3
processo di integrazione europea e si sono manifestate sin dall’inizio della sua
ascesa al potere.
Lo studio degli elementi di novità e di continuità che hanno caratterizzato
rispetto al passato la politica estera dell’Italia del secondo governo Berlusconi
sono stati l’oggetto della ricerca della prima parte della tesi, con particolare
riguardo al rapporto con gli Stati Uniti e gli altri Paesi europei, soprattutto la
Francia. Le fonti sono state principalmente articoli comparsi all’interno di riviste
e pubblicazioni dedicate allo studio delle relazioni internazionali, oltre che studi
specializzati di settore.
La seconda parte della tesi si sofferma sul punto di vista francese che,
ponendosi in ambito internazionale come antitetico a quello italiano, pur nel
mantenimento del quadro delle alleanze europee e transatlantiche, meglio
consente di analizzare, con l’approfondimento di una opposizione critica così
forte, la politica estera stessa del secondo governo Berlusconi. L’esame di questo
punto di vista è stato attuato attraverso lo studio comparato dei maggiori
quotidiani francesi che si occupano di questioni internazionali; essi sono, in un
accorto bilanciamento delle aree politiche di maggior interesse, Le Monde, Le
Figaro, Libération e Les Échos.
4
LA POLITICA ESTERA DEL
SECONDO GOVERNO BERLUSCONI
LA POLITICA ESTERA ITALIANA DEGLI ANNI ’90 E LA NASCITA
DEL SECONDO GOVERNO BERLUSCONI
Al fine di esaminare correttamente la politica estera del secondo governo
Berlusconi, essa deve essere inserita nel quadro della politica estera sviluppata
dall’Italia successivamente alla conclusione della Guerra Fredda. Al termine della
quale l’Italia ha cominciato a sviluppare una politica estera e di sicurezza più
attiva, apertamente concepita in termini di perseguimento degli interessi
nazionali, più articolata rispetto al passato. La politica estera italiana durante la
Guerra Fredda fu infatti costretta nella sua azione all’interno di alcune linee
direttrici già stabilite dal contesto geopolitico mondiale. Secondo la visione di
alcuni autori essa fu “poco più che un formale, periodico rinnovo delle
dichiarazioni degli impegni della nazione verso l’Alleanza Atlantica ed il
processo di integrazione europea”
1
. Questa visione è certamente riduttiva del
ruolo svolto dalla classe politica e dalla diplomazia italiane dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale al crollo del muro di Berlino. Tuttavia è evidente come
la contrapposizione tra est ed ovest e la sconfitta subita nella Seconda Guerra
Mondiale concedessero all’Italia uno spazio di manovra limitato.
1
Osvaldo Croci, “The Second Berlusconi Governement and Italian Foreign Policy”, in The
International Spectator n. 2 (2002), pag. 90
5
In un mondo non più bipolare, la posizione del governo italiano diviene
coerente con la necessità di salvaguardare gli interessi nazionali individuati con
criteri di priorità profondamente mutati rispetto al periodo della Guerra Fredda.
Conclusa la contrapposizione Est-Ovest che aveva determinato lo scenario
politico internazionale, si manifestano problemi ed emergenze nuove, anche di
carattere locale, rispetto alle quali ciascun Paese rivela percezioni e sensibilità
proprie, strettamente connesse agli interessi vitali specifici da tutelare ed alle
modalità scelte, o rese necessarie, per farlo.
È in questo contesto che la classe dirigente politica italiana, a partire dal
1990, ha cominciato ad assumere un ruolo più attivo nelle organizzazioni
internazionali di cui il Paese era ed è membro, primariamente le Nazioni Unite,
l’Unione Europea e la Nato. L’Italia ha così appoggiato con convinzione la
nascita di una Politica Estera e di Sicurezza e Difesa dell’Unione Europea, sempre
però in una posizione complementare alla Nato, a differenza della Francia che la
ha immaginata come alternativa ad essa.
L’azione più decisa dell’Italia si è caratterizzata con particolare riguardo
nella adesione con propri contingenti militari ad interventi per ragioni umanitarie,
o di altro tipo, condotti sotto la direzione dell’ONU o della Nato. A differenza
degli Stati Uniti tuttavia, per ogni intervento, c’è sempre stata la richiesta di una
legittimazione dell’ONU. I Governi italiani succedutisi nel corso degli anni ’90
cominciarono dunque a interpretare un più attivo ruolo in ognuna di queste
organizzazioni multilaterali, divenendo attori più visibili sulla scena
internazionale.
