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CAPITOLO SECONDO
LA GUERRA DELLE IMMAGINI: “IL CINEMA E’ L’ARMA PIU’FORTE”
1. La politica cinematografica e l’Istituto LUCE
L’interesse del regime per il mezzo cinematografico quale strumento di diffusione
dell’ideologia fascista e di propaganda, sia a livello nazionale sia internazionale, comincia a
strutturarsi un decennio dopo la presa del potere. In effetti, all’inizio degli anni Venti,
l’industria cinematografica nazionale, dopo i fasti del passato, era giunta ad una situazione di
stallo e molti dei migliori artisti del settore erano emigrati all’estero.
Il tipo di intervento attuato dallo Stato fascista nel decennio in questione fu essenzialmente di
natura restrittiva, diretto quindi ad accertare la natura non antifascista degli spettacoli. In
continuità con quanto già attuato precedentemente dal Ministero dell’Interno, in epoca
liberale, nel 1923 Mussolini ampliò i poteri della Commissione per la censura
cinematografica, attribuendo al governo la facoltà di censurare incondizionatamente tutti i
film, sia nazionali, sia d’importazione; la Commissione fu poi sostituita, verso la fine del
decennio, con un organo nuovo, la Commissione per la Revisione Cinematografica,
comprendente al suo interno anche rappresentanti del Pnf, del Ministero dell'Economia
Nazionale, del Ministero delle Corporazioni e di altri Enti statali.
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In questo decennio viene inoltre a crearsi l’organismo che avrebbe successivamente dato i
natali a quello che sarebbe stato il più importante ed innovativo strumento di propaganda del
regime, il Sindacato di istruzione cinematografica, un gruppo privato che si proponeva di
creare film didattici: nel settembre 1924 esso fu trasformato ne L'Unione Cinematografica
Educativa, popolarmente nota come Istituto Luce, trasformato nel 1925
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in un Ente di stato
incaricato di diffondere la cultura popolare e l’istruzione attraverso il mezzo del documentario
cinematografico .
I documentari prodotti dall’Istituto avevano ad oggetto non solo materiale di pura propaganda
politica, ma anche, come già ricordato, documentari finalizzati alla didattica, soprattutto in
37 Cfr. Philip V. Cannistraro, op. cit, pagg. 273-275.
38 R.D. 5 novembre 1925, n. 1985, “Creazione dell’Istituto nazionale per la propaganda e la cultura a mezzo
della cinematografia, denominato L.U.C.E.”, in RU, anno 1925, IX, cit. ibidem, pag. 277.
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ambito agricolo. L’obiettivo era di innalzare il livello di conoscenza delle tecniche produttive
nelle zone tradizionalmente più arretrate, soprattutto il Mezzogiorno, in maniera da spezzare
l’isolamento secolare di quelle terre e fidelizzare le masse al regime. Importanti a questo
proposito furono soprattutto tre realizzazioni di argomento agricolo, girati nel 1925: “La
battaglia del grano”, che descriveva le azioni svolte dal fascismo per accrescere e
modernizzare la produzione granaria italiana, “La foresta fonte di ricchezza”, relativo alla
conservazione del patrimonio forestale e delle bellezze naturali del territorio, e “Vita nuova”,
che propagandava gli sforzi del regime tesi alla modernizzazione della vita rurale italiana.
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L’importanza attribuita dal regime al nuovo Istituto ed ai suoi materiali fu da subito talmente
elevata da far sì che il governo ne facesse l’oggetto di ben quarantacinque decreti: uno di essi
del 1926, stabiliva che gli esercenti delle sale cinematografiche fossero obbligati ad inserire i
film dell'Istituto Luce in ciascuno spettacolo in programmazione, pena la chiusura temporanea
della sala e addirittura la revoca permanente della licenza
40
.
