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Introduzione
«Il nazionalista non solo non disapprova le
atrocità commesse dal suo Paese, ma ha anche
una straordinaria capacità di ignorarle».
George Orwell, Notes on Nationalism, 1945
“L’imperialismo americano (…) sta facendo sforzi disperati per
consolidare il suo sistema egemonico di dominazione. Noi tutti non
possiamo permettere che questo accada, non possiamo permettere
che si installi la dittatura mondiale e che si consolidi, che si
consolidi la dittatura mondiale. Il discorso del presidente 'tiranno'
mondiale è pieno di cinismo, di ipocrisia. È l’ipocrisia imperiale,
l’intenzione di controllare tutto. Loro vogliono imporci il modello
democratico come loro lo concepiscono: la falsa democrazia delle
elités, che per di più è un modello democratico molto originale,
imposto a suon di bombe, bombardamenti ed invasioni. Caspita che
democrazia! Sarebbero da rivedere tutte le teorie di Aristotele e dei
primi che parlarono, nella Grecia, di democrazia, per confrontarlo
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con questo modello di democrazia, quello imposto dai marines,
dalle invasioni, dalle aggressioni e dalle bombe”
1
.
Quando il 20 settembre 2006 il presidente venezuelano Hugo Chàvez
prese la parola al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, nessuno si sarebbe
atteso un discorso così provocatorio. Il nucleo del discorso consisteva in un
duro attacco nei confronti dell'allora presidente americano George W. Bush e
della sua politica estera di stampo imperialista. Riferendosi all'attualità, ma
utilizzando la stessa linea dell'antico pensiero bolivariano, Chàvez voleva
condannare tutti i soprusi che l'America Latina aveva dovuto subire negli
ultimi due secoli sottolineando il fatto che era giunto il momento per un
cambio di rotta. Il processo di transizione verso governi di sinistra che stava
investendo nel 2006 l'America del Sud era un segnale di come i tempi stessero
cambiando e di come non fosse più ammissibile alcuna ingerenza degli Stati
Uniti nei confronti dei "vicini meridionali".
Il significato storico di questo discorso introduce perfettamente quello che
la mia tesi si propone di analizzare e di dibattere ovvero, quella che fu la
politica estera adottata dagli Stati Uniti nei confronti dei paesi dell’America
Latina, ed in particolare nei confronti del Cile.
Ho creduto opportuno iniziare la mia analisi simbolicamente dal 1823,
anno in cui venne formulata la cosiddetta "dottrina Monroe", attraversando poi
tutto il secolo fino a soffermarmi su un periodo storico fondamentale: la Guerra
Fredda. Nel primo capitolo dunque, analizzerò i principali avvenimenti che
hanno caratterizzato la storia dei rapporti tra gli Stati Uniti e America Latina in
generale, tenendo in considerazione alcuni steps: il passaggio dal
protezionismo all’imperialismo americano e il passaggio dal sistema
1
http://disinformazione.it/discorso_hugo_chavez.htm
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multipolare a quello bipolare, conseguenza del declassamento di un'Europa
sempre meno al centro del mondo.
All'interno di un argomento vasto e complesso come questo, mi sono
soffermato – a partire dal secondo capitolo - su un episodio in particolare, che
ha come attore principale il socialista Salvador Allende e il suo paese, il Cile;
come antagonista gli Stati Uniti e come collocazione storica il periodo 1970-
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Nel secondo capitolo dunque, introdurrò una breve panoramica sul
sistema partitico cileno e sulla figura di Allende. Prima di ottenere la carica di
capo del governo, il politico in causa dovette affrontare tre campagne elettorali,
per essere eletto democraticamente solamente al quarto tentativo. Analizzerò
questa “scalata” elettorale sia da un’ottica cilena sia da quella statunitense: il
risultato sarà l’osservazione di come, all’aumentare dei consensi elettorali,
aumentarono le preoccupazione di Washington di fronte alla possibilità di un
nuovo “focolaio” comunista in America Latina, dopo Cuba. Analizzerò le
cause di tali preoccupazioni e quelle che furono le conseguenze e le decisioni
prese a tal proposito ovvero, le strategie di politica estera adottate dalla Casa
Bianca nei confronti della politica interna del Cile.
