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azioni strutturali ed interventi congiunturali, essa
corrisponde ad uno schema largamente collaudato
il cui fondamento, apprezzandone la efficacia
espositiva, non intendiamo qui porre in
discussione. Piuttosto ci preme sin d'ora
sottolineare che, delineati in un binomio gli
strumenti di politica economica, non sempre
potranno scindersi nettamente e con la stessa
disinvoltura riscontrabile in un'esposizione
elementare della materia le funzioni dell'uno e
dell'altro tipo, ostandovi, come meglio sarà
dimostrato nel prosieguo, le oggettive connessioni
delle principali variabili macroeconomiche.
GLI ESITI DELLA RIFORMA
Con la riforma descritta le politiche agricole
comunitarie acquistano indubbiamente una
fisionomia nuova. E' presto tuttavia per concludere
che l'assetto raggiunto sia stabile, e solo una
verifica statistica su base pluriennale potrà fornire
indicazioni attendibili in merito all'efficacia dei suoi
risultati. Basterà però guardare la situazione in cui
versa il solo comparto cerealicolo per avvedersi che
i primi riscontri siano tutt'altro che confortanti: con
riferimento al mercato del grano, tra la fine del
1995 e i primi mesi del '96, si è in particolare
registrata una vertiginosa crescita dei prezzi medi
mondiali, mentre le scorte si attestavano ai minimi
storici, al di sotto della soglia ritenuta necessaria
per l'autosufficienza alimentare del pianeta.
Miglior sorte non è d'altronde riservata neanche al
settore lattiero-caseario,agitato di recente dalle
ricorrenti proteste degli allevatori contro
l'applicazione delle penalità correlate al sistema
delle quote di produzione.
La revisione della PAC ha avuto certamente il
merito di imprimere una svolta positiva nei rapporti
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multilaterali, avviando a conclusione i negoziati
dell'Uruguay Round; tuttavia, giacché la prassi del
diritto internazionale offre non pochi esempi di
norme inefficaci stilate con riserva mentale, è lecito
a tal punto chiedersi se questo non sarà forse il
caso del Trattato di Marrakech.
Di sicuro per il momento c'è solo la constatazione
che l'equilibrio fra domanda ed offerta è ancora
lungi dall'essere raggiunto, e questo sollecita
inevitabilmente una riapertura del dibattito sul
futuro della PAC.
In tale contesto una politica dello status quo è
impraticabile, poiché la prosecuzione nel
gradualismo congiunturale, già tacciato da più
parti di approssimazione, "non farebbe che
rimandare di qualche anno soluzioni più drastiche
e più costose di quelle necessarie per un
aggiustamento immediato".
Fra le interpretazioni emerse, si fronteggiano di
fatto due opposte tesi:
la prima, che potremmo definire massimalista o
congiunturalista, rileva l'opportunità di proseguire
risolutamente nel senso della liberalizzazione dei
mercati;
la seconda, moderata o strutturalista, si orienta
verso il mantenimento di un minimo di sostegno
pubblico e di protezione doganale.
Che il confronto su problemi così delicati si svolga
contestualmente sul versante politico e su quello
tecnico è fisiologico.
Non è però dall'asservimento dei correnti indirizzi
normativi a strumentalizzazioni politiche che
deriverà, di certo, il maggior contributo alla
ridefinizione della PAC.
Bisogna piuttosto verificare quanta parte delle
dinamiche mercantili sia imputabile a fattori
strutturali, e quanto, invece, costituisca effetto
della congiuntura: le risultanze di un recente
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studio dimostrano che proprio a causa degli
intervenuti mutamenti strutturali si è accresciuta
l'incidenza della variabili di congiuntura: per
converso, di fronte all'esiguità dei mezzi finanziari
associati alle cc. dd. misure di accompagnamento,
non può escludersi che la contrazione delle scorte
comunitarie si riconnetta ad amplificazioni indotte
sulle strutture agricole da fattori preesistenti nel
mercato mondiale.
E' nell'interazione fattoriale che si coglie dunque
l'aspetto cruciale della questione.
