circostanze che lo hanno indotto a fuggire. Diverso è il
significato da attribuire a tale parola nell’ambito specifico del
diritto internazionale; dai vari strumenti internazionali in materia
traspare, infatti, la volontà degli Stati di restringere a sempre
meno soggetti il riconoscimento dello status di rifugiato ed i
corrispondenti obblighi di tutela.
E’ nel ‘900 che nasce la convinzione che debba essere la
Comunità internazionale degli Stati e non soltanto le associazioni
caritatevoli o i singoli governi a provvedere alla protezione dei
rifugiati, all’interno della prima vera struttura sovranazionale
mondiale, la Società delle Nazioni. Questa, nonostante avesse
poche possibilità di adempiere agli alti compiti di pace e
progresso che si era prefissata, riuscì a porre le basi per il
moderno sistema legale internazionale. Il problema della tutela
internazionale dei rifugiati si impose all’opinione pubblica alla
fine della Prima Guerra Mondiale per una serie di eventi che
determinarono un consistente flusso migratorio, basti pensare alla
rivoluzione russa, a seguito della quale molti dissidenti
3
espatriarono, o allo smembramento dell’impero austro-ungarico
che determinò spostamenti in massa di popolazioni. Nonostante
questa presa di coscienza proprio negli stessi anni cominciò
invece a svilupparsi un fenomeno inverso in nazioni quali gli
Stati Uniti e la Gran Bretagna: la progressiva chiusura dei
confini, dovuta a motivi xenofobi, e la fissazione di quote di
immigrazione fatte per bilanciare gli afflussi, soprattutto quelli
provenienti dall’Europa meridionale ed orientale.
La fine della Seconda Guerra Mondiale, così come della
Prima, determinando il notevole spostamento di popolazioni in
seguito ai trattati di pace conclusi o da concludersi, rese il
problema dei rifugiati di portata universale e complesso, la
soluzione del quale non era più differibile. Basti pensare che alla
fine del 1951, anno di firma della Convenzione di Ginevra,
rimanevano in Europa all’incirca 400 mila esuli.
La “Convenzione relativa allo status dei rifugiati” firmata a
Ginevra il 28 luglio 1951 è il primo atto internazionale, spesso
chiamata “Magna Charta” del diritto dei rifugiati, che stabilisce
4
nella storia una definizione universale di questa categoria di
persone. Lo scopo è quello di fornire un standard minimo di
trattamento per i rifugiati nei loro Paesi d’asilo; essa identifica
una serie di diritti per i quali offre uno status che sia, al minimo,
quello dello straniero regolare, ed al massimo, quello del
cittadino del Paese. Diritti quasi rivoluzionari poiché significava
limitare fortemente la tradizionale sfera di sovranità assoluta
dello Stato, il quale decideva chi far entrare e chi no. Il tipo di
considerazione che si profila sul rifugiato, molto tradizionale,
probabilmente oggi risulta inadeguata rispetto ai fenomeni degli
esodi di massa, causati da motivi di vario genere non tanto
attinenti alla persecuzione individuale, quanto piuttosto ad una
persecuzione collettiva, oppure ad una situazione di emergenza.
Nuove cause inducono gli esseri umani oggi a cercare rifugio
fuori dal proprio luogo di origine per la realizzazione della
propria personalità e talora per la salvaguardia della loro stessa
esistenza. Al giorno d’oggi cioè si ritiene che tale definizione,
contenuta nella suddetta Convenzione e poi ampliata dal
5
successivo Protocollo, sia troppo ristretta per ricomprendere e
disciplinare tutte le situazioni che si presentano nella realtà
odierna, le quali non meno di quelle tradizionali, sono degne di
tutela sul piano internazionale.
Considerazioni particolari devono essere svolte in merito
alla condizione della donna. Infatti, tra gli studiosi è diffusa
l’opinione che il diritto internazionale dei rifugiati si sia
sviluppato in un’ottica maschile, che riflette le tipiche circostanze
dei richiedenti asilo uomini, ignorando ampiamente i particolari
bisogni di protezione propri delle donne. Nonostante la
definizione di rifugiato fornita dalla Convenzione di Ginevra del
1951 sia formalmente neutrale, nella sostanza questa
difficilmente saprà adattarsi alle specifiche ipotesi di
persecuzione basate sul genere. Si pensi per esempio al caso in
cui un soggetto venga perseguitato a causa del proprio
convincimento politico; lo stereotipo di rifugiato politico si
adopera in attività pubbliche organizzando dimostrazioni o
stampando volantini; le donne, al contrario, sono più propense a
6
manifestare il loro dissenso rifiutandosi per esempio di indossare
il velo o operando nella sfera privata. Sebbene non vi sia nulla
nella Convenzione del 1951 che esplicitamente sia di ostacolo a
che alle donne sia riconosciuto lo status di rifugiato,
l’interpretazione dell’articolo 1(A) accolta dai vari Stati conferma
un pregiudizio basato sul genere. E’ infatti incontrovertibile che,
ancorché le donne siano sottoposte ad abusi su scala mondiale,
tale realtà dei fatti non è rispecchiata dai vari strumenti
internazionali.
