5
imponendo nel nostro Paese, a differenza che altrove, in modo estremamente
lento e macchinoso, soltanto a seguito della spinta del diritto comunitario.
Il presente lavoro intende tracciare un quadro generale delle
trasformazioni giuridiche, e dei relativi problemi, che hanno accompagnato il
processo di liberalizzazione nel settore delle telecomunicazioni nel nostro
Paese. Dopo una prima parte, dedicata all’analisi del regime pregresso (basato
sulla cosiddetta riserva originaria di impresa) e ai primi passi verso la
concorrenza, mi dedicherò alla disamina specifica relativa al nuovo regime
giuridico delle telecomunicazioni nel nostro Paese, con particolare riguardo ai
profili innovativi della libertà di accesso al settore, del principio di separazione
fra rete e servizio, del regime di autorizzazione in luogo di quello concessorio,
dei problemi connessi al diritto/dovere di interconnessione e al concetto di
servizio universale. Si passeranno poi, in rassegna gli interventi per introdurre
la concorrenza e le principali innovazioni, apportate dal diritto comunitario,
fra la seconda metà degli anni Ottanta e fino ad oggi, con particolare
riferimento, per quanto riguarda l’ordinamento nazionale, sia alla iniziale
insensibilità del legislatore italiano verso le rivoluzionarie trasformazioni in
atto, sia a quell’insieme di segnalazioni e decisioni, espresse dalla Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato , che, per prime, hanno contribuito a
stimolare e a far progredire il dibattito sulla opportunità di una riforma
integrale del sistema nazionale delle telecomunicazioni. Infine nell’ultima
parte, attraverso le valutazioni dell’Agcom del giugno 2003 verrà fatto il punto
della situazione e con il contributo del Professor E. Pontarollo cercheremo di
analizzare il panorama attuale e la reale sostenibilità della liberalizzazione.
6
CAPITOLO PRIMO
DAL REGIME NAZIONALE DI RISERVA OBBLIGATORIA
ALLA LIBERALIZZAZIONE DEL MERCATO DELLE
TELECOMUNICAZIONI
1.1 Nozione di “Telecomunicazione”. Servizi pubblici essenziali e
riserva originaria dei servizi nelle telecomunicazioni
Per comprendere il senso di un processo giuridico di liberalizzazione di
un mercato, occorre preliminarmente prendere in esame l’oggetto specifico su
cui tale fenomeno va ad incidere. Scopo di questo paragrafo, pertanto, sarà
quello di illustrare la disciplina normativa nazionale delle telecomunicazioni
nell’assetto anteriore allo svilupparsi dei fermenti di liberalizzazione, ossia
quel regime di monopolio legale, poi fatto oggetto, durante gli anni Ottanta e
Novanta, di radicale ripensamento.
Giova in primo luogo fornire una chiara definizione del concetto di
“telecomunicazione” e di “servizio pubblico di telecomunicazione”. Per
telecomunicazione si intende ogni scambio di informazioni a distanza,
realizzato con qualunque mezzo trasmissivo: vale a dire, ogni trasmissione,
emissione e ricezione di segni, segnali, scritti, immagini, suoni o informazioni
di qualsivoglia natura, per filo, radioelettrica, ottica o a mezzo di altri sistemi
elettromagnetici.
Da tale ampio paradigma, emergono quelli che possono essere
considerati i tre momenti costitutivi delle telecomunicazioni a distanza, vale a
dire l’emissione, la trasmissione e la ricezione di segnali: mentre la prima
comporta la diffusione di onde radioelettriche, la trasmissione può essere
7
effettuata via etere, ovvero tramite l’uso di conduttori artificiali; la ricezione,
infine, richiede il possesso di un apparato tecnico, opportunamente predisposto
e strutturato allo scopo di riprodurre, nella forma originale, l’oggetto del
messaggio emesso e trasmesso.
