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INTRODUZIONE
La situazione della poesia italiana agli inizi del secondo dopoguerra
rivela un’insoddisfazione crescente per gli esiti raggiunti dalla tradizione
ermetica. La parola ‘pura’, la distanza dalla realtà storica, politica e morale
che quella poesia aveva espresso nel periodo fascista, giungono alla fase
finale, come del resto dimostrano le opere di Quasimodo, Luzi e Gatto
scritte dopo il ’45. Un tentativo di reazione, un ritorno alla realtà e
all’impegno sociale e politico, passa inizialmente attraverso una serie di
esperienze riconducibili all’ambito poetico neorealista, senza tuttavia
raggiungere soluzioni espressive apprezzabili e veramente innovatrici. Nella
seconda metà degli anni Cinquanta è poi la volta di Pasolini e dei poeti
raccolti attorno alla rivista «Officina»; e poco più avanti sarà il momento
della neoavanguardia con I Novissimi di Giuliani e il Gruppo 63.
Ma la prima vera proposta di rinnovamento poetico, chiara presa di
distanza sia dall’ermetismo che dal neorealismo, si ha nel 1952 con la
pubblicazione dell’antologia Linea lombarda, ideata e curata da Luciano
Anceschi. In quest’opera, attraverso i testi di Vittorio Sereni, Roberto
Rebora, Giorgio Orelli, Nelo Risi, Renzo Modesti e Luciano Erba, si
ipotizza l’esistenza e la praticabilità di una comune poetica vicina agli oggetti
e al paesaggio, fatta di cose dimesse e quotidiane, priva di enfasi e di
qualsiasi preconcetto ideologico, in cui l’io, più che essere al centro del
discorso, si eclissa dietro un atteggiamento autocensorio di non ostentazione
dei sentimenti, talvolta accompagnato dall’ironia. Una poesia che interpreta
in chiave anti-eroica e anti-retorica il ruolo del poeta e dell’intellettuale, e
tuttavia non manca di una solida vocazione morale e ‘civile’.
A partire da tale concezione della poesia questi autori evolvono negli
anni Sessanta, sulla spinta dell’ascesa poetica neoavanguardistica e
dell’esempio sereniano de Gli strumenti umani, verso una scrittura più
‘narrativa’ in cui si ispessisce ulteriormente anche la riflessione etica. È il
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passaggio al ‘secondo tempo’ della linea lombarda che connette il lavoro
poetico dei rappresentanti ‘storici’ del movimento, a quello della
generazione lombarda più giovane.
Questa tesi, dunque, ripercorre il cammino della linea lombarda
seguendo il lavoro dei poeti che ne hanno rappresentano la principale
espressione. In generale, di ognuno di essi, si cercherà di porre in luce i
punti di convergenza o di divergenza rispetto alla collocazione entro tale
ambito poetico.
Per un iniziale inquadramento storico, nel primo capitolo, si darà conto
della tradizione letteraria lombarda come sostrato su cui si innesta la poesia
degli autori in esame. Si vedrà poi in dettaglio l’antologia di Anceschi per
passare infine agli sviluppi del fenomeno linea lombarda con l’esposizione
delle cause storiche e degli aspetti formali che hanno portato
all’individuazione di un ‘secondo tempo’ evolutivo di essa
Nel secondo capitolo verranno presi in esame il ruolo e l’opera di
Vittorio Sereni, ‘capostipite’ della linea lombarda e punto di riferimento per i
suoi sviluppi successivi. A tale scopo si guarderà con maggiore attenzione
alle raccolte Frontiera, Diario d’Algeria e Gli strumenti umani, tralasciando
soltanto Stella variabile la cui poesia, ai fini di questa trattazione, risulta meno
pertinente.
Il terzo e il quarto capitolo, infine, saranno incentrati sui poeti della
linea lombarda; prima gli esponenti della ‘quarta generazione’, Nelo Risi,
Luciano Erba, il ticinese Giorgio Orelli e il siciliano, lombardo d’adozione,
Bartolo Cattafi; poi, entro le fila del secondo tempo di questo gruppo
poetico, Giovanni Raboni, appartenente alla ‘quinta generazione’, e
Maurizio Cucchi, esponente della cosiddetta ‘generazione del ’68’.
Attraversando l’opera di questi poeti, un percorso vario che dal Sereni
di Frontiera giunge fino a Il disperso di Cucchi, si avrà modo di osservare come
la linea lombarda abbia interpretato e rinnovato quel rapporto tra poesia e
realtà che, a tutt’oggi, la caratterizza come una tra le iniziative letterarie più
interessanti del secondo Novecento.
