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INTRODUZIONE
Molto spesso, alla fermata dell’autobus o in coda presso un qualunque
sportello, mi è capitato di ascoltare i discorsi dei miei vicini: tra questi ha
catturato la mia attenzione un padre che motivava della permanenza in
casa sua del figlio, ormai trentenne e lavoratore, con espressioni come
mammone, se non pure fannullone. Ho notato che, al contrario, molte
madri spiegano la permanenza della prole adulta sotto il tetto genitoriale
parlando delle piccole e grandi sfortune dei figli (sia personali che storico-
economiche). Lungi da me rinchiudere il presente elaborato in
“chiacchere” raccolte per strada, ma mi sembra un buon punto di partenza
per cominciare un’analisi sulla permanenza dei figli adulti (o giovani visto
che per l’Eurostat lo si è fino ai 35 anni) in casa dei genitori. Tentare di
individuare se le cause della prolungata convivenza dipendono da fattori
economici, da modelli istituzionali, da condizionamenti socio-culturali, da
propensioni individuali, o ancora da nessuno o tutti questi fattori insieme.
La tesi comincerà con un capito dedicato alle dimensioni del fenomeno in
esame; con l’aiuto della statistica osserveremo ed incroceremo i dati a
nostra disposizione per comprendere quanti giovani rimangono a casa e, di
questi, chi presenta una maggiore o minore incidenza a seconda del titolo
di studio, del lavoro, della condizione sociale di partenza, e tante altre
variabili. Questo sia attraverso un breve confronto con altri stati
dell’Unione Europea, sia analizzando nello specifico la situazione italiana. Il
lavoro si giustifica con la preoccupazione di non chiuderci in
generalizzazioni, tanto facili in questa congiuntura storico-politica.
Nel secondo capitolo verranno presentate alcune ricerche svolte da vari
enti ed associazioni nazionali, per presentare quei fattori finora emersi in
7
grado di spiegare la prolungata permanenza dei giovani in casa dei
genitori. Questo indagando l’evoluzione dei modelli d’uscita nel nostro
tempo, l’intenzione di uscita e la sua effettiva realizzazione da parte dei
giovani, i rapporti tra le generazioni nell’ambiente domestico ed infine, con
l’aiuto di una ricerca socio-psicologica, proporremo dei possibili processi
cognitivi che permettono la creazione del fenomeno in esame.
Nel terzo e quarto capitolo verranno presentate delle teorie
rispettivamente di stampo sociologico e psicosociale. Queste teorie
verranno enucleate per offrire al lettore un quadro quanto più completo di
questa famiglia tipo (o atipica?). L’intenzione è riportare gli insegnamenti
dei teorici per capire cosa significhi vivere in una tale situazione, ma anche
cosa la favorisce e non; spostarci dal dato cumulativo statistico per un
breve excursus nella visione del singolo e del piccolo gruppo. Le teorie
sociologiche esposte prenderanno in considerazione sia i fattori culturali
come il familismo, l’identità, l’autorità genitoriale, sia la corrente
sociologica sui condizionamenti socio economici, ovvero quei fenomeni di
organizzazione societarie ed economica che possono favorire o frenare
l’uscita di casa dei giovani.
Nel quarto capitolo dedicato alle teorie psicosociali si parlerà dell’identità
sociale, della comunicazione, della costruzione dei legami affettivi, nonché
delle fasi di passaggio e transizione della famiglia, per arrivare ad una
possibile spiegazione del fenomeno in esame sia adottando il punto di
vista del figlio che permane nella casa della famiglia, sia dalla prospettiva
dei genitori.
Nell’ultimo capitolo verranno accostati i contenuti dei precedenti capitoli,
per tentare di spiegare le motivazioni della permanenza di questi figli sotto
il tetto genitoriale; comprendere cosa possa significare per gli individui in
causa vivere in una tale situazione e cosa ne impedisce una loro
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fuoriuscita. Si connetteranno le teorie sociologiche e psicosociali alle
rilevazioni statistiche nonché alle ricerche svolte, per proporre un quadro
organico di fattori che possono portano alla protratta convivenza dei
giovani sotto il tetto genitoriale.
