9
INTRODUZIONE
La finalità della presente tesi è quella di effettuare un’analisi critica – attraverso
un approccio multidisciplinare – riguardo la natura politica dell’Unione europea (UE)
e l’operato di quest’ultima nel sistema della politica internazionale. In particolare, si è
scelto di circoscrivere l’ambito della ricerca a un settore specifico dell’azione esterna
dell’UE: la politica europea di vicinato (PEV). All’indomani del grande allargamento
del 2004, i policy makers europei ritennero di dover elaborare una politica strategica
rivolta ai paesi orientali appartenenti allo spazio post-sovietico, che da allora divennero
i nuovi “vicini” dell’UE. La PEV fu lanciata nel marzo del 2003 per mezzo della
comunicazione della Commissione europea indirizzata al Consiglio e al Parlamento,
“Wider Europe – Neighbourhood: a new framework for relations with our Eastern and
Southern Neighbours”. Lo scopo intrinseco perseguito da Bruxelles, era quello di
offrire agli Stati vicini l’assistenza finanziaria e l’accesso privilegiato al mercato
interno europeo, in cambio dei quali, ai paesi destinatari fu chiesta l’attuazione di
riforme politiche ed economiche che garantissero la sicurezza regionale delle aree
interessate. Infatti, come si evince dal titolo della comunicazione, la scelta dei decisori
europei fu quella di inquadrare in una cornice unica le relazioni con i paesi orientali e
con quelli collocati nella sponda meridionale del Mediterraneo. Nel giugno del 2004
fu stabilito di includere nella PEV anche i paesi del Caucaso meridionale,
coinvolgendo così un totale di 16 paesi: Algeria, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia,
Egitto, Georgia, Israele, Giordania, Libano, Libia, Moldavia, Marocco, Autorità
palestinese, Siria, Tunisia e Ucraina. Prima di passare in rassegna i contenuti e gli
strumenti sottesi a tale umbrella policy, si considera opportuno tracciare un breve
profilo storico-politico dell’azione esterna europea, limitatamente al percorso che ha
10
condotto alla nascita della politica estera e di sicurezza europea (PESC) e al lancio
della PEV.
Pertanto il primo capitolo è dedicato all’indagine della genesi della politica
estera europea, prima sotto un profilo interno, ovvero con riferimento alla storia
dell’integrazione europea in tale settore; poi, la stessa indagine è orientata allo studio
della proiezione esterna della politica europea, cioè all’esame dell’identità europea
nelle relazioni internazionali ricercata a partire dal secondo dopoguerra in poi. Dopo
il tentativo fallito di costituire una Comunità europea di difesa (CED), quindi della
Comunità politica europea (CPe), il dialogo europeo attorno alla definizione di una
politica estera comune riprese slancio al vertice de L’Aia del 1969. In seno a tale
vertice fu stabilito di costituire un comitato che si occupasse di delineare i caratteri di
un’Europa a una sola voce: il comitato Davignon approvò quindi, nell’ottobre 1970, il
rapporto del Lussemburgo che sancì la nascita ufficiale della Cooperazione politica
europea (CPE). Si trattava di un primo esperimento di coordinamento delle politiche
estere nazionali che non imponeva obblighi in capo agli Stati e che non prevedeva
l’istituzione di organi specifici per la sua conduzione. Inoltre essa non aveva una base
giuridica che la legittimasse. La situazione non cambiò molto con la sua
formalizzazione nel 1986, grazie all’entrata in vigore dell’Atto unico europeo, che
provvide a codificare una cooperazione che prima di allora era stata attuata tramite
prassi informali. A segnare lo spartiacque nell’assetto politico-istituzionale dell’UE, e
a inserire la politica estera tra gli obiettivi comunitari, fu invece l’approvazione del
trattato di Maastricht del 1992. Con l’inserimento del titolo V nel trattato, si iniziò a
parlare finalmente di politica comune, non più di cooperazione. Tuttavia, l’unanimità
richiesta per l’adozione delle decisioni in materia di PESC, nel tempo ha rivelato la
natura intergovernativa - e di fatto declaratoria - di una procedura che rende difficile
l’azione comune degli Stati in tale settore. Ciò suggerisce che il percorso di
integrazione europea abbia fatto maggiori progressi in altri ambiti, in particolare in
quello della politica monetaria, mentre quello della politica estera continua a
dimostrare una certa reticenza da parte degli Stati a cedere ulteriori quote di sovranità.
