INTRODUZIONE
Al giorno d’oggi la parola branding (letteralmente
“marchiare”) è divenuta un termine di uso comune,
quotidiano, ma non tutti conoscono il vero significato di
tale concetto.
Si potrebbe sostenere attualmente che lo scopo
principale di tutte le tecniche di marketing sia quello di
affermare prepotentemente sul mercato un forte brand, che
abbia la capacità di “imporsi” nella mente dei
consumatori, spingendoli a pagare un prezzo più elevato
per usufruire di una stessa tipologia di prodotto o di
prestazione.
Per certi versi il branding è qualcosa di indefinito, di
impalpabile; Ze Frank, professore associato alla New
York University, definisce il branding come “il retrogusto
emozionale, ciò che rimane in noi dopo essere stati esposti
ad un marchio, o anche ad una persona”.
A sostegno di tale concetto è stato condotto uno
studio che dimostra come un’emozione riesca ad attivare
l’attività celebrale ben tremila volte più rapidamente
rispetto al pensiero ordinario, inoltre, studiando i
comportamenti dei consumatori si desume che chi
acquista in seguito ad un impulso emozionale è disposto a
spendere fino al 200% in più rispetto a chi acquista in
base a scelte razionali. Negli ultimi decenni, con lo
svilimento del sistema valoriale nel suo complesso, le
aziende hanno trovato difficoltà via via crescenti
nell’istaurare un legame stabile tra i propri brand e i propri
target di consumatori di riferimento, tanto da spingersi a
cercare nuove forme di “connessione”.
Il Personal Branding, fenomeno definito per la
prima volta nel 1997 da Tom Peters, ma nei fatti posto in
essere sin da quando esiste la moderna economia di
mercato, può essere, ed è, un utile strumento per superare
questa difficoltà. Creando un collegamento diretto tra
marca ed individuo, e sfruttando la sua immagine
precostituita, l’azienda può perseguire più semplicemente
il suo obiettivo: raggiugere la propria fascia di mercato e
persistervi per un periodo ti tempo possibilmente lungo.
Attraverso la fruizione di un brand il consumatore accede
ad un “mondo possibile” in cui si concretizzano, anche se
intangibilmente ed in maniera effimera e transitoria, sogni
ed aspirazioni. La possibilità da parte dell’organizzazione
imprenditoriale di stabilire una connessione biunivoca tra
il proprio marchio ed una “marca personaggio” consente
all’impresa di gestire l’immagine del testimonial alla
stregua di un “valore segnaletico”, in grado di facilitare
l’identificazione da parte del target e la sua soddisfazione,
viatico per la fidelizzazione, quale fattore critico di
successo.
CAPITOLO 1. Il brand come fattore
di vantaggio competitivo per l’impresa
1.1 Il concetto di brand e la sua evoluzione
negli studi scientifici
Da quando le imprese hanno colto le potenzialità
insite nella segmentazione della domanda, la possibilità,
cioè, di soddisfare specifiche esigenze per definiti gruppi
di clienti attraverso offerte confezionate su misura, nei
mercati si è riscontrato un proliferare di marche, ciascuna
posizionata in modo distintivo rispetto alla categoria di
prodotto di appartenenza, unitamente ad un uso crescente
degli strumenti di comunicazione per innescare e
sviluppare la relazione con tali gruppi di clienti.
L’aumento dell’importanza della marca è
testimoniata anche dal fatto che molte di queste, leader
nelle rispettive categorie di prodotto, sono state introdotte
nel mercato almeno cinquanta anni fa, e nell’ultimo
decennio si è via via intensificata la competizione tra le
imprese per acquisire i marchi più prestigiosi.
A tutto ciò si aggiunga che, praticamente nello
stesso periodo, emerge nella determinazione del valore
d’impresa la natura immateriale delle sue determinanti
rispetto al capitale fisico: know-how, brevetti, competenze
di gestione, relazioni con i clienti e, soprattutto, marchi,
riflettono e sintetizzano agli occhi dei clienti le
performance qualitative percepite, gli aspetti emozionali e
la reputazione. In tale panorama è facile comprendere
come la marca sia divenuta tanto importante per le
strategie delle imprese e non solo per quelle di marketing.
Tutto ciò trova conferma nella teoria “resource
based
1
”, che sostiene che il valore dell’impresa e, quindi,
le sue performance economiche e competitive, dipendano
in larga misura dall’unicità delle risorse immateriali e
dalla capacità di accumulare e riprodurre tali risorse nel
tempo
2
.
In ogni caso, le marche non esistono in tutti i
mercati; concretamente, infatti, la marca tende ad avere un
ruolo critico dove esiste un rischio percepito nell'acquisto.
Quando il rischio percepito dai consumatori scompare, la
marca non procura più nessun beneficio: essa è solo un
nome su un prodotto e cessa di essere una fonte di valore
aggiunto per il cliente
3
.
Pertanto, poiché il rischio percepito è tanto più
grande quanto più elevato è il prezzo d'acquisto (o le
ripercussioni di una scelta sbagliata sono più severe), il
valore aggiunto di una marca è spesso proporzionale al
costo che il consumatore si assume per venire in possesso
del prodotto di marca stesso.
La Resource based theory sostiene che la fonte del vantaggio
competitivo è rappresentata dalle risorse interne all’impresa piuttosto
che da fattori dell’ambiente esterno.
Candelo E., (2005), Brand Management, Giappichelli Editore,
Torino, pp.1 e ss.
3
Kapferer J. N., (1997), La Marca, Guerini e Associati, Milano.
Alla luce dell’enorme offerta di prodotti e servizi in
tutti i settori, risulta indispensabile fornire “sintesi”
cognitive e affettive che aiutino i clienti ad effettuare le
proprie scelte, in modo da soddisfare i propri bisogni,
esaudire i propri desideri, e soddisfare le proprie
esigenze.
