Stati Uniti ed Unione Sovietica e tra i loro rispettivi. Si prende inoltre in
esame la situazione interna dell'Italia dopo la fine dell'esperienza dei
governi di solidarietà nazionale, quando iniziarono a cambiare
radicalmente i rapporti di forza all'interno delle compagini governative.
Dopo queste considerazioni introduttive si passa ad
approfondire, nel primo capitolo, i caratteri fondamentali della politica
estera italiana nel Mediterraneo dei primi anni Ottanta. Si analizza, in
particolare, il nuovo attivismo dimostrato dall'Italia non solo nei rapporti
bilaterali con i paesi del bacino, ma anche – e soprattutto – come
interlocutore principale nell'area. Soffermandosi sull'importanza che il
Mediterraneo assunse nell'ambito dell'Alleanza Atlantica in questo
periodo, si dà ampio spazio all'analisi dei processi decisionali e alle
posizioni dei partiti rispetto alla partecipazione italiana alla missione nel
Sinai (1982) e a quelle nel Libano (1982-1984).
Il secondo capitolo prende in esame la presenza italiana nel
Mediterraneo durante la lunga esperienza del governo Craxi
(1983-1987). Ci si sofferma, in special modo, sui rapporti che l'Italia
tenne in questo periodo con l'alleato americano, soprattutto durante la
crisi dell'<<Achille Lauro>>, e su come tali rapporti incisero sulla
stabilità della compagine governativa. Particolare attenzione, inoltre, è
dedicata alla natura dei rapporti bilaterali che l'Italia coltivò con i paesi
mediterranei, specie con la Libia, e con l'Organizzazione per la
Liberazione della Palestina.
Infine, nel terzo capitolo si indaga sull'ultima fase del periodo
preso in analisi, focalizzando l'attenzione sul mutamento intercorso
nelle relazioni internazionali dopo l'arrivo al Cremlino di Michail
Gorbačëv e su come la nuova distensione tra le due superpotenze
coinvolse anche l'area mediterranea e, quindi, la politica estera italiana
nel bacino. In riferimento a tali cambiamenti, si analizzano le nuove
iniziative italiane nel Mediterraneo volte, in particolare, ad un maggiore
4
coinvolgimento dei partners europei. Infine, si prende in esame la
partecipazione italiana alle operazioni nel Golfo Persico (1987) e a
Desert Storm (1990-1991).
La ricerca è stata svolta consultando soprattutto le principali
riviste italiane specializzate, Politica Internazionale (Ipalmo), Relazioni
Internazionali (Ispi), La comunità internazionale (Sioi), e le
pubblicazioni dell'Istituto Affari Internazionali, i Documenti interni e gli
Annuari pubblicati annualmente dall'istituto. Per l'analisi delle posizioni
dei partiti in merito alle varie questioni prese in esame sono stati
consultati gli Atti Parlamentari e i principali quotidiani italiani,
privilegiando in particolare gli organi di partito – Il Popolo, Avanti!, La
Voce repubblicana, L'Unità. Infine, si è fatto ampiamente ricorso alla
bibliografia critica sulla politica estera italiana negli anni Ottanta.
5
INTRODUZIONE
1. Quale Mediterraneo?
Per poter esplorare nel dettaglio i caratteri della politica estera
italiana nel Mediterraneo nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso,
è opportuno, in via preliminare, definire su quale area geografica si
soffermerà il presente studio.
Tra i molteplici significati attribuibili al termine Mediterraneo si è
optato per un’accezione “estesa”2. Saranno dunque presi in esame in
questo lavoro anche stati non rivieraschi ma coinvolti più o meno
direttamente nel bacino mediterraneo.
Cosi, ad esempio, il Portogallo, pur non affacciandosi su questo
mare, è sicuramente ricompreso in tale area, visto il legame
imprescindibile di tutta la penisola iberica con il bacino.
Allo stesso modo, la Giordania non ha alcuno sbocco al mare,
ma è comunque legata al Mediterraneo in quanto paese parte di una
regione geografica e politica che dalla fine del secondo conflitto
mondiale è una delle zone che più hanno interessato le azioni politiche
– e militari – dei paesi del bacino.
Per Mediterraneo esteso, o allargato, si intendono anche aree
geograficamente lontane – o molto lontane - e tuttavia politicamente
2
Per una interpretazione analoga cfr. M. CREMASCO, G. LUCIANI, La politica estera e di
sicurezza dell’Italia e la dimensione mediterranea, in L’Italia e il nuovo contesto
internazionale: un profilo emergente di politica estera, Roma, Istituto Affari Internazionali,
1984, pp.1-13.
