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SVILUPPO SOSTENIBILE: STORIA E OBIETTIVI
UOMO, AMBIENTE ED ECOLOGIA
Uno dei temi più discussi nel mondo attuale è, senza dubbio, quello che
riguarda il rapporto tra l‟uomo e l‟ambiente.
Per ambiente si intende , in geografia, l‟insieme delle condizioni che circondano
gli esseri umani ( non a caso il sostantivo inglese environment deriva dal verbo to
eviron= circondare), e quindi il risultato ottenuto dall‟interconnessione di fatti
fisici e biologici, naturali e artificiali. È solo per ragioni pratiche che si attua, poi,
una distinzione tra: ambiente naturale, ambiente economico, ambiente sociale,
ambiente culturale, ecc.
Con l‟espressione ambiente naturale ci si riferisce, in particolare, all‟insieme
delle condizioni naturali che caratterizzano un certo spazio e che sono il
risultato dell‟interazione tra terra, acqua, atmosfera ( mondo abiotico) e mondo
animale e vegetale ( mondo biotico).
Un ruolo importante nello studio dell‟ambiente è svolto dall‟ecologia, termine
coniato nella seconda metà dell‟Ottocento dal botanico tedesco Ernest Haeckel
che la definì come lo studio delle relazioni tra uomo e ambiente circostante.
IL RAPPORTO UOMO-NATURA NELLA STORIA DEL PENSIERO
OCCIDENTALE
Il punto di vista tipico della cultura occidentale nello studio delle relazioni che
intercorrono tra l‟ambiente e l‟uomo è quello di vedere natura e società su due
distinti livelli, uno inferiore ( ambiente), l‟altro superiore ( società).
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Le origini di tale pensiero sono antichissime e si fanno risalire alla tradizione
classica, oltre che a quella cristiana; la prima, attraverso gli studi di filosofi
come Socrate ed Aristotele, ha introdotto il concetto secondo il quale il mondo
fa parte di un progetto globale a totale beneficio degli uomini; la Bibbia
presenta invece la creazione dell‟uomo nel mondo come il momento più alto
dell‟opera di Dio, momento nel quale è proprio all‟uomo che viene affidato il
totale dominio sul creato.
Durante il medioevo, per Tommaso d‟Aquino, l‟uomo occupa una posizione
privilegiata in una gerarchia in cui Dio occupa il primo posto, gli animali
l‟ultimo.
Lo sviluppo del pensiero laico, nel XVI secolo, in Europa, modifica di poco tale
visione antropocentrica, ribadendo l‟idea che la scienza fosse l‟unico strumento
nelle mani dell‟uomo per conoscere il mondo e dominarlo.
Componente fondamentale del pensiero occidentale è, oltre a quella
antropocentrica, l‟idea del progresso, centrale nel pensiero dell‟economia
classica e del suo fondatore Adam Smith, secondo cui il miglioramento della
società coincide con la produzione di ricchezza materiale.
Uno dei primi pessimisti circa tali prospettive di crescita economica infinita nel
lungo periodo è Thomas Malthus che, nel suo Essay on the Principles of
Population, pubblicato a Londra nel 1798, afferma che lo sviluppo illimitato è
solo un‟illusione; che il diverso incremento in natura di due importanti fattori
come la popolazione ( con crescita a rapporto geometrico: 2, 4, 8, 16…) e i
prodotti alimentari ( con produzione a livello aritmetico: 2, 4, 6, 8…) pone fine
all‟idea della “ perfezione della società”:
“La naturale ineguaglianza di questi due poteri,
popolazione e prodotti della terra, e la grande legge
della natura che deve costantemente mantenere
eguali i loro effetti, formano, a mio avviso, quella
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grande ed insormontabile difficoltà lungo la via per
raggiungere la perfezione della società” ( Malthus T.
1
R., 2005).
Ed anche se tali affermazioni vengono duramente contestate dagli economisti
Ottocenteschi contemporanei, bisogna ammettere che Malthus ha senza dubbio
il merito di essere lungimirante nell‟intravedere il carattere limitato della
crescita economica a causa di fattori che egli individua essere, appunto, i due
suddetti.
