2
Grande è l’apertura di Moro ai paesi mediorientali, di cui non
può non riconoscere l’enorme importanza economica e verso i
quali proietta l’Italia per consolidare il suo ruolo di ponte tra
l’Europa e l’oriente.
Il rapporto italo – arabo viene consolidato con l’approvazione di
una legge organica sulla cooperazione internazionale, di cui
l’Italia si dotò per rendere più efficace il suo apporto alle
economie dei paesi in via di sviluppo. Il contributo italiano non
appare comunque disinteressato; la presenza del petrolio
nell’area è certamente il motivo principale che spinge Moro ad
un avvicinamento tanto repentino ai paesi mediorientali pur
senza ottenerne, al momento della crisi petrolifera, sostanziali
benefici economici.
L’impossibilità di consultare gli archivi del MAE ha reso
inevitabile limitare la ricerca alle pubblicazioni ufficiali del
Ministero degli Affari Esteri, agli atti parlamentari, alla
bibliografia critica, alle riviste e ai periodici contemporanei.
3
Introduzione
Aldo Moro nacque a Maglie, in Provincia di Lecce, il 23
settembre 1916; la sua carriera politica iniziò all’Università
dove aderì alla Federazione Universitari Cattolici Italiani, di cui
divenne anche presidente dal 1939 al 1942.
Nel 1938 si laureò in giurisprudenza all’Università di Bari con
una tesi pubblicata l’anno successivo.
Nel 1942 ottenne la libera docenza di Diritto Penale presso
l’Università di Bari.
Al termine della guerra, grazie alla sua fama universitaria e alla
sua attività in varie organizzazioni cattoliche, egli era una delle
personalità più promettenti della Democrazia Cristiana.
Eletto all’Assemblea Costituente, fece parte della
“Commissione dei 75”, incaricata di redigere il testo
costituzionale e relazionò la parte riguardante “i diritti
dell’uomo e del cittadino”.
Divenne prima vice presidente del gruppo parlamentare
democristiano, e poi sottosegretario agli Esteri e al Ministero
per l’Africa italiana: partecipò agli sforzi di Alcide De Gasperi
4
per evitare l’emarginazione dal contesto europeo di un’Italia
profondamente segnata dagli esiti della guerra
1
.
Esponente della corrente Iniziativa Democratica, facente capo a
Fanfani, Rumor, Taviani, Gui e Zaccagnini, Moro resse la
presidenza del gruppo parlamentare dal 1953 al 1955. In seguito
guidò vari dicasteri tra cui la Giustizia nel 1955 e la Pubblica
Istruzione nel 1957. Come ministro di Grazia e Giustizia si
interessò particolarmente delle condizioni di vita dei carcerati,
visitando spesso gli istituti di pena italiani e seguendo di
persona le vicende di molti detenuti per la revisione dei
processi.
Egli attribuiva alla politica il ruolo di “favorire il processo di
liberazione della società da condizioni di subordinazione e
marginalità, da ritardi e squilibri, da zone d’ombra e da
intollerabili situazioni di negazione della dignità umana”
2
. Un
processo di cui i soggetti marginali erano essi stessi
protagonisti.
1
L. V. FERRARIS (a cura di), Manuale della politica estera italiana, Bari, Laterza, 1996,
pp. 99 – 101.
2
A. AMBROGETTI, (a cura di), La democrazia Incompiuta, Roma, Editori Riuniti, 1999,
p. 14.
5
La politica doveva conseguentemente affrontare e risolvere il
problema dell’equilibrio da garantire tra il crescente fiorire di
diritti e delle libertà e l’ordine necessario per farvi fronte
affinché non producessero effetti perversi. Un compito da
realizzare all’interno dei confini entro cui la politica si trova ad
operare, che rappresentavano anche gli elementi costitutivi della
sua definizione.
Moro fu testimone di una politica a “sovranità limitata”, capace
di condividere il destino delle società civili e di esserne guida
discreta con un ruolo di facilitazione dei processi di sviluppo
3
.
Nel marzo del 1959 egli venne considerato la personalità più
idonea a interpretare e a dare coerenza alle molteplici istanze
presenti della DC e ne venne eletto Segretario Nazionale a
conclusione del VII° Congresso Nazionale svoltosi a Firenze.