Sembra d'altronde pleonastico rilevare come le
incertezze di economisti, tecnocrati e policy makers
si riverberino sul dato normativo.
Se la congerie degli interventi denunzia, di primo
acchito, un deficit nell'organicità delle opzioni di
fondo, si può però tentarne una più chiara
sistematizzazione proprio alla luce dell'idea di
decoupling, mutuando una proposta di
categorizzazione coerente con la strategia
comunitaria perché basata su un livello
decrescente di disaccoppiamento.
Ad una prima categoria appartengono i
trasferimenti diretti alla persona dell'agricoltore. Si
tratta di erogazioni ancorate a variabili diverse da
quelle del processo produttivo (età, livello
d'istruzione, reddito familiare) e ininfluenti sulle
vicende del mercato; accanto a queste azioni,
pienamente disaccoppiate, e perciò riconducibili al
decoupling più puro, troviamo le sovvenzioni
devolute all'azienda agricola; esse vengono
correlate ai fattori produttivi, ma la loro incidenza
sul margine congiunturale oscilla in funzione dei
parametri considerati: se il parametro di
riferimento sono in fattori fissi, come le unità di
superficie o le unità di lavoro, si realizza ancora un
grado soddisfacente di disaccoppiamento; ma se gli
aiuti sono legati ad un determinato livello di
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utilizzo dei fattori variabili o alla scelta di
precisi ordinamenti produttivi, s'incrementano
apoditticamente le loro potenzialità distorsive; ciò
nondimeno, tali azioni consentono di riconoscere
ugualmente la fisionomia del decoupling, non
foss'altro perché comprensive di esternalità dotate
di scarsa attinenza col mercato, quali la
conservazione dell'ambiente e dello spazio rurale.
Se lo strumento fondamentale di sostegno dei
redditi, l'aiuto per ettaro, è riconducibile in linea di
massima alla seconda tipologia di interventi, non
mancano, invero, azioni di segno opposto: misure
come il set-aside e le quote di produzione,
combinando il sostegno dei prezzi con meccanismi
di più o meno rigido controllo dell'offerta,
marginalizzano la libera determinazione degli
operatori economici, e definirle disaccoppiate
sarebbe quantomeno opinabile. Del resto, anche
nel caso del decoupling più puro, siamo sempre di
fronte ad una distorsione allocativa delle risorse,
rinvenibile sovente nel mantenimento di una quota
di addetti superiore a quella altrimenti consentita
in regime di libero mercato.
Se la scelta del decoupling nell'ambito di una
politica ambientalistico-strutturale sembra
configurare la fisionomia di un indirizzo
irreversibile, una corretta risoluzione delle
problematiche connesse agli assetti da imprimere
all'agricoltura europea impone tuttavia la necessità
di graduare gli interventi individuando i comparti
nei quali sia più opportuno minimizzare la
distorsione allocativa delle risorse.
Se è vero che ciascun genere merceologico e
ciascuna OCM costituiscono un sistema a sé
stante, anziché ignorarne le specificità con
disquisizioni generiche, più ragionevole pare
adottare un approccio casistico mirato verso
un'analisi selettiva.
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In tal senso potrebbe ad esempio proporsi
l'applicazione di un modulo disaccoppiato in
relazione a settori che presentino prezzi stabili e
buone possibilità di sviluppo; per converso,
meccanismi che consentano di bilanciare il flusso
dell'offerta potrebbero preferenzialmente
ammettersi laddove le quantità siano strettamente
connesse ai livelli qualitativi, ovvero in relazione a
generi merceologici che prospettino l'esigenza di un
approvviggionamento costante.
RIFORMA PAC E TEORIA DEI SOGGETTI
IMPLEMENTAZIONI GIURIDICHE DEL DIRITTO
COMUNITARIO SULLA NOZIONE CODICISTICA
DI IMPRESA AGRICOLA
Comunque, atteso che la dicotomia delle politiche
comunitarie, qualificata da un concetto di
efficienza storicamente relativo, può risolversi,
rappresentando con ciò il più chiaro indicatore dei
correnti indirizzi politici, sotto un profilo
squisitamente soggettuale, restano tuttavia da
coglierne alcune ulteriori implementazioni, con
riguardo alla nozione giuridica di agrarietà.