11
Dopo aver visto gli aspetti storici, il secondo capitolo si propone di rispondere
ad alcune domande relative ai principi che hanno ispirato la costruzione europea e il
comportamento dell’UE verso gli altri attori internazionali. Ci si avvarrà di un
cospicuo numero di contributi della letteratura per capire quale sia la teoria più adatta
per definire l’identità dell’UE e se questa possa essere definita come una potenza
tradizionalmente intesa nello scenario globale. Si analizzeranno le teorie delle
relazioni internazionali e delle varie scuole per comprendere meglio il concetto di
potenza. La nozione di normative power, coniata da Ian Manners, postula che l’UE
eserciti un potere non coercitivo basato sull’esportazione e la diffusione di norme, e
che esso sfugga alle definizioni di “Stato” o di “internazionale”. Da questo assunto si
prenderanno le mosse per definire l’UE quale potenza civile e normativa a contrario:
essa può definirsi tale in quanto non è una potenza militare. Pur prendendo parte a
operazioni militari in molti teatri internazionali, e pur avendo avviato un percorso di
integrazione nel settore della difesa con la PESD (poi PSDC), essa è priva di un
esercito, o meglio di forze armate comuni; si ritiene che quest’ultimo sia un elemento
essenziale per definire potenza militare un attore internazionale.
Nel terzo capitolo si intende fare un breve excursus della PEV; ci si soffermerà
sulla dimensione regionale e sulle due piattaforme istituite in base alle specificità
regionali, ovvero il Partenariato orientale e l’Unione per il Mediterraneo. Entrambi i
progetti hanno rilanciato le relazioni tra l’UE e i suoi Stati membri e i paesi partner,
attraverso una serie di politiche regionali e sub-regionali in diversi ambiti: economia
(con particolare riferimento all’istituzione delle aree di libero scambio), ambiente,
energia, sanità, migrazione, cultura e affari sociali. Si approfondirà, inoltre, la
questione dei rapporti tra l’UE e la Federazione russa alla luce dell’“invasione” di
campo perpetrata dalla prima e percepita come tale dalla seconda, la quale considera i
paesi orientali ancora appartenenti al proprio cono d’ombra. Infine si cercherà di
mettere in evidenza i risultati conseguiti attraverso l’implementazione delle politiche
di Bruxelles e di prestare attenzione agli ultimi sviluppi.
Il quarto e ultimo capitolo della tesi intende tenere conto del riscontro empirico
dell’azione esterna dell’UE. In questo spazio sarà esaminato il ruolo svolto
12
dall’Unione in due specifici paesi appartenenti alla regione orientale e meridionale
(Ucraina e Siria), entrambi colpiti da guerre civili interne, che hanno implicato
conseguenze sul piano internazionale. L’obiettivo finale è quello di constatare il livello
di effettività dei buoni propositi stabiliti dalla PEV confacenti all’identità europea nelle
relazioni internazionali; cioè si vuole capire se fattivamente l’UE sia stata in grado di
sostenere i processi di riforma interni ai paesi destinatari, se abbia influenzato in
qualche modo il cammino di questi paesi verso la democratizzazione e l’apertura dei
mercati, se essa possa ergersi a valido interlocutore delle parti coinvolte per operare in
qualità di mediatore, o eventualmente di “risolutore” dei conflitti, e da ultimo, se tutto
ciò non si scontri con le singole politiche estere nazionali.
13
CAPITOLO I
PROFILO STORICO-POLITICO DELL’AZIONE ESTERNA
EUROPEA
SOMMARIO: 1.1 Considerazioni preliminari. - 1.2 La ricerca di un’identità europea
nelle relazioni internazionali a partire dal secondo dopoguerra. - 1.3 Un primo
esperimento: la cooperazione politica europea. - 1.4 Gli sforzi verso
l’istituzionalizzazione della cooperazione politica: l’Atto unico europeo. - 1.5 Il
pilastro “centrale” dell’Unione europea: la politica estera e di sicurezza comune. - 1.6
La periferia d’Europa al centro della politica di allargamento di Bruxelles. - 1.7 Il
dilemma della sicurezza alla base della politica europea di vicinato. - 1.8
Considerazioni finali.