Un personaggio di spicco di questo periodo storico fu certamente Stefano Pittaluga. Dopo il
fallimento dell’Uci, l’“Unione Cinematografica Italiana”, nel 1923, egli, con l’appoggio
finanziario della Banca Commerciale Italiana, ne acquisì le attrezzature e l’anno dopo
acquistò la Cines, fondando lo studio cinematografico più all’avanguardia per quei tempi, il
“Cines-Pittaluga”, produttore del primo grande successo di pubblico del dopoguerra, il film
“La canzone dell’amore”, tratto da un romanzo pirandelliano. Sulla scia dell’operato di
Pittaluga, a difesa e promozione del cinema italiano si levarono le voci di molti rilevanti
esponenti del mondo culturale, tra cui anche quelle di D’Annunzio e Pirandello stesso:
cominciava a farsi impellente il bisogno di una discesa in campo del mondo politico, che
avrebbe dovuto adesso scendere a fianco dell’industria cinematografica attraverso iniziative
concrete anche dal punto di vista del sostegno economico.
Inoltre, era ben conosciuto in Italia il livello a cui era giunta l’arte cinematografica in altri
paesi, prima fra tutti la Russia. Anche D’Annunzio rilevava con sgomento questa capacità
sovietica di maneggiare la pellicola, come si evince da una lettera del 1928 scritta a Mussolini
stesso: “Oggi l’Italia è misera nell’arte muta. E vedo con rammarico quanto sia felice
39 L. De Feo a Mussolini, Rapporto del 10 febbraio 1926, in ACS, SPD (Carteggio ordinario), b. 509/797 /1, f. 2,
<<Istituto L.U.C.E.>>,.cit ibidem, pag.278.
40 R.D. 3 aprile 1926, n° 1000, ristampato in Origine cit., pp 13-15, cit ibidem, pag.277.
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l’ardimento del <<Soviet>> anche in quell’arte. V’è, prodotto di recente in Russia, qualche
film memorabile.”
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.
Anche Alessandro Sardi, presidente dell’Istituto LUCE, aveva mostrato un grande interesse
per la cinematografia sovietica, soprattutto dopo un lungo viaggio in URSS, dove era già stata
realizzata la statalizzazione dell’industria cinematografica. Per non parlare della Germania,
dove Hitler, appena tre giorni dopo la sua nomina a cancelliere, aveva presenziato insieme a
Goebbels, il futuro ministro della cultura popolare e della propaganda, alla prima del film
“Moyenrat” di Ucicky, film fortemente voluto dal partito nazionalsocialista.
La nomina di Galeazzo Ciano a direttore dell’Ufficio Stampa del Capo del Governo fu l’inizio
del nuovo corso nella politica cinematografica del regime. I mutamenti però non furono
immediati; il vero cambiamento di rotta avvenne nel 1933, con la promulgazione di una nuova
legge sulla cinematografia
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, che regolamentava l’intero settore attraverso strumenti precisi,
come ad esempio il protezionismo del film nazionale (le sale cinematografiche avevano
l’obbligo di programmare, nelle città con un numero di abitanti superiore a 50.000, un film
italiano ogni tre stranieri) e interventi di sostegno finanziario alle produzioni considerate di
pregio; a tal scopo veniva posta in essere una speciale Commissione valutatrice a cui spettava
il compito di sottoporre ad esame le pellicole.
I tempi erano adesso maturi per una fattiva incidenza del regime sull’argomento. Galeazzo
Ciano, direttore dell’Ufficio Stampa del Capo del Governo, fu molto attento alla delicata
questione, spronando moltissimo il regime a seguire soprattutto l’esempio tedesco. E difatti,
subito dopo la trasformazione dell’Ufficio stampa in Sottosegretariato, si assistette alla
creazione di quello che sarebbe stato l’organismo decisivo per il settore: in seno al
Sottosegretariato stesso nacque la Direzione Generale per la cinematografia
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, affidata
all’uomo chiave in materia per buona parte del decennio, Luigi Freddi. Freddi fu talmente
tanto decisivo che alcuni autori
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hanno definito il periodo come “l’era Freddi”.
Lo scorcio degli anni Venti e tutto il decennio a seguire videro l’affermarsi di un genere
cinematografico d’evasione noto come “telefoni bianchi”, a tematica effimera e frivola,
completamente avulso dalla vita reale italiana (ricordiamo ad esempio “La segretaria privata”
di Goffredo Alessandrini del 1931 e “Rubacuori” di Guido Brignone, dello stesso anno). Si
