5
inclemente, mostruosa”
7
, responsabile della dissoluzione del mondo e degli individui.
Nella critica infuocata verso la civiltà a lui contemporanea, l’autore di Medusa e di
Morgana non dimentica di sferzare un colpo, oltre che contro la famiglia, la scuola, la
religione, la filosofia, la scienza, anche contro l’arte stessa. Nel pulviscolo di una
disgregazione dai contorni tragici, la soluzione offerta non può prescindere da un uso
ironico della parola poetica, che sarà la via maestra di tanta letteratura novecentesca,
e che porterà Graf a dire – prendendo a prestito, dal serbatoio classico, il motto di
Giovenale – “difficile est satiram non scribere”
8
. In questa realtà putrefatta, in cui
anche l’arte sembra perder colpi sotto il giogo di una società che la respinge e che è
troppo stanca per recepirla, l’invito del maestro alla nuova generazione poetica è in
bilico tra la speranza di un rinnovamento poetico ancora malsicuro, incerto su sentieri
ancora inesplorati, e la ricerca di un rifugio dalla realtà dolorosa della vita in un
mondo di sogno: “Ai mali non si rimedia con l’appartarsene, e nessun male è così
disperato che non possa dar luogo a qualche rimedio. Perciò armatevi di fortezza e di
costanza, ed entrate cauti, ma animosi, nel cimento.”
9
A rispondere all’invito, tra coloro che avevano “sentito passare sulla loro anima il
brivido di Medusa”
10
, Carlo Vallini, “l’esteta della rima canora, geloso e inquieto
cavaliere della poesia […] tra le ostriche delle lettere”
11
, in cerca di una direzione
letteraria a cui far corrispondere la sua vocazione di poeta. “La sua arte dava innanzi
tutto l’impressione che egli andasse all’arrembaggio della letteratura di quel primo
Novecento, accogliendo avidamente tutte le ispirazioni e le forme, che in Italia e in
Europa stuzzicassero il suo gusto o stimolassero in lui desiderio di emulazione”
12
. In
bilico tra due secoli, tra più modi di fare poesia e di essere poeta, tra più visuali da cui
guardare e analizzare il mondo, Vallini è una figura originalissima, difficile da
definirsi: viaggia su diverse posizioni, inaugura un secolo senza riuscire a scordare
completamente quello trascorso, preannuncia ciò che sarà, attardandosi un’ultima
7
Ibidem.
8
Ivi, p. XXI.
9
A. Graf, Ecce homo, cit., p. XXIII.
10
C. Calcaterra, op. cit., p. 6.
11
Ivi, p. 3. Il corsivo si riferisce alla definizione che lo stesso Vallini diede di sé medesimo.
12
C. Calcaterra, Vallini, l’amico di Gozzano in op. cit., p.112.
6
volta a contemplare la scia luminosa che si stava spegnendo dietro le sue spalle. La
polvere di stelle era quella di un estetismo consunto fino all’osso; l’alba di un giorno
nuovo era rappresentata dal sopravvenente movimento crepuscolare. Ma andiamo per
gradi.
La vita di Carlo Vallini (1885-1920) ruota attorno a Milano, città in cui nacque e
morì, ma si dipana attraverso Genova, dove crebbe “come un acrobata tra i marinai e
i pescatori”
13
, e Torino, dove prese amore per la poesia e svolse maggiormente la sua
attività letteraria (anche se i luoghi della sua poesia esulano dai confini urbani e
prospettano spazi più estesi, dove meglio si esprime la sua personalità vivace ed
esuberante). “Prevalevano allora in lui – è il solito Calcaterra ad offrirci un curioso
dato caratteriale che avremo modo di riscontrare – un’insofferenza istintiva per ogni
forma di disciplina pratica e una inclinazione irresistibile all’avventura, che lo
conducevano a concepir la vita come un mettersi ogni giorno allo sbaraglio. A questa
tendenza è dovuto il folle volo, che egli ancor giovinetto fece di là dalle Colonne
d’Ercole”
14
. A dar credito e a dar freno, allo stesso tempo, alla sua indole ribelle,
dopo l’ennesimo eccesso comportamentale, fu fatto imbarcare dal padre come mozzo
sopra un veliero (1902-1903). Il “terribile ragazzo”
15
, anziché dispiacersi o
preoccuparsi di dover abbandonare la propria famiglia e la propria città, “accolse la
notizia con manifesti segni di gioia, perché era stanco di studiare e desideroso di
andarsene pel mondo”
16
. Il viaggio, quasi una sorta di iniziazione umana ma anche,
potremmo dire, poetica, prende consistenza allorquando “il veliero Adelaide salpò da
Genova per la Giamaica”
17
. Quale documento di questa esperienza ci resta il diario
18
che il giovane Vallini scrisse, mentre era viaggio, sulle pagine di un quaderno
scolastico: qui registra gli avvenimenti quotidiani della vita di bordo senza lasciarsi
andare ad effusioni liriche, mostrando anzi una non comune, per i tempi,
13
Ibidem.