1.1 Considerazioni preliminari
Le relazioni esterne dell’Unione europea (UE), cioè l’insieme delle attività
compiute da quest’ultima aventi come destinatari gli Stati e gli enti terzi, non nascono
come priorità nel processo di costruzione europea. Nel trattato di Roma, firmato il 25
marzo 1957, esse erano previste nei limiti di quanto funzionale al raggiungimento di
un mercato interno nel quale fossero garantite le quattro libertà fondamentali (libera
circolazione delle merci, delle persone, della prestazione dei servizi e dei capitali) e in
cui vi fosse la libera concorrenza economica. Tali obiettivi richiedevano che l’allora
Comunità economica europea (CEE) sviluppasse anche competenze sul piano esterno,
in particolare in materia di politica commerciale
1
. Invero, per dirla con Bonvicini – il
quale fa propria una dicotomia ampiamente utilizzata nella letteratura della politica
internazionale – sin dalle origini del processo d’integrazione, i decisori europei ebbero
difficoltà ad avviare un cammino cooperativo nel campo della high politics, cioè nei
1
Cfr. introduzione E. Baroncini, S. Cafaro e C.Novi, Le relazioni esterne dell’Unione europea. Torino,
Giappichelli, 2012.
14
settori della politica estera
2
, della sicurezza e della difesa; pertanto, i leader politici e
gli studiosi dell’epoca proposero di orientare gli sforzi nel campo della low politics,
ossia verso un’integrazione di tipo economico piuttosto che politico
3
.
L’oggetto della presente analisi è, dunque, la realtà europea e il suo operato nel
sistema della politica internazionale, con particolare riferimento all’indagine sullo
strumento della politica europea di vicinato (PEV). L’approccio metodologico
attraverso il quale si intende procedere nell’attuazione di tale analisi di carattere
preminentemente politologico, si propone di essere il più possibile multidisciplinare e
rispondente in maniera critica ai quesiti “chi, nei confronti di chi, cosa, come e perché”.
Tuttavia, prima di passare in rassegna i valori, gli obiettivi, gli strumenti, le
procedure e gli attori istituzionali dell’azione esterna dell’UE – intesa come macro-
categoria inglobante la politica estera e di sicurezza comune (PESC), la politica di
allargamento, la PEV, la politica europea di sicurezza e difesa (PESD), la politica di
cooperazione allo sviluppo e la politica ambientale
4
– risulta opportuno tracciare un
profilo storico delle tappe più significative che hanno interessato il dibattito e
l’evoluzione dell’aspetto politico dell’integrazione europea fino alla nascita della
PEV.
1.2 La ricerca di un’identità europea nelle relazioni internazionali a partire dal
secondo dopoguerra
Anche se la data di nascita ufficiale della politica estera e di sicurezza europea
risale al Vertice dei capi di Stato e di governo svoltosi a L’Aia il 1° e il 2 dicembre del
1969, è bene risalire un po’ più in là nel tempo, e cioè agli inizi del processo
2
Per un approfondimento sul concetto di “politica estera europea” si veda il dibattito teorico riassunto
da F. Petiteville, La Politique Internationale de l’Union européenne, Paris, Presses de Science Po, 2006,
pp. 197-209.
3
Cfr. G. Bonvicini, Nascita ed evoluzione della politica estera, di sicurezza e di difesa europea in G.
Bonvicini (a cura di), L’Unione Europea attore di sicurezza regionale e globale, Milano, Franco Angeli,
2010, p. 16. Riguardo la natura prevalentemente economica dell’integrazione, si veda anche F. Mérand,
La politique étrangère et de sécurité de l’Union européenne: histoire, fonctionnement et enjeux in
R.Schwok e F. Mérand, L’Union Européenne et la sécurité internationale. Théories et pratiques,
Louvain-La-Neuve, Bruylant-Academia, 2009 (Publications de l’Institut européen de l’Université de
Genève), pp. 25-40.
4
Cfr. F. Raspadori, La politica estera dell’Unione Europea. Istituzioni e strumenti di pace, Perugia,
Morlacchi, 2007, p. 18.