La definizione di cui sopra individua, inoltre, le tre forme possibili che
possono essere assunte dai messaggi trasmessi, oltre ai mezzi tecnici
attraverso i quali la comunicazione può svolgersi. In via generale, dunque, è
possibile osservare che la telefonia, la telegrafia e le radiocomunicazioni
costituiscono le tre species nelle quali si viene ad articolare il più ampio
genus delle telecomunicazioni: nei primi due casi, il supporto tecnico
utilizzato è costituito da un conduttore fisico, mentre la differenza di
funzionamento è tutta riposta nella tipologia di segnali che vengono trasmessi:
parole e suoni, nella prima ipotesi; segnali di carattere convenzionale, nella
seconda.
Le radiocomunicazioni, invece, vengono realizzate, sfruttando la
proprietà tipica dei campi elettrici di generare onde, che si diffondono
nell’etere a velocità costante, senza alcuna necessità di conduttori artificiali.
1
Quanto ai servizi pubblici di telecomunicazione, essi consentono a tutti,
purché dotati dei necessari apparecchi tecnici terminali, di scambiare
comunicazioni a distanza fra loro.
Sul piano tecnico, è possibile distinguere fra servizi che avvengono fra
un numero chiuso e limitato di utenti, e servizi aperti al pubblico, fra un
numero aperto e illimitato di persone. Sul piano dei contenuti, è possibile
distinguere fra, servizi di comunicazione interpersonale, e servizi di accesso a
determinate basi dati, al fine di reperire informazioni utili
2
.
1
CHIAPPETTA F., Legislazione delle telecomunicazioni e telematica, Giuffrè, Milano,
1990, pp. 19-23; PIASCO S., Telecomunicazioni, voce Grande Dizionario Enciclopedico
UTET, vol. XIX, pp. 843ss.
2
CARDARELLI F.-ZENO ZENOVICH V., Il diritto delle telecomunicazioni. Principi,
normativa, giurisprudenza, Laterza, Bari, 1997, p. 16ss.
8
Ora, dal punto di vista della regolamentazione giuridica, il settore nel
nostro Paese fino a tempi più recenti che in altri Stati continentali e non
3
, è
stato caratterizzato da un regime tradizionale di statizzazione, formatosi già
all’inizio del secolo, e riconosciuto e consolidato dalla Costituzione
repubblicana del 1948, all’articolo 43. Si trattava di un regime giuridico
fondato sulla cosiddetta “riserva originaria di impresa”, vale a dire sulla
statuizione che riconosceva, su base di legge, esclusivamente a un soggetto
qualificato, e cioè lo Stato, non solo la facoltà d’esercizio ma, ancora più a
monte, la titolarità stessa del diritto d’impresa, in ordine a una determinata
attività produttiva di beni e servizi; pertanto, in base a detto sistema, nessun
altro soggetto dell’ordinamento poteva essere considerato titolare di diritti di
impresa in ordine all’oggetto riservato. Detta riserva veniva poi, fatta seguire,
3
In Gran Bretagna, ad esempio, dopo essere stato gestito per lungo tempo, in regime di
monopolio legale(Statutory monopoly), prima da una struttura di governo poi da un’impresa
in comando pubblico(British Telecom), il servizio di telecomunicazioni è stato oggetto già a
partire dal 1981 di un intenso fenomeno di privatizzazione, con l’alienazione ai privati di
quasi l’ottanta per cento delle azioni del gestore pubblico, l’apertura del mercato alla
concorrenza, la creazione di un assetto di regolazione “forte”, di tipo tecnico, anziché
politico, affidata non al ministero del settore, ma a una authority specializzata e
indipendente(Office of Telecommunications). In Francia, la prima opzione per la
privatizzazione è datata 1990, con il distacco del gestore France Telecom
dall’amministrazione postale, e la sua trasformazione bensì in “impresa pubblica”, ma con
forti connotazioni privatistiche, mediante le quali si è inteso assicurarle sufficiente distacco e
autonomia dall’ingerenza statale. In Germania, dove gli articoli 73 e 87 della Legge
Fondamentale attribuivano la materia delle telecomunicazioni allo Stato, che le gestiva
attraverso il ministero di settore e la Deutsche Bundespost, da esso dipendente, il processo di