41 Cit. in A. Venturini, La politica cinematografica del regime fascista, Carocci, Roma, 2015, pag. 20.
42 R.D.L. 5 Ottobre 1933, n° 1414, cit. ibidem, pag. 27.
43 R.D.L. 18 Settembre 1934, n° 1565 , cit. ibidem pag.35.
44 Cfr. ibidem, pagg.33-46.
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assistette inoltre ad un forte incremento della produzione di film d’avventura e western, sulla
falsariga dei generi americani (“La figlia del corsaro verde”, del 1940, interpretato dall’attrice
livornese Doris Duranti di cui si tratterà in seguito, famosa anche per la sua liaison con il
gerarca Alessandro Pavolini, e “I pirati della Malesia” del 1941) e di argomento storico,
soprattutto riguardante la Roma antica tanto in voga all’inizio del secolo e considerata basilare
per il fascismo (“Nerone” di Alessandro Blasetti è del 1930).
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Per quanto riguarda invece il cinema dichiaratamente di propaganda, il regime non abusò mai
di esso, anche se non mancarono le pellicole “in camicia nera”, dichiaratamente nate con tale
intendimento. Il primo film ad argomento propagandistico fu “Sole” di Blasetti, del 1928, con
per soggetto le bonifiche dell’Agro Pontino e le difficoltà e le resistenze dovute allo scontro
della mentalità innovatrice con quella conservatrice dei contadini. Ne seguirono altri, di cui
alcuni dei più riusciti furono “Camicia nera” di Giovacchino Forzano del 1933 e “Vecchia
guardia” di Alessandro Blasetti del 1935.
.
Luigi Freddi, come detto in precedenza, fu, a detta di molti
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, ritenuto il vero artefice del
rinnovato interesse italiano per l’ottava musa. Egli infatti, dando voce alla necessità del
regime di utilizzare a livello propagandistico il linguaggio cinematografico, fu fautore di una
politica volta ad utilizzare il doppio canale dell’intervento statale e dell’iniziativa privata,
controllando attentamente i finanziamenti, che si rivelarono, ovviamente, il modo più efficace
per tenere sotto controllo la produzione dei film, piegandola alle necessità del regime ed
imbrigliando artisti, registi e sceneggiatori. L’atteggiamento del regime di fronte all’uso
diretto della propaganda fu comunque piuttosto guardingo (l’accoglienza da parte del pubblico
di alcune pellicole apertamente propagandistiche, come “Camicia nera”, non fu entusiastica a
fronte dell’impegno economico e di mezzi profuso), preferendo di gran lunga una propaganda
più discreta, per quanto più che presente, intuendo che la scelta per una produzione troppo
didascalica avrebbe compromesso la fruizione delle opere stesse da parte del pubblico,
risultando poco convincente, noiosa, ed alla fine, quindi, deleteria per l’immagine del
fascismo. Freddi, ma anche il potente e intelligente Bottai, ministro dell’Educazione
Nazionale, erano dell’opinione che il modello da prendere a riferimento fosse molto di più
quello americano, spettacolare ed avvincente, che quello sovietico o anche tedesco, più volti
alla veicolazione dei contenuti propagandistici ma meno efficaci al fine della comunicazione.
45 Cfr. Philip Cannistraro, op. cit, pagg. 285-286.
46 Cfr. A. Venturini, op. cit., pagg. 33-46.
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L’opera di controllo si svolse quindi molto di più attraverso la censura preventiva, che si
rivelò strumento efficace nella repressione a monte di contenuti considerati offensivi o poco
allineati con l’immagine pubblica del regime ed i valori che la accompagnavano.
Dal punto di vista legislativo, decisiva fu la promulgazione della legge 13 giugno 1935, n°
1143, ispirata da Freddi e firmata da Mussolini di concerto con il ministro delle finanze Thaon
di Revel,
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che prevedeva due modalità distinte di finanziamento: la possibilità di richiedere
anticipi per la produzione al sottosegretariato per la Stampa e al Propaganda (in odore di
prossima promozione al rango di Ministero), sulla base di progetti presentati dai produttori
alla Commissione apposita, e la possibilità di richiedere finanziamenti ad un ente bancario
deputato proprio al credito cinematografico, appositamente creato presso la Banca Nazionale
del Lavoro.