Il ripensamento della propria politica estera, che ha segnato una evidente
differenziazione dai tempi della Guerra Fredda, si è avviato e si è mantenuto
costante, pur nell’alternarsi dei Governi, nel corso di tutti gli anni ’90
6
mantenendo sempre fermo l’obiettivo del rafforzamento della speciale partnership
con gli Stati Uniti.
Questa posizione indubbiamente trova origine nella considerazione che la
Nato, fino al 1989 considerata un “ombrello” imprescindibile per la sicurezza
dell’Italia dalla minaccia sovietica, potesse dimostrarsi anche con la fine Guerra
Fredda l’unico strumento adeguato alla risoluzione di conflitti in aree – quali i
Balcani, il Medio Oriente ed il Nord Africa – molto vicine all’Italia e la cui
instabilità avrebbe potuto avere conseguenze importanti e dirette per il nostro
Paese. L’assenza di strumenti istituzionali ed operativi adeguati ad affrontare,
anche sotto il profilo militare, il nuovo contesto in modo condiviso ed uniforme
da parte dell’Unione Europea ha decisamente influenzato in questo senso lo
sviluppo della nuova politica italiana. Nelle fasi di disaccordo tra gli Stati Uniti e
l’Europa tutto ciò si sarebbe reso ancor più evidente, perché quest’ultima si
sarebbe mostrata priva delle strutture istituzionali, politiche e militari, idonee a
poter agire da sola.
Dopo la vittoria della coalizione di centro-destra, la Casa delle libertà, alle
elezioni del maggio del 2001 e la conseguente formazione del suo secondo
governo, Silvio Berlusconi promise che avrebbe considerato l’integrazione
europea e l’Alleanza Atlantica (particolarmente la relazione bilaterale con gli Stati
Uniti) allo stesso livello e che avrebbe lavorato per accrescere entrambe. La stessa
composizione del proprio governo confermava questa idea, con la scelta di
Antonio Martino, politico molto apprezzato a Washington, per il Ministero della
Difesa e di Renato Ruggiero, uomo molto stimato in Europa, per quello degli
Affari Esteri.
Il ritorno al potere di Berlusconi fu accolto tuttavia con molta apprensione
dai partner europei dell’Italia; le più forti riserve in particolare arrivarono da
7
Belgio e Francia. Le loro preoccupazioni riguardavano l’ipotesi di una scarsa
propensione del nuovo governo ad impegnarsi nel processo di integrazione
dell’Europa. Ma il ricordo del primo governo Berlusconi difficilmente avrebbe
potuto spiegare questo atteggiamento.
Come sottolinea Osvaldo Croci su The International Spectator, “a parte per
l’anacronistica e sconsiderata iniziativa contro l’ammissione della Slovenia, quel
governo ebbe una vita troppo breve per lasciare il segno su qualcosa. Più
probabilmente, le lamentele ascoltate furono dovute ad una sempre più comune
pratica delle istituzioni e degli stati membri dell’Unione di segnalare con lodevole
attenzione le loro apprensioni ogni qual volta in uno stato membro viene eletto un
governo che includa forze percepite ai margini delle correnti ideologiche
principali dell’Europa Occidentale. In questo caso specifico, sia la Lega Nord che
Alleanza Nazionale erano, per ragioni diverse, viste come rientranti in questa
categoria”
2
.
Lo stesso Presidente del Consiglio era stato oggetto, durante la campagna
elettorale, di duri attacchi da parte della stampa internazionale, compresa quella
conservatrice. Le note questioni riguardanti il conflitto d’interessi di Berlusconi,
ed i procedimenti giudiziari legati alla sua persona, ed a quella di molti suoi
collaboratori, erano state al centro dell’attacco di numerosi articoli della stampa
estera.
Tra coloro che avevano speso il loro credito internazionale per difendere
Berlusconi, e la possibilità che guidasse il Paese, c’era stato l’allora Presidente
della FIAT, Gianni Agnelli.