6
molto più vicine di quanto possa suggerire una carta geografica. È
dunque necessario, per comprendere la storia più recente di questo
mare, “coinvolgere” anche paesi europei come il Regno Unito o la
Germania che, seppur molto lontani dall’area in questione, vi hanno
rivolto la loro attenzione quantomeno per due ordini di ragioni principali.
In primo luogo, l’instabilità, che dalla seconda metà del secolo
scorso ha interessato le coste orientali e meridionali del Mediterraneo,
ha assunto caratteri potenzialmente dannosi – politicamente ed
economicamente – per tutta l’Europa; infatti se si pensa, in particolare,
a quanto il vecchio continente fosse dipendente – e quanto lo sia
tuttora – dai paesi mediorientali in campo energetico, si comprende
quanto tale bacino risultasse strategicamente fondamentale. In
secondo luogo, i paesi continentali e settentrionali dell’Europa si sono
sempre più interessati al Mediterraneo in funzione dell’integrazione
europea: tale processo, infatti, si è legato soprattutto negli ultimi due
decenni ad una accresciuta importanza del Mare Nostrum sia a livello
interno – con l’ingresso di nuovi stati membri rivieraschi3 – sia nei
rapporti della Comunità con stati non europei.
Parimenti, appare evidente come negli ultimi decenni il
Mediterraneo si sia “allargato” anche all’area mediorientale,
estendendosi fino alla regione della Mesopotamia e del Golfo Persico.
Questo è sicuramente vero se si considerano le grandi esportazioni di
petrolio e gas che da queste regioni sono partite verso l’Europa,
interessando direttamente il bacino. Ma altrettanto importanti sono i
legami politici con questa area, considerata strategicamente
fondamentale per la soluzione dell’annoso conflitto arabo-israeliano.
Da quanto brevemente esposto si evince, dunque, quanto sia
fondamentale dare una interpretazione ampia del Mediterraneo,
3
Nel corso degli anni Ottanta il baricentro dell’Unione si è decisamente spostato verso
sud, con l’ingresso nelle Comunità di Grecia (1981), Spagna e Portogallo (1986).
7
soprattutto se ci si sofferma sui decenni più recenti, in cui quest’area è
divenuta fondamentale – ancor prima che per l’Italia – per l’Europa,
l’Occidente e l’intera comunità internazionale.
2. Il mutato contesto internazionale della fine degli anni Settanta.
Il clima di distensione nei rapporti tra Stati Uniti e Unione
Sovietica che aveva caratterizzato gli anni Settanta ed era stato
suggellato dagli accordi Salt I e Salt II, lasciò il posto, alla fine del
decennio, ad un riacutizzarsi dello scontro tra le due superpotenze.
L’inasprimento nelle relazioni tra i due paesi – e, quindi, tra i due
rispettivi blocchi – iniziò a manifestarsi nel momento in cui
aumentarono i sospetti, da parte americana, che l’Unione Sovietica
potesse trarre vantaggio da una debolezza che gli Stati Uniti
mostravano nel teatro internazionale4. In effetti, Mosca negli anni
Settanta aveva accresciuto la propria presenza e influenza soprattutto
aiutando e attirando a sé molti paesi del Terzo Mondo5. Tale situazione
si manifestò in modo evidente in seno all’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite, dove si andò sempre più delineando una coalizione di
paesi terzomondisti e di nuova indipendenza fortemente connotata da
4
A partire dalla crisi del Watergate gli Stati Uniti furono protagonisti, in politica estera,
di una serie di fallimenti – come nel Corno d’Africa – e azioni ambigue – ad esempio
l’appoggio a Pinochet in Cile – che non contribuirono positivamente all’immagine che
la superpotenza voleva dare di sé. Cfr. A. VARSORI, L’Italia nelle relazioni internazionali
dal 1943 al 1992, Roma-Bari, Laterza, 1998, pp. 201-202.
5
Molteplici sono gli esempi di stati che, in seguito a fasi rivoluzionarie interne, si
schierano accanto all’Unione Sovietica o, comunque, in opposizione agli Usa: in Asia
lo Yemen del Sud e l’Afghanistan, in Africa l’Angola e il Mozambico, in America Latina
il Nicaragua e El Salvador e, in Europa, il Portogallo. Cfr. G. FORMIGONI, Storia della
politica internazionale nell’età contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 477-488.