La scelta di presentare una lettura multidisciplinare del fenomeno è basata
sull’ipotesi di partenza che la permanenza dei giovani sotto il tetto
genitoriale non sia data esclusivamente da motivazioni economiche
oppure dall’idea diffusa dai media che in Italia stiano aumentando i
mammoni (o bamboccioni), ovvero giovani che rimangono a vivere coi
genitori per la semplice incapacità e non volontà di allontanarsi dalle cure
genitoriali. Piuttosto si ipotizza una comunione di fattori eco-socio-
psicologici che frenano l’uscita dei giovani italiani dal gruppo famigliare.
Auguro a tutti una buona lettura.
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CAPITOLO I
Le dimensione del fenomeno
1. Introduzione: perché partire dal dato statistico
Sicuramente non è gradevole per il lettore, trovare all’inizio di uno scritto
un intero capitolo dedicato a “numeri” e grafici, ma sono convinto che
questo sia fondamentale per comprendere il fenomeno in esame. Prima di
affrontare un qualsiasi argomento è importante capirne le dimensioni, la
quantità di persone e famiglie coinvolte; parlare della permanenza dei
giovani sotto il tetto genitoriale significa sì, prendere in esame le
motivazioni del loro comportamento, ma anche comprendere chi, quando,
quante e cosa ha portato ad agire in un senso invece che in un altro.
Per aiutare la comprensione della dimensione del fenomeni in esame,
verrà proposto un confronto con alcuni Stati Europei, in modo da dare una
visione più ampia dell’argomento trattato, nonché dei termini di paragone
con Paesi geograficamente vicini all’Italia. Il corpo del capitolo sarà
naturalmente dedicato specificatamente alla situazione italiana, attraverso
l’esposizione di dati provenienti da vari istituti di ricerca statistici della
penisola. Prima di ciò si definirà in maniera articolata chi sono i soggetti
presi in considerazione dall’elaborato.
2. Chi sono i “giovani” presi in considerazione da questo elaborato?
I giovani sono la categoria sociale più definita e per questo più indefinita di
questo secolo; molteplici ricerche hanno colto, o tentato di cogliere, le
abitudini, gli stili di vita, le tendenze di questa parte di società in continuo
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mutamento, in costante ridefinizione interna come esterna. Ne è quindi
risultata una vasta mole di indagini su quasi ogni aspetto della vita
quotidiana dei giovani, che non essendo articolata in una letteratura
organizzata, può facilmente presentare delle forte incongruenze da ricerca
a ricerca.
Col passare degli anni il gruppo dei “giovani” si è esteso, fino anche a
racchiudere persone di 36-39 anni. La semplice definizione <<… giovane
spesso col valore di adulto, ma non ancora matura o tanto meno
vecchio>>
1
, si è dilatata comprendendo persone in condizione eco-socio-
psicologiche completamente differenti.
Per questo è utile precisare che i “giovani” presi in considerazione da
questo scritto avranno tra i 18 ed i 36 anni, in quanto mi sembra che
superare una certa soglia anagrafica, rischi di “disperdere” il focus d’analisi
di questo elaborato; utilizzare una categoria troppo ampia può portare ad
un’eccessiva generalizzazione del discordo e quindi delle ipotesi e
conclusione del presente scritto.
Definita l’età occorre anche comprendere chi sono questi 7 milioni di
giovani italiani che vivono ancora in casa dei genitori; non è semplice
neppure individuarli e suddividerli. Ad esempio come “incasellare” queste
due tipologie di giovani: lo studente universitario che vive 5 giorni alla
settimana in una casa di studenti nella città X, per tornare il fine settimana
a casa dei genitori nella città Y; oppure il giovane lavoratore che dorme in
un appartamento di proprietà sopra o vicino ai suoi genitori, ma in realtà
trascorre la maggior parte delle sue ore libere in quello di mamma e papà.