Uno dei suoi primissimi atti pubblici fu la visita alle Fosse
Ardeatine per la commemorazione della strage nazista:
l’antifascismo era un dato costitutivo della sua politica e,
secondo lui, un carattere qualificante della DC.
3
Ivi, p 15.
6
Da Segretario Nazionale guidò il dibattito che sboccherà nel
cosiddetto “allargamento dell’area democratica” e nella
formazione del primo governo quadripartito di centro – sinistra.
Con il governo Fanfani e la realizzazione del centro – sinistra
egli poté perseguire due obiettivi della cui validità era
fermamente convinto: la “riconciliazione tra il cattolicesimo, la
sinistra e il potere” e l’allargamento del raggio d’azione della
politica estera italiana.
Nel 1964 divenne per la prima volta Presidente del Consiglio ed
iniziò un rapporto di intensa collaborazione con il segretario
socialista Pietro Nenni, vice presidente.
Il suo “avvicinamento” alla sinistra e la sua visione “laica” della
Democrazia Cristiana gli costarono molte critiche da parte delle
gerarchie cattoliche
4
.
Il primo governo Moro cadde in seguito alla bocciatura di un
provvedimento che introduceva limitati finanziamenti alla
scuola privata: la crisi seguente fu particolarmente grave per il
pericolo di colpo di stato proveniente dall’Arma dei Carabinieri
(Piano Solo). Un rinnovato accordo con il Partito Socialista
7
Italiano consentì a Moro di formare il sue secondo governo di
centro – sinistra.
Intensa fu anche l’azione in politica estera. Forte fu il suo
impegno nel processo di integrazione economica europea, vista
nella prospettiva di una integrazione anche politica, cercando di
superare le tendenze egemoniche della Francia.
Egli inoltre favorì lo sviluppo dei contatti con l’Europa
orientale, l’America latina e l’Africa, riaffermando il ruolo
dell’Italia nel Mediterraneo.
Lasciata la direzione del governo e nominato ministro degli
Esteri – incarico che ricoprì quasi ininterrottamente dal 1969 al
1974 - Moro perseverò nel tentativo di dare autonomia e
originalità all’azione diplomatica dell’Italia, associandosi ai
tentativi di mediazione nel conflitto arabo – israeliano e
contribuendo alla soluzione della crisi anglo maltese del 1972.
Molte erano le questioni internazionali aperte e molti gli
scacchieri nei quali l’Italia si trova allora ad agire e Moro fu
chiamato ad affrontare anche gli enormi problemi dell’Alto
Adige e di Trieste.
4
Alla fine del 1962 egli si oppone alla richiesta del Cardinale Siri di un impegno scritto
ad accettare nelle liste democristiane per le elezioni politiche solo i candidati proposti
8
Il problema dello status dei cittadini di lingua tedesca residenti
in Alto Adige (o sud Tirolo) si pose già all’indomani della
seconda guerra mondiale, quando Italia ed Austria con l’accordo
De Gasperi - Gruber posero le basi per la tutela della minoranza
austriaca.
Il contenzioso tra i due stati però si protrasse per anni, tra
attentati, richieste di intervento delle Nazioni Unite e tensioni
che iniziarono a diminuire soltanto con l’istituzione della
“Commissione di studio dei problemi dell’Alto Adige”, che
elaborò una serie di misure che videro concreta applicazione a
partire dal dicembre 1969, quando Moro e il presidente
austriaco Kurt Waldheim siglarono l’atto finale di un accordo
che dispiegò completamente i suoi effetti soltanto negli anni
ottanta
5
.
La questione di Trieste era invece aggravata dalle divergenze
politico – ideologiche esistenti tra i due governi. Nell’ambito dei
negoziati fu proprio Moro, primo Presidente del Consiglio
italiano, a recarsi a Belgrado nel 1965: l’Italia vedeva nella
Jugoslavia un ponte per future aperture verso l’Europa
dai vescovi; AMBROGETTI (a cura di), La democrazia Incompiuta ... cit., p. 228.
5
FERRARIS (a cura di), Manuale della politica estera italiana..., cit , pp. 177 – 178.