8
posizioni antiamericane e anti israeliane6.
Ma la vicenda che più acuì le tensioni tra gli Stati Uniti e l’Unione
Sovietica fu l’intervento di Mosca in Afghanistan: il 24 dicembre 1979, le
truppe sovietiche entravano nel paese, favorendo il rovesciamento del
presidente Amin e la sua sostituzione con Babrak Karmal, in aperto
contrasto agli Stati Uniti, che appoggiavano già da mesi i mujaheddin in
lotta contro il Partito Democratico Popolare al potere. La mossa di
Mosca fu peraltro interpretata in Occidente come una ulteriore
dimostrazione delle mire espansionistiche sovietiche nel Medio Oriente
e del conseguente indebolimento statunitense nell’area7.
Già nei mesi precedenti in Iran la deposizione dello shah Reza
Pahlavi e l’ascesa al potere dell’ayatollah Khomeini avevano
rappresentato per gli Stati Uniti la perdita di un alleato importante in
un’area fondamentale come quella del Golfo Persico, mentre la
drammatica vicenda degli ostaggi americani nell’ambasciata
statunitense a Teheran e il fallito intervento militare per liberarli aveva
contribuito a peggiorare l’immagine internazionale dell’amministrazione
Carter8.
A tutto ciò si aggiunse la prova di forza messa in atto dai sovietici
a partire dal 1976, con lo schieramento, sui territori europei del Patto di
Varsavia, dei nuovi missili SS-209, puntati verso le principali capitali
europee dell’Alleanza Atlantica.
La risposta statunitense, e della Nato, all’installazione dei vettori
6
Cfr. A. POLSI, Storia dell’Onu, Roma-Bari, Laterza, 2006, cap. VI.
7
Vd. FORMIGONI, Storia della politica…, cit., p. 492.
8
Cfr. VARSORI, L’Italia nelle relazioni…, cit., pp. 201-202.
9
Il missile balistico di raggio intermedio (IRBM) SS-20, evoluzione dei precedenti SS-4 e
SS-5, aveva, rispetto ai suoi predecessori caratteristiche molto più avanzate: oltre ad
avere velocità e gittata molto più ampie, l’SS-20 era armato a testate multiple. Alla fine
del 1986 erano 441 le piattaforme di lancio schierate dall’Unione Sovietica in Europa
orientale. Cfr. L. NUTI, La sfida nucleare. La politica estera italiana e le armi atomiche.
1945-1991, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 348.
9
sovietici non si fece attendere e alla fine del 1979 si approvò in sede
atlantica la doppia decisione di dispiegare in Europa occidentale una
nuova generazione di missili di raggio intermedio10 e, al tempo stesso,
di trattare con l’Unione Sovietica per raggiungere un accordo in materia
di riduzione degli armamenti nucleari di teatro11.
Il presidente Carter, inoltre, decise di boicottare le Olimpiadi di Mosca
del 1980 e di sospendere la ratifica degli accordi Salt II del 197912. Ma
fu con il nuovo presidente Ronald Reagan, salito al potere nel 1980,
che la politica di contrasto all’Unione Sovietica – dallo stesso Reagan
ribattezzata come evil empire – si fece più forte. Gli Stati Uniti si
impegnarono maggiormente nei paesi del terzo mondo ad appoggiare e
finanziare le forze politiche e civili che si opponevano ai regimi marxisti,
o comunque vicini all’Urss. Oltre all’appoggio, già ricordato, ai
mujaheddin afghani, fu forte, ad esempio, il supporto americano ai
Contras del Nicaragua. Anche in Europa, peraltro, gli Stati Uniti diedero
sostegno ai movimenti di opposizione che iniziavano a manifestarsi
nell’area del Patto di Varsavia (ad esempio in Polonia). Intesero poi
riaffermare il proprio ruolo nel Medio Oriente, dove i regimi islamici
fondamentalisti rischiavano di trovare nell’Unione Sovietica un
interlocutore sempre più amico e ciò implicò che il contrasto Usa-Urss
nell’area si confondesse spesso con il conflitto arabo-israeliano.
Sotto il profilo strategico-militare, Reagan non solo confermò la
scelta degli euromissili, ma promosse una forte politica di riarmo, fino
ad enunciare nel 1983 il progetto di Strategic Defense Initiative (Sdi)13.
10
I Long-rage theater nuclear forces (LRTNF), comunemente noti come “euromissili”.
11
Per una accurata analisi delle vicende dello spiegamento degli euromissili cfr. NUTI,
La sfida…, cit., cap. VIII.
