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asportate. La quantificazione dei danni bellici subiti dall’Italia fu mol-
to controversa; essa, a seconda della provenienza, assumeva dimen-
sioni diverse, sia pure sempre in termini tragici. Tutti convenivano pe-
rò nel rappresentare l’Italia come un paese in cui la guerra aveva de-
cimato i suoi uomini e distrutto larga parte della sua capacità produtti-
va. Inoltre sul paese incombeva, come eredità caratteristica della guer-
ra, una pressione inflazionistica «repressa», il cui potenziale era rap-
presentato dall’enorme liquidità creata in relazione alle occorrenze del
finanziamento bellico, trattenuta nella sua carica dirompente dal si-
stema dei prezzi controllati, anch’essi eredità del conflitto.
Ma già nel corso della guerra, il meccanismo dei controlli si sfal-
dò progressivamente portando rapidamente ad un aumento della massa
circolante. Dopo l’armistizio questa massa si accrebbe ulteriormente
in seguito a diversi fenomeni come; nei territori liberi del Sud
dell’Italia, l’emissione di biglietti da parte della Banca d’Italia per fi-
nanziare la spesa pubblica, l’emissione da parte dei governi alleati del-
le am-lire, per il pagamento delle proprie truppe. Ad aggiungersi a tut-
to ciò vi era l’emissione di carta moneta da parte della RSI per far
fronte alle proprie spese e a quelle delle truppe tedesche. A fronte di
una tale massa circolante c’era poi la paralisi completa dell’attività
produttiva e la rarefazione sul mercato sia di beni di consumo durevoli
che di generi e derrate alimentari.
Anche l’occupazione rappresentava un notevole problema. A
peggiorare la situazione occupazionale contribuirono diversi elementi:
le limitazioni all’emigrazione interna imposta dalle leggi fasciste, il
rimpatrio dei reduci dalla prigionia, dai campi di internamento, il ral-
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lentamento dell’attività produttiva delle industrie cosicché la disoccu-
pazione raggiunse tra il 1946 e il 1947 la cifra ragguardevole di
1.620.000 unità.
La fine della guerra segnò l’inizio di una nuova fase nella storia
dell’Italia: quella della lotta tra i partiti per il potere. Essa caratterizze-
rà le vicende politiche dei tre anni dal 1945 al 1948.
Il 19 giugno 1945 si costituì il primo governo della liberazione
presieduto da Ferruccio Parri e a cui parteciparono tutti i partiti del
CLN. Il governo Parri, ispirandosi agli ideali che avevano animato
l’esperienza resistenziale, tentò di avviare alcune importanti riforme
come la sostituzione della divisa corrente (composta dalle vecchie lire
e dalle am-lire, usate dalle truppe americane di stanza in Italia) con
una nuova moneta. L’intento era quello di mettere ordine nel movi-
mento di valute, combattere l’inflazione e, al tempo stesso, far emer-
gere i redditi illeciti conseguiti durante la guerra. Ma il rigore del pri-
mo ministro allarmò sempre di più gli elementi conservatori fino a
quando DC e Partito liberale gli tolsero l’appoggio, obbligandolo alle
dimissioni che presentò il 24 novembre 1945.
Il 1946 fu l’anno del referendum istituzionale. Il 2 giugno , in
abbinamento con le elezioni per l’Assemblea costituente, in un clima
avvelenato dalle polemiche e dalle provocazioni tra le sinistre (PCI,
PSIUP, Partito d’azione) e lo schieramento conservatore (monarchici,
liberali e DC) si svolse finalmente il referendum sulla questione istitu-
zionale, che vide l’affermazione, sia pure di stretta misura, della scelta
repubblicana. All’annuncio dei risultati ufficiali del referendum dato
dalla Corte di Cassazione il 10 giugno, Umberto II di Savoia lasciò
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l’Italia recandosi in esilio a Cascais (Portogallo). Il 26 giugno presero
avvio i lavori dell’Assemblea costituente incaricata di redigere il testo
della Costituzione repubblicana. I lavori si protrassero sino al 22 di-
cembre 1947 e il risultato a cui approdarono i membri dell’Assemblea
fu il frutto di una difficile, e talora estenuante, opera di mediazione tra
le varie forze politiche.
