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Ai miei genitori
Titolo della tesi
La persona e la motivazione: il ruolo del coordinatore nei sistemi premianti, strumento di
gestione del personale sanitario
Abstract
Nell’attuale periodo storico, la formazione dell’infermiere con funzioni di coordinamento
in area infermieristica rappresenta una priorità per la professione, al fine di promuovere
processi di cambiamento per migliorare la qualità dell’assistenza. Nel contempo, è una
grande opportunità per il processo di aziendalizzazione ospedaliera avere tra i protagonisti
una componente professionale che per storia e per intima convinzione è in grado di porre al
centro il destinatario delle prestazioni sanitarie con un’assistenza olistica e personalizzata.
Parole chiave
Formazione, motivazione, responsabilità, qualità, management infermieristico, leadership
professionale, valutazione, sistema premiante.
Metodi e strumenti
L’approccio metodologico scelto per la stesura della tesi è la ricerca bibliografica. Si sono
consultati libri di testo ed articoli di riviste professionali, grazie ai quali approfondire le
conoscenze delle norme che regolano il profilo del coordinatore infermieristico, il suo
percorso storico e le sue prospettive. Internet è stata poi fonte preziosa di aggiornamento
grazie a numerosi siti di interesse infermieristico, elencati nella bibliografia.
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INTRODUZIONE
La figura stereotipata dell’Infermiere come operatore sanitario di serie B è ormai lontana.
Oggi l’Infermiere è un professionista di livello europeo, scientificamente formato
nell’università, autonomo professionalmente ed abilitato a erogare un’assistenza generale
infermieristica, dalla prevenzione alla cura delle malattie, dalla riabilitazione di malati e
disabili alle cure palliative. Egli pianifica e gestisce l’intervento infermieristico valutandone
gli effetti; garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni terapeutiche e diagnostiche;
interagisce con la persona prima ancora che con il paziente, svolgendo un compito delicato
quanto determinante per il buon esito della cura; accompagna altresì verso una morte
dignitosa quanti perdono la battaglia contro la malattia; lavora nel settore dell’Evidence
based nursing (EBN) come ricercatore.
L’abrogazione dell’anacronistico “mansionario”, che per decenni ha limitato il campo di
azione degli infermieri, avvenuta con la Legge n. 42/99, è stata affiancata da una serie di
novità legislative introdotte negli ultimi quindici anni, che stanno colmando il divario con i
servizi di assistenza alle persone dei Paesi più evoluti sotto il profilo sanitario. Il percorso
formativo dell’infermiere è oggi universitario, lo era già a partire dal 1990, anno in cui
viene varata la Riforma universitaria “Ruberti” e vengono istituiti nelle università i primi
corsi di diploma universitario. Con la trasformazione avvenuta nel 2001, da corso di
Diploma universitario in corso di laurea in infermieristica, l’infermiere entra a pieno titolo
nel mondo accademico universitario.
Tutte queste tappe rappresentano il giusto riconoscimento all’impegno che gli Infermieri
hanno testimoniato negli anni nei loro posti di lavoro, spesso in condizioni di estremo
disagio, tamponando carenze di organici, superando ostacoli posti da strutture non
raramente fatiscenti, inventando soluzioni e stratagemmi per colmare lacune organizzative e
per far fronte alla carenza o alla mancanza di presidi medicali e tecnologici.
Gli infermieri, dunque, di strada ne hanno fatta tanta, almeno sulla carta, ma molta ancora
ne devono fare. Nel lavoro quotidiano, l’infermiere svolge davvero la sua professione, così
come definito per legge? E’ messo realmente nelle condizioni di poter dare il meglio di sé e
migliorare le proprie competenze? C’è corrispondenza tra le aspettative e gli obiettivi degli
operatori e quelli dell’azienda in cui lavorano nell’indicare un organico percorso finalizzato
alla valorizzazione del professionista in tutti i suoi aspetti, non ultimo quello contrattuale?
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E ancora, quanti infermieri hanno le conoscenze sufficienti, il tempo, la motivazione, i
mezzi per poter gestire al meglio le loro prestazioni?
Rispondere a queste domande significa calare nell’esercizio professionale quanto previsto
dalle norme che, ad oggi, in molte realtà sono inapplicate.
Questo lavoro nasce proprio dal desiderio di collaborare a processi di reale cambiamento,
funzionali alle odierne aziende ospedaliere, nell’ottica non dell’efficientismo ma
dell’efficienza, alla luce dei valori contemplati nella nostra Costituzione e ribaditi dal nostro
Codice Deontologico.
