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INTRODUZIONE
Questo lavoro nasce dal vivido interesse per il diritto penale, internazionale ed
umanitario sviluppato nei miei quattro anni di carriera universitaria presso la
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Trieste.
L’argomento trattato non si può dire che sia stato da me scelto dopo innumerevoli
ricerche, perché si è presentato, più che altro, durante letture che esulavano da un
contesto prettamente universitario.
In particolare, queste ultime mi hanno portata a conoscere una minoranza religiosa,
stanziata per lo più nel Kurdistan iracheno, vittima di plurime persecuzioni durante
i secoli, da ultimo colpita dal sedicente stato islamico in seguito agli attacchi
dell’agosto del 2014.
La questione yazida ha ricevuto attenzione non solo per la persecuzione in sé, ma
anche perché è strettamente ricollegata ad un’altra questione di clamore
internazionale, ovverosia la minaccia globale che ad oggi rappresenta l’estremismo
islamico. Si può aggiungere, oltretutto, che è stata proprio una giovane ragazza
yazida ad essere stata insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2018.
Nonostante queste considerazioni, però, la tragedia che sta colpendo gli yazidi resta
ancora nell’ombra: io stessa, se non fosse stato per un sincero interesse per le
questioni umanitarie, ignoravo l’esistenza di questa minoranza.
Questo lavoro, inoltre, non risulta quale mero frutto di ricerche, ma si deve anche
alla mia collaborazione con la Fondazione triestina Luchetta Ota D’Angelo
Hrovatin, impegnata da circa venti anni nel campo umanitario, con lo scopo di
offrire cure mediche soprattutto a bambini e famiglie provenienti da zone di guerra,
quando queste cure non siano accessibili nel Paese di provenienza.
2
Anche questa collaborazione, in realtà, nasce senza alcuna programmazione:
durante le mie ricerche, infatti, è emerso che alcune famiglie yazide erano (e sono
tutt’ora) ospitate presso una casa della Fondazione a Trieste e così, senza riporre
troppe speranze, ho contattato la Fondazione, la quale, invece, superando ogni mia
immaginabile aspettativa, mi ha accolta presso la casa, dandomi così la possibilità
di toccare con mano quello che, fino a poco prima, potevo solo leggere su articoli
di giornale.
La conoscenza degli ospiti yazidi è stata ancora più intensa di quanto potessi
credere: davanti ad una tazza di tè, ci raccontano
1
, spesso in lacrime, delle loro
esperienze personali (che qui non verranno riportate per rispetto nei loro confronti,
mentre saranno riportate testimonianze rispetto ad eventi notori) e di quanto la loro
vita sia cambiata a seguito degli attacchi dell’ISIS.
La tesi, quindi, include anche qualche aspetto derivato da questa esperienza
personale, che ha avuto l’effetto di arricchire in maniera umana la mia conoscenza
di questa minoranza.
Il lavoro, che inizia con una preliminare descrizione della religione e dei rapporti
fra questa minoranza e l’ISIS, analizza, in primis, il crimine di schiavitù sessuale in
relazione alla compravendita delle donne yazide per mano dei miliziani del
califfato, alla luce della prima sentenza di condanna per questo crimine della Corte
Penale Internazionale.
Successivamente, la disamina va a concentrarsi sul nucleo della tesi, ossia il
genocidio, a partire dalla genesi del termine sino alla sentenza Krstić, analizzando
i tratti qualificanti del crimine, ovverosia la definizione di «gruppo protetto» e
«l’intento di distruggere, in tutto o in parte», questo gruppo.
Il capitolo finale, in particolare, collocato sempre entro i perimetri del cuore di
questo lavoro, si sviluppa rispetto alla questione del se i crimini commessi dal
1
Il “ci” si riferisce al fatto che presso la casa siamo presenti io e altre operatrici della Fondazione
3
sedicente stato islamico contro questa minoranza possono qualificare il crimine di
genocidio degli yazidi.
Orbene, alla fine di questa breve introduzione e al di là di qualsiasi conclusione
giuridica, posso affermare, a livello prettamente umano, che guardando negli occhi
bagnati dalle lacrime un papà ospitato, assieme ad una delle sue figlie, presso la
casa della Fondazione, non posso vedere altro che la distruzione non solo della sua
famiglia, ma della sua intera comunità.
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1. CAPITOLO PRIMO
LA MINORANZA RELIGIOSA YAZIDA
1.1. Gli yazidi: una minoranza dimenticata
“Grazie”, poi un abbraccio.