In particolare, di fronte alla formula dell'art. 2135
co. 2 è intanto lecito chiedersi in che senso le
attività di commercializzazione, eventualmente
precedute dalla fase di trasformazione,
appartengano a quelle attinenti all'esercizio
dell'agricoltura. A causa della infelice formulazione
del precetto, ad alcuno il processo di alienazione è
sembrato essere, addirittura, meramente
eventuale, cosicché l'ambito di applicazione ne
risulterebbe oltremodo ridotto. Ci riferiamo alla
nota tesi del Ferri, secondo la quale soltanto
nell'agricoltura industrializzata, che deborda però
nella commercialità, si manifestano gli aspetti
essenziali dell'attività imprenditrice: perché si
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abbia impresa secondo l'A. non basta vendere sul
mercato, ma è necessario "organizzare al fine di
vendere"; inoltre, considerando il collegamento
funzionale dei beni nell'azienda si verifica che il
risultato produttivo finisca per dipendere solo in
parte dalla volontà dell'agricoltore. Nondimeno, a
deporre a favore di una interpretazione estensiva
non è solo l'orientamento più recente del
legislatore, che nel formulare i suoi precetti si
riferisce all'impresa agricola o perlomeno la
sottintende, ma altresì l'indirizzo prevalente in
dottrina e giurisprudenza, il quale, nel respingere
la postulata alternativa fra l'applicazione della
normativa riconducibile al tipo dell'impresa
commerciale e l'assenza di una impresa di
qualsivoglia tipo, sottolinea che non esiste motivo
per penalizzare l'attività agricola in relazione al
profilo dimensionale, affermando che la rilevanza
delle attività di alienazione deriva, anche per
l'imprenditore agricolo, dalla definizione generale di
imprenditore riferita all'art. 2082 ("chi esercita
professionalmente un'attività economica
organizzata al fine della produzione e dello scambio
di beni e servizi").
Del resto, l'auspicio di un'interpretazione estensiva
si formula proprio per la necessità di ricomporre la
cesura esistente in materia fra la normativa
codicistica e i trattati, in virtù di preminenti ragioni
pratiche: se la Comunità Europea rimette in buona
parte alle burocrazie dei suoi partners l'esecuzione
materiale della politica agraria, l'efficienza di ogni
intervento impone l'opportunità di convergere su
una definizione uniforme in ordine ai suoi
destinatari. A ciò si aggiunga che la intelligibilità
della nozione di impresa è propedeutica rispetto
alle questioni attinenti la decodificazione delle
regole di competenza giurisdizionale; e invero
sussiste la giurisdizione esclusivamente nei
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confronti di quelle imprese che per le modalità del
loro esercizio - oggetto e localizzazione - rientrino
nell'ambito dei diversi criteri di collegamento
previsti dalle norme comunitarie; inoltre, la
definizione del termine "impresa" con riferimento
agli esercenti le attività agricole è altresì
fondamentale per l'attribuzione della capacità
processuale attiva e passiva, nel quadro degli
svolgimenti della medesima funzione
giurisdizionale.
De iure condendo, l'adempimento degli impegni
contratti con l'Unione Europea impone l'esigenza di
un'armonizzazione testuale della normativa
codicistica.
De iure condito, lo strumento più agevole per
esperire tale armonizzazione sembrerebbe essere
quello ermeneutico, cosicché l'applicazione del
criterio biologico, in aderenza con la classificazione
dei prodotti compiuta nell'annesso II al trattato
istitutivo della CEE, offre in definitiva un sostegno
utile ai fini della interpretazione evolutiva dell'art.
2135, con particolare riguardo per la
formalizzazione delle attività che vi fossero pur
indirettamente connesse, ma senza cadere
nell'equivocità di una concezione metagiuridica.