15
integrativo, per identificare le occasioni politiche che hanno definito un’identità
europea nella politica estera e nel settore della difesa. Nei primi anni ’50 la
ricostruzione economica dell’Europa era stata avviata grazie al sostanziale contributo
degli Stati Uniti con il Piano Marshall, e la sua sicurezza era ormai garantita dal patto
del nord atlantico (NATO), il cui trattato istitutivo fu firmato a Washington il 4 aprile
1949
5
. Tuttavia restava il problema della Germania che costituiva ancora una minaccia
militare (soprattutto per la Francia) e della sua posizione all’interno dei nuovi scenari
che si andavano prefigurando in Europa. La “cortina di ferro”, di cui aveva parlato
Winston Churchill nel celebre discorso del 1946 tenuto all’università di Zurigo,
identificava una frontiera militare e culturale a cavallo della quale, nell’Europa
centrale, si collocava proprio la Germania. Pochissimi anni dopo, nel 1950, lo scoppio
della guerra di Corea diede vita allo spettro dell’espansionismo sovietico e alla
possibilità che esso si estendesse all’intero continente europeo. Per tale ragione, la
questione del contributo della Germania alla difesa comune acquistò una nuova
urgenza, e gli americani premevano molto affinché gli europei vi ponessero rimedio.
È in questo contesto che, su impulso di Jean Monnet (già regista della dichiarazione
Schuman, dalla quale ebbe origine la Comunità economica del carbone e dell’acciaio,
CECA), nacque il progetto noto come “Piano Pléven”
6
finalizzato all’istituzione della
Comunità europea di difesa (CED) che prevedeva anche la partecipazione della
Germania e la collaborazione con le strutture dell’Alleanza atlantica
7
. Il progetto
iniziale di difesa fu poi arricchito dalla proposta italiana sostenuta dal presidente del
consiglio Alcide De Gasperi e dall’esponente federalista Altiero Spinelli di creare la
Comunità politica europea (CPe)
8
, «un’organizzazione europea a struttura federale o
5
Si ricorda che i membri fondatori furono: Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Belgio, Francia, Islanda,
Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi e Portogallo.
6
Il piano Pléven (dal nome dell'allora presidente del Consiglio francese) del 1950 prevedeva la
creazione di un esercito europeo integrato sotto un comando comune. Il piano, oggetto di negoziati tra
gli Stati membri della Comunità europea del carbone e dell'acciaio dal 1950 al 1952, portò alla firma
del trattato che istituiva la CED.
7
Cfr. G. B. Verderame, Gli strumenti della politica estera e di sicurezza comune dalle origini al Trattato
di Lisbona, Circolo studi diplomatici, quaderni di politica internazionale, 7, 16.09.2014 disponibile su
http://www.esteri.it/mae/doc_circoloassociazionicomitati/20141014_quaderni_politica_internazionale
_7.pdf (ultima consultazione 05.03.2017).
8
La Comunità politica europea prevedeva la creazione di un'Assemblea parlamentare bicamerale, un
Consiglio esecutivo europeo, un Consiglio dei ministri e una Corte di giustizia. La Comunità politica
avrebbe avuto ampie competenze e avrebbe dovuto assorbire, a termine, la CECA e la CED.
16
confederale», ovverosia un’autorità politica eletta democraticamente
9
. Tuttavia, il
tentativo di passare dalla sfera economica a quella politica era fallito per il rifiuto
dell’Assemblea francese di ratificare il trattato della CED nell’agosto del 1954
10
,
motivato soprattutto dal timore di un potenziale riarmo tedesco da parte di una nazione
che, a causa dei suoi retaggi sciovinisti di natura trasversale, difficilmente avrebbe
potuto licenziare un progetto sopranazionale. Ma perché proprio i transalpini che
furono i promotori del progetto di difesa comune, e quindi di unione politica, furono
gli stessi a respingerlo a distanza di pochi anni dalla sua approvazione in Parlamento?
Al riguardo, si consideri il fatto che nel 1954 le condizioni di partenza erano
profondamente mutate rispetto all’inizio del decennio: la fine della guerra di Corea e
la morte di Stalin nel 1953 sembravano aver reso meno acuto il problema della difesa
europea, mentre l’attenzione della Francia si era spostata sulla situazione nelle
colonie.
11
Solo con l’istituzione dell’Unione europea occidentale (UEO) fu repentinamente
posto un rimedio diplomatico alla vexata quaestio della sicurezza nel vecchio
continente
12
. Ciononostante, il progetto di costruire una politica estera e di sicurezza
comune non naufragò. Dopo l’istituzione della CEE nel 1958, la questione dello
9
Sulla CED e la Comunità politica si vedano i lavori di S. Filippi, L’esercito europeo: un tentativo
verso la comunità europea di difesa in Informazioni della difesa on line, rivista dello Stato maggiore
della difesa e di D.Preda, De Gasperi, Spinelli e l’art. 38 della CED, ne Il Politico, LIV (1989), n. 4,
pp. 575-595.