Grazie è la prima parola che una mamma yazida mi dice appena entro nella casa
della Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin
2
a Trieste, che ospita rifugiati
di questa minoranza religiosa, scampati al massacro perpetrato dal sedicente stato
islamico nei primi giorni dell’agosto del 2014.
Entrando in casa si è subito pervasi da una generale sensazione di calma,
incorniciata dagli alberi del giardino che una bambina di soli 3 anni, anch’essa
yazida, è intenta ad ammirare, come se non avesse mai visto prima quello che per
noi è scontato. L’operatrice della Fondazione, Maria, mi dice di disinfettarmi le
mani e di indossare delle protezioni per le scarpe per evitare un possibile contagio
con la piccola che guarda fuori dalla finestra: io faccio quello che mi dice di fare e,
senza neanche avere il tempo di tendere la mano alla mamma dietro di me,
quest’ultima mi abbraccia. Viene da un Paese completamente diverso dal nostro, è
sfuggita ad una tragedia che ha colpito il cuore della sua comunità, la sua bambina
è malata, e mi dice l’unica parola che sa pronunciare nella nostra lingua, “grazie”.
Io non capisco all’inizio a cosa si riferisca, ma non chiedo. Maria intuisce la mia
confusione, mi prende da parte e mi spiega che mi ha ringraziata per essere andata
a trovarli, per essermi interessata ad una storia di cui io stessa non ero a conoscenza,
2
La Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin è una fondazione triestina che porta il nome di
quattro giornalisti, sempre triestini, rimasti uccisi nel 1994 in due posti differenti, ma egualmente
segnati dalla guerra: i primi tre caddero vittime di una granata a Mostar, mentre l’ultimo (assieme
ad un’altra inviata della RAI, Ilaria Alpi) morto in una sparatoria a Mogadiscio, in Somalia, durante
la guerra civile. La fondazione nasce e continua ad operare nel settore umanitario, concentrando le
proprie azioni nell’offerta di cure a bambini feriti durante i conflitti o affetti da malattie così gravi
da non poter trovare cure adatta nei Paesi di provenienza; www.fondazioneluchetta.eu
5
se non prima di iniziare questa tesi. Un “grazie” forse per non essersi dimenticati di
una realtà di cui nessuno parla, di una tragedia nascosta, di una minoranza religiosa
dimenticata, nonostante che il Premio Nobel per la Pace del 2018 sia stato assegnato
(anche)
3
proprio ad una giovanissima ragazza yazida, venduta come schiava
sessuale ai e dai miliziani dell’ISIS. Questa considerazione non fa che confermare
quanto poco ancora si sappia di questa minoranza perseguitata da secoli, solo a
causa della religione che i suoi membri professano. Persecuzioni che, secondo
quanto ci dice un padre ospitato dalla Fondazione, si sarebbero tradotte in un totale
di 73
4
attacchi, di cui l’ultimo, commesso dal califfato islamico, è quello su cui
verrà incentrata l’analisi di questo lavoro.
Un lavoro che risulta non solo dalle ricerche effettuate e le considerazioni svolte,
ma anche dalla collaborazione con la Fondazione, che ha creato un contatto fra le
letture svolte al fine della stesura della tesi, e la realtà cui queste ultime fanno
riferimento.
1.2. Il concetto di “minoranza”
Considerazione di preliminare importanza per la contestualizzazione dell’analisi è
la comprensione del concetto di minoranza, il quale viene definito
dall’Enciclopedia Treccani come “un gruppo di persone - differenziate da altre
all'interno di una data società sulla base di razza, religione, lingua, nazionalità - che
vedono sé stesse come gruppo dotato di una sua specificità e vengono percepite
dall'esterno come tali, con una connotazione negativa"
5
. Secondo tale definizione,
una minoranza deve anzitutto essere contraddistinta da determinati fattori, quali ad
3
Con l’inciso “anche” si vuole intendere che il Premio Nobel per la Pace del 2018 è stato assegnato
sia a Nadia Murad, di cui si fa menzione nel capitolo, che al medico ginecologo Denis Mukwege,
dottore che opera nella Repubblica Democratica del Congo e che si occupa di fornire le cure
ginecologiche necessarie alle vittime di stupri perpetrati durante la guerra civile del predetto Paese
4
L’affermazione trova conferma anche in www.yeziditruth.org, ove si citano 74 attacchi alla
popolazione yazida, per un totale di 23 milioni di vittime
5
M. Diani, voce Minoranze culturali in Enciclopedia delle scienze sociali, Treccani, 1996,
www.treccani.it
6
esempio la religione, i quali la differenziano dalla società al cui interno essa si trova.