Il controllo statale sul cinema, ma anche il riconoscimento di esso come parte integrante e
preponderante della cultura nazionale vennero perseguiti anche attraverso due altri strumenti
di grande rilevanza: la statalizzazione della Mostra del Cinema di Venezia e della Scuola
nazionale di Cinematografia, trasformata in Centro Sperimentale sotto l’egida di Luigi
Chiarini, entrambe avvenute nel 1935, lo stesso anno in cui, sempre per opera di Freddi, venne
fondato l’Enic, “Ente nazionale italiano di cinematografia”, ricavato dall’assorbimento
dell’IRI e destinato alla distribuzione e all’esercizio cinematografico.
Questa fu un’epoca di vera e propria “statalizzazione” dell’industria cinematografica, che vide
l’impegno in prima persona della compagine politica anche nella produzione di film di
indubbia valenza propagandistica ma accolti con entusiasmo anche oltreoceano, come “Casta
Diva” di Carmine Gallone del 1935 e “Aldebaran” di Alessandro Blasetti dello stesso anno.
Ma il più grande impegno del regime si concretizzò nella realizzazione di due veri e propri
kolossal per l’epoca: “Condottieri”, realizzato in coproduzione con la Germania nel 1937,
diretto e interpretato da Luis Trenker, e soprattutto “Scipione l’Africano”, del 1937 anch’esso
a firma di Carmine Gallone, all’indomani dell’impresa etiopica: la spesa per la realizzazione
dei due film raggiunse la cifra astronomica, per l’epoca, di ben 25 milioni di lire. In realtà, il
ritorno economico per i due film, soprattutto per “Scipione”, non fu proporzionale
all’impegno profuso, nonostante i tentativi di distribuzione capillare effettuati dall’Enic,
47 Cfr. ibidem, pag. 43.
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soprattutto a causa dell’eccessiva prolissità del film e della sua eccessiva pesantezza retorica
(in Germania esso uscì solo due anni dopo e in versione ridotta di 700 metri di pellicola)
48,
.
L’accoglienza non adeguata alle aspettative riservata a “Scipione” fu una delle cause principali
del tramonto dell’era Freddi. In realtà, già da tempo si stavano registrando pesanti malumori
nell’ambiente, legati soprattutto all’ingente quantitativo di denaro speso per realizzare film
discutibili dal punto di vista della riuscita artistica ma anche non rappresentativi in maniera
efficace dello spirito fascista. Il cambio di rotta si verificò con la sostituzione al vertice del
Ministero della Stampa e della Propaganda: nel 1937 Galeazzo Ciano lasciò il posto a Dino
Alfieri, fautore di un modo di fare cinema molto diverso da quello di Freddi. Mentre
quest’ultimo riteneva, infatti, che lo Stato dovesse essere presente in ogni processo produttivo,
anche e soprattutto artistico e finanziario, Alfieri riteneva che il “far cinema” dovesse essere
compito degli addetti ai lavori e che al regime fosse invece da demandare soltanto l’opera
censoria e di controllo.
Il 16 giugno del 1938 fu varato il R.D.L. noto come “Legge Alfieri”, che sostanzialmente
superò la legge voluta da Freddi nel 1935, intervenendo soprattutto in ambito di contributi
finanziari, erogati adesso in relazione agli incassi e stabilendo il limite di tre milioni di lire per
le sovvenzioni ai film considerati “di particolare valore artistico”. Alfieri intervenne anche dal
punto di vista “protezionistico”, istituendo un monopolio di Stato per l’acquisto e la
distribuzione di film stranieri che suscitò le ire delle majors americane
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, ma ebbe la
conseguenza di favorire molto la produzione nazionale: i due studi di posa nazionali, gli
stabilimenti “Pisorno” di Tirrenia sorti nel 1933 e la più famosa “Cinecittà” di Roma,
progettata dopo l’incendio, molto probabilmente doloso, subito dalla Cines nel 1935 e
inaugurata nel 1937, lavorarono a pieno regime, producendo anche materiale più affrancato
dal punto di vista politico: sono di questo periodo alcune importanti anticipazioni del
neorealismo, come “Ossessione” di Luchino Visconti o “I bambini ci guardano” di Vittorio
De Sica, entrambi del 1943
50
.
48 Cfr. ibidem, pag.121.
49 Cfr. Antonio Costa, Il cinema italiano, generi, figure, film del passato e del presente, Il Mulino, Bologna, 2013,
pag. 36.
50 Cfr. J.A. Gili, Stato fascista e cinematografia. Repressione e promozione, Bulzoni, Roma, 1981, pag. 147.