liberalizzazione è stato avviato in base alle proposte del rapporto Witte, preparato nel 1988
da una commissione istituita dal governo, che svolse i propri lavori in contemporanea
all’elaborazione del Libro Verde della Commissione europea sulle telecomunicazioni, cui
risultò infatti in molti punti conforme. Negli Stati Uniti, il monopolio della società AT&T,
nel settore della telefonia vocale, si basò a lungo sulla disciplina dei diritti di proprietà
industriale. Ma già a partire dagli anni cinquanta assistiamo a significative azioni giudiziali
volte ad impedire comportamenti anticoncorrenziali nei confronti di imprenditori
concorrenti. In Giappone, dopo una prima fase di carattere “sperimentale”, l’apertura alla
concorrenza e la privatizzazione del gestore pubblico Nippon Telegraph & Telephon
Corporation risale a tre leggi di riforma votate dalla Dieta nipponica nel 1984; Cfr. al
riguardo VENTURINI G., Servizi di telecomunicazione e concorrenza nel diritto
internazionale e comunitario, Giappichelli, Torino, 1996, pp. 37-70; CASSESE S., Servizi
pubblici a rete e governo del territorio, in Giornale di diritto amministrativo, 1997, pp. 1075;
N. CURIEN - M. GERSOLLEN, Telecomunicazioni: monopolio e concorrenza, Bologna, Il
Mulino, 1995; KNIPS G., Deregolamentazione in Europa: telecomunicazioni e trasporti, in
AA.VV., Regolamentazione e/o privatizzazione, Il Mulino, Bologna, 1992, pp. 311ss.
9
nel settore delle telecomunicazioni, vuoi dalla concessione dell’attività
d’impresa a dei soggetti privati( per lo più, a società a partecipazione pubblica
necessaria, come la SIP), vuoi dalla gestione diretta da parte dello Stato, per il
tramite di aziende autonome, ossia di proprie articolazioni strutturali
4
.
Due fondamentali aspetti, vanno considerati, in ordine al regime di
riserva originaria di impresa prefigurato dall’articolo 43 della Costituzione. Il
primo di essi, consiste nella limitazione a una certa categoria di soggetti
soltanto, dotati di requisiti particolari e qualificati, del diritto di svolgere
attività di impresa in un determinato settore, che corrisponde a quello di
servizi pubblici cosiddetti “essenziali”, vale a dire destinati a soddisfare
esigenze primarie e irrinunciabili della comunità
5
. Tali soggetti sono
specificamente individuati, dall’articolo 43, nello Stato, in enti pubblici, e in
comunità di lavoratori e di utenti. Ora, a parte quest’ultimo caso, che, nella
storia delle applicazioni del regime di riserva, non ha mai conosciuto, nel
nostro Paese, una qualche significativa manifestazione, si nota subito come i
due rimanenti soggetti di riferimento della riserva ex art. 43 abbiano in
comune fra loro la caratteristica di essere persone giuridiche pubbliche, vale a
dire soggetti rappresentativi dell’intera comunità, o di una parte rilevante di
essa, votati per definizione, e per fine, per così dire, istituzionale, al
perseguimento di interessi collettivi, e forniti di conseguenza di tutta una serie
di poteri di diritto pubblico, ossia autoritativi, che essi utilizzano per
raggiungere tali propri scopi di utilità generale. Il secondo aspetto che va preso
in considerazione in ordine alla natura del regime di riserva ex articolo 43 è
proprio quello del perseguimento degli interessi della collettività pubblica,
4
Come è accaduto, a lungo, per una parte delle telecomunicazioni internazionali e per le
intercontinentali: il caso, cioè, della non più esistente Azienda di Stato per i Servizi
Telefonici(ASST); Cfr. al riguardo CALABRIA R., Telecomunicazioni, in Enciclopedia
Giuridica Treccani, vol.XXX,Roma, 1994
5
I servizi di telecomunicazione rappresenterebbero, cioè, attività attinenti alla soddisfazione
di « naturali e insopprimibili esigenze di evoluzione e di progresso » connesse alla
« essenziale funzione dello sviluppo dei rapporti del vivere civile ». Così De SANCTIS G.-
MOLTENI F., Poste e telecomunicazioni, in Enciclopedia del Diritto, vol. XXXIV, Milano,
1985, p. 570.
