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Introduzione
Questa tesi si propone di analizzare, sotto l’aspetto politico, storico e
diplomatico, la politica estera attuata dall’Italia durante gli anni Ottanta del
XX secolo, che per il paese furono tra i più difficili e delicati dal periodo
del secondo dopoguerra. In uno scenario in cui non si era ancora chiusa la
drammatica lotta al terrorismo e anzi, avrebbe avuto luogo a giorni la
tragedia dell’attentato alla stazione di Bologna, i primi anni Ottanta
rappresentarono, dal punto di vista internazionale, il proseguimento del
clima di Guerra Fredda che sembrò apparentemente aggravarsi dopo
l’insediamento alla presidenza americana di Ronald Reagan. Allo stesso
tempo, le tensioni e le decennali violenze in Medio Oriente, provocarono
grosse difficoltà alle economie dei paesi più industrializzati, i quali
rivelarono ancora una volta la loro dipendenza dalle fonti di energia dei
paesi produttori del petrolio. L’Urss del dopo Breznev stava per inaugurare
una politica nuova, caratterizzata dall’apertura ai paesi occidentali e
dall’allentamento della natura autoritaria del suo governo, che nel giro di
pochi anni avrebbero condotto il paese alle riforme di Gorbacev e alla
successiva implosione del comunismo sovietico.
Come si comportò l’Italia durante quegli anni, importantissimi per la
storia del mondo e per le relazioni diplomatiche internazionali, che
modificarono gli equilibri economici e politici su scala globale? Quale fu
l’approccio della politica estera italiana rispetto alle grandi trasformazioni
ideologiche che ebbero luogo ovunque, e principalmente in Europa?
Rispondendo in maniera appropriata e facendo fedelmente riferimento a
dati reali e a fatti storiografici documentati, la tesi si occuperà in questo
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senso di rivisitare gli avvenimenti più importanti che durante gli anni
Ottanta videro l’Italia protagonista ed impegnata a livello diplomatico.
La ricerca inoltre concentrerà l’attenzione sul ruolo che svolse il
paese quando si adoperò per dare nuova linfa al processo di unificazione
del mercato economico continentale. Saranno evidenziate le politiche dei
governi che in quegli anni si alternarono a Palazzo Chigi relativamente ai
rapporti con i blocchi e a fronte delle controversie generate dall’ultima
corsa agli armamenti nucleari, prima della fine del bipolarismo. E’
comunque necessario fare in questa parte introduttiva, alcune premesse ed
operare le dovute riflessioni sui singoli fatti politici e di cronaca
internazionale che condizionarono la storia di questo periodo.
Innanzitutto va ricordato che a cavallo tra la fine degli anni Settanta
e l’inizio degli anni Ottanta, dopo essere stata condizionata in politica
interna per diverso tempo dal ruolo rilevante svolto dal Pci, l’Italia tornò ad
essere un membro politicamente attivo rispetto ai rapporti con gli alleati
della NATO. L’alleanza pentapartitica tra socialisti, repubblicani, liberali,
democristiani e socialdemocratici determinò un approccio diverso in merito
alle relazioni con l’alleato storico statunitense. Proprio le divergenze tra la
Dc e gli altri partiti di governo, che pur non impedirono la conferma della
fedeltà al Patto Atlantico, stimolarono la volontà di dare maggior peso,
soprattutto da parte dei socialisti, alle relazioni con i partner europei,
relativamente al progetto UE.
La situazione internazionale più delicata rimaneva comunque quella
in Medio Oriente, rispetto alla quale la diplomazia italiana stava per
prendere alcune decisioni nuove e ed era intenzionata a compiere la prima
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vera missione militare nella regione. La spedizione dei militari italiani
dell’agosto 1982, non concordata in sede ONU, ebbe il compito di
affiancare quelli americani e quelli francesi allo scopo di proteggere la
ritirata delle truppe di Arafat che erano state accerchiate in Libano
dall’esercito israeliano. Pur mettendo in conto le polemiche che avrebbe
suscitato questa decisione, l’esecutivo Spadolini e il Ministro degli Esteri
Colombo difesero la scelta perché vincolata a rafforzare la posizione di
Roma in seno alla Nato e alla Comunità Europea. In politica estera questo
nuovo ruolo assunto dall’Italia rappresentò l’inizio di una fase molto
delicata perché, oltre alla volontà di garantire autonomamente il ritorno ad
una situazione di pace nell’area mediorientale, aveva anche l’obiettivo di
stabilire rapporti più saldi con quei paesi che da mezzo secolo si trovavano
in conflitto con Israele.