Pur con tutti i limiti o certi vizi d’origine che lo contrassegnaro-
no, il patto costituzionale, emerso da un confronto pur serrato ma co-
struttivo tra le diverse forze che ne furono protagoniste, rappresentò
un bene comune per l’intero paese , in quanto non solo colmò il vuoto
di potere determinatosi dopo la crisi del 1943, ma tracciò anche un
quadro normativo in cui si riconobbe la quasi totalità delle forze poli-
tiche.
Ancora nel 1946, l’attenzione del governo, sotto la guida di De
Gasperi, fu volta al mantenimento dell’ordine pubblico e alla ripresa
delle attività economiche. Le condizioni di vita erano disagevoli, tu-
multi e proteste si susseguivano un po’ dovunque, gli aiuti provenienti
dall’estero, in particolare dagli USA erano ancora insufficienti.
Nel gennaio del 1947 De Gasperi si recò negli Stati Uniti dal cui
governo riuscì ad ottenere un prestito come premio per la collabora-
zione offerta durante il periodo di permanenza delle truppe americane
nella penisola. Sul versante economico la situazione si aggravò. Sotto
il peso di una inflazione crescente il governo prese drastiche misure
per il contenimento delle spese e l’avvio del risanamento. Per far fron-
te alla difficile situazione del bilancio dello stato, venne introdotta
un’imposta patrimoniale progressiva, che però finì per gravare in mo-
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do quasi esclusivo sugli immobili essendo sganciata da un accerta-
mento sull’entità dei beni mobiliari.
Sul fronte della politica monetaria, nel 1947 si riformò la riserva
obbligatoria delle banche, in modo da rafforzare la dipendenza di que-
ste dalla creazione di base monetaria, ai fini dell’espansione del credi-
to. Il 10 febbraio vennero firmati a Parigi i trattati di pace tra le nazio-
ni vincitrici della seconda guerra mondiale e gli ex alleati della Ger-
mania. L’Italia perse a favore della Jugoslavia parte della Venezia
Giulia, l’Istria, Fiume e Zara; a favore della Grecia, Rodi e il Dodeca-
neso; a favore della Francia Briga e Tenda. La Libia e l’Albania furo-
no riconosciute nazioni indipendenti, così come l’Etiopia. Alcune
clausole del trattato furono dedicate alle riparazioni dovute alle nazio-
ni aggredite e alle riduzioni imposte alle forze armate.
Dopo le elezioni per la Costituente, democristiani, socialisti e
comunisti continuarono a governare insieme; si accordarono
sull’elezione del primo, e provvisorio, presidente della repubblica, il
giurista liberale Enrico De Nicola; e diedero vita ad un secondo gabi-
netto De Gasperi, basato sull’accordo fra i due partiti di massa.
Ma la coabitazione al governo non eliminò i motivi di contrasto
fra la DC e le sinistre. Contrasti originati, da un lato, dall’inasprirsi
dello scontro sociale, dall’altro dal profilarsi della guerra fredda che
contribuì ad esasperare le divisioni politiche già esistenti. Mentre la
DC tendeva sempre più ad assumere il ruolo di garante dell’ordine so-
ciale e della collocazione del paese nel campo occidentale, i comunisti
si ponevano più risolutamente alla testa delle lotte operaie e contadine
e accentuavano il loro allineamento all’URSS.