14
C. Calcaterra, Vallini, l’amico di Gozzano, in op. cit., p. 113.
15
Ibidem.
16
Ibidem.
17
Ibidem.
18
Del diario, che porta il titolo Da Genova a Black River ha dato un’edizione parziale il Calcaterra, col titolo Da
mozzo a poeta, nell’antologia Scuola nostra, Torino, 1942. Il testo è consultabile, con tutti gli altri scritti editi e inediti
del Vallini, presso il Centro studi di letteratura italiana in Piemonte “Guido Gozzano”.
7
“indifferenza ostentata per l’esotico”
19
. Il mozzo-poeta, sebbene affascinato, negli
anni giovanili, dalla poetica dannunziana, era ben lungi dallo scambiare, o persino
confondere, la vita con la letteratura: il viaggio si rivelò mediocre ed egli non si sentì
mai un Ulissìde. Vari e difformi giudizi investono questo diario di bordo: avversato
da chi lo considera privo di alcun intento letterario; studiato e apprezzato da chi,
come Guglielminetti, pensa che “se l’Adelaide rimane un veliero mercantile, il diario
che la consacra non è fuor d’ogni artificio letterario”
20
. Ciò che colpisce
indiscutibilmente è “la preoccupazione – del giovane Vallini – di godere
esteticamente del brutto”
21
, “di elevare il brutto a sensazione estetica”
22
, insomma “il
culto, quasi l’idolatria che egli riserva alla Bellezza
23
”. Vallini compie una precisa
scelta estetica cercando una sublimazione della realtà attraverso il rapporto con il
proprio immaginario che ha radici nell’esperienza pratica e si imprime, filtrato
dall’idealità soggettiva, sulla pagina scritta: “E’ stato rizzato in coperta il mulino a
vento che (quando il vento c’è) pompa l’acqua, risparmiando la fatica a noi; ed io
comincio a prendergli una specie d’affezione, quantunque sommamente
antiestetico”
24
. Anche altri luoghi del diario, prima posa d’arte dello scrittore,
confermano il desiderio, quasi il bisogno assoluto di Bellezza, da ricercare e
conquistare ad ogni costo.
La presenza di Vallini, intanto, si faceva sentire anche sulla terra ferma: nel
novembre del 1902, infatti, i suoi primi sonetti vengono dati alle stampe e pubblicati
sul supplemento letterario della rivista milanese “I diritti della scuola”
25
. Sono quelli
che il poeta, almeno nell’intenzione, avrebbe voluto raccogliere, insieme ad altri testi,
19
M. Guglielminetti, Il veliero Adelaide in Da D’Annunzio a Gozzano: Carlo Vallini in “Bimestre”, 1972, 18-19
gennaio-aprile, p. 16. Commentando l’“indifferenza ostentata per l’esotico” del Vallini, Guglielminetti critica la teoria
del “folle volo” e afferma ironicamente: “Quasi che il giovinetto non avesse nulla da aggiungere a quanto su simili
avventure solevano narrare a lui ed ai suoi coetanei i Verne e i Salgari”. A riprova, l’autore individua una “precisa
scelta estetica” nella volontà di descrivere i fatti concreti della vita di bordo che pure possono vantare, nella
rielaborazione diaristica, un certo spessore letterario.
20
Ivi, p. 17.
21
Ibidem.
22
Ibidem.
23
Ibidem.
24
E’ una citazione tratta dal diario cit. di C. Vallini, riportata da M. Guglielminetti, art. cit.
25
Cfr. il supplemento letterario della rivista milanese “I diritti della scuola”, a. IV, n. 8, 29 novembre 1902.
8
nel volume, dal titolo vagamente govoniano,
26
Acquerelli scoloriti: di questo ciclo di
sonetti fanno parte Meriggio campestre, Musica, Terra e mare, Veglia lunare e
Burrasca vicina (gli ultimi due, poi, confluiti nella raccolta La rinunzia). Siamo
ancora nella fase dell’esercizio poetico del Vallini e questi primi esperimenti letterari
hanno una valenza documentaria in quanto ci permettono di capire in quali direzioni
il poeta volgesse i primi passi nell’intricato labirinto della scrittura. Calcaterra
dipinge questi primi testi con pennellate ironiche definendoli, a ragione, “deboli
sonetti agresti e marinareschi” con cui l’autore “aveva imitato le rime lirico-
descrittive dei due maggiori poeti allora di moda.”