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C A P I T O L O I
LE ORIGINI E GLI SVILUPPI DELLA ‘LINEA LOMBARDA’
1.1 La tradizione letteraria lombarda
Uno studio sui principali protagonisti della linea lombarda nella poesia
del secondo Novecento conduce innanzi tutto al sondaggio del sostrato
culturale che ne costituisce l’ossatura, quella tradizione letteraria lombarda
che affonda le proprie radici nel Duecento e giunge a piena maturazione tra
il Seicento e il Novecento
1
. Questa tradizione, generalmente, anche in
considerazione del fatto che la Lombardia nei secoli passati ebbe
un’estensione geografica minore rispetto all’attuale regione amministrativa,
viene percepita in relazione alle manifestazioni culturali del suo centro
principale, Milano.
Già a partire dal XIII secolo, in concomitanza con lo sviluppo di una
fiorente civiltà comunale nel settentrione d’Italia, la letteratura lombarda
comincia a delineare i suoi primi elementi di specificità. Guardando anche al
modello allegorico francese del Roman de la rose, la cultura municipale del
Duecento dà vita a una ricca produzione letteraria didattico-moraleggiante
che a Milano raggiunge il suo apice con la figura di Bonvesin de la Riva,
insegnante di grammatica e autore di numerose opere in latino e in volgare.
Tra queste, oltre ai celebri contrasti e al Libro delle tre scritture, si può ricordare
il poemetto De quinquaginta curialitatibus ad mensam (Le cinquanta cortesie da
desco), una sorta di galateo che risponde alle esigenze conoscitive del nuovo
ceto mercantile in fatto di ideali cortesi e cortigiani. Il genere didascalico,
con l’intento di dispensare insegnamenti, sviluppa dunque la sua funzione
rivolgendosi in particolar modo agli strati ‘borghesi’ della società. Questo
tratto caratteristico dell’attività letteraria di Bonvesin de la Riva è del resto
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Si deve a Dante Isella l'individuazione di una «linea che dall'ultimo decennio del Seicento, quando
nacque il teatro milanese del Maggi, arriva agli esordi di Gadda» (DANTE ISELLA, Avvertenza a I
lombardi in rivolta: da Carlo Maria Maggi a Carlo Emilio Gadda, Torino, Einaudi, 1984, VIII).
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riscontrabile, pur in epoche diverse e con alcune differenze, in autori come il
Maggi, Dossi e persino Gadda attraverso modalità spesso critiche nei
confronti della società lombarda.
Una prima riflessione sulla specificità della cultura lombarda, sul ruolo
che essa ha assunto nel contesto della letteratura italiana, si lega alla
posizione intermedia, non solo in senso geografico, della Lombardia rispetto
alla Francia e alla Toscana. Non a caso si è parlato a questo proposito di una
posizione «per certi versi bifronte […] ideale baricentro di un asse culturale
Firenze-Parigi»
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. Ma per quanto sia indubbio che il prestigio delle culture
confinanti costituisca generalmente uno stimolo alla maturazione artistico-
letteraria di una regione, l’influsso dei grandi modelli letterari toscani ha in
un primo momento limitato l’originalità espressiva lombarda intervenendo
anche a livello linguistico. Del resto, il periodo che va dal Trecento al
Seicento corrisponde ai «secoli in cui Firenze impone a tutta Europa la
civiltà umanistico-rinascimentale e non fa meraviglia che Milano ne sia una
propaggine»
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. Questa parentesi, della durata di circa tre secoli, vede tuttavia
la stabilizzazione linguistica del milanese moderno, almeno per quanto
riguarda i suoi aspetti fonetico-morfologici. E in questo stesso periodo si
pongono «le premesse essenziali per gli sviluppi successivi in senso ormai
“italiano”, cioè unitario, della cultura lombarda»
4
.
Ma è a partire dagli ultimi anni del Seicento che si può apprezzare una
prima, importante affermazione della letteratura lombarda. In ambito
arcadico, vi fu il tentativo di riportare la cultura italiana ai livelli di quella
europea attraverso una riforma del linguaggio poetico, una ricerca di
razionalità e misura a vantaggio di una comunicazione più chiara dei
contenuti. Proprio in questo ambito, all’interno di questa necessità di
rinnovamento linguistico, nasce il teatro di Carlo Maria Maggi. Nelle sue
commedie in dialetto milanese (Il Mancomale, Il barone di Birbanza, I consigli di
2
UMBERTO MOTTA, Vittorio Sereni e la “linea lombarda”, in Il canto strozzato. Poesia italiana del Novecento, a
cura di Giuseppe Langella e Enrico Elli, Novara, Interlinea, 2004, 184.
3
DANTE ISELLA, La cultura letteraria lombarda, in I lombardi in rivolta…, 6.
4
Ivi, 9.