10
obiettivo che, nel settore dei servizi pubblici essenziali, si riteneva possibile
soltanto con l’applicazione di detto regime di riserva
6
. In altre parole, l’attività
d’impresa, quando assuma le caratteristiche di un servizio pubblico essenziale,
dovrebbe essere retta da criteri di gestione che assicurino il massimo grado il
perseguimento di quelli che l’articolo 43 definisce testualmente come «fini di
utilità generale». E dunque, per esempio, che vi sia una rispondenza assidua
dell’attività ai bisogni della collettività degli utenti; oppure che sia assicurata
l’accessibilità generale alle prestazioni del servizio
7
; o che queste ultime si
caratterizzino, in ogni caso, nel senso di garanzie di ottenimento di «utilità»
(di qualsiasi tipo: economico, morale, culturale, ecc.), per gli utenti, intesi
come singoli o come comunità; o, infine, che sia costantemente prevista
l’esistenza di una priorità assoluta, quale fine non derogabile, di erogazione
effettiva del servizio al pubblico.
Questo, dunque, il paradigma giuridico costituzionale del vecchio regime
delle telecomunicazioni. Quali, però, le sue giustificazioni? Due profili, in
proposito, vanno tenuti soprattutto a mente. In primo luogo, sul piano
giuridico, si può osservare come la disciplina delle telecomunicazioni, come di
tutti gli altri servizi cosiddetti «a rete»
8
, fosse influenzata dalla concezione di
6
Fra l’articolo 43 della Costituzione, sulla riserva pubblica d’impresa, e l’articolo 41, sulla
tutela dell’iniziativa economica privata, esiste un rapporto di equiordinazione. Se, in casi
normali, una data attività produttiva va lasciata, secondo il nostro regime costituzionale, alla
libera iniziativa privata (libera sì, ma non arbitraria: ché, infatti, essa si dovrà svolgere, pur
sempre, 1) entro i limiti del rispetto della sicurezza, dignità, libertà altrui, oltreché 2) nel
rispetto dei controlli e indirizzi, stabiliti per legge, perché essa venga costantemente ad
assumere una finalizzazione di carattere sociale); laddove, invece, essa presenti le
caratteristiche di un servizio pubblico «essenziale», laddove, cioè, essa si venga a connettere
inevitabilmente con un fine di preminente interesse generale, allora si imporrà il suo
affidamento alla titolarità del soggetto pubblico, secondo un regime senz’altro distinto ed
eccezionale, per definizione, rispetto al precedente, ma che sarà dotato, in ogni caso, di pari
dignità costituzionale. Sul punto, vedi anche: DESIDERI C., Servizi pubblici imprenditoriali.
Riserva e regolazione dei servizi telefonici, Franco Angeli – Collana CIREC, Milano, 1990,
pp. 137-154.
7
Vedi, a titolo di esempio, anche quanto stabilisce l’articolo 2597 del codice civile, il quale
precisa che chi esercita un’impresa, in condizione di monopolio legale, ossia appunto di
riserva originaria di impresa, ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni
che formano oggetto dell’impresa, osservando la parità di trattamento.
8
Trasporto aereo e ferroviario, energia elettrica, gas, servizio postale, rete autostradale.
11
fondo in base alla quale questi sarebbero servizi pubblici di carattere
essenziale, vale a dire volti a garantire il godimento dei diritti della persona
costituzionalmente tutelati, e quindi la soddisfazione di esigenze irrinunciabili
della collettività.
Ora, secondo l’articolo 43 della Costituzione, come visto, ai fini di utilità
generale, lo Stato può riservare a sé determinate attività d’impresa, che si
riferiscano a servizi pubblici essenziali. In base a tale modello, si prevede,
dunque, la possibilità di riserva dell’attività economica che costituisce il
presupposto del servizio pubblico, laddove quest’ultimo venga giudicato
«essenziale», come accadeva, appunto, in passato, per le telecomunicazioni.