Dalla fine dell‟Ottocento ad oggi si assiste, infine, ad una evoluzione in fasi del
rapporto uomo-ambiente, fasi che non si possono intendere in senso
cronologico e che a volte convivono nella stessa epoca. Lorenzo Bagnoli ne
individua quattro:
la prima fase, che caratterizza la cultura geografica dal XIX secolo fino
alla Prima Guerra Mondiale, viene comunemente definita del
determinismo. È la fase della completa sottomissione dell‟uomo e delle
sue azioni alle leggi della natura, rigide ed incontrovertibili;
la seconda fase è detta del possibilismo e va dalla fine dell‟Ottocento alla
Seconda Guerra Mondiale: l‟uomo e la natura cominciano ad essere posti
su un piano paritetico; la seconda influenza il primo senza, però,
determinarlo, e l‟uomo, dal canto suo, ha larga autonomia sull‟ambiente
che può modificare a suo vantaggio e beneficio;
la terza fase, quella della volontarismo, che si sviluppa negli anni tra le
due Grandi Guerre, vede nel rapporto natura-società la quasi
preponderanza della seconda sulla prima. È questo il risultato di quelle
grandi trasformazioni della scienza e della tecnica che danno ora
l‟illusione di poter eliminare ogni limite nell‟azione dell‟uomo e di una
1
Traduzione propria: “ This natural inequality of the two powers of population and of
production in the earth, and that great law of our nature which must constantly keep their
effects equal, form the great difficulty that to me appears insurmountable in the way to the
perfectibility of society”.
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cultura basata sul concetto nietzschiano del super-uomo e sui regimi
totalitari che si stanno insediando negli Stati più grandi d‟Europa.
Questa fase è altresì detta del “ tecnocentrismo”;
alla fase dell‟ottimismo e delle grandi speranze, si contrappone, però, e
in maniera tempestiva, la fase dell‟ “ecocentrismo”, dei ripensamenti: la
fase che invoca un rapporto di rispetto nei confronti della natura. Pare
che l‟avversione alla concezione volontarista sia determinata da alcuni
episodi particolarmente significativi, come ad esempio quello
dell‟emissione della nube di diossina a Seveso, in Brianza, nel 1976, che
provoca l‟intossicazione della popolazione locale e l‟inquinamento di
acqua, aria e specie animali e vegetali.
Da questo momento in poi comincia a farsi strada, e man mano a definirsi, il
concetto di “sviluppo sostenibile”, anche se l‟idea di conservare la natura e di
sottrarre lembi di territorio allo sfruttamento dell‟uomo ha, anch‟essa (e per
fortuna! ), origini abbastanza antiche: è infatti ai romani che si fa risalire la
creazione dei cosiddetti „boschi sacri‟, e più recente è la moda, presso sovrani e
feudatari, di conservare vasti territori per potervi esercitare la caccia
liberamente o per semplice godimento estetico e naturale. Tale filosofia si fa
sentire ancor di più, in chiave moderna ed evoluta, nell‟Ottocento, secolo nel
quale si darà vita al primo parco nazionale della storia, il Parco Nazionale dello
Yellowstone, fondato nel 1872, negli Stati Uniti.
LO SVILUPPO SOSTENIBILE: PRESUPPOSTI E OBIETTIVI
Per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo “che soddisfi i bisogni del
presente senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare
i propri”; è questa la definizione che se ne dà nel documento Our Common
Future elaborato dalla World Commission on Environment and Development,
meglio conosciuto come “Rapporto Brundtland”, dal nome dell‟ex primo
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ministro norvegese Gro Harlem Brundtland che nel 1987 presiede la
Commissione Mondiale sull‟Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite.
Riassumendo, per sviluppo sostenibile si intende uno sviluppo che sia
compatibile con l‟ambiente e con la sua conservazione.