10
Cfr. D.Allen e W.Wallace, La cooperazione politica europea: la storia di ieri e di oggi in G.Bonvicini
(a cura di), La politica estera dell’Europa. Autonomia o dipendenza? Pubblicazione Istituto Affari
Internazionali (IAI), Bologna, Il mulino, 1980, pp.33-45.
11
Cfr. G.Verderame, op.cit.
12
Fra settembre e ottobre 1954, infatti, lo stallo prodotto dal naufragio della CED venne superato da
un'iniziativa anglo-francese, avviata dai contatti tra i primi ministri Churchill e Mendès-France ancor
prima del voto dell'assemblea francese del 31 agosto, e proseguita con il coinvolgimento degli ex
partecipanti al progetto CED. A Parigi il 3 ottobre fu sottoscritto l'Atto finale di istituzione dell’UEO
(Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, poi Italia e Germania) che prevedeva la fine
del regime militare in Germania, la trasformazione del Patto di Bruxelles del 1948 in UEO, l'ingresso
della Germania nella NATO, la creazione di una struttura militare unitaria, nonché l'istituzione di un
consiglio dell'UEO. Per un approfondimento si veda L.V. Ferraris (a cura di), Manuale della politica
estera italiana 1947-1993, Roma-Bari, Editori Laterza, 1998.
17
sviluppo di un’unione politica in Europa fu sollevata nuovamente, soprattutto per
mezzo delle sollecitazioni del comitato d’azione
13
per gli Stati uniti d’Europa
14
.
Sempre nel 1958 si insediò all’Eliseo Charles de Gaulle, il quale tentò di
prendere la guida del processo di integrazione europea. L’obiettivo del generale era
quello di restituire alla Francia il prestigio perso in Europa e nel mondo, per lui «la
France ne saurait durer qu’au premier rang». Egli si scagliò contro la solidarietà
atlantica, sotto il pretesto della quale – sosteneva – la Francia era stata sottomessa
all’egemonia anglo-americana. Sebbene la Francia fosse firmataria del trattato del nord
atlantico, secondo de Gaulle a seguito della creazione della NATO, la difesa francese,
e di conseguenza la politica francese, si sarebbero dissolte in un sistema guidato dagli
stranieri. Come si può spiegare l’avversione di de Gaulle all’atlantismo? Tale
atteggiamento fu giustificato dal fatto che la Francia venne considerata marginalmente
dagli americani e dagli inglesi sulle grandi questioni politiche da dirimere durante la
fine del secondo conflitto mondiale. Si ricorda infatti che la Francia non partecipò alla
conferenza di Yalta, né a quella di Potsdam, e che giocò un ruolo di secondo piano
nella costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). De Gaulle si sforzò
di ridare alla Francia il ruolo che le spettava nelle relazioni internazionali, si oppose
alla divisione del mondo in due blocchi ostili guidati da Washington e Mosca, e si
spese in favore di un multilateralismo in cui la Francia potesse avere una parte di
prim’ordine
15
. Per queste ragioni, egli cercò un’intesa con i paesi europei, soprattutto
con la Germania federale, affinché fosse valorizzata la posizione della Francia. Se nel
passato de Gaulle si era opposto all’Europa unita, in quel frangente se ne fece
promotore proprio perché vi vedeva un mezzo per realizzare gli interessi francesi: la
sua idea di Europa unita era quella di una terza forza guidata dalla Francia
16
. Come?
De Gaulle propose alle capitali europee l’idea che i membri della CEE si coordinassero
13
Il Comitato d’azione fu l’organo costituito da Jean Monnet del quale facevano parte i leader dei partiti
politici socialdemocratici, liberali e cristiano–democratici d’Europa e i rappresentanti dei lavoratori
organizzati. Con tale strumento Monnet intese esercitare pressioni sui governi nazionali affinché questi
sostenessero i suoi progetti di rilancio europeo.
14
Cfr. D.Allen e W.Wallace, op.cit.
15
Cfr. R. Yakemtchouk, La politique étrangère de l’Union Européenne, Parigi, L’Harmattan, 2005, pp.
35-36.
16
Cfr. M. Clementi, L’Europa e il mondo. La politica estera, di sicurezza e di difesa europea, Bologna,
il Mulino, 2004, p.51.