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A fare le spese di questa radicalizzazione fu soprattutto il Partito
socialista. Alla fine del ’46 si erano radicati in seno al PSIUP due
schieramenti contrapposti. Il primo, che faceva capo a Nenni, voleva
mantenere al partito i suoi caratteri classisti e rivoluzionari, era favo-
revole all’unità d’azione con il PCI e puntava, a livello internazionale,
su di un impossibile alleanza fra l’URSS e le sinistre occidentali. Il
secondo schieramento, che era guidato da Saragat, si batteva invece
per un allentamento dei legami dal PCI. Nel gennaio 1947, in occasio-
ne del XXV congresso del partito, i seguaci di Saragat decisero di ab-
bandonare il PSIUP (che riassunse il vecchio nome di PSI) e si riuni-
rono a Palazzo Barberini per fondare un nuovo partito, che si chiamò
Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI) e che, qualche anno più
tardi, avrebbe assunto il nome di Partito socialdemocratico italiano
(PSDI). La scissione di Palazzo Barberini, se nell’immediato provocò
una crisi di governo, per il ritiro dei rappresentanti del PSLI, e la for-
mazione di un nuovo gabinetto tripartito (DC, PSI, PCI) presieduto da
De Gasperi, in realtà finì col dare maggiore libertà ad una DC sempre
più insofferente della coabitazione con le sinistre. In maggio, traendo
spunto dai contrasti in seno alla coalizione, De Gasperi aprì la crisi e
formò un governo con il PSLI ed il PRI. Si chiuse così la fase di col-
laborazione governativa tra i partiti di massa.
Infatti dall’inizio del ’48, i partiti si impegnarono in una gara
sempre più accanita per conquistarsi i favori dell’elettorato, in vista
delle elezioni politiche fissate per il 18 aprile del 1948. La campagna
elettorale si svolse in un clima di forte contrapposizione ideologica tra
comunismo e anticomunismo. La DC sfiorò la maggioranza assoluta,
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affermandosi con il 48,5 per cento dei voti, contro il 39,7 del Fronte
popolare che comprendeva comunisti e socialisti. La delusione dei mi-
litanti di sinistra per il risultato delle elezioni si espresse tre mesi dopo
le elezioni, quando un drammatico episodio rischiò di far precipitare il
paese nella guerra civile.
Il 14 luglio 1948, lo studente siciliano di destra Antonio Pallante
sparò al segretario comunista Togliatti ferendolo gravemente. Alla no-
tizia dell’attentato fu proclamato uno sciopero generale e operai e mi-
litanti comunisti scesero in piazza, scontrandosi con le forze
dell’ordine. Fortunatamente l’agitazione si esaurì in pochi giorni, an-
che per il comportamento prudente dei dirigenti comunisti e dei capi
sindacali. Con le elezioni del ’48, gli italiani non solo scelsero il parti-
to che avrebbe governato il paese negli anni a venire, ma si espressero
anche in favore di un sistema economico e di una collocazione inter-
nazionale. In generale i governi postbellici evitarono di usare in modo
incisivo gli strumenti di intervento sull’economia che erano stati creati
negli anni successivi alla grande crisi. Si affermò invece una sorta di
restaurazione liberista ispirata soprattutto dagli economisti di forma-
zione prefascista, che vedevano nel dirigismo economico un prodotto
dei regimi autoritari. A tutto questo i dirigenti della sinistra non seppe-
ro contrapporre una coerente linea alternativa: finché restarono al go-
verno, comunisti e socialisti si limitarono sostanzialmente ad
un’azione di sostegno ai sindacati, di difesa dei salari e di tutela
dell’occupazione, mediante il blocco dei licenziamenti.
Anche questa linea di resistenza cadde però a partire dal maggio
’47 con l’estromissione delle sinistre dal governo e la formazione del
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nuovo gabinetto De Gasperi, in cui il Ministero del bilancio era guida-
to dal liberale Luigi Einaudi.
Mentre le sinistre si impegnavano in una battaglia impopolare
contro il piano Marshall, Einaudi attuava una manovra economica che
aveva come scopi principali la fine dell’inflazione, il ritorno della sta-
bilità monetaria, il risanamento del bilancio statale. La manovra si at-
tuò su tre livelli distinti: una serie di inasprimenti fiscali e tariffari, la
svalutazione della lira che doveva incoraggiare le esportazioni e il
rientro dei capitali dall’estero, attirati dal cambio favorevole; una e-
nergica restrizione del credito che limitò la circolazione della moneta
e costrinse imprenditori e commercianti a gettare sul mercato le scorte
accumulate in attesa di un aumento dei prezzi. Nel complesso, la linea
Einaudi, ottenne i risultati che si era prefissa. Ma l’operazione ebbe
forti costi sociali, soprattutto sul versante della disoccupazione. I fondi
del piano Marshall furono utilizzati per finanziare le importazioni di
derrate alimentari e materie prime, ma non per sviluppare la domanda
interna. La ricostruzione si attuò quindi nel segno dell’ortodossia fi-
nanziaria. Gli strumenti di controllo dell’economia furono sottoutiliz-
zati, ma non cancellati: l’IRI fu potenziato con nuovi finanziamenti e
l’Agip, ente petrolifero di stato, fu rilanciato dalla scoperta di giaci-
menti di idrocarburi in Val Padana.