Questa considerazione però, di carattere preliminare, in sé non è sufficiente a
definire una minoranza, in quanto essa si atteggia come tale solo in quanto vi sia un
senso di appartenenza ad essa: ciò significa, in altre parole, che una minoranza può
qualificarsi tale se sono soddisfatti due piani di percezione, ossia a) una percezione
interna alla minoranza stessa, nel senso di percezione da parte dei membri di “essere
portatori di una identità differente”
6
rispetto a quella della società, e b) una
percezione esterna, coincidente con la visione, da parte della società, di un gruppo
distinto all’interno della stessa.
Il termine in analisi viene concepito all’interno di un’analisi socio- antropologica,
e in questo contesto la minoranza viene percepita “con una connotazione negativa”,
volendosi riferire ad una distinzione qualitativa, più che quantitativa, affermando
che al criterio di discrimine, il quale segna il confine fra minoranza e società,
corrisponde una disparità di trattamento in punto di accesso alle opportunità e alle
risorse.
Questa visione trova parziale coincidenza con l’elaborazione svolta dalla
Sottocommissione dell’ONU per la lotta contro le misure discriminatorie e la
protezione delle minoranze, ove si fornisce la seguente proposta di definizione di
minoranza “(…) gruppi non dominanti che, pur desiderando un’eguaglianza di
trattamento con la maggioranza, desiderano ottenere un trattamento differenziale al
fine di conservare le loro caratteristiche fondamentali che li distinguono dalla
maggioranza della popolazione”
7
. Da questa proposta di definizione, mai accolta
dalla Commissione dei diritti dell’uomo, si ricava che il concetto di minoranza
oscilla fra un desiderio di equiparazione ed uno di mantenimento delle proprie
caratteristiche: se da un lato, dunque, il criterio discriminante costituisce un
ostacolo per il raggiungimento di un’eguaglianza, dall’altro corrisponde al
6
M. Diani, voce Minoranze culturali, cit.
7
B. Maver, Le Nazioni Unite e la protezione delle minoranze, in Rivista di studi politici
internazionali, Vol. 31, No. 4, ottobre – dicembre 1964, pag. 551, par. 6
7
perimetro di protezione dell’identità della minoranza, restando sempre però
all’interno di una visione qualitativa. Superando questa concezione, la
Sottocommissione citata sviluppa una definizione che viene ad oggi accolta
dall’Enciclopedia Giuridica Treccani, la quale viene di seguito riportata: “un
gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione di uno Stato, in
posizione non dominante, i cui membri, cittadini dello Stato, possiedono, dal punto
di vista etnico, religioso o linguistico, caratteristiche che differiscono da quelle del
resto della popolazione e manifestano anche un sentimento di solidarietà allo scopo
di preservare la loro cultura, la loro tradizione, la loro religione e la loro lingua”
8
.
Il richiamo ad un’accezione quantitativa risulta chiaramente dall’aggettivo
“numericamente”, non abbandonando del tutto, però, l’elemento qualitativo,
coincidente con la manifestazione di “un sentimento di solidarietà allo scopo di
preservare la cultura, la tradizione, la religione o la lingua”.
Il concetto ad oggi sembra quindi continuare ad oscillare fra due limiti: da un lato,
la salvaguardia della propria identità e, dall’altro, il raggiungimento di
un’eguaglianza, aspetti che non necessariamente devono essere interpretati come
contrastanti. Un punto di incontro fra essi può essere individuato nella Convenzione
dei Diritti dell’Uomo, che già nel 1950 aveva inserito ex articolo 14, quale motivo
di non discriminazione, l’appartenenza ad una minoranza nazionale. Se ne può
concludere che, una minoranza viene, e deve essere (per mantenere i suoi tratti
tipici) distinta in base ad un criterio identificativo specifico, sino al limite del
divieto di discriminazione: in altre parole, il criterio deve essere inteso come il
pilastro della distinzione fra minoranza e società, sino a quando esso non si
trasforma in un motivo di discriminazione.
8
Voce Minoranze. Diritto internazionale, in Enciclopedia Giuridica Treccani, www.treccani.it
8
1.3. Gli yazidi come minoranza
Stante la considerazione sopra svolta, si può affermare che la popolazione yazida
sia una minoranza il cui carattere distintivo risiede nella religione, che la distingue
dalla società all’interno della quale essa si trova, coincidente con l’etnia curda.
L’etnia, definita come “raggruppamento umano basato su caratteri razziali, culturali
e linguistici”
9
, è un concetto che nel corso del tempo ha subito adattamenti,
soprattutto a partire dagli anni Settanta dello scorso secolo quando sono stati
studiati i processi di interazione storica e sociale delle popolazioni, per continuare
nel decennio successivo con diversi studi basati sull’ematica, piuttosto che sulla
genetica e sulla lingua
10
.