Operando la riserva a favore del soggetto voluto, la legge attribuiva a
quest’ultimo, in via esclusiva, il diritto di impresa in ordine all’attività
economica considerata, diritto che il riservatario acquistava a titolo originario.
Si trattava di un diritto assoluto e personale, il quale, col consentire l’esercizio
dell’attività riservata, con esclusione da essa di qualsiasi altro soggetto,
poneva il riservatario in situazione di monopolio legale, potendo egli, da solo,
e per legge, determinare le condizioni del mercato nel settore considerato. La
riserva dell’articolo 43 della Costituzione, dunque, una volta applicata per il
tramite di una disposizione legislativa, escludeva dalla titolarità di un
determinato settore produttivo di beni o di servizi — nel nostro caso, quello
delle telecomunicazioni —, l’impresa privata.
A quest’atto di esclusione potevano seguire due opzioni: la prima era che
il servizio venisse gestito direttamente dallo Stato; la seconda, che il servizio
venisse attribuito dallo Stato, in concessione, a un privato. Nel primo caso, lo
Stato cumulava titolarità e esercizio del diritto di impresa; nel secondo, ne
conservava la titolarità, affidandone, però, al contempo, l’esercizio a un
gestore privato. Nel primo caso, si parla di gestione diretta; nel secondo di una
gestione delegata, in regime di concessione
9
.
9
Così CASSESE S., Dalla vecchia alla nuova disciplina dei servizi pubblici in Rassegna
giuridica dell’energia elettrica, 1998, p. 234
12
In secondo luogo, una importanza preponderante ai fini della
giustificazione del monopolio legale, assumevano motivi di ordine economico,
che si legavano: 1) all’idea dell’esistenza, quale carattere connaturato al
settore delle telecomunicazioni, di elevate economie di scala, vale a dire di
costi fissi, necessari alla costruzione delle infrastrutture di rete indispensabili
per fornire il servizio, talmente elevati da poter determinare delle
impenetrabili barriere d’ingresso al settore per l’iniziativa privata, nel senso di
rendere pressoché impossibile la realizzazione di un autentico pluralismo
concorrenziale: secondo questa idea, adottando un regime di libera iniziativa,
si sarebbe corso il concreto rischio di consegnare soltanto a pochi privati,
economicamente più forti, il predominio nel settore, con esclusione di tutte le
rimanenti imprese che non si potessero immediatamente permettere di
sostenere detti costi fissi
10
; 2) alla presenza di elevate esternalità positive
11
di
rete, in una fase di sviluppo del sistema, per cui all’aumentare del numero
degli utenti sarebbe cresciuta anche l’utilità della rete per gli utenti già
10
Sulla tradizionale identificazione delle telecomunicazioni come «monopolio naturale»,
vedi soprattutto PICOZZA E. - CARDARELLI F., La politica delle telecomunicazioni:
Profili amministrativi, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1997, p. 92;
AMENDOLA V. - MOGLIA G., La liberalizzazione delle telecomunicazioni, in Giornale di
diritto amministrativo, 1995, pp. 136-137
11
Il concetto di esternalità deriva dall’analisi economica del diritto, e viene qui applicato in
riferimento al rapporto costi/benefici, ai quali dia luogo una determinata opzione del
legislatore (nel nostro caso: per un monopolio statale dei servizi di telecomunicazione). Una
legge, vale a dire un determinato assetto di relazioni giuridiche fra soggetti, può infatti
produrre sia esternalità negative (o diseconomie esterne), laddove comporti degli sprechi di
risorse; sia esternalità positive, laddove al contrario essa dia luogo, per così dire, a degli
incrementi di valore delle risorse cui si riferisce. Ora, in generale, gli economisti sono di
regola molto diffidenti verso entrambi i tipi di esternalità, poiché, sia nell’uno che nell’altro
caso, vuol dire che si sono verificati degli spostamenti di ricchezza al di fuori dei
meccanismi del mercato, ossia il mercato stesso ha fallito nella propria funzione di una
efficiente distribuzione delle risorse. I giuristi (e i legislatori), invece, rimangono in genere
piuttosto freddi nei riguardi delle esternalità positive: la loro preoccupazione è tutta tesa,
piuttosto, all’internalizzazione (vale a dire: alla neutralizzazione), delle esternalità negative
presenti in una data fattispecie da regolare, al fine di creare un sistema normativo il più
possibile efficiente, laddove per efficienza, o ottimalità paretiana (dal nome dell’economista
italiano Wilfredo Pareto), si intende la raggiunta capacità di un dato assetto di rapporti di non
poter subire alcun cambiamento tale da migliorare la situazione di taluno dei soggetti
coinvolti, senza al contempo peggiorare quella di talaltro. Per approfondimenti in materia,
vedi: AMENDOLA V. - MOGLIA G., La liberalizzazione delle telecomunicazioni, in
Giornale di diritto amministrativo, 1995, soprattutto pp. 9-10 e 15-19.
