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politiche linguistiche ben precise, mirate alla loro protezione come specificità linguistiche,
ma sempre nel rispetto della lingua nazionale.
Il mio lavoro mira dunque a presentare la periferia e la vita nei quartieri periferici, ma anche
un panorama delle varