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CAPITOLO 1
Joyce Lussu, una donna combattente
Joyce Lussu, bellissima donna dal portamento aristocratico e dal carattere
incredibilmente determinato, visse un’esistenza straordinaria scandita dall’amore
per la poesia e per la politica, segnata dai tratti dell’ironia, del rigore etico e della
saggezza.
Gioconda Beatrice, detta Joyce, nasce a Firenze l’8 Maggio 1912 da Guglielmo
Salvadori, detto Willie, filosofo positivista-evoluzionista di origini anglo-albanesi,
e Giacinta Galletti, detta Cynthia, figlia di un ufficiale garibaldino e di una
nobildonna della colta aristocrazia inglese. Joyce, terzogenita dopo Gladys e
Massimo detto Max, eredita dalla famiglia un imprinting psicologico-politico che
non perderà mai. Lei stessa ha affermato una volta:
Per quello che sono e che sono diventata, io sono figlia di entrambi: di mio padre
e di mia madre. Devo a tutti e due il coraggio che credo di aver avuto e la cultura
che ho amato e che amo [...] Hanno scelto cose affascinanti, nei racconti che me
ne facevano, sin da bambina: l’antimilitarismo, il progressismo, il femminismo.
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A Firenze frequenta solo i primi anni di scuola elementare. Successivamente, a
causa di problemi economici e soprattutto per il rifiuto dell’impostazione fascista
che era stata data ai programmi scolastici, i genitori ritirano Joyce dalla scuola
pubblica per occuparsi personalmente della sua istruzione.
Durante l’estate trascorre del tempo nella villa del nonno, Giacomo Salvadori, nei
pressi di Porto San Giorgio. Giacomo aveva ideali politici opposti a quelli del
figlio e per Joyce il fascismo avrà per sempre il volto di suo nonno. Ciononostante
il suo legame con le Marche si fa sempre più forte.
Joyce comincia ad avere noie coi fascisti all’età di nove anni, perché sorpresa a
scrivere sui muri “Abbasso il fascio”. Ha solo dodici anni quando gli squadristi
portano via il padre, seguiti di nascosto da Max. Al loro ritorno, il padre è in
pessime condizioni e la famiglia decide di fuggire. Dopo una serie di
peregrinazioni, prima in Italia e poi all’estero, la famiglia Salvadori si stabilisce in
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Testimonianza di Joyce Lussu in Anna Maria Mori, Nel segno della madre, Frassinelli, Roma,
1992, pp. 67-74
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Svizzera, dove Joyce frequenta la Fellowship School, istituto già frequentato
anche da suo padre. La Fellowship School si contraddistingue per una pedagogia
sperimentale intesa a sviluppare un’apertura internazionale ed ha come principio
pedagogico principale l’antiautoritarismo. Le prime poesie di Joyce scritte tra il
1920 e il 1924 vengono pubblicate dalla Fellowship School.
Negli anni successivi Joyce sostiene gli esami liceali da privatista tra Macerata e
Fermo. A soli diciassette anni bussa per la prima volta alla porta di Palazzo
Filomarino, la casa di Benedetto Croce. Tra la giovane ragazza e il grande filosofo
s’instaura un’amicizia e un rapporto di stima reciproca e di amicizia che
continuerà negli anni, nonostante le loro idee politiche contrastanti.
Dopo la maturità classica, Joyce si reca per sei mesi a Bengasi dove lavora come
istitutrice presso una famiglia di ricchi napoletani. Grazie ai soldi ricavati da tale
lavoro, una volta tornata in Europa s’iscrive alla Facoltà di Filosofia presso
l’Università di Heidelberg. Insegna lingue ad altre studentesse per guadagnare
qualcosa. In questi anni, vede il nazismo prendere piede e, per una questione sia
morale sia di sopravvivenza, decide di tornare in Italia.
Nel frattempo suo fratello Max ha aderito al movimento antifascista “Giustizia e
Libertà” e, quando Joyce va a trovarlo a Ponza, affida alla sorella un incarico di
grande importanza: consegnare personalmente a Mister Mill, nome in codice del
capitano Emilio Lussu, un messaggio contenente un progetto di fuga dal confino.
È subito colpo di fulmine, ma il capitano ritiene che un impegno sentimentale in
quel momento sarebbe un ostacolo per la sua attività di rivoluzionario militante.
Così decidono di prendere strade diverse.
Dopo diversi anni, Joyce si ricongiunge con i genitori e la sorella Gladys e si
stabilisce in una villa di campagna a San Tommaso di Fermo, residenza che
diventerà punto di riferimento per la resistenza antifascista. In questo periodo,
Joyce conosce Aldo Belluigi, vicecaposquadra della locale legione della Milizia, e
con lui si sposa nonostante le ideologie politiche opposte. È un matrimonio che
tuttora si può definire inspiegabile. Max conosce Aldo e decidono di andare
insieme in Kenya e avviare un’azienda agricola. Successivamente Joyce e la
moglie di Max li raggiungono. L’attività commerciale e la vita coniugale di Joyce
vanno a rotoli, cosicché lei, giunta al culmine della sopportazione, decide di
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partire per andare in Tanganika, dove lavora come segretaria presso una raffineria
di riso. Il matrimonio con Aldo verrà annullato a San Martino solo in seguito.