Così mentre Willy Brandt “apriva” ai paesi del sempre più flebile
Patto di Varsavia, inaugurando quella Ostpolitik che intendeva stemperare i
rapporti con l’est comunista, l’Italia intensificò i rapporti con i palestinesi
non nascondendo, per mezzo del governo Craxi, maggiori prerogative a
difesa dei diritti delle popolazioni arabe sottoposte ad una sorta di
occupazione militare da parte di Israele. Fu in questo clima che nel 1985 si
aprì la crisi diplomatica provocata dal dirottamento della nave italiana
Achille Lauro, in crociera nel Mediterraneo, ad opera di un commando di
palestinesi. Questi, una volta diretti verso El Cairo per consegnarsi alle
autorità egiziane dopo una difficile trattativa di mediazione con l’Olp,
vennero costretti da alcuni caccia americani ad atterrare con l’aereo presso
la base siciliana di Sigonella. Craxi rivendicò immediatamente la
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giurisdizione territoriale italiana ed impedì ai militari statunitensi di
prendere in consegna i terroristi. Questo argomento verrà trattato in
maniera più approfondita nei successivi capitoli.
Un’altra questione di prioritaria importanza per l’Italia, era
rappresentata dalla modalità con la quale venivano regolati i rapporti con i
partner della Nato riguardo alla disponibilità di schierare testate
missilistiche nei territori della penisola. Come era avvenuto nel 1981,
quando l’esecutivo guidato da Spadolini acconsentì all’allestimento degli
euromissili in Sicilia, anche Craxi si impegnò con l’amministrazione
americana affinchè l’Italia permettesse l’installazione dei missili Cruise
presso le proprie basi militari. Reagan era un conservatore e le sue richieste
erano pressanti, ma Palazzo Chigi e la Farnesina non misero mai a rischio i
rapporti con la Casa Bianca nonostante a più riprese Mosca avesse
minacciato la revisione delle relazioni italo - sovietiche.
Tuttavia l’avvento di Gorbacev al Cremlino contribuì notevolmente a
stemperare il clima di tensione con i membri della Nato, al punto che nel
giro di pochi mesi vennero ridotte le spese militari sovietiche del 20%. E
così riprendeva il dialogo tra le due superpotenze con nuove modalità, e
soprattutto con la volontà di proporre nuovi e migliori accordi sulla
limitazione degli armamenti nucleari.
Contemporaneamente, con il notevole contributo diplomatico
italiano, andava sempre più prendendo consistenza il progetto del Trattato
UE, istituzione che nel giro di pochi anni si sarebbe sovrapposta a quelle
già esistenti, ovvero la CECA, l’EURATOM e la CEE. In questo senso, il
ruolo attivo svolto dalla diplomazia italiana voleva ribadire l’appartenenza
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identitaria relativa a quella di un paese occidentale e pienamente inserita
nei meccanismi politici europei ed extraeuropei. Indubbiamente, la
progressiva fine del bipolarismo ed il miglioramento dei rapporti tra Usa ed
Urss, posero alcuni paesi, tra cui l’Italia stessa, in una posizione di secondo
piano rispetto alle nuove priorità diplomatiche internazionali.
Gli anni Ottanta rivelarono altresì alcuni limiti di accettazione e
adeguamento agli standard di un moderno paese europeo; le difficoltà
manifestate nella ricezione delle direttive decretate da Bruxelles in ambito
comunitario, posero l’Italia di fronte ai propri limiti in materia di economia
e di welfare. L’incapacità di adeguarsi a nuove norme e a nuove politiche
sociali ed amministrative, dovuta principalmente a motivi di stagnazione
imprenditoriale, scaturivano indubbiamente dal mancato rinnovamento
della vecchia classe politica italiana e dai fallimenti in politica interna del
pentapartito. Infatti, i troppi limiti burocratici imposti alle imprese e alle
aziende del paese, unitamente all’arretratezza del Sud della penisola,
impedirono uno sviluppo economico e una competitività all’altezza di altre
nazioni europee (vedi la Germania).