Nel capitolo terzo vedremo come il neo eletto Allende interpretò quella
che lui nominò la “via cilena al socialismo”: una visione che cercava di
conciliare il socialismo con la democrazia, con il pluralismo e con tutte le
libertà democratiche; ovvero, una via alternativa rispetto a quella sovietica o a
quella cubana. Analizzerò i risultati positivi che il presidente ottenne durante il
primo anno di mandato e come reagirono l’economia cilena e il popolo. In
particolare, mi soffermerò sul processo di nazionalizzazione delle industrie più
produttive del paese - appartenenti, nella loro quasi totalità, a compagnie
multinazionali statunitensi – e su come, queste scelte, suscitarono la
disapprovazione delle multinazionali estere.
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Il quarto capitolo è dedicato al secondo e al terzo anno di mandato di
Allende. Analizzerò le fase di declino del governo: i primi graduali successi,
intercorsi nel 1971, furono infatti seguiti da altrettanti graduali insuccessi
economici, politici e sociali. I punti su cui mi sono soffermato sono: il
peggioramento dell’economia, il crollo dei finanziamenti esterni e in
particolare americani, una serie di scioperi e il crescente malcontento in tutti
gli strati della società, le divisioni interne alla coalizione di Allende, i laceranti
contrasti con l’opposizione e l’ingresso dell’apparato militare nella politica
cilena. Questi fattori, endogeni ed esogeni, portarono congiuntamente al colpo
di Stato del 1973 che spodestò Allende dal suo ruolo per fare posto ad una
lunga e sanguinosa dittatura nel nome di Augusto Pinochet.
Infine, nel quinto capitolo ho voluto riportare quelle che furono le
conseguenze agli eventi cileni in Europa ed in particolare in Italia, dove il
Partito Comunista Italiano (PCI), guidato da Enrico Berlinguer, strinse fin da
subito un legame politico con Allende e la sua coalizione. È stato di particolare
interesse notare come il “compromesso storico” berlingueriano - così caro e
ricorrente nella storia contemporanea del nostro paese - fosse sorto
conseguentemente al colpo di Stato e come fossero simili alcune dinamiche
italiane con quelle cilene.
Raccontare il golpe cileno del 1973 ha significato - in primo luogo -
raccontare l'imperialismo americano. Non è certo il crimine che ha prodotto
più scalpore, tra i tanti che sono stati commessi dalle azioni di politica estera
statunitense, in particolare durante il periodo della Guerra Fredda. Altri sono
molto più conosciuti e studiati: il ruolo degli Stati Uniti durante lo sbarco nella
Baia dei porci o durante la guerra del Vietnam, episodi che hanno avuto
ripercussioni di prim’ordine per quanto concerne l'equilibrio delle relazioni
internazionali.
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Ho trovato interesse invece nel soffermarmi su un avvenimento tra i tanti
che spesso sono passati in sordina, sono rimasti nell'ombra, all'oscuro della
conoscenza popolare e lontani dalle prime pagine dei media.
Emergerà che il Cile, seppur nella veste di attore internazionale di scarso
rilievo, provocò un forte interessamento in vista delle sorti della Guerra
Fredda, siccome sarebbe potuto diventare protagonista di una “seconda Cuba”
che, si suppone, avrebbe dato il via ad altre rivoluzione in America Latina e in
Europa. Emergerà quindi, come lo stato più potente del mondo, in linea con
quella che venne chiamata dottrina Truman, ovvero il diritto-dovere di opporsi
ai progetti di dominio sovietici, sostenne i regimi amici opponendosi con ogni
mezzo all'ascesa di governi di sinistra ritenuti pericolosi e come, ancora una
volta, i costi più alti furono pagati dall'America Latina. Vedremo, nello
specifico, come tale opposizione al comunismo si manifestò in maniera a dir
poco segreta nel contesto cileno, analizzando da un lato le responsabilità della
Casa Bianca e dall’altro gli errori del presidente Allende.