Nel 1938 Joyce ritorna dal suo soggiorno in Africa, ma il console italiano non le
rinnova il passaporto, in quanto è considerata una sovversiva:
Mi piaceva conoscere il mondo, ma ora la nostalgia per l’Italia era più forte [...]
L’Italia era un paese meraviglioso e sconosciuto, era mio ma mi veniva sottratto.
Lo amavo con collera, con desiderio che diventava quasi una malattia.
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Riesce, tuttavia, a imbarcarsi e a raggiungere Marsiglia, dove la polizia locale la
farà passare anche senza documenti. Joyce sa di non poter tornare in Italia, così si
reca a Ginevra, dove lavora come dattilografa al Bureau International du Travail,
riallacciando, tramite Chiostergi, i rapporti con “Giustizia e Libertà”. In quegli
anni, Benedetto Croce raggiunge la “signorina Salvadori” (così la chiamava) e le
propone di pubblicare delle sue poesie.
Alla fine del 1939, Joyce ed Emilio Lussu si stabiliscono insieme a Parigi come
clandestini.
Successivamente Joyce riesce ad ottenere un permesso provvisorio che le
permette di iscriversi alla Facoltà di Lettere della Sorbona con il suo vero nome.
Questa sua volontà di continuare gli studi si può considerare come un’altra
manifestazione di resistenza all’autoritarismo dei regimi totalitari, che sembra
voler ostacolare Joyce nella proprio vocazione intellettuale.
Gli anni successivi sono contrassegnati dalla guerra, ma anche dalla passione di
questa giovane donna eroica per un uomo rivoluzionario di vent’anni più grande
di lei, conosciuto molto tempo prima. In diverse occasioni Joyce si è distinta per il
suo coraggio, mettendosi alla pari di tutti gli uomini che combattevano al suo
fianco e affermando “Sono una donna, non sono una donnetta. Se c’è da fare la
guerra la faccio anch’io! Dovrei stare seduta e mandarci gli altri?”
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Lo promise a
se stessa fin dalla giovane età di dodici anni, quando suo padre, portato via dai
fascisti, rischiò la vita insieme a Max:
Noi donne eravamo rimaste a casa, in relativa sicurezza; mentre i due uomini della
famiglia avevano dovuto buttarsi allo sbaraglio, affrontare i pericoli esterni, la
brutalità di una guerra senza quartiere. E giurai a me stessa che mai avrei usato i
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Joyce Lussu, Fronti e frontiere, Laterza, Bari, 1967., p. 10
3
Joyce Lussu, Lotte, ricordi e altro, Biblioteca del Vascello, Roma, 1992, p.53
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tradizionali privilegi femminili: se rissa aveva da esserci nella rissa sarei stata
anch’io
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Durante la sua permanenza parigina due avvenimenti importanti, uno positivo e
uno di gran lunga negativo, segnano profondamente la vita di questa grande
donna. Nel 1940 Joyce e Emilio celebrano con rito laico il loro matrimonio di cui
sono testimoni Giuseppe Emanuele Modigliani e Silvio Trentin. L’altro episodio,
decisamente più doloroso, è l’aborto clandestino:
Il fatto di dover rinunciare a un figlio (anzi a una figlia, mi ero convinta che
sarebbe stata una femmina) non per mio desiderio ma per la violenza delle
circostanze esterne, e di dovermi sottoporre alla brutalità e alla violenza
dell’aborto clandestino, mi fece piombare in una disperazione mai conosciuta
prima. Stavo immobile, al buio, nel sangue dell’orrenda ferita, rifiutando di
muovermi, di parlare, di mangiare; volevo distruggermi, insieme alla mia figlia
mai nata.
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Solo dopo aver raggiunto la totale disperazione, Joyce riesce a trovare la forza di
riprendersi, soprattutto grazie alla presenza costante di Emilio.
La mattina del 14 giugno le truppe tedesche invadono Parigi e i due audaci
rivoluzionari sono costretti, insieme a tutti gli altri antifascisti, ad abbandonare la
città. Restano per un breve periodo a Tolosa, ospitati in casa di Silvio Trentin, e
successivamente in un piccolo villaggio ai piedi dei Pirenei, per poi dirigersi verso
Marsiglia, dove avviano un’officina di documenti falsi che aiuterà centinaia di
ricercati a partire.
Nel giugno del 1941 decidono di andare a Lisbona sotto la falsa identità polacca
autoprodotta della coppia Laskowska. Con non poche difficoltà, riescono a
raggiungere la capitale portoghese:
Ciò che mi colpì maggiormente a Lisbona, i primi giorni, non fu la perfezione di
Praça do Comércio, la festosa grandiosità dell’Avenida da Libertade, la bellezza
delle maioliche a disegni azzurri sui muri delle case, furono i mercati e le
pasticcerie.
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A Lisbona, infatti, i prezzi modici e i negozi colmi di cibo permettono a Joyce si
usufruire di quelle piccole cose di cui si è dovuta privare negli ultimi tempi.
4
Joyce Lussu, Portrait, Transeuropa, Ancona, 1988, p.51
5
Joyce Lussu, Lotte, ricordi e altro, cit. p.69
6
Joyce Lussu, Fronti e frontiere, cit. pp. 50-51