13
allacciati, in quanto questi avrebbero beneficiato dell’incremento delle
possibilità di comunicazione; 3) agli intuitivi vantaggi derivanti da
un’organizzazione dei servizi a largo raggio e su vasta scala, e coordinata da
una gestione unitaria: una siffatta struttura avrebbe consentito, infatti, una
notevole riduzione dei costi necessari all’attivazione del servizio, grazie alla
uniformità delle norme, degli impianti e dei congegni tecnico-finanziari
destinati a regolare il funzionamento dei servizi in parola.
Il monopolio legale veniva poi giustificato anche in base a ragioni politico-
sociali e culturali. Sul piano politico, ad esempio, per via del ritenere
tradizionalmente lo Stato quale il primo, e il più importante, fra gli utenti dei
servizi di telecomunicazione, in considerazione sia della sua esigenza di
disporre di rapidi collegamenti con l’interno e con i Paesi stranieri, sia di
garantire una serie di servizi ausiliari nell’esercizio delle funzioni di polizia e
militari, sia ancora di prevenire l’utilizzazione di tali strumenti di
comunicazione in modo distorto, per finalità antisociali, sovversive o
comunque contrastanti con l’ordine pubblico
12
. Sul piano sociale, poi, con
l’assunzione della titolarità dei servizi di telecomunicazione, lo Stato ha potuto
farsi carico della necessità di rendere il più possibile accessibile a tutti i
cittadini l’utilizzo di strumenti di comunicazione, assecondando fondamentali
esigenze di sviluppo di intere categorie sociali, e assicurando la prestazione
dell’attività, in tutte quelle località isolate e decentrate, nelle quali le imprese
private non avrebbero convenienza a svolgere il servizio stesso
13
. Non vanno
trascurate, infine, le ragioni di carattere culturale, atteso che i servizi di
telecomunicazione costituiscono, come accennato, mezzi semplici, immediati
e diffusi di trasmissione del pensiero, di scambio di notizie idee e sentimenti,
12
PICOZZA E. – CARDARELLI F., La politica delle telecomunicazioni: profili
amministrativi, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1997, p. 92.
13
DI STASI G., Il monopolio statale dei servizi postali e di telecomunicazioni nella
legislazione interna e comunitaria e nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in
Rivista amministrativa della repubblica italiana, 1994, p. 600.
14
e, pertanto, di informazione e diffusione della cultura di un popolo
14
.Questo
insieme di ragioni spiega, in modo appariscente, come il regime di riserva, il
cui assetto normativo, nel nostro Paese, risale ancora al 1936
15
, abbia potuto
passare indenne, nei suoi presupposti cardine, attraverso un cinquantennio di
storia, trovando la propria consacrazione giuridica, dapprima, come detto,
nell’articolo 43 della Costituzione, e, in seguito, nel DPR 29 marzo 1973, n.