Tenendo in considerazione questa definizione, si può sostenere che la popolazione
yazida vanti tratti comuni con l’etnia curda in punto, soprattutto, di tratti somatici
e lingua, ma si contraddistingua da essa proprio in funzione della propria religione,
che fa di questa popolazione una minoranza secondo la definizione sopra
prospettata. La religione diviene, dunque, l’espressione del criterio discriminante
funzionale alla distinzione rispetto alle popolazioni curde musulmane e cristiane
stanziate negli stessi territori. Territori che vanno a coincidere principalmente con
il Kurdistan, regione che lambisce l’Iraq (ove si trova la maggior parte della
popolazione yazida), l’Iran, la Turchia e la Siria, e la regione del Sinjar. Nonostante
la maggior parte della popolazione yazida sia stanziata ancora oggi in Medio
Oriente, parte della stessa ha conosciuto un forte flusso di emigrazione verso altri
continenti, fra cui Australia e Nord America
11
, e soprattutto verso l’Europa. La
diaspora yazida, intesa come costrizione ad abbandonare il proprio paese di
origine
12
, ha conosciuto come Paesi di destinazione europei soprattutto la Svezia,
che conosce una forte immigrazione attorno alla seconda metà degli anni Sessanta,
9
Voce Etnia, in Enciclopedia Treccani, www.treccani.it
10
Voce Etnia, in Enciclopedia Treccani, www.treccani.it
11
S. Zoppellaro, Il genocidio degli yazidi, Guerini e associati, Milano, 2017, pag. 36
12
Voce Diaspora, in Enciclopedia Treccani, www.treccani.it
9
dovuta all’abbandono del Kurdistan per la continuazione degli studi, e negli anni
successivi a causa delle persecuzioni turche ed irachene
13
, e la Germania, che ad
oggi accoglie la più grande comunità yazida d’Europa, cominciata attorno agli inizi
degli anni Novanta con l’emigrazione degli yazidi residenti in Turchia a causa della
persecuzione religiosa
14
.
Nonostante queste collettività siano presenti in varie parti del mondo, non si può
dubitare che la culla della popolazione yazida sia il Kurdistan iracheno, e
specificamente la regione di Sheikhan. Quest’ultima è la radice storica della cultura
yazida, ma non ne è di certo l’esclusiva: in essa si trovano a convivere più
popolazione differenti fra loro, fra cui musulmani e cristiani di lingua neo-
aramaica.
15
La regione di Sheikhan, se costituisce il bacino culturale di coloro che
professano lo yazidisimo, non è contemporaneamente l’unica area geografica ove
tale popolazione si è insediata nel corso dei secoli. Più a Oriente infatti, sempre in
Iraq, si trova la regione di Sinjar (o, Shingal in curdo) ove si presume vivessero,
prima del 2014, circa 520.000 yazidi.
16
Il numero degli yazidi non è chiaramente definito, in quanto dalle fonti emergono
dati demografici non coincidenti: l’Enciclopedia Britannica stima una popolazione
che va da un minimo di 200.000 a un massimo di 1 milione; l’Enciclopedia Treccani
abbassa il numero a 60.000
17
; per l’Organizzazione delle Nazioni Unite (a seguito
del 2014) la popolazione si attesterebbe attorno alle 400.000 unità
18
, mentre per le
altre fonti la popolazione ad oggi vanterebbe circa 800.000 unità
19
13
Voce Yazidis in Sweden, in Wikipedia, www.en.wikipedia.org
14
Voce Yazidis in Germany, in Wikipedia, www.en.wikipedia.org
15
S. Zoppellaro, Il genocidio degli yazidi, pag. 38, cit.
16
S. Zoppellaro, Il genocidio degli yazidi, pagg. 39-41, cit.
17
M. Guidi, voce Yazidi, in Enciclopedia Treccani, www.treccani.it
18
P. Magliocco, Chi sono, e quanti sono gli yazidi?, per La Stampa, 2018, www.lastampa.it
19
Redazione di Yezidi Truth, The yezidis, www.yeziditruth.org
10
1.4. Il criterio discriminante della minoranza: la religione yazida
La religione è, come sopra menzionato, il tratto saliente che contraddistingue la
popolazione yazida rispetto alle popolazioni curde musulmane e rispetto alla
popolazione cristiana residente in Medio Oriente.