27
E in effetti, anche solo ad una
lettura veloce di questi versi, risulta evidente che “il giovane autore non ha ancora
alcun desiderio di rompere in direzione crepuscolare col linguaggio e la sensibilità
della maggiore poesia di fine secolo: la poesia della rinnovata corona Carducci-
Pascoli-D’Annunzio.”
28
I ragguagli critici fin qui presi in considerazione sembrano
rimproverare alla poesia di Carlo Vallini di essere troppo ancorata alla grande
tradizione ottocentesca e ai tipici stilemi estetizzanti allora di moda. Mi sembra
opportuno, altresì, non sottovalutare un dato tanto elementare quanto veritiero: “a
diciassette anni non si può pretendere una poesia autonoma”
29
né pare lecito
lamentare l’assenza della volontà di rompere con la tradizione. Nonostante il
Guglielminetti, in un’impossibile collazione, si prodighi a ricercare negli Acquerelli
scoloriti di Vallini (che sono del 1902) i rinvii alle Laudi di D’Annunzio (pubblicate
l’anno dopo), ipotizzando una “affinità anticipatrice”
30
, sulla scorta di presunti “indizi
della sua [di Vallini] maggiore simpatia per il poeta della Bellezza, per
26
Per il titolo si fa riferimento ad una sezione delle Fiale dal titolo Odori sbiaditi ed agli “acquerelli” e “pastelli”
rintracciabili in Armonia in grigio et in silentio di Govoni.
27
C. Calcaterra, op. cit., p. 112.
28
M. Guglielminetti, art. cit, p. 17.
29
Concordiamo e riportiamo la tesi, che è anche la nostra, di T. R. Toscano in Rassegna di studi critici sulla poesia
di Carlo Vallini in “Critica letteraria”, n. 29, 1980., p. 815.
30
Ibidem. A tal proposito M. Guglielminetti, nell’articolo prima citato, nonostante l’incongruenza cronologica,
insiste nell’affermare che “l’affinità permane lo stesso”, portando a controprova, tra gli altri, il caso della prima quartina
del sonetto valliniano Musica (“Sovra l’argentea cetera scolpita/ ella, ricurva, attentamente morde/ col mobil plettro le
vibranti corde/ in melode dolcissima, infinita”) la quale “parrebbe nascere dallo sforzo di prosaicizzare una quartina di
Undulna”, tratta dalle Laudi (“Figure di nèumi elle sono/ in questa concordia discorde./ O cètera curva ch’io suono, né
dito né plettro ti morde”).
9
D’Annunzio”
31
, converrà lasciar spazio a quei primi elementi di novità che si
affacciano, riconoscibili, ancorché sfumati, nei primi esperimenti poetici del poeta
milanese tra il 1903 e il 1904, prima della pubblicazione della Rinunzia. Se è vero che
“la generazione di D’Annunzio nelle ore di lezione teneva sotto i banchi e sbirciava il
volume dei Giambi ed Epodi” mentre ora “i giovani scolari leggono le Laudi”, è pur
vero che la seconda generazione è “meno portata della precedente a scambiare, e
persino a confondere, la vita con la letteratura”
32
. E proprio su un doppio binario si
gioca la partita del Vallini, la cui poesia da un lato è informata ad un’impalcatura
strutturale che nella costruzione del sonetto, nel gioco delle rime, nella scelta
lessicale si rifà al D’Annunzio (“quello che dal Canto novo scende alle Laudi”
33
),
dall’altro comincia a tingersi, nei contenuti, dei colori che più si adattano a chi, come
il nostra poeta, vive una condizione sentimentalmente spleenetica, che si alimenta,
accrescendo nel tempo la portata, della “giocosa/ aridità larvate di chimere”
34
di
Guido Gozzano.
La prima denuncia della poesia intesa come menzogna e inganno, tema caro al
Vallini ma di chiara matrice gozzaniana, è presente nell’avvio di All’autunno:
“Poeti, cui dovere è lo sconforto
al cader delle foglie, la menzogna
omai stancò la turba che vi segue”.
L’invito al sogno, nella chiusa del componimento, anticipa un’altra tematica costante
nella produzione valliniana successiva:
“Spiega, o mio sogno, a plaghe oltremarine
il tuo volo e t’incalzi il diciottenne
impeto, ignaro di possanze avverse”
35
.
31
M. Guglielminetti, art. cit, p. 17.
32
Ivi, p. 18.
33
M. Guglielminetti, art. cit, p. 17.
34
La definizione è suggerita da B. Croce. Cfr. La letteratura della nuova Italia, Bari, Laterza, 1940, vol. VI, pp. 380,
386.
35
La poesia è tratta da C. Vallini, Poesie varie in Un giorno e altre poesie, a cura di E. Sanguineti, Torino, Einaudi,
1967, pp. 112-113, vv. 1-3 e 46-48. L’esempio è stato già utilizzato da T. R. Toscano, nell’art. cit., p. 816.