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1. Breve storia dei rapporti tra Stati Uniti e America
Latina
«L’America Latina confina a Nord con l’odio
e non ha altri punti cardinali».
Luis Sepulveda, Una sporca storia, 2004
Prima di analizzare in concreto il caso del golpe cileno, è utile iniziare la
ricerca con un'analisi generale riguardante i rapporti storici esistiti tra il Nord e
il Sud del continente americano. La storia del Cile presenta infatti diversi tratti
in comune con gli altri stati dell'America Latina. Alcuni meccanismi
economici, politici, storici, culturali e linguistici accomunano di fatto gli Stati
di questo subcontinente.
In primo luogo, nessuno di essi fa ancora pienamente parte del cosiddetto
mondo industrializzato, anche se il Brasile si sta dirigendo a ritmi elevati verso
lo status di potenza globale
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. Su 550 milioni di abitanti, circa 128 milioni
vivono in estrema povertà e con un reddito inferiore a un dollaro al giorno. In
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Con i suoi 170 milioni di abitanti e con un discreto pil, il Brasile può essere annoverato tra i
giganti economici. Nel complesso si tratta pur sempre di un paese ancora povero con un pil procapite
complessivo pari ad 1/5 di quello Usa ma possiede pur sempre notevoli risorse agricole e zootecniche
(caffè, cacao, soia, mais, canna da zucchero, bovini), ampi giacimenti di oro, ferro, acciaio, argento e
petrolio ed un elevato tasso di ricchezza in una parte molto ristretta della popolazione. Attualmente
occupa l’ottava posizione nella classifica mondiale che tiene in considerazione il livello del pil, dopo
Usa, Giappone, Cina, Germania, Francia, Regno Unito e Italia. Per quanto riguarda invece il divario
tra ricchi e poveri, notiamo come, in Brasile, questo aumenta all'aumentare del pil.
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secondo luogo, i paesi latinoamericani, appartengono alla civilizzazione
occidentale, avendo subito l'imposizione linguistica e religiosa dei
conquistatori. Va ricordato anche un altro elemento che associa i governi
latinoamericani, ovvero la storica discontinuità politica, l’elemento dittatoriale
e la presenza di differenti forme di autoritarismo, soprattutto militare.
Nonostante si possa affermare che il continente si è evoluto verso un processo
di democratizzazione, possiamo notare come tra il 1958 e il 1997 soltanto in
quattro stati vi è stata una successione ininterrotta di governi civili scelti
secondo regole costituzionali, il che non significa che si tratti di democrazie
esemplari. Infine, questi paesi erano e sono tuttora altamente dipendenti dai
mercati mondiali, ma soprattutto si trovano nella sfera di influenza degli Stai
Uniti, il cui ruolo è fondamentale per capirne la storia.
Tutto questo deve essere ricordato nell'analisi della storia di un continente
territorialmente unito con i vicini potenti del Nord, ma che allo stesso tempo ne
è dipendente e subordinato. Un continente in perenne inferiorità, una sorta di
cortile dietro casa per gli Stati Uniti. Un cortile che deve assicurare buoni
raccolti e che serve anche per depositare le immondizie. Un cortile circondato
da filo spinato per spaventare i ladri
3.
Questa sorta di protettorato nei confronti del vicino debole e bisognoso,
seppure in alcuni casi abbia prodotto miglioramenti in paesi effettivamente
arretrati, è sempre stato un aiuto a doppio fine. Tipico della politica estera
statunitense, come in generale delle grandi potenze, è infatti l'intervento
laddove i suoi interessi sono maggiori; nulla viene fatto se tale azione non
riporta benefici tra le mura di casa. Benefici economici, militari, strategici.
3
PATRICIA VERDUGO, Salvador Allende. Anatomia di un complotto organizzato della Cia,
Milano 2003, pp.32-33.