9
Orientale, mentre, specularmente, la Jugoslavia cercava un
tramite verso l’Europa occidentale che desse respiro alla sua
politica di neutralismo attivo.
Un costante e attento lavorio diplomatico consentì il
superamento dei contrasti e delle divergenze e portò Aldo Moro,
nel gennaio del 1971, a garantire “il riconoscimento
dell’indipendenza e delle rispettive sovranità e il rispetto più
leale dei trattati e degli accordi in vigore e dell’assetto
territoriale derivante“
6
.
Nel Mediterraneo Orientale si successero, in modo piuttosto
ravvicinato, varie crisi. In Turchia, importante interlocutore
della politica mediterranea italiana, vi fu un colpo di stato
militare nel maggio del 1960. Tenue fu a reazione del governo
italiano che, più tardi, espresse riserve sull’ingresso della
Turchia nella Comunità Economica Europea, ma soltanto per
ragioni di concorrenza, riconfermando il suo appoggio di
principio.
L’esigenza di superare lo stato di tensione che gravava sul
Mediterraneo venne sostenuta con l’obiettivo di creare più saldi
6
Ivi, p 180.
10
rapporti tra i paesi dell’area nel comune interesse alla sicurezza
e allo sviluppo economico.
Nel frattempo si acuì lo scontro tra greci e turchi a Cipro, fino
ad indurre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a inviare una
forza di interposizione e controllo: l’Italia auspicò una pacifica e
sollecita soluzione della crisi per ristabilire la pace e la sicurezza
nel Mediterraneo.
Anche la Grecia, paese coinvolto nella crisi cipriota, fu teatro di
un colpo di stato militare che nel 1967 portò all’instaurazione di
un governo autoritario, con gravi ripercussioni sui suoi rapporti
internazionali. L’Italia fu subito ostile al nuovo regime, così
come la Comunità e il Consiglio d’Europa
7
.
Il conflitto vietnamita, nonostante la distanza dello scenario di
guerra, interessò l’Italia sia per l’impegno diretto dell’alleato
americano, sia per l’uso politico” che il Partito Comunista
Italiano ne fece.
Il Parlamento si trovò più volte a discutere dell’argomento e il
governo passò da una iniziale debole adesione all’iniziativa
americana ad una atteggiamento di “comprensione” espresso da
7
Ivi, p 184.
11
Aldo Moro: un atteggiamento che non implicava piena
solidarietà diplomatica e nemmeno approvazione politica ma
che offriva una protezione all’azione della diplomazia italiana
molto attiva tra il 1965 e il 1968 nella ricerca (vana) di una
soluzione negoziale.
Moro giustificò l’intervento americano come un’azione dovuta
alle pressioni nord vietnamite e non all’imperialismo americano
suscitando aspre reazioni da parte dell’opposizione
8
.
Alla fine del 1967 il Consiglio Atlantico, riunito a Bruxelles,
approvò il rapporto sui “futuri compiti dell’Alleanza”, una serie
di enunciazioni sulle funzioni dell’Alleanza Atlantica
pienamente condivise dall’Italia.
Il documento, che ispirerà l’azione dell’Alleanza fino al 1989,
prevedeva il “mantenimento di un adeguato potenziale militare e
di una stretta solidarietà politica per scoraggiare l’aggressione e
altre forme di pressione” e la prosecuzione della “ricerca di un
progresso verso un sistema più stabile di rapporti in cui i
problemi politici fondamentali possano trovare soluzione”. Il
Rapporto riconosceva anche che “crisi e conflitti fuori dall’area
8
Ivi, pp. 193 - 196.
12
atlantica possono pregiudicare la sicurezza” e che i problemi
della difesa delle regioni più esposte avrebbero ricevuto
particolari attenzioni, in special modo il Mediterraneo. La crisi
cecoslovacca del 1968 fece decadere tutte le tentazioni di un
ripensamento dell’Alleanza Atlantica: il Patto Atlantico viene
rinnovato senza sostanziali mutamenti nell’aprile del 1969
9
.