Il Brand consente al compratore di conoscere
l’origine del prodotto e protegge sia il produttore che il
consumatore dai concorrenti che offrono beni similari.
Attraverso la marca, è possibile, quindi, differenziare
prodotti che appaiono tra loro praticamente uguali per
forma, attributi, caratteristiche esteriori e spesso anche per
benefici offerti.
Nella sempre più ampia varietà di prodotti offerti, il
consumatore sceglie soprattutto attraverso il “brand”.
Le marche sono riconosciute, apprezzate e
considerate dal consumatore ad un livello emotivo più che
visivo (sono capaci cioè di “coinvolgere” il consumatore
stimolando la sua sfera emozionale, piuttosto che quella
percettiva) e, grazie ad esse, il prodotto si conquista un
posto nella vita del cliente.
4
Cos’è in definitiva la marca?
Sono innumerevoli le definizioni proposte; tra le più
adottate vi è certamente quella dell’American Marketing
4
In alcuni casi il consumatore non conoscerà mai il nome del
produttore dei beni o dei servizi che acquista, ma ne conoscerà
sempre la marca; il brand, quindi, è diventato uno dei componenti
intangibili più importanti per l’impresa, può essere espresso con un
semplice simbolo, o una breve parola, ma ha un potenziale enorme.
Association
5
, che definisce la marca come “un nome, una
parola, un simbolo, un disegno, o una combinazione di
questi aventi lo scopo di identificare un prodotto o un
servizio di un venditore o di un gruppo di venditori e di
renderli differenti da quelli dei concorrenti”.
Anche David A. Aaker
6
(1991) non si discosta da
questa definizione, parlando di brand come un nome e/o
un simbolo distintivo, che identifica i beni o i servizi di un
venditore o di un gruppo di venditori e che li differenzia
da quelli concorrenti.
Philip Kotler
7
(1997) pone in essere la distinzione
tra nome di marca, marchio e marchio di fabbrica.
Partendo dal presupposto che la Marca (brand) è
intesa come: nome, termine, simbolo, design o una
combinazione di questi che mira a identificare i beni o i
servizi di un’impresa o di un gruppo di imprese, nonché a
differenziarli da quelli dei concorrenti, l’autore distingue:
- Nome di marca (Brand name): quella parte della
marca che può essere vocalizzata, la parte
esprimibile tramite una parola.
- Marchio (Brand mark): la parte della marca che è
riconoscibile ma non pronunciabile, come un
simbolo, un disegno, un colore o un tipo di
iscrizione caratteristico.
- Marchio di fabbrica (Trademark): la marca, o parte
della stessa, alla quale si conferisce protezione
5
American Marketing Association, (1960), Marketing definitions: A
glossary of marketing terms, Chicago.
6
Candelo E., Op. Cit.
7
Ibidem.
legale in quanto se ne afferma la proprietà
esclusiva.
Per comprendere meglio il concetto di brand
vengono presentate altre definizioni proposte in
letteratura:
“il Brand è una promessa. Attraverso
l’identificazione ed autenticando un prodotto/servizio, il
Brand dichiara al mercato un impegno di soddisfazione e
qualità” (W. Landor);
“Il Brand è un insieme di percezioni nella mente dei
consumatori” (C. Bates).
8
Le marche, quindi, possono essere concepite come
la diretta derivazione del processo di segmentazione del
mercato e della differenziazione dei prodotti.
Differenziare i brand dai concorrenti appare oggi
come uno dei modi più usati dalle imprese per costruire
vantaggi competitivi
9
sostenibili nel tempo; con le
strategie di marca si crea valore per i compratori, si
offrono loro benefici, si fanno promesse, si trasmette
un’immagine, si creano aspettative nella mente e nei cuori
dei clienti.
La marca è, quindi, il simbolo dell’impresa o dei
suoi prodotti ed è uno strumento per costruire la
reputazione dell’offerta stessa e per comunicarla
all’esterno.
8
Tresca A., (2006), “IDEE IN RETE”, www.belowthebiz.com.
Per vantaggio competitivo si intende la capacità dell’impresa di
distinguersi positivamente rispetto ai concorrenti nelle percezioni dei
consumatori.
Come veicolo di comunicazione aziendale, la marca
aiuta l’impresa a trasmettere due tipi di impressioni: il
valore proprio dell’offerta, che si rifletterà su eventuali
vendite future e la qualità delle capacità e competenze
dell’impresa stessa, che influirà sulla reputazione non solo
nei confronti dei clienti, ma anche di tutti gli altri
stakeholders.
Come componente “consumabile” del prodotto,
invece, essa ha l’obiettivo ultimo di diventare parte
integrante delle abitudini del cliente, della sua vita, del
suo stile e di creare delle specifiche associazioni positive
nella sua mente.
C. Macrae parla di “consumable possession”
riferendosi appunto al fatto che il cliente consuma, oltre il
prodotto e il servizio, anche la marca stessa
10
.
Una marca che si consuma abitualmente in pubblico
diventa parte integrante dell’immagine che la persona dà o
vuole dare di sé all’esterno. Allo stesso modo una marca
“usata” in privato, soddisfacendo un bisogno intimo, può
essere percepita dal cliente come la rappresentazione di
ciò che egli è in realtà, della propria personalità.
Jean-Noel Kapferer
11
aggiunge che il brand è un
nome che ha il potere di influenzare il cliente ed esiste
quando ha acquistato la capacità di conquistare il mercato.
Il tempo per acquistare questa capacità varia da marca a
10
Candelo E., Op. Cit.
11Kapferer J. N., (2004), The New Strategic Brand Management.
Creating and sustaining brand equity long term, Kogane Page, Londra
pp.11-12.