L’esigenza di chiarezza circa i cambiamenti più significativi che hanno investito il sistema
sanitario italiano, per poi riflettere sul ruolo che può giocare in tutto questo l’assistenza e la
professione infermieristica, ha motivato questo lavoro. Così, dopo una panoramica dell’iter
legislativo che l’Assistenza sanitaria italiana ha fatto fino ad oggi (Cap.1.1.) e
dell’evoluzione storica e formativa del Coordinatore infermieristico (Cap. 1.2.), si è presa in
esame la centralità della persona nelle organizzazioni che erogano servizi sanitari, e la
motivazione (Cap. 2). Con i capitoli 3 e 4 si entra nel cuore del lavoro di tesi in quanto si
prendono in esame il team leadership infermieristico (Cap. 3) e i sistemi premianti (Cap. 4)
che hanno come obbiettivo l’efficienza, l’efficacia e l’economicità nella gestione,
assicurando la qualità delle prestazioni. Qualità bene identificate da S. Tonelli, che scrive:
“Sono da considerarsi qualità le prestazioni che migliorano effettivamente lo stato di salute
di una persona o di una collettività e/o riducono i rischi per la salute e per l’ambiente
(efficacia), rispondono in modo pertinente ed equo ai bisogni e alle aspettative dei singoli e
della collettività (equità), si sviluppano nell’ambito delle conoscenze e possibilità delle
tecnologie attuali e nei limiti delle risorse disponibili nel contesto (efficienza) e rispettano i
principi etici (etica)”. Le quattro E della qualità.
Seguono, infine, le conclusioni.
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CAPITOLO 1
1.1 Dall’Ospedale all’Azienda Ospedaliera
L’Assistenza Sanitaria italiana ha risentito per lungo tempo delle proprie origini caritatevoli
ed assistenziali, nonché della carenza di un effettivo controllo dello Stato sull’operato delle
innumerevoli fondazioni istituite da diversi ordini religiosi, che gestivano, in completa
autonomia, i primi Ospedali da esse stesse fondati.
Con la nascita della Repubblica Italiana (02 Giugno 1946) viene promulgata la
Costituzione, che contiene i principi che hanno ispirato le leggi in materia di “sicurezza
sociale” (Welfare state).
Con particolare riferimento alle materie sanitarie, l’articolo 32 della Costituzione sancisce
che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in
nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Altri riferimenti di interesse sanitario contenuti nella Costituzione sono i seguenti:
art.2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.
art.3, consacra la pari dignità sociale dei cittadini e la loro uguaglianza di fronte alla
legge.
art.38, riconosce i diritti dell’assistenza sanitaria.
art.117, indica le competenze legislative regionali, tra cui l’assistenza sanitaria
ospedaliera (è compresa anche la norma che regola la formazione e gli studi per la
professione infermieristica).
art.119, riconosce l’autonomia finanziaria delle regioni nei limiti delle leggi dello
Stato (ripartizione a rischio sperequazione con il “federalismo fiscale”).
art.97, relativo al buono andamento e all’imparzialità della P. A.
Negli anni Quaranta e Cinquanta furono istituiti gli enti mutualistici, che fornivano
copertura sanitaria diversa secondo la categoria di lavoratori a cui si apparteneva. Si
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assisteva, così, ad una differenziazione di trattamento dei cittadini secondo la mutua di
appartenenza e dell’Ospedale scelto (gli Ospedali erano classificati di prima, seconda e terza
categoria).
La prima Riforma Ospedaliera è la legge 132/1968, detta “legge Mariotti”, con la quale le
diverse strutture sono ricondotte ad un’unica figura giuridica: l’Ente Ospedaliero, inteso
come l’ente pubblico che doveva provvedere istituzionalmente alla cura ed al ricovero degli
infermi.
Inizia da qui un processo di profonda trasformazione negli ordinamenti ospedalieri, che
offre la possibilità di attuare nuovi modelli organizzativi (pur confermando l’articolazione
in Divisioni, Sezioni e Servizi). Viene affermato il diritto alla tutela della salute ai sensi
dell’Articolo 32 della Costituzione (superamento del criterio caritativo-assistenziale).
Nel 1972 con il D.P.R. n.4 si prevedeva il passaggio di alcune responsabilità in materia
sanitaria alle Regioni le quali, dal quel momento in poi, potevano istituire nuovi enti
pubblici e creare gli organi di controllo.
Nel 1974, con la Legge n.386, viene istituito il Fondo Nazionale distribuito alle Regioni per
la spesa ospedaliera e l’estinzione dei debiti mutualistici e la loro conseguente liquidazione.