L’Avvocato, difendendo da pregiudizi storici gli italiani e l’Italia, aveva
affermato con una immagine di grande effetto come il nostro Paese non fosse una
2
O. Croci, “The Second Berlusconi Governement”, cit., pag. 89
8
“repubblica delle banane”, rassicurando in questo modo la stampa estera rispetto
alla possibilità che fosse eletto un governo italiano di centro-destra guidato da
Berlusconi. La difesa di Agnelli non era stata però disinteressata; questo fu
evidente quando la scelta del Ministro degli Esteri del governo Berlusconi ricadde
su Renato Ruggiero, ex-direttore del WTO, uomo legato alla FIAT ed alla
famiglia Agnelli. Soprattutto quando nel luglio del 2001 il governo italiano
sembrò “blindare” l’acquisizione di Montedison da parte della FIAT ai danni di
EDF (la compagnia elettrica nazionale francese), questa azione sembrò essere
quasi, per utilizzare le parole di Bruno Bongiovanni su L’Italie aujourd’hui, una
“sorte de compensation”
3
, una specie di ricompensa dovuta al Presidente
dell’industria automobilistica torinese.
Renato Ruggiero, all’epoca in cui venne nominato direttore
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (il 24 marzo del 1995), era stato il
candidato dell’Unione Europea e venne eletto in seguito ad una lunga
negoziazione in cui gli Stati Uniti furono gli ultimi ad accettare l’accordo.
La sua visibilità ed importanza in Europa era quindi fuori discussione e la
sua scelta per la poltrona di ministro degli Esteri venne fatta proprio per
migliorare l’immagine negativa di cui soffriva il governo Berlusconi in ambito
europeo. Tuttavia Ruggiero, estraneo alla politica e non legato alla formazione
governativa di centro-destra, non era stato bene accettato da tutte le componenti
della Casa delle libertà, molte delle quali vedevano in lui un rappresentante del
vecchio regime (DC + grande industria) e pensavano che un “tecnico”, in un
governo che poteva contare su una larga maggioranza in entrambi i rami del
3
Bruno Bongiovanni, “La contrainte extérieure. La politique étrangère du gouvernement
Berlusconi”, in Manlio Graziano (eds.), L’Italie aujourd’hui. Situation et perspectives après le
séisme des années 90 (Parigi: L’Harmattan, 2004), pag. 94
9
Parlamento, potesse essere interpretato come il sintomo latente di una mancanza
di competenza e di debolezza politica.
Quando Ruggiero, il 6 gennaio del 2002, rassegnò le proprie dimissioni,
denunciando lo scetticismo verso l’Europa di molti suoi colleghi di gabinetto ed
affermando che la continuità della politica estera italiana, che lui aveva garantito,
era in pericolo, la discussione riguardo il ruolo dell’Italia in Europa scoppiò con
più virulenza che mai.
Dopo le dimissioni di Ruggiero, Berlusconi occupò personalmente la
poltrona di Ministro degli Esteri ad interim dal 7 gennaio al 14 novembre quando
la cedette a Franco Frattini, uno degli uomini di punta di Forza Italia. Così
facendo evitò di affrontare una pericolosa verifica sulle linee di conduzione della
politica estera, specie in ambito europeo, che avrebbe potuto aprirsi all’interno
della maggioranza di governo per la scelta del successore di Ruggiero, e affrontò
personalmente e direttamente gli attacchi alla sua persona, oltre che al Governo,
che arrivavano dal resto d’Europa.
Oltre ai dubbi riguardanti la politica europea del secondo governo
Berlusconi, è indubbio che la presenza nello stesso Governo dei due partiti Lega
Nord e Alleanza Nazionale avrebbe potuto sollevare molte preoccupazioni anche
rispetto alla continuità delle relazioni Atlantiche dell’Italia. Non bisogna
dimenticare infatti come Umberto Bossi avesse voluto incontrare Milosevic
quando questi era nell’occhio del ciclone americano, poco prima dell’inizio dei
bombardamenti su Belgrado nel 1999; oppure che Alleanza Nazionale, la cui
classe dirigente proviene quasi interamente dal Movimento Sociale Italiano,
avrebbe potuto presentare per ragioni storiche delle posizioni fortemente
antiamericane.
10
Una valida analisi della politica estera di Berlusconi oggi, in ogni caso, non
può prescindere da una valutazione della sua continuità rispetto alla politica
perseguita dal suo governo nei confronti dei due pilastri dell’azione internazionale
dell’Italia, rispettivamente l’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea. Questa
continuità deve essere analizzata in rapporto agli orientamenti, oltre che allo stile
adottato per perseguirli, della politica estera che l’Italia sembra avere assunto
dalla fine della Guerra Fredda.