In Cecoslovacchia, all’inizio del 1968, Aleksander Dubcek,
leader dell’ala innovatrice del Partito Comunista, divenne
segretario. Con l’appoggio e la pressione dell’opinione pubblica,
degli intellettuali, degli studenti e degli operai egli intraprese un
“programma d’azione” improntato all’introduzione di elementi
di pluralismo economico e politico e della libertà di espressione.
L’esperimento, saldamente guidato dai comunisti, non mise mai
in dubbio l’appartenenza del paese al Patto di Varsavia, ma creò
egualmente una situazione ritenuta pericolosa per l’Unione
Sovietica e gli stati alleati. La “Primavera di Praga” venne
interrotta dagli eserciti del Patto di Varsavia e i dirigenti più
esposti vennero progressivamente allontanati da tutti gli
incarichi. L’Unione Sovietica ricevette un duro colpo alla sua
9
Ivi, p. 143.
13
immagine e fu apertamente criticata anche dal Partito
Comunista Italiano
10
. Il governo italiano espresse indignazione
per l’accaduto e solidarietà al popolo cecoslovacco, auspicando
l’intervento delle Nazioni Unite e il ripristino della legalità
internazionale
11
.
Un atto importante della diplomazia italiana fu, nel gennaio del
1969, la firma del Trattato di non Proliferazione Nucleare, che
venne ratificato dalle Camere solo sei anni più tardi, a
dimostrazione delle perplessità più o meno palesi presenti nella
classe politica italiana al riguardo
12
.
Il Trattato prevedeva un impegno dei paesi non nucleari a non
fabbricare o acquistare materiali per la produzione di armi
nucleari. Moro mosse delle osservazioni sulla sua struttura,
inerenti l’equilibrio da stabilire, in prospettiva, tra paesi nucleari
e paesi non nucleari; chiedendo ai secondi una volontaria
limitazione, i primi, comprensibilmente, dovevano impegnarsi
ad una seria riduzione degli armamenti e al disarmo. Molti
dubbi venivano sollevati anche in merito alla situazione della
10
A. GIARDINA, G. SABBATUCCI, V. VIDOTTO, L’età Contemporanea, Bari,
Laterza, 1994, p. 780.
11
FERRARIS (a cura di), Manuale della politica estera italiana... cit., p. 119.
12
Ivi, p. 149.
14
Francia che, già dotata di ordigni atomici, non aveva intenzione
di ratificare l’accordo, ponendo l’Italia e la Germania in
condizioni di inferiorità. I negoziati sul disarmo nucleare
proseguirono con gli accordi bilaterali SALT tra USA – URSS,
da cui restarono completamente esclusi gli altri stati membri del
Patto di Varsavia e della NATO
13
.
Nel settembre del 1969 il colonnello Muhammar-el Gheddafi
prese il potere a Tripoli. La Libia rappresentava per l’Italia una
realtà economica imprescindibile: Roma acquistava un terzo del
prodotto libico, un altro terzo transita sul suo territorio. L’Italia
era al primo posto tra i paesi fornitori della Libia da cui
acquisiva ingenti risorse energetiche (gas e greggio).
Nonostante i legami economici tra i due paesi, all’instaurazione
del nuovo regime seguì una politica anti italiana che vide
l’espulsione di gran parte degli italiani presenti sul suolo libico
con il conseguente esproprio dei loro beni. Vennero inoltre
nazionalizzate le compagnie petrolifere straniere, preludio di
una sorta di inedito esperimento di “socialismo islamico”
14
.
13
Ivi, p 150.
14
GIARDINA, SABBATUCCI, VIDOTTO, L’età Contemporanea, .. cit., p. 731.
15
Va rimarcato che l’attenzione dell’Italia verso i paesi in via di
sviluppo dell’area era motivata, oltre che da motivazioni
ideologiche ed assistenziali, da ancor più concrete ragioni
economiche. La necessità di materie prime e di sbocchi per le
esportazioni furono all’origine anche delle risoluzioni favorevoli
a certi paesi del terzo mondo in sede ONU
15
.
15
L. TOSI, Introduzione, in L. TOSI (a cura di), L’Italia e le organizzazioni
internazionali. Diplomazia multilaterale nel novecento. Padova, Cedam, 1999, p. XLII.