156, il quale, a lungo, ha costituito il quadro normativo nazionale in materia di
telecomunicazioni, prima di venire superato dalla vertiginosa evoluzione
tecnologica conosciuta in tempi recenti dal settore, prima ancora che sul piano
del diritto comunitario e nazionale.
14
PICOZZA E. - CARDARELLI F., La politica delle telecomunicazioni: profili
amministrativi, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1997, p. 92.; DI STASI G.,
Il monopolio statale dei servizi postali e di telecomunicazioni nella legislazione interna e
comunitaria e nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Rivista amministrativa
della repubblica italiana, 1994, p. 600; NIRO R., Antitrust e telecomunicazioni, in Giornale
di diritto amministrativo, 1995, p. 352.
15
Ma la collettivizzazione del servizio postale affonda le proprie radici fino addirittura al
periodo napoleonico (il fine principale, all’epoca, era quello, costituzionale, della tutela del
segreto epistolare).
15
1.2 La disciplina tradizionale dei servizi di telecomunicazione. Profili
generali.
È possibile descrivere la disciplina tradizionale dei servizi di
telecomunicazione, approvata con DPR 29 marzo 1973 n.156, e successive
modifiche, a partire dai tre profili essenziali che strutturano la materia del
regime di riserva originaria di impresa: oggetto, contenuto e soggetti
legittimati.
Cominciando dall’oggetto, l’analisi della vecchia normativa fa emergere,
con sufficiente chiarezza, come il regime di esclusiva riguardasse attività,
come si è visto, di tipo essenzialmente imprenditoriale, che sono, pertanto,
riconducibili al modello di cui all’articolo 2082 del codice civile. Quindi,
attività finalizzate, in particolare, alla fornitura di «utilità» (di servizi), a dei
soggetti terzi (il pubblico degli utenti), in cambio del pagamento, da parte di
questi ultimi, di un corrispettivo (vale a dire di una tariffa).
Quanto al contenuto del regime di esclusiva, questa, secondo quanto
specificava l’articolo 1 del DPR 156/73, si presentava come designazione
dello Stato quale unico soggetto legittimato alla gestione delle attività di
servizi. Per tutti gli altri soggetti, viceversa, l’esclusiva assumeva la veste
formale di un divieto di impresa, il quale, d’altra parte, non veniva applicato,
nei riguardi di chi avesse ricevuto dallo Stato una concessione a uso pubblico
di esercizio dell’attività.
In terzo luogo, per quanto attiene ai soggetti legittimati, il regime di
esclusiva, così come disciplinata dal citato testo normativo, non avrebbe
escluso di per sé, la concessione dei servizi a soggetti privati. Peraltro, va
precisato che tutti i concessionari del vecchio regime avevano ricevuto,
attraverso le clausole delle convenzioni con essi stipulate dal Ministero delle
poste e telecomunicazioni, e aventi a oggetto precipuo, appunto, la regolazione
dei rapporti fra Stato e gestore in concessione, una conformazione: 1) in
ordine allo scopo sociale, che poteva essere solo quello di realizzare la
16
prestazione del servizio al pubblico utente, oltre che 2) alla composizione
azionaria, che doveva consentire il comando pubblico di maggioranza della
società gestrice. La singolarità della situazione era data da questo fatto, e cioè
che, nel testo normativo, non era presente alcuna disposizione espressa, che
richiedesse come necessaria una siffatta conformazione.
Stando alla lettera della legge, dunque, la concessione era, almeno in
linea di principio, possibile a favore di tutti i soggetti privati, anche di quelli
non rientranti nelle caratteristiche di detta conformazione, limitandosi, infatti,
la normativa in parola a prevedere solamente una procedura semplificata, per
la attribuzione delle concessioni a società in comando pubblico. Pertanto, la
esclusiva, nel pregresso regime, non imponeva, ma semplicemente consentiva
una accentuata conformazione, nel senso sopra visto, del soggetto gestore del
servizio in regime di concessione.
Ed è proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, che si pose uno dei più
stimolanti problemi interpretativi, relativi alla lettura del vecchio regime dei
servizi di telecomunicazione.
