diritto
Pubblico Comunitario, 1991, p. 403 ss.
21
Il paese associato non è chiamato a contribuire al bilancio comunitario ed è esente dagli obblighi
inerenti l’attuazione del trattato, salvo per le particolari disposizioni che lo riguardano.
22 Anche se l’articolo 238 tace a proposito del contenuto del rapporto associativo, non può non tenersi
conto, nell’interpretare il termine “associazione” da esso utilizzato, del significato che a tale termine
viene dato dall'articolo 131 del trattato stesso. L'articolo 131 (ora articolo 182) comma 2, sottolinea
che“scopo dell’associazione è di promuovere lo sviluppo economico e sociale dei paesi e territori
d’oltremare e l’instaurazione di strette relazioni economiche tra essi e la Comunità nel suo insieme”;
aggiunge poi al comma 3, che la promozione dello sviluppo dei paesi associati, costituisce l’aspetto
essenziale dell’associazione. Gli articoli successivi, precisano meglio queste finalità prevedendo, oltre
all’adozione di misure sugli scambi commerciali, la necessità di investimenti degli Stati Membri e
della Comunità negli Stati associati e un diritto di stabilimento dei cittadini su una base non
12