Premesso che con il termine sviluppo si intende una crescita qualitativa e non
semplicemente quantitativa, e che quindi „sviluppo‟ ha un significato più
complesso e profondo rispetto a „crescita‟, le tre dimensioni principali entro cui
si pone lo sviluppo sostenibile sono:
la sostenibilità ambientale, e l‟integrità dell‟ecosistema, intese come:
capacità di conservare lo stock naturale; realizzazione del principio
etico della salvaguardia degli ecosistemi, della diversità biologica e
della tutela degli aspetti estetici e culturali; corretta utilizzazione delle
risorse naturali rinnovabili, legata, questa, alla capacità di
rigenerazione e di assorbimento da parte dei sistemi ecologici;
la sostenibilità economica, che richiede di integrare nel calcolo
economico, oltre ai due tradizionali fattori di capitale e di lavoro,
anche quello di capitale naturale costituito dall‟insieme dei sistemi
naturali, dai prodotti della natura e dal patrimonio artistico. È
naturale che l‟efficienza economica è tanto più alta quanto più è
ridotto l‟uso delle risorse non rinnovabili e quanto più intenso è l‟uso
di quelle rinnovabili;
la sostenibilità sociale, che richiede invece un miglioramento della
qualità della vita ed è legata al concetto di equità. A questo proposito
possiamo distinguere due tipologie di equità sociale: quella
intragenerazionale, all‟interno di una singola comunità in un
determinato momento storico; l‟equità intergenerazionale, tra più
generazioni, che pone l‟accento sull‟importanza della responsabilità
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che le generazioni presenti hanno sulla qualità della vita delle
generazioni future.
Si fa poi una distinzione tra:
sostenibilità debole, che postula una sorta di compensazione in base
alla quale la perdita di un elemento dell‟ambiente naturale può essere
rimpiazzata dalla ricchezza prodotta dall‟uomo;
sostenibilità forte, che richiede, invece, che vengano mantenuti gli
stock di capitale naturale indipendentemente dal capitale prodotto
dall‟uomo, ciò perché la ricchezza umana non possiede
un‟importante caratteristica che la natura e i suoi prodotti
possiedono: la multifunzionalità.
La definizione di sostenibilità forte implica quindi l‟obiettivo della
conservazione della natura, perseguibile attraverso il rispetto di tre
regole: impiegare le risorse rinnovabili tenendo conto del loro tasso
naturale di rigenerazione; usare le risorse non rinnovabili secondo le
possibilità che queste hanno di poter essere sostituite; mantenere il
flusso dei rifiuti al di sotto della loro capacità di assimilazione.
È evidente che i concetti di sostenibilità e di sviluppo sostenibile costituiscono
un vero e proprio punto di partenza da cui le politiche dei Paesi oggi coinvolti
nel progetto di partnership internazionale devono prendere spunto.
UN PO‟ DI STORIA DELLA SOSTENIBILITA‟
Di sviluppo sostenibile si parla sempre più spesso, a livello scientifico e a livello
divulgativo, tanto che alcuni lo considerano l‟ultima moda in fatto di teorie
dello sviluppo economico; e, anche se ancora non possiede un corpo teorico
solido, non sono in pochi a credere che tale nozione possa costituire una svolta
nel modo di concepire la società e il suo sviluppo e un serio tentativo di
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conciliare due obiettivi apparentemente e storicamente inconciliabili: lo
sviluppo economico, da una parte, e la conservazione dell‟ambiente, dall‟altra.
Lo sviluppo sostenibile, le cui origini affondano nelle diverse ideologie
ambientaliste alternative e il cui risultato è la tappa finale di un lungo dibattito
scientifico nel corso del quale sono emersi i concetti di „limite dello sviluppo ‟ e
di „sviluppo umano ‟, ha trovato la sua enunciazione formale attraverso le
sistemazioni concettuali condotte in occasione delle periodiche conferenze
organizzate dall‟ONU sui problemi dell‟ambiente e dello sviluppo e,
soprattutto, all‟interno del programma MAB, ovvero Man and Biosphere, dell‟
Unesco.
La storia e le tappe della sostenibilità possono, così, essere riassunte e
schematizzate:
1972, Conferenza di Stoccolma con il titolo Man and his Environment.
È questa la prima tappa che, malgrado le speranze degli
ambientalisti, non porta a risultati concreti. Resta comunque una
pietra miliare nella storia ambientale perché per la prima volta si
affrontano in sede internazionale problemi come le piogge acide e
l‟inquinamento, e per la prima volta il problema viene riconosciuto
essere globale, cioè coinvolgente tutto il mondo. La dichiarazione,
approvata il 16 Giugno 1972 dai capi delle 110 delegazioni che hanno
partecipato alla Conferenza, presenta un preambolo in cui si afferma
che siamo giunti ad un punto della storia in cui noi, uomini,
dobbiamo condurre le nostre azioni in tutto il mondo con più
prudente attenzione per le loro conseguenze sull‟ambiente , e
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