In effetti, su questo punto, lo scarto della disciplina descritta, rispetto al
suo immediato referente costituzionale, vale a dire l’articolo 43, è piuttosto
evidente. Invero, come visto, l’articolo 43 prevede testualmente, e quindi
tassativamente, che gli unici soggetti legittimati alla gestione dei servizi
possano essere lo Stato, enti pubblici, o comunità di lavoratori e di utenti, e
pertanto soggetti, in ogni caso, di diritto pubblico.
Viceversa, l’articolo 198 della normativa del 1973, quando, al quarto
comma, si occupava della regolazione dei criteri e delle procedure per la
selezione del concessionario, laddove stabiliva che le concessioni in parola
potevano venire attribuite «a società per azioni, il cui capitale fosse,
direttamente o indirettamente, posseduto in maggioranza dallo Stato», non lo
faceva per circoscrivere soltanto a questo genere di soggetti la possibilità di
esser destinatari del provvedimento, ma solo per prevedere procedure più
semplici per la selezione del potenziale concessionario, nel caso questi
17
assumesse, appunto, l’identità di una società in comando pubblico. La norma,
dunque, si limitava a rendere evitabile, in un caso simile, l’utilizzo della
complessa procedura di cui ai primi tre commi dell’articolo 198
16
, non
imponendo, tuttavia, da alcuna parte che solo questo tipo di soggetto potesse
essere concessionario. Niente, perciò, almeno in linea teorica, avrebbe
impedito l’affidamento del servizio in concessione a una società in comando
privato.
16
Che prevedeva, fra l’altro, la predisposizione, a cura della pubblica amministrazione
competente, di un capitolato d’oneri; l’invito, rivolto a enti, società, ditte specializzate, a
presentare offerte; la presentazione e ricezione delle stesse; la loro valutazione discrezionale
tecnica.
18
1.3 Il valore della concorrenza nella disciplina comunitaria e
nazionale.
La Ce ha imposto che nelle telecomunicazioni, considerata l’influenza
che il loro sviluppo potrà esercitare su altri settori economici, sia attuata la
massima concorrenza, poiché l’elaborazione, il trasporto e la distribuzione di
informazioni sono una componente sempre più importante di molte attività
economiche e sociali, tanto da configurare le telecomunicazioni come “una
infrastruttura essenziale, vero e proprio sistema nervoso delle società
industriali”
17
Il valore strumentale della concorrenza rispetto agli interessi della
Comunità e il suo collegamento con le istanze sociali è percepibile nell’art. 86,
commi 2 e 3 Tr. che prevede la possibilità di una disciplina derogatoria in
tema di concorrenza per le imprese incaricate della gestione dei servizi
d’interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale. Queste
imprese sono sottoposte alla disciplina del trattato, in particolare alle regole
della concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti
all’adempimento della specifica missione loro affidata (art. 86, comma 2. Tr.).
La deroga non può esplicarsi qualora comprometta lo sviluppo degli scambi
comunitari, in misura contraria agli interessi della Comunità.
18
E’ stata la successiva normativa comunitaria a disporre che, considerata
l’influenza che le telecomunicazioni esercitano sugli altri settori economici,
venisse attuata nel loro mercato la massima concorrenza. In tal modo, i
principi contenuti nel Trattato, relativi alla creazione di mercati in libera
competizione, sono penetrati nel settore delle telecomunicazioni.
17
N. CURIEN-M. GERSOLLEN, Telecomunicazioni: monopolio e concorrenza, Bologna, Il
Mulino, 1995, p.9 sul ruolo delle telecomunicazioni nelle società contemporanee.
18
La Commissione in una sua comunicazione ha sottolineato che le norme relative alla
concorrenza si applicano solo ai servizi di interesse economico generale, mentre gli altri
servizi di interesse generale che non sono economici (sicurezza interna, rapporti
internazionali, ecc.), ne sono esclusi. Cfr. Comunicazione della Commissione sui servizi di
interesse generale in Europa, 2001/C17/04.