Di primo acchito verrebbe da dire che queste persone sono “uscite di
casa”, ma approfondendo ci si potrebbe accorgere che l’ipotetico studente
non ha fonti di reddito, quindi è mantenuto ancora in toto dalla sua
1
Dizionario della lingua italiana, di G. Devoto e G.C. Oli, Le Monnier 1995
11
famiglia e torna a casa ogni fine settimana per fare “rifornimento” di panni
puliti, soldi e perché no, anche un po’ di prelibatezze cucinate dalla
mamma. Il giovane lavoratore invece, mangia regolarmente a casa dei
genitori e la madre gli lava, stira, e pulisce pure casa sua; in aggiunta
l’appartamento del figlio è stato acquistato con i risparmi dei genitori.
Il confine tra fuori e dentro le mura di famiglia, è alquanto labile e irto di
distinzioni personali; per questo motivo ci baseremo principalmente sul
fattore residenza: in questo elaborato si prenderà in considerazione la
prole che ha un luogo di residenza differente da quello dei genitori.
Questa semplificazione certo non renderà giustizia a molte persone che,
ad esempio, non hanno modificato la loro residenza eppure lavorano e
vivono lontano dall’abitazione dell’infanzia; penso sia ad una scelta
consapevole per il non cambio di residenza, come benefit dalla propria
Regione\Provincia\Comune di partenza, ma anche ad una vera e propria
impossibilità data da un affitto in nero e contratto di lavoro a “super”
termine (da 1 a 6 mesi). Inoltre per studiare il fenomeno utilizzando dati
quantitativi, il fattore residenza è forse l’unico indicatore utile ed
efficiente.
L’ammontare preciso dei giovani che convivono ancora con i propri
genitori è quindi difficile da calcolare, in quanto la conta può essere
falsificata dai vari fattori prima descritti; ugualmente l’Istat
2
li ha contati in
oltre sette milioni (tra i 18 ed i 34) nel 2008; all’interno di questa fascia il
40% ha più di 25 anni, mentre uno su due ha un’occupazione precaria. Più
recentemente l’Eurostat
3
, ha rivisto questi dati in aumento, non tanto
per il numero complessivo di giovani in casa dei genitori, quanto per
l’aumento della loro età di circa un anno.
2
Istat , Rapporto annuale 2008,Centro stampa e riproduzione Srl , 2009
3
M. Iacovou, A. Skew, Population and social conditions, Statistic in Focus n.52/201,
http://ec.europa.eu/eurostat
12
3. Cenni: l’Italia in confronto ad altri paesi
Dai grafici a seguire è interessante osservare come a livello mondiale i
giovani italiani non siano poi così “mammoni”, ma come attenendoci al
livello Europeo, cioè modificando il nostro punto di osservazione, le cose
cambino. Mi è sembrato interessante cominciare con questa distinzione,
non tanto per proporre un’analisi a livello mondiale (sicuramente non
adatta a questo elaborato in quanto troppo estesa ed elaborata), quanto
per giustificare l’importanza della partenza dall’analisi statistica per avere
dei dati certi di riferimento e quindi avviare un tentativo di comprensione
del fenomeno.
Come evidenziato dal grafico 1.1 l’Italia è tra gli stati al mondo in cui si
registrano le percentuali minori di giovani tra i 18 ed i 33 anni conviventi
con i propri genitori.
Secondo la ricerca della World Values Survey
4
lo Stivale è al sedicesimo
posto per uscita dei figli dal tetto genitoriale (23% circa), superato da molti
Stati europei, ma ugualmente presentando meno giovani a casa di altri
Stati Occidentali quali il Giappone, l’India, Cipro, etc.
In Europa, secondo una pubblicazione del 2009 dell’Eurostat “Youth in
Europe” basata su studi e sondaggi eseguiti nel corso del 2007, troviamo
una situazione giovanile diversa da Paese a Paese. I giovani tra i 15 ed i 29
anni nell’Unione Europea sono 96 milioni, vale a dire il 20 per cento circa
della popolazione europea, con punte oltre il 24 per cento a Cipro, Polonia
e Slovacchia e al di sotto del 18 per cento in Germania, Danimarca e Italia.