Coloro che si riferiscono alla nozione comune di
agricoltura, comprensiva della coltivazione e
dell'allevamento, rilevano contraddittoriamente che
rispetto alle categorie offerte dal diritto comune,
l'ambito dell'attività agricola può essere
indifferentemente più esteso o più ristretto rispetto
all'enumerazione di prodotti fornita dall'annesso II,
di tal che non possono che concludere nel senso
dell'impossibilità di dedurne un'asseverativa
nozione di impresa.
L'equivocità di tale concezione consiste nel
pervicace tentativo inteso ad identificare la nozione
di impresa agraria con il diritto agrario,
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trincerandosi in uno sterile dogmatismo,
insufficiente a fornire una risposta agli odierni
problemi che il settore presenta. In altri termini:
può essere vero che l'impostazione legistica
adottata a livello comunitario non consenta di
ricondurre la fisionomia dei soggetti nelle trame di
una definizione sintetica e possibilmente
onnicomprensiva, potendo peraltro dubitarsi circa
l'utilità stessa di tale operazione; ma è comunque
innegabile che questa circostanza non preclude per
converso la ricostruzione di un'accezione di
agrarietà rilevante nella sfera socio-politica di
interesse comunitario, specie se formulata con
l'intento precipuo di individuare quel minimo
comun denominatore che valga ad eliminare in
radice le eventuali antinomie infrasistemiche. Le
resistenze riscontrabili in ordine all'opportunità di
adeguarsi ai criteri merceologici promossi dalla
normativa comunitaria possono comprendersi solo
considerando le aporie che tuttora contrassegnano
il nostro diritto agrario. E' anacronistico che
imprese con ingenti giri d'affari debbano avere il
privilegio di non fallire e di non dover redigere
obbligatoriamente scritture contabili, ma è spesso
proprio per l'esigenza di tutela dei terzi che la
giurisprudenza tende a classificare come
commerciali imprese che, invece, senza tale
preoccupazione, qualificherebbe senz'altro come
agrarie, secondo ciò che in effetti sono.
Due ricorrenti polarizzazioni si trovano invero nella
più recente speculazione dottrinale:
da un lato una concezione che col suo radicamento
fondiario sembra prevalentemente assillata dalla
preoccupazione di circoscrivere il diritto agrario,
quasi considerandolo un mero sistema di privilegi;
dall'altro quella teoria che, identificando il dato
ontologico della produzione nell'attività mirata a
favorire "la realizzazione del programma genetico"
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di una specie vivente e raccordando i contenuti
della definizione alle tecnologie emergenti dell'ars
agricola finisce per renderne la demarcazione
nient'affatto chiara, se non proprio evanescente ed
indeterminata.
Secondo noi resta ferma l'inammissibilità delle tesi
riconducibili al concetto di agricoltura territoriale,
non foss'altro perché, categorizzare le imprese
agrarie cc. dd. fuori terra come imprese
commerciali comporterebbe l'assurdo di collocare
in campi diversi imprese produttrici dei medesimi
beni solo in virtù di un differente sistema di
produzione. Gli schemi della norma codicistica
risultano quindi inadatti a ricomprendere altresì
fattispecie che non trovano la propria
configurazione nel diritto civile, pur apparendo
sostanzialmente ed intrinsecamente agrarie. Ne
consegue la necessità di adottare una concezione
sostanzialmente antiformalistica che, superando gli
angusti confini dell'ordinamento positivo, prediliga
quella costruzione capace di modellarsi sulla realtà
storica della normativa vigente, cogliendo le novità
che lo sviluppo del fattore tecnico
immancabilmente impone.