12
Cfr. M. A. JONES, Storia degli Stati Uniti. Dalle prime colonie inglesi ai giorni nostri,
Milano, Bompiani, 1994, p. 519.
13
La Sdi, nota anche come “scudo spaziale”, mirava, attraverso sistemi d’arma – posti
sulla Terra e nello spazio – a proteggere gli Stati Uniti da attacchi di missili con testate
10
Se gli Stati Uniti univano questa reazione al nemico sovietico ad
un generale messaggio ottimistico riguardo alle sorti future dell’America
e del capitalismo, l’Urss appariva decisamente meno capace di dare
una immagine positiva e efficiente di sé: l’inizio degli anni Ottanta
aveva visto la successione al potere di leader anziani rimasti al
Cremlino per poco tempo – Leonid Brežnev, Jurij Andropov, Konstantin
Černenko – che si adoperarono per rispondere con decisione alla sfida
del riarmo lanciata da Reagan. A tale reazione si aggiunsero politiche
interne centralistiche e repressive, che contribuirono a dare alla
Comunità internazionale una percezione dell’Unione Sovietica ancor
più negativa14.
Il dialogo tra le due potenze rimase bloccato per tutta la prima
metà degli anni Ottanta15 e solo con l’avvento di Michail Gorbačëv e il
secondo mandato di Reagan si avviò una nuova politica di
collaborazione e distensione che sarebbe poi terminata,
inaspettatamente, con il collasso sovietico.
3. L'Italia dopo il 1979.
Anche per l’Italia la fine degli anni Settanta rappresentò un punto
di svolta rispetto al decennio che andava concludendosi; in particolare,
il 1979 fu l’anno che sancì l’uscita da una crisi che aveva investito tanto
nucleari. Cfr. M. MCCAULEY, Russia, America & the Cold War. 1949-1991, London,
Longman, 1998, pp. 61-62.
14
Cfr. N. WERTH, Storia dell’Unione Sovietica. Dall’impero russo alla Comunità degli
Stati Indipendenti. 1900-1991, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 578-580.
15
A complicare ulteriormente la situazione intervenne, nel 1983, l’abbattimento, ad
opera di un caccia sovietico, di un Jumbo civile sudcoreano che aveva sconfinato nel
territorio dell’Urss. Fu dopo tale evento, in conseguenza del quale morirono centinaia
di persone, che Reagan definì l’Urss come “impero del male”. Cfr. G. MAMMARELLA,
L’America di Reagan, Roma-Bari, Laterza, 1988, pp. 94-95.
11
l’ambito sociale quanto quello economico, tanto la politica interna
quanto le proiezioni in campo internazionale16.
Per tutti gli anni Settanta l’economia aveva stentato a uscire da
una situazione di stagnazione, dovuta in parte alla crisi petrolifera del
1973, ma ulteriormente peggiorata a causa di una forte conflittualità tra
le categorie produttive, soprattutto all’interno di grandi aziende, come la
Fiat.
La crisi economica si rifletteva anche nella società, dove la
sfiducia verso una classe politica considerata mediocre e sempre più
spesso coinvolta in scandali e episodi di corruzione si univa alla
diffusione di movimenti che contestavano i modelli di vita occidentale e
capitalistici. In tale contesto, si svilupparono forme di radicalismo
politico di destra e di sinistra che, lungi dall’operare in un contesto di
normale e civile competizione politica, si impegnavano in atti criminosi
a carattere eversivo dalle istituzioni democratiche, fino a sfociare nel
terrorismo17.
In questo quadro la classe politica appariva sempre più
disorientata e incapace di rispondere con decisione e autorevolezza
tanto alla crisi internazionale quanto alle divisioni che laceravano il
paese: la Democrazia Cristiana, ininterrottamente al governo da
decenni, era sicuramente la forza politica più coinvolta in questo stallo
decisionale e la più implicata in episodi di clientelismo e corruzione; il
Pci, principale forza di opposizione, conquistava in questo contesto
sempre più consensi e arrivava, nel marzo 1978, a far parte di un
governo di solidarietà nazionale guidato da Giulio Andreotti18.
Ma proprio il giorno della nascita del nuovo governo le Brigate
16
G. MAMMARELLA, P. CACACE, La politica estera dell’Italia. Dallo Stato unitario ai giorni
nostri, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 231.
17
Cfr. D.M. SMITH, Storia d’Italia dal 1861 al 1997, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp.
609-611.
18
Ivi, p. 617.
12