5
Meneghino, Il falso filosofo) scritte alla fine del Seicento, compare per la prima
volta la figura di Meneghino, onesto lavoratore, saggio e generoso, schietto e
religioso, quasi a simboleggiare il popolo milanese e la sua moralità in
contrapposizione all’ipocrisia e alle ingiustizie della classe nobiliare. Una
ricerca di moralità e di vicinanza al vero che caratterizza l’atteggiamento
culturale lombardo anche nei suoi sviluppi successivi. E la scelta del dialetto,
con i suoi effetti comici, rientra a pieno titolo in questa caratterizzazione
indicando polemicamente una soluzione al purismo dell’Accademia della
Crusca. Dunque, sperimentazione linguistica, comicità e satira sociale,
appaiono già in Maggi quali topoi di una ‘linea espressionista’ all’interno della
tradizione lombarda, linea che vedrà coinvolti, tra gli altri, Carlo Porta, Delio
Tessa e Carlo Emilio Gadda (ma si pensi anche, pur non in chiave
strettamente espressionista, all’ironia di autori della linea lombarda quali
Erba e Risi).
Nel Settecento si assiste a un progressivo spostamento verso nord del
baricentro culturale e letterario italiano. Anche dal punto di vista politico e
sociale si registra un incremento del divario tra Nord e Sud. Infatti,
diversamente dai tentativi di riforma nel Regno di Napoli, ben più profonde
furono le iniziative adottate nel Ducato di Milano (direttamente legato
all’imperatrice Maria Teresa d’Austria), soprattutto in campo amministrativo
e scolastico. In questo generale clima di trasformazione sociale va segnalato
lo sviluppo di una classe borghese sempre più matura e consapevole,
fenomeno che almeno in parte è stato considerato tra i fattori propulsivi
dell’Illuminismo. E anche se la nascita dell’Illuminismo non può ritenersi
direttamente collegata al fenomeno borghese, a noi interessa sottolineare
che il piano ideologico dell’uno e quello economico-sociale dell’altro hanno
favorito la diffusione di un nuovo clima culturale.
Infatti, per quanto riguarda la letteratura, la Lombardia del Settecento si
dimostra tra le regioni «più alacri al recupero e all’illustrazione della storia
letteraria italiana»
5
, superando quell’atteggiamento che nel Cinquecento
5
CARLO DIONISOTTI, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967, 48.
6
l’aveva vista sostanzialmente indifferente a qualsiasi iniziativa di
rinnovamento letterario. Quello stesso periodo in cui una vera e propria
letteratura italiana, dibattendo sulla questione della lingua, dello stile e del
linguaggio poetico, andava invece emancipandosi dalle proprie origini
toscane. Giuseppe Parini, con l’intenzione di raccogliere e rielaborare in
modo personale l’eredità cinquecentesca, si riconnette proprio a quella fase,
e lo fa anche per sottolineare l’autonomia letteraria lombarda, difendendo
persino la tradizione dialettale del Seicento, di fronte alle pretese ancora in
atto di una preminenza linguistico-letteraria toscana. E tuttavia il ‘nuovo’
classicismo del Parini
6
, che in sostanza era comune alla proposta letteraria
dell’Accademia dei Trasformati, reagiva alla chiusura del municipalismo
milanese e del provincialismo culturale italiano provando anche ad aprirsi ai
temi della vita contemporanea. Reazione simile a quella degli illuministi
dell’Accademia dei Pugni e del «Caffè», che pure disdegnavano le dispute
letterarie e guardavano da tutt’altra parte rispetto al binomio razionalità-
classicismo. Guardando alla Francia, assecondando la naturale apertura della
Lombardia verso quel Paese, i Verri, il Beccaria e tutti gli altri intellettuali
favorivano l’evasione della cultura italiana dal proprio isolamento e
promuovevano Milano quale centro propulsore di cambiamento (da non
dimenticare il celebre viaggio del Beccaria a Parigi organizzato da Pietro
Verri, con l’intento anche di ottenere la ‘benedizione’ da parte dei philosophes
sulla colonia illuminista milanese). E pur partendo da posizioni opposte, la
linea ‘perdente’ di cui era parte anche il Parini e quella ‘vincente’ degli
illuministi
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finivano col convergere nel voler indirizzare la letteratura verso
un maggiore impegno morale, civile e, con la diffusione della cultura
scientifica, persino divulgativo.
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«Si usi pure, al suo riguardo, la formula di “arcade arretrato al Cinquecento”; se si vuol dire che il
programma di restaurazione arcadico per il Parini significa recupero della tradizione classica (in senso
greco-latino) nel punto della sua più alta rielaborazione moderna operata nel Cinquecento, la formula
è senz’altro valida» (DANTE ISELLA, La cultura letteraria lombarda…, 12).
7
Cfr. ivi, 12-3.