Per un paese sconfitto, economicamente debole e privo di una
qualsiasi autonoma forza militare, il problema capitale era quello della
scelta di campo tra i due blocchi che si fronteggiavano sulla scena
mondiale. La scelta dell’Italia, in buona parte condizionata da fattori
esterni (l’appartenenza alla zona d’occupazione anglo-americana, gli
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accordi fra le grandi potenze sulle aree di influenza), diventò netta ed
esplicita dopo l’estromissione delle sinistre dal governo e
l’accettazione del piano di aiuti Marshall, per essere poi sancita
dall’elettorato il 18 aprile 1948.
Così, quando alla fine del ’48 furono gettate le basi per il Patto
atlantico, la proposta di partecipazione rivolta dagli USA all’Italia su-
scitò non solo la dura opposizione di socialisti e comunisti, ma anche
le perplessità di una parte del mondo cattolico e dei partiti laici di cen-
tro-sinistra. Alla fine prevalse la volontà di De Gasperi e del ministro
degli esteri Carlo Sforza che vedevano nell’alleanza uno strumento
per garantire all’Italia una più stretta integrazione con l’Occidente.
L’adesione al Patto atlantico fu approvata dal Parlamento, dopo un ac-
ceso dibattito, nel marzo 1949.
I cinque anni della prima legislatura repubblicana (1948-1953)
segnarono il periodo di massima egemonia della DC sulla vita politica
nazionale. Nonostante potesse contare sulla maggioranza assoluta dei
seggi alla Camera, la DC continuò a puntare sull’alleanza con i partiti
laici minori; appoggiò la candidatura alla presidenza della repubblica
del liberale Luigi Einaudi, eletto nel maggio 1948; associò ai suoi go-
verni, sempre presieduti da De Gasperi, rappresentanti del PLI, PRI e
del PSDI. Fu questa la formula del centrismo, che vedeva una DC
molto forte occupare il centro dello schieramento politico, lasciando
fuori dalla maggioranza sia la sinistra social-comunista, sia l’estrema
destra. Componente essenziale della politica centrista era una modera-
ta dose di riformismo che, senza sconvolgere troppo gli equilibri so-
ciali, conservasse al governo il consenso delle masse popolari, soprat-
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tutto dei contadini. Da questo punto di vista, l’iniziativa più importan-
te del periodo centrista fu la riforma agraria, attuata tra il maggio e il
dicembre 1950, che fissava norme per l’esproprio e il frazionamento
di una parte delle grandi proprietà terriere. La riforma costituiva il
primo tentativo di profonda modifica dell’assetto fondiario mai attuato
nella storia dell’Italia unita; dava un duro colpo al potere della grande
proprietà assenteista e andava incontro alle attese delle masse rurali
del Centro-sud protagoniste, ancora alla fine degli anni ’40, di alcuni
drammatici episodi di lotta per la terra.
Nell’agosto 1950, contemporaneamente alla riforma agraria, fu
istituita la «Cassa per il Mezzogiorno», ente pubblico che aveva lo
scopo di promuovere lo sviluppo economico e civile delle regioni me-
ridionali attraverso il finanziamento statale per le infrastrutture (stra-
de, acquedotti, centrali elettriche, ecc.) e il credito agevolato alle indu-
strie localizzate nelle aree depresse.
Tra le riforme varate dai governi centristi – accanto a quelle già
citate – si devono ricordare la legge Fanfani per il finanziamento della
costruzione di case popolari e la riforma Vanoni, che introduceva per
la prima volta l’obbligo della dichiarazione annuale dei redditi. Tali
provvedimenti furono duramente avversati dalla destra: gli stessi libe-
rali si ritirarono dal governo nel ’50 in quanto contrari alla riforma a-
graria. D’altro canto le sinistre continuarono a condurre contro i go-
verni De Gasperi un’opposizione dura, motivata in parte dallo stato di
disagio in cui ancora versavano le classi lavoratrici.