Da quanto precede, si può in sintesi asserire che la
concezione proposta, nel definire la teoria dei
soggetti interpolandola con criteri merceologici
positivamente statuiti, abbia il pregio di
relativizzare la nozione d'impresa senza doverla
necessariamente ricavare, come avviene invece
nell'ambito della costruzione tradizionale, per
astrazione rispetto ai suoi presunti caratteri
ontologici. Il discorso intrapreso raccordando la
qualificazione dell'impresa agricola agli svolgimenti
del ciclo biologico implementa però la necessità di
rinvenire, nella trama mutevole del diritto derivato,
la conferma dei postulati previamente espressi. Ci
si deve cioè chiedere se nell'ordinamento
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comunitario possa ravvisarsi una nozione generale
dell'impresa comprensiva di elementi che cospirino
a qualificarne i tratti essenziali osservandola nel
suo aspetto dinamico. Qualora questa ipotesi fosse
confermata sarebbe lecito farne conseguire la più
perentoria confutazione di una teoria che muove
invece dalla tipologia dei prodotti, e quindi non
dall'attività, sibbene induttivamente dal suo
risultato economico. Apparentemente il Trattato di
Roma sembra non avere attribuito importanza ai
requisiti del soggetto esercente le operazioni di
produzione, trasformazione e commercializzazione,
essendosi prevalentemente il suo approccio
protettivo rivolto alla qualificazione dei beni. Ciò
che invece più contava era aggregare alle attività
economicamente ricollegabili al concetto naturale
di agricoltura una serie di precetti legislativi
eminentemente tecnici intesi alla creazione di
un'organizzazione comune dei mercati agricoli nei
vari settori. Perciò, poco ha rilevato, d'ordinario, la
qualità dell'alienante - ovvero se fosse lo stesso
produttore o mero intermediario, o finanche,
un'industria di trasformazione - essendosi ritenuto
che la tutela dell'agricoltura meglio si attuasse
sostenendo comunque il mercato dei suoi prodotti
anche trasformati. Nondimeno, nella concreta
attuazione delle politiche comunitarie, il legislatore
non ha potuto prescindere dalla necessità di
individuare autonomamente i soggetti che ne
fossero destinatari; la qual cosa è avvenuta non già
fornendo una nozione generale dell'impresa, ma
isolandone di volta in volta e per specifici fini i
caratteri d'esercizio. In tale contesto, la possibilità
di ricavare una nozione unitaria sembrerebbe
impraticabile, e quest'impressione trova conferma
attraverso l'esperimento di un'analisi dei principali
atti che hanno segnato la fisionomia della PAC, in
una prospettiva di comparazione diacronica. Si
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deve inoltre notare che sovente il legislatore
comunitario abbia richiamato il concetto di
imprenditore, individuandolo generalmente come
subfattispecie rispetto alla definizione resa
dall'ordinamento interno. E d'altronde pare ovvio
che quand'anche tale nozione resti inespresa
configuri un implicito presupposto d'applicabilità
della normativa di dettaglio, segnalando la
necessità di pervenirvi aliunde.
Se si riconosce la precedenza logica della
costruzione offerta dal diritto comune rispetto alle
qualificazioni comunitarie, la significatività di
questi rilievi merita apoditticamente accurata
considerazione.
La nozione di impresa agricola risulta cioè
ineluttabilmente correlata agli attributi estrinseci
d'esercizio che ne circoscrivono le varie tipologie, in
un rapporto di genere e specie tale da
rappresentarne, ai fini della concreta attuazione,
l'obiettiva complementarità. L'eterogeneità
riscontrabile in singoli precetti, se da un lato,
definendo la cerchia dei destinatari di oneri e
sussidi, attesta l'orientamento delle strategie
comunitarie, dall'altro non reagisce sul concetto
generale d'impresa, integrandolo semmani, di volta
in volta.
Acclarata la consistenza di questa relazione,
nell'ambito di uno scenario socioeconomico
diversificato dall'incidenza del fattore tecnologico e
non aleatoriamente incardinato in un contesto
ordinamentale ad attuazione progressiva,
rappresentare il genere attraverso la ricerca dei
caratteri comuni alle diverse specie diventa
operazione meramente velleitaria.
Sarebbe del resto contraddittorio ascrivere alla
Comunità competenze tendenzialmente esclusive in
materia agricola, intendendo con ciò riconoscerle la
responsabilità di gestire una strategia, per
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ammettere poi che i singoli partners possano
rimetterla in discussione con definizioni autonome,
eterogenee e poco ortodosse!