Per yazidismo si intende un culto monoteista tramandato di generazione in
generazione in forma orale per millenni
20
, che ha conosciuto una codificazione
appena nel 1911 e nel 1913, con la scrittura dei due libri sacri: il Keteba Jelwa (il
Libro della Rivelazione) e il Mashaafa Reæ (il Libro Nero)
21
.
Per comprendere il rapporto intercorrente fra questa religione e le reiterate
persecuzioni di cui è stata vittima, si può fare riferimento ad una caratteristica che
viene definita da un ospite presso la casa della Fondazione come “granitica”, ossia
la modalità mediante la quale si appartiene alla minoranza: yazidi lo si è di nascita,
jure sanguinis, alla ulteriore condizione che i genitori siano, a loro volta, entrambi
di religione yazida. Durante un incontro presso la casa della Fondazione, ci viene
spiegato che questa regola è stata concepita per preservare la purezza della
comunità, essendo essa stata vittima di plurimi massacri, per evitare che la sua
integrità sia “contaminata” dal sangue di coloro che hanno torturato, ucciso o
schiavizzato gli stessi membri.
Questa prescrizione teocratica ha come conseguenza diretta due divieti assoluti: il
primo consiste nel divieto di conversione allo yazidismo, ed il secondo nel divieto
di conversione ad un altro credo. Emblematico è il caso della ragazza yazida, Du’a
Khalil Aswad, accusata di delitto d’onore per aver voluto convertirsi alla religione
islamica al fine di sposare un ragazzo sunnita. La ragazza, di soli 17 anni, fu lapidata
e decedette in seguito all’esecuzione. Nonostante la lapidazione, le vere ragioni
dell’esecuzione non furono mai cristallinamente chiarite: da determinate fonti
emerge addirittura che il ragazzo avesse negato che Du’a si fosse convertita
20
La fonte deriva dalla testimonianza diretta degli ospiti della casa della Fondazione
21
A. Fratticcioli, Yazidisimo, www.asiablog.it, 2012
11
all’islam
22
. Se la conseguenza diretta di tale legge teocratica è il divieto di
conversione, conseguenza indiretta è il divieto di matrimonio misto
23
. Il quadro che
ne emerge è un quadro di chiusura della popolazione yazida rispetto al mondo
esterno, e ciò viene confermato da ulteriori fattori: si pensi ad esempio al generale
rifiuto di prestare la leva militare nello Stato di residenza e il divieto di
scolarizzazione statale dei bambini yazidi
24
.
Come sopra menzionato, la comunità è stata da secoli obiettivo di massacri: lo
yazidisimo è infatti una religione antichissima, che per autorevoli studiosi
25
costituisce la prima delle religioni professata dai curdi. Questi ultimi, infatti, prima
della invasione musulmana nel VII secolo, la quale portò alla conversione della
maggior parte di essi all’islam, professavano la religione yazida. Quest’ultima ha
conosciuto una grande riforma con il sufi
26
Sheikh Adi attorno alla fine dell’anno
Mille, mediante la quale venne plasmato lo yazidismo così come conosciuto ad
oggi: il sistema ad oggi si basa su di una struttura piramidale- catastale, con a capo
un principe laico chiamato mir, a cui segue la casta religiosa, ossia gli sheikh
(suddivisi a loro volta in tre ordini), i pir (suddivisi in quaranta ordini) e i murid,
ossia le persone comuni
27
. A tal proposito si deve sottolineare che il divieto di
matrimonio misto sopra menzionato non è circoscritto esclusivamente ad un
matrimonio fra una persona yazida ed una persona non yazida, bensì si estende
ulteriormente ad un matrimonio intercorrente fra yazidi appartenenti a caste
diverse
28
.
22
Voce Du’a Khalil Aswad, in Wikipedia, www.en.wikipedia.org
23
Bisogna specificare che il divieto di matrimonio misto è un istituto ricorrente nelle religioni
medio- orientali: a livello di fattispecie esemplificativa si ricorda la comunità ebraica.
24
L. S. Martini, Gli yazidi, storia di una minoranza perseguitata, per Il Caffè geopolitico, 2017,
www.ilcaffegeopolitico.org
25
Così Mamu Fahrad Otman, ex Ministro per la società civile di Baghdad, in, S. Zoppellaro, Il
genocidio degli yazidi, pag. 46, cit.
26
Per sufismo si intende la mistica musulmana
27
K. Valisi, Yazidi, adoratori dell’angelo pavone, per Medio Oriente e Dintorni, 2018
www.mediorientedintorni.com; S. Zoppellaro, Il genocidio degli yazidi, pag. 47, cit.
28
S. Zoppellaro, Il genocidio degli yazidi, pag. 44, cit.