La politica economica del governo continuava infatti a basarsi
sull’austerità finanziaria e sul contenimento dei consumi privati. No-
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nostante la forte ripresa produttiva iniziata nei primi anni ’50, la di-
soccupazione era sempre su livelli elevati ed i salari erano bassi. Di
fronte a questo tipo di sviluppo, che faceva ricadere sui lavoratori i
costi della ripresa economica, i partiti di sinistra e la CGIL reagirono
mobilitando le masse operaie in una serie di scioperi e manifestazioni,
che spesso si conclusero con scontri con le forze dell’ordine. A sua
volta il governo, deciso a non lasciarsi intimidire dalla piazza, rispose
intensificando l’uso dei mezzi repressivi. Il ministro degli interni Ma-
rio Scelba, che tenne quasi ininterrottamente la carica tra il ’47 e il
’55, divenne, agli occhi dei militanti di sinistra , il simbolo di una poli-
tica illiberale e repressiva.
Costretti a fronteggiare la pressione della sinistra e minacciati
dall’eventualità di una crescita della destra, De Gasperi e suoi alleati
tentarono, nell’imminenza delle elezioni del ’53, di rendere inattacca-
bile la coalizione centrista attraverso una modifica dei meccanismi e-
lettorali in senso maggioritario. Il sistema scelto fu quello di assegnare
il 65 per cento dei seggi alla Camera a quel gruppo di partiti «apparen-
tati» (cioè uniti da una preventiva dichiarazione di alleanze) che otte-
nesse almeno la metà più uno dei voti. Dal momento che né la sinistra
né la destra potevano aspirare a raggiungere un simile risultato, il si-
stema sembrava costruito su misura per la maggioranza. Di qui le vio-
lente polemiche che accompagnarono la discussione in Parlamento
della nuova legge elettorale, ribattezzata dalle sinistre «legge truffa».
La legge fu approvata nel marzo’53, dopo una durissima battaglia par-
lamentare. Ma nelle elezioni che si tennero in giugno la DC e i suoi al-
leati mancarono l’obiettivo del 50 per cento impedendo così lo scatto
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della legge e facendo così registrare la prima sconfitta di De Gasperi.
Fallito, con le elezioni del ’53, il tentativo di stabilizzare la coalizione
centrista, cominciò una lunga fase di transizione e di ricerca di nuovi
equilibri politici.
Il paese cominciava, sia pur lentamente, a modernizzarsi. La ri-
presa economica si consolidava e si rafforzavano di pari passo, grazie
alla completa liberalizzazione degli scambi con l’estero attuata negli
precedenti dal repubblicano Ugo La Malfa, i legami con l’Europa più
avanzata: legami che sarebbero stati poi ribaditi, nel marzo 1957,
dall’adesione italiana al Mercato comune europeo. In alcuni settori po-
litici legati alla sinistra DC o ai partiti laici si avvertiva l’esigenza di
un allargamento verso sinistra dell’area di maggioranza, di una spinta
riformatrice che interpretasse le trasformazioni della società. Ma i
tempi per ciò non erano ancora maturi. Nel luglio ’53 non avendo ot-
tenuto la fiducia dal Parlamento, De Gasperi fu costretto alle dimis-
sioni e il presidente Einaudi affidò l’incarico per la formazione del
governo a Giuseppe Pella che rimase in carica sino al gennaio 1954.
Nel febbraio del 1954 DC, PSDI e PCI raggiunsero l’accordo per
la formazione di un nuovo governo di centro, presieduto da Mario
Scelba. Il governo ripropose una politica accentuamente anticomuni-
sta, ma fu sconvolto dalle polemiche scoppiate intorno al caso Pisciot-
ta e lo scandalo Montesi.