Prende avvio, così, la prima Riforma Sanitaria, con la Legge n.833 del 23.12.1978. Con essa
si decretava la fine del sistema mutualistico e si sanciva il diritto di tutti i cittadini alla tutela
della salute attraverso il Servizio Sanitario Nazionale, ispirato non solo ai principi sanciti
dall’Articolo 32 della Costituzione, ma a quelli dell’efficienza e dell’economicità delle
prestazioni. Ciò presuppone che il servizio sanitario sia gestito da personale competente ed
efficiente, sia sul piano scientifico che manageriale. Tra gli obiettivi che il SSN si pone c’è,
difatti, quello della formazione professionale e del permanente aggiornamento scientifico-
culturale del personale del SSN.
Organizzativamente il SSN venne articolato, nel territorio, in Unita’ Sanitarie Locali
(U.S.L.), che, pur dotate, ciascuna, di una certa autonomia, erano tuttavia configurate come
organi di gestione privi di personalità giuridica e come struttura operativa dei Comuni e,
conseguentemente, strettamente vincolate ad una gestione tecnico-amministrativa di natura
politica. Ogni USL aveva, infatti, propri organi (Presidente, Comitato di Gestione ed
Assemblea Generale) di estrazione essenzialmente partitica, mentre, sul piano operativo, i
nuovi organismi si avvalevano delle strutture e dei servizi ereditati dal pregresso sistema
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mutualistico, dagli Enti Locali e dagli Ospedali con oneri a totale carico dello Stato, previa
istituzione di uno specifico fondo (Fondo Sanitario Nazionale).
Il dare tutto a tutti, in modo spesso disarticolato, disomogeneo e frammentario, nonché la
mancanza di un reale collegamento tra politica sanitaria e finanziaria, portarono presto
l’intero sistema a momenti di profonda crisi e di rottura sul piano organizzativo e
finanziario, tanto che si sentì subito la necessità di un ulteriore riordino della sanità.
Il D.Lgs. 502/92 (seconda riforma sanitaria) così come modificato ed integrato dal D. Lgs.
517/93, nel confermare la tutela del diritto alla salute delineato dalla 833/78, disegna un
modello organizzativo dinamico di aziende sanitarie in grado cioè, attraverso la flessibilità
funzionale l’impostazione per obiettivi, di rispondere pienamente, in termini qualitativi e
quantitativi, alla domanda sanitaria.
A distanza di pochi anni fece seguito il D.Lgs. 229/99 (terza riforma sanitaria), più volte
integrato e modificato, che determina un’ulteriore riforma del sistema sanitario. Veniva
ridisegnata la struttura del SSN, i cui principi ed indirizzi erano: regionalizzazione del SSN,
aziendalizzazione delle USL, razionalizzazione della spesa sanitaria, introduzione di nuovi
criteri organizzativi e gestionali, tariffazione a prestazione (DRG).
Fermo restando il principio della tutela della salute come diritto fondamentale
dell’individuo e interesse della collettività, garantito attraverso il SSN, così come sancito
dalla Costituzione Italiana e ripreso nel 1978 dalla Legge n.833, viene introdotta una novità:
“il SSN assicura, attraverso risorse finanziarie pubbliche (…) i livelli essenziali di
assistenza (LEA), definiti dal piano sanitario nazionale…”. Viene quindi prevista
l’introduzione da parte dello Stato dei LEA tenendo conto delle risorse finanziarie destinate
al SSN.
Il principale strumento di pianificazione è costituito dal Piano Sanitario Nazionale
predisposto dal Governo con le aree prioritarie di intervento, i LEA, da assicurare per il
triennio di validità del piano, i criteri e gli indicatori per la verifica dei LEA assicurati
rispetto a quelli previsti. In base al Piano Sanitario Nazionale entro tre mesi le Regioni
stilano i propri Piani Sanitari.
Nascono le Aziende Sanitarie, le Aziende Ospedaliere e le Aziende Unità Sanitarie Locali
dotate di personalità giuridica pubblica, di autonomia imprenditoriale, di strumenti operativi
innovativi largamente mutuati dal settore privato (gestione per obiettivi, contabilità
economica, contabilità analitica per centri di costo e di responsabilità, controllo di gestione,
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rilevazione e misurazione dei costi e dei risultati). La responsabilità decisionale va esercitata
nel quadro della promozione nazionale e regionale. Vengono modificati gli organi di
gestione, e viene introdotta la figura del Direttore Generale, nonché il Consiglio dei Sanitari
ed il Collegio dei Revisori.