La Convenzione sui rifugiati, nella sua interpretazione
tradizionale, non annovera il sesso ed il genere quali motivi di
persecuzione; questi, non solo determinano il tipo di danno fisico
che una donna può subire, ma anche il modo in cui questa
manifesta il proprio dissenso. Le violenze a cui le donne sono
soggette, benché unanimemente considerate atti deplorevoli, sono
troppo spesso archiviate come fenomeni ricadenti nella sfera
privata o a carattere sporadico piuttosto che ipotesi di
persecuzione; ciò è strettamente connesso al fatto che i diritti
7
delle donne sono comunemente visti come una categoria speciale
anziché ricadenti nella sfera dei diritti umani in generale. Inoltre
le richieste di riconoscimento dello status di rifugiato presentate
da una donna sono costantemente interpretate come non
soddisfacenti i requisiti previsti dalla Convenzione e quindi
rigettate in base a considerazioni secondo cui il persecutore è un
soggetto privato e non sotto la responsabilità dell’autorità statale.
La preoccupazione di minacciare la sovranità degli Stati ha
indotto i sostenitori del relativismo culturale a mettere in guardia
circa i rischi derivanti dall’interpretare pratiche tradizionali e
usanze storicamente importanti come persecuzione; queste
tradizioni nella maggioranza dei casi comportano rituali compiuti
esclusivamente sul corpo femminile al fine di limitarne la libertà
e di conseguenza possiedono un elemento discriminatorio basato
sul genere.
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Parte Prima
Capitolo I
LA CONVENZIONE RELATIVA ALLO STATUS DEI
RIFUGIATI
1. La storia della Convenzione
A seguito della risoluzione 429(V) del 14 dicembre 1950
dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si riunì a Ginevra
una Conferenza di Plenipotenziari delle Nazioni Unite al fine di
redigere e firmare il testo di una Convenzione internazionale in
materia di status giuridico dei rifugiati. Il 28 luglio 1951, sempre
a Ginevra, veniva adottata la “Convenzione relativa allo status
dei rifugiati”; la Convenzione sarebbe poi entrata in vigore tre
anni dopo e più precisamente il 22 aprile 1954. Scopo della stessa
era quello di apprestare una efficace tutela ai milioni di sfollati
9
come conseguenza dello scoppio e conclusione del secondo
conflitto mondiale. La situazione di emergenza non riguardava
esclusivamente il popolo ebreo fuggito in massa dall’Europa per
evitare le terribili persecuzioni poste in atto dalla Germania
nazista, bensì l’intero continente. Alla luce dell’esperienza
appena trascorsa, i redattori della Convenzione intendevano
dotare la comunità internazionale di uno strumento che potesse
non solo affrontare e risolvere la situazione così creatasi, ma
altresì esplicare un’efficacia preventiva, garantendo che in futuro
lo sfollamento ed i traumi provocati dalle persecuzioni e dalle
distruzioni degli anni della guerra non si sarebbero mai più
ripetuti.
L’analisi del contesto storico consente di comprendere perché
l’applicabilità della Convenzione era originariamente subordinata
a precisi limiti temporali e geografici; l’articolo 1(A) paragrafo 2
contiene infatti l’espressione “avvenimenti verificatesi
anteriormente al 1° gennaio 1951”
1
, mentre in base al disposto
1
Testo della Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati, consultabile in
http://www.unhcr.it/images/pdf_grandi/convenzione_testo.pdf
10
del successivo articolo 1(B) si concede agli Stati contraenti la
possibilità di precisarne l’ambito di applicazione territoriale al
momento della firma, della ratifica o dell’adesione
2
. Tali limiti
sono stati opportunamente eliminati da un Protocollo del 31
gennaio 1967
3
integrativo della Convenzione; ciò si è reso
necessario al fine di prestare una forma di tutela alle vittime delle
oramai sistematiche situazioni di emergenza umanitaria che
tutt’ora nascono e perdurano in varie parti del mondo; basti
richiamare alla mente le terribili guerre civili che ancora oggi
flagellano il continente africano.
La “Convenzione relativa allo status dei rifugiati” alla data
del luglio 2006 è stata ratificata da ben 146 Stati
4
; ciò è un
inequivocabile indice della sua persistente attualità sino ai nostri
giorni. E’ senz’altro corretto affermare che essa presenta dei
limiti dovuti al contesto storico e culturale all’interno del quale si
inserisce. Come sappiamo fu originariamente elaborata al fine di
2
ibidem nota 1.
3
Testo del Protocollo del 1967 relativo allo status dei rifugiati, consultabile in
http://www.unhcr.it/images/pdf_grandi/convenzione_testo.pdf
4
U.N.H.C.R., The 1951 Refugee Convention, Questions and Answers, pag. 17, consultabile
in http://www.unhcr.org/basics/BASICS/3c0f495f4.pdf
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