Pochi mesi prima della morte di De Gasperi, che avvenne in ago-
sto, Amintore Fanfani venne eletto segretario della DC. In gennaio
presero il via le prime trasmissioni televisive. Ancora nel 1954 venne
risolta la questione di Trieste, che tornò sotto la sovranità italiana,
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mentre il processo di integrazione economica subì una battuta
d’arresto a causa della bocciatura da parte dell’Assemblea nazionale
francese della CED (Comunità europea di difesa).
Significativi cambiamenti maturarono a partire dal 1955 nelle i-
stituzioni e nel governo dell’economia.
Nell’estate del 1955 fu presentato in Parlamento il cosiddetto
piano Vanoni (dal nome dell’allora ministro del bilancio).
Si trattava in estrema sintesi di un piano decennale per lo svilup-
po economico attraverso: l’assorbimento della disoccupazione,
l’eliminazione progressiva del divario tra Nord e Sud, il pareggio della
bilancia dei pagamenti. La sua novità consisteva nel fatto che per la
prima volta in Italia veniva introdotta la previsione di lungo periodo,
utilizzando alcuni parametri macro-economici e veniva abbozzato un
tentativo di programmazione.
Nella DC le elezioni del ’53 segnarono non solo la sconfitta poli-
tica di De Gasperi, ma anche la progressiva emarginazione del gruppo
dirigente democristiano e l’emergere della nuova generazione forma-
tasi nell’azione cattolica degli anni ’20 e ’30. Esponenti di questa ge-
nerazione erano Aldo Moro, Mariano Rumor e soprattutto Amintore
Fanfani, il quale divenuto segretario DC nel 1954, cercò di rafforzare
la struttura organizzativa e di svincolare il partito dai condizionamenti
della Confindustria, collegandolo più strettamente all’emergente indu-
stria di Stato e in particolare all’ENI di Enrico Mattei.
Questa scelta svecchiò la DC e tutta la politica italiana, ma creò
le premesse per quell’intreccio di potere politico ed economia pubbli-
ca che negli anni a venire sarà all’origine di gravi degenerazioni.
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Nell’aprile del 1956, sotto il governo Segni, si insediò la Corte
Costituzionale. Composta da 15 giudici nominati per un terzo dal pre-
sidente della repubblica, eletti per un terzo dal Parlamento in seduta
comune e per un terzo dalle supreme magistrature, ordinaria ed ammi-
nistrative, la Corte avrebbe svolto una funzione importante
nell’adeguare la vecchia legislazione ai principi costituzionali. Sempre
nel 1956, in dicembre, fu creato il Ministero delle partecipazioni stata-
li, col compito di coordinare l’attività delle aziende di stato: era il se-
gno di un nuovo rilievo assunto dagli enti a partecipazione statale (so-
prattutto l’IRI e l’ENI, Ente nazionale idrocarburi, fondato nel 1953) e
anche di una nuova volontà del potere politico, in particolare della
DC, di intervenire più incisivamente nella gestione dell’economia.
Il 25 marzo 1957 vennero firmati a Roma i trattati istitutivi della
CEE e dell’Euratom, che saranno poi approvati dal Parlamento nei
mesi successivi. Il PSI si astenne sul trattato istitutivo della CEE e vo-
tò a favore di quello dell’Euratom. Nel maggio dello stesso anno, si
dimise il presidente del consiglio Antonio Segni, sostituito dal senato-
re Adone Zoli, che costituì un monocolore DC, sostenuto esternamen-
te dal MSI e dai monarchici. Nel maggio del 1958 con le elezioni poli-
tiche ebbe termine la seconda legislatura repubblicana. Dopo le ele-
zioni del 25 maggio si assiste alle dimissioni di Zoli e del suo gover-
no e all’insediamento di Fanfani che, ottenuto l’incarico il 25 giugno,
formò un bicolore DC-PSDI, che si presentò come un governo di cen-
tro-sinistra. Rispetto alle elezioni del ’53, si registrarono spostamenti
minimi. La DC recuperò il 2 per cento alla Camera all’insegna dello
slogan “Progresso senza avventure”; il PCI, contrariamente alle previ-
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sioni di debacle per i fatti sanguinosi in Ungheria, non subì molte per-
dite. Fu il PSI a registrare un progresso piuttosto netto, accelerando
così il processo di apertura a sinistra che caratterizzerà la legislatura
successiva.