Se la CEE negli anni Ottanta andò progressivamente aumentando per
numero di adesioni, lo stesso non accadde in materia di modernizzazione
dei mercati; e proprio la tendenza di alcuni governi, compreso quello
italiano, a focalizzare l’attenzione sulle questioni di politica interna, impedì
una migliore cooperazione a livello comunitario ed internazionale. Sin
dagli anni successivi al secondo dopoguerra, gli italiani considerarono
l’Europa unita come una sorta di soggetto potenzialmente in grado di
risolvere alcune carenze strutturali ed economiche (l’Italia, dopo aver perso
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la guerra, fece sforzi enormi per la ricostruzione), ma dovettero fare i conti
con i conflitti interni tra partiti e con le gravi tensioni sociali che avevano
caratterizzato la scena politica degli ultimi decenni.
Dunque già dagli anni Cinquanta, la posizione del paese fu
condizionata ed effettivamente subordinata alle scelte di Francia e
Germania e all’individualismo britannico. Rispetto ai progetti e alle
riforme in senso federalista dei trattati internazionali e comunitari, le
proposte dei governi italiani che negli anni si susseguirono alla guida del
paese, non incisero in maniera decisiva. Sicuramente le politiche
conservatrici di alcuni primi ministri, come la Thatcher o Mitterrand,
ostacolarono la volontà dell’Italia di ampliare i poteri del Parlamento
Europeo in modo di rendere ogni decisione e cooperazione maggiormente
concertate tra i paesi membri. Per alleggerire le barriere corporative
nazionali e adeguare i canoni legislativi ed economici a quelli comunitari,
dovette passare tuttavia ancora molto tempo: solo nel 1986, con l’Atto
Unico e l’assenso decisivo di Francia e Germania, venne stilato il
programma decennale di riforme che avrebbe sancito l’entrata in vigore del
Mercato Unico Europeo. L’iniziativa e la mediazione con Kohl e
Mitterrand del Presidente della Commissione Europea Jacques Delors,
rilanciò le ambizioni europeiste che per decenni avevano impedito la libera
circolazione delle persone, delle merci e dei capitali. Indubbiamente, anche
il cambiamento dei rapporti tra Est ed Ovest giocò un ruolo decisivo
affinchè le riforme venissero approvate, e la caduta del Muro di Berlino del
1989 non fece altro che velocizzare ulteriormente il processo di
integrazione comunitaria.
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A tal proposito va ricordato che gli esecutivi italiani degli anni
Ottanta, al contrario della diffidenza che manifestarono Londra e Berlino
nei confronti dei primi cambiamenti avvenuti in Urss, mostrarono maggior
fiducia verso Gorbacev riponendo la speranza che anche nei paesi europei
del Patto di Varsavia potessero avvenire quelle riforme tanto auspicate dai
socialdemocratici. Rispetto alle crisi cecoslovacche e polacche, Craxi
espresse reiteratamente la disponibilità da parte dell’Italia, a mediare
affinchè venissero rispettati i diritti delle popolazioni dell’Est che stavano
vivendo una situazione di sofferenza umana e sociale.
Questa politica rientrava nella volontà, manifestata anche dal
Ministro degli esteri Giulio Andreotti, di attribuire all’Italia Mediterranea
un ruolo fondamentale nella Comunità pur mantenendo con gli Usa un
rapporto privilegiato riponendo negli stessi americani e nella Nato la
fiducia incondizionata a che continuassero ad esser uno stabile punto di
riferimento. La classe dirigente italiana tentava di recuperare quel terreno
perso durante gli anni Settanta, quando la lotta al terrorismo, i problemi
delle classi sociali e la mancanza di stabilità politica ne avevano minato il
prestigio e suscitato, agli occhi del mondo, una sensazione di fragilità e
inconsistenza governativa. Anche la nuova linea in politica estera si
collocava in questo progetto, con il tentativo di dare nuovi input alle
relazioni intereuropee e mediterranee, non esclusa la dimostrazione di
efficienza militare. Le operazioni in area mediorientale dal 1980 al 1985
costituivano, come detto, un’ assoluta novità visto che precedentemente
l’Italia aveva appoggiato solo missioni multinazionali di peacekeeping.
Allo stesso modo, di estrema importanza era stata la decisione di consentire