Non si vuole, beninteso, sminuire l'importanza
dell'ordinamento statale, ma rilevare semmai, a
conferma dell'intuizione da cui si era partiti, che
solo valorizzando il contributo derivante
dall'intercompenetrazione degli strumenti giuridici
nazionali e comunitari può vincersi la tradizionale
anelasticità riscontrabile nella nozione giuridica
d'impresa senza contestualmente compromettere la
coerenza di quei segmenti del diritto gravati da una
responsabilità politica congiunta e duale.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La centralità del mercato, pretermessa nelle loro
prime formulazioni dalle teorie biologiche, emerge
invece col contributo della scuola fiorentina,
per affermarsi come elemento qualificante
dell'agrarietà.
Ben lungi dal confutare le basi concettuali della
teoria biologica, questa costruzione intende
piuttosto spostarne il baricentro verso un fattore
che, per il noto processo di globalizzazione dei
rapporti economici internazionali, assurge oggi ad
un livello di superiore significatività.
La pregnanza logica di tale concezione ben si rivela
cogliendo l'oggetto essenziale del settore nella
gestione di processi produttivi anelastici e nella
soddisfazione di bisogni non inducibili.
La nostra analisi postula perciò lapalissianamente
una pluralità di prospettive convergenti che,
oscillando tra politica, economia e diritto,
funzionalizzano la questione agraria in un sistema
di quadri sinottici. In tale contesto la circostanza
che l'agrarista tenda ad appropriarsi di strumenti
epistemologici che in passato costituivano
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prerogativa di altre aree disciplinari non deve
sorprendere, rappresentando nel metodo il naturale
corollario del discorso che precede.
Certamente, di fronte alle segnalate disfunzioni, il
rischio che l'agricoltura ricada nella spirale
dell'assistenzialismo senza tuttavia ottenere
significativi vantaggi in termini di strategie
orientate al ripristino della competitività si
concretizza, legittimato da autorevoli prese di
posizione.
Ci sembra comunque cero che ogni soluzione
protesa a razionalizzare lo statuto dell'agricoltura
colmando il gap che la divide dal resto
dell'economia debba armonizzarsi nell'ambito di un
disegno organico.
Se di fronte al poco perspicuo contegno del
legislatore l'improcrastinabilità di un riordino
impone la ricerca di criteri idonei a definire un
nuovo orizzonte regolativo, la collocazione delle
imprese in un sistema di concorrenza perfetta
preclude d'altronde la loro possibilità di
condizionare le tendenze nei mercati di riferimento,
palesando l'imprescindibilità di un modello di
politica economica fondato sull'ausilio di opzioni
eterodirette.
Nello scenario dei un'economia globalizzata "ogni
stato ha bisogno di qualcosa di più della mera
disponibilità delle risorse che costituiscono le
capacità. Lo stato deve garantire delle strutture
politiche, sociali ed economiche che possano
permettergli di mobilitare a favore del governo le
risorse presenti entro i suoi confini e di convertirle
in strumenti di politica estera".
Il superamento della persistente sperequazione
ravvisabile nella distribuzione delle risorse tra i vari
comparti produttivi e l'istituzionalizzazione di
un sistema di concertazione collaborativa
rappresentano rispettivamente le condizioni
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sostanziale e procedimentale nell'auspicio di un
nuovo corso per l'agricoltura europea.
Una Comunità che intenda accreditarsi come
protagonista nella trama delle relazioni
internazionali non potrà verosimilmente
prescindere dall'apprensione di meccanismi tali da
consentirle di padroneggiare con sicurezza le
proprie potenzialità, specie laddove si consideri
come il superamento del disagio economico che
contrassegnò la vicenda genetica della politica
agricola renda oggi necessario dar corpo ad un
nuovo patto sociale, che impegni il legislatore nella
predisposizione di strumenti idonei a valorizzare le
multifunzionalità della sua vocazione ruralista.
Ancorché raccordato sovente a principi mercantili
poco ortodossi, l'obiettivo dell'autosufficienza
alimentare si carica, a tal riguardo, di una
pregnanza assai rilevante, e le linee propositive
della riforma PAC '92 definiscono le direttrici di un
disegno innovativo, con un trend verso indirizzi
politici che, articolandosi nell'edificazione di un
liberismo controllato, pongono le azioni strutturali
nell'ambito ed al servizio delle priorità di
congiuntura.