4
http://www.worldvaluessurvey.org/wvs/articles/folder_published/article_base_136
13
Grafico 1.1 Ricerca del World Values Survey del 2010, 97 società ovvero il 90 per cento
circa della popolazione mondiale avente dai 18 ai 33 anni.
Tali numeri importanti potrebbero diventare problematici nel corso dei
prossimi anni, quando il rapporto tra popolazione giovane e popolazione
anziana potrebbe volgere a favore degli over 64, ponendo forti criticità sui
sistemi pensionistici di numerosi Paesi dell’UE (problematica già in parte
14
emersa in Italia). È difatti emerso che l’indice di Ricambio della pop in Età
Attiva (dato dal rapporto tra coloro che stanno per uscire dalla pop attiva
60-64 e coloro che vi stanno per entrare 15-19), risultante eccessivamente
basso in molti paesi, impedendo il ricambio lavorativo generazionale. Le
nuove leve troveranno lavoro non solo in funzione dell’espansione
dell’economia e della creazione di nuovi posti di lavoro, ma anche in
funzione dei posti resi disponibili da chi sta uscendo; questo indice si sta
abbassando sensibilmente in tutta l’Eurozona.
Grafico 1.2 Età giovani 15-29 Europa in cui escono dalla casa genitoriale nel 2007, per
sesso, ricerca “Youth Europe” Eurostat 2009
Come si può osservare dal grafico 1.2, in Europa a lasciare per primi la casa
dei propri genitori sono soprattutto le donne: una ragazza Finlandese va
15
via di casa all’età di 22 anni mentre una ragazza Italiana attende in media
fino ai 29.5. Tra i ragazzi, i primi ad andar via sono sempre i Finlandesi a
23.1 anni mentre i più attaccati alla propria famiglia, volenti o nolenti,
sono Italiani, Bulgari, Greci, Rumeni, Sloveni, Slovacchi, Ciprioti e Maltesi,
tutti dopo i 30 anni. Le motivazioni in questo caso sono prevalentemente
economiche, anche se per alcuni lasciare la casa dei genitori coincide
ancora con il matrimonio (15 per cento dei Maltesi, 14 per cento dei Cechi
e 13 per cento degli Italiani).
Grafico 1.3 Alcune ragioni per cui i giovani adulti rimangono in casa dei genitori in EU,
18-30 anni nel 2007, ricerca “Youth Europe” Eurostat 2009
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Nel grafico 1.3 vi sono alcune delle principali motivazioni per cui i giovani
europei continuano a vivere sotto il tetto genitoriale: la causa principale,
secondo gli intervistati, è quella economica. L’uscita di casa è
impossibilitata sia per le scarse risorse economiche del giovane (46,5%
degli intervistati 18-30 nell’UE a 27), che per le scarse risorse familiari (il
giovane sostiene economicamente i propri genitori in quasi il 5% delle
famiglie Europee). Un terzo fattore economico che viene rilevato come
motivazione delle lunga permanenza in famiglia, è l’assenza di alloggi
convenienti (27% EU-27); è interessante osservare che gli intervistati
italiani non diano molta importanza a questo fattore (meno del 5%), pur
essendo l’Italia uno degli Stati Eu con un costo della casa più alto (
approfondiremo tale argomento sia nel paragrafo 3.1 che nel 4.3 del
presente capitolo).
Ma anche altri fattori come la “comodità” della convivenza con i propri
genitori, ed uscire di casa solo dopo il matrimonio hanno un certo peso
statistico. Questi ultimi fattori non sono analizzabili statisticamente (se
non tramite mero conteggio), conseguentemente ci concentreremo di più,
in questo capitolo, sui fattori di derivazione economici come la
percentuale di occupazione giovanile, la relativa stabilità lavorativa,
nonché il rapporto stipendio-capacità di acquisto (soprattutto se
rapportato alle generazioni precedenti) e simili.