Importante è sottolineare che per le aziende USL il finanziamento non è più in relazione alla
quantità delle prestazioni erogate, ma per quota capitaria attraverso le Regioni, mentre, per
le aziende ospedaliere, viene introdotta la remunerazione prospettica a tariffa (DRG), viene
identificato l’accreditamento come condizione peculiare affinché le strutture pubbliche e
private siano annoverate fra i produttori del SSN; si sviluppa un’organizzazione interna, su
base bidipartimentale sì da integrare la gestione economica con quella clinica.
Il complesso di nuove norme ha designato un sistema caratterizzato dalla tendenza a
perseguire efficienza, efficacia ed economicità nella gestione, assicurando la qualità delle
prestazioni.
Va comunque osservato che il processo di aziendalizzazione, lungi dall’essersi stabilizzato e
chiuso, è tuttora in corso con l’approntamento di nuove regole e la previsione di ulteriori
aggiustamenti richiesti dall’evolversi della società e del bisogno di salute manifestato, con
sempre maggiore intensità, dai singoli e dall’intera collettività.
1.2 Evoluzione storica e formativa del coordinatore infermieristico
Il Testo Unico delle leggi sanitarie del 1934 definiva come professioni sanitarie solo quelle
del medico, del farmacista e del veterinario, mentre tutte le altre venivano relegate al ruolo
di “arti sanitarie ausiliarie” (solo con la legge n. 42 del 26 febbraio 1999 viene abolita,
insieme al Mansionario, la denominazione di “arte ausiliaria”). La professione
infermieristica era ridotta al ruolo di arte e soggetta ad una legislazione molto precisa e
dettagliata circa il suo esercizio. Questa situazione è durata per tutto il secolo scorso, basti
pensare che fino al 1971 solamente le donne con l’obbligo dell’internato (convitto)
potevano accedere alle scuole infermieristiche con durata biennale. Con la legge n. 124 del
25–2–1971 avviene l’apertura agli uomini, viene abolito l’internato e nascono le scuole per
infermieri professionali.
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In applicazione all’art.117 della Costituzione, con il DPR n.10 del 15-1-1972 la competenza
statale in materia di formazione infermieristica passa alle regioni. Con la legge n. 795/1973
si ratifica l’accordo di Strasburgo del 1967. Viene stabilita a tre anni la durata degli studi,
con almeno 10 anni di studi pregressi e 4600 ore di formazione teorico-pratica.
La formazione universitaria infermieristica viene introdotta con la riforma aziendalistica
502/92.
Con il C. D. M. n.509 del 3/11/99 avviene la riforma dei cicli universitari. Vengono
introdotti il diploma di laurea (DL) di durata triennale e l’eventuale laurea specialistica (LS)
successiva, di durata biennale.
E’ la legge n. 251 del 2000 ad istituire la dirigenza infermieristica e le lauree specialistiche.
Per quanto riguarda la figura dell’infermiere dirigente, bisogna aspettare il DPR n. 755 del
1964 per vedere istituita presso l’Università “La Sapienza” di Roma la prima scuola diretta
a fini speciali per dirigenti dell’assistenza infermieristica (DAI). Altre scuole saranno
istituite a Torino nei decenni successivi, come scuole dirette ai fini speciali per dirigenti e
docenti di Scienze Infermieristiche.
Il DPR 27 marzo 1969 n.132 stabilisce l’ordinamento interno dei servizi ospedalieri: all’art.
44 regolamenta le attribuzioni del Capo dei Servizi Sanitari Ausiliari (CSSA) istituendo così
una figura nuova dipendente direttamente dal Direttore Sanitario e con responsabilità
limitate; all’art.8 prevede la Caposala nella dotazione del “personale sanitario ausiliario” e
all’art.41 norma la posizione e le attribuzioni di questa figura.
Un altro DPR emanato anch’esso il 27 marzo 1969, il n.130, sanciva che, per essere
nominati Caposala non era necessario possedere il certificato di Abilitazione a funzioni
Direttive, richiedendo il solo diploma di infermiere professionale ed una determinata
anzianità di servizio.
Negli anni ’70 numerose innovazioni hanno modificato la formazione e l’esercizio dell’arte
infermieristica, dall’apertura delle scuole per infermiere anche ai candidati di sesso
maschile, all’obbligatorietà di 10 anni di scolarità di base prima di potervi accedere.
Il D.M. 8 febbraio 1972 modifica radicalmente il programma del corso di Abilitazione a
Funzioni Direttive (Caposala) introducendo materie quali la psico-sociologia, la pedagogia,
nozioni giuridico-legali, diritto del lavoro, legislazione sanitaria, tecniche amministrative e
manageriali.