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3.1. Brevi approfondimenti
Andiamo brevemente a osservare la situazione giovanile in Europa.
3.1.1 La disoccupazione giovanile in Europa
A gennaio 2011 secondo l’Eurostat
5
, il tasso di disoccupazione a livello
europeo si aggirava intorno al 9.9 per cento, quello giovanile (sotto i 25
anni) intorno al 20,7 nell’Europa a 27 (in aumento dello 0,1 rispetto al
2010). Il tasso di disoccupazione giovanile è quello che presenta le
maggiori differenze tra i diversi paesi: si passa dal 6,9 per cento dei Paesi
Bassi al 44,6 per cento registrato in Spagna. Per quanto riguarda
l’andamento nel corso dell’anno 2011 (in confronto al 2010), il tasso di
disoccupazione giovanile è diminuito in 13 paesi e aumentato in 12.
L’aumento più significativo, 8,2 punti percentuali, si è avuto in Grecia dove
tocca così quota 36,1 per cento. Diciotto paesi membri registrano tassi di
disoccupazione giovanile superiori al 20 per cento. Di questi, Irlanda,
Grecia, Spagna, Lettonia, Lituania, Italia e Slovacchia superano o si
aggirano attorno al 30 per cento.
Al momento della stesura di questo testo non esistono statistiche relative
ai primi mesi del 2012, ma tutti gli indicatori prevedono un innalzamento
della disoccupazione, sia totale che giovanile, nel corso dell’anno a causa
della crisi economica in corso.
3.1.2 Lavoro con contratto a termine in Europa
La fascia d’età più interessata da contratti di lavoro a tempo determinato a
livello europeo, è risultata essere quella che va dai 25 ai 39 anni. È emerso
5
http://europa.eu/documentation/statistics-polls/index_it.htm
18
che si trovano nella condizione di lavoratori a termine soprattutto coloro i
quali hanno un livello d’istruzione medio-basso. Sicuramente interessante
è la ricerca Labour market statistics EU del 2011
6
in cui risulta che
nell’anno 2009, in Europa, per il 60 per cento dei lavoratori, la
temporaneità del lavoro non è una scelta volontaria (come al contrario
suggerisce la tesi economica post-liberale seguita da molti governi
europei), con picchi molto più elevati in alcuni Paesi (es. Spagna, Italia).
Inoltre la temporaneità del lavoro porta ad un grado di precarietà molto
più elevato; ciò trova conferma nel fatto che ad una quota non trascurabile
di lavoratori a termine viene negata una stabilità lavorativa che va oltre i
12 mesi e l’agognata stabilità lavorativa (contratto a tempo indeterminato)
si raggiunge sempre più tardi (in Italia, secondo l’Istat, quasi più del 5 per
cento di atipici nel biennio 2008-2010, rispetto al precedente, non
riescono a stabilizzarsi).
3.1.3 Rapporto tra salario e potere d’acquisto: l’Italia a confronto
con l’Europa
Come ultimo fattore mi sembra interessante proporre delle rilevazioni sul
potere di acquisto degli europei; riporto quindi una rilevazione del CUB
(Confederazione Unitaria di Base) del 2003
7
. Attraverso l’elaborazione dei
dati Eurispes riguardanti il biennio 2002-2003, il CUB ha messo a confronto
il costo di panieri, delle retribuzioni nette annue e del potere di acquisto di
un’insegnate nelle principali città europee. Costruendo un paniere di 111
6
Labour market statistics EU, Eurostat Pocketboocks, 2011
(http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_OFFPUB/KS-32-11-798/EN/KS-32-11-798-
EN.PDF)
7
Ricerca: Salario: la storia sindacale è un susseguirsi di lotte per migliori condizioni di
vita e di lavoro nelle quali il salario ha sempre rappresentato un aspetto centrale, CUB,
2004 http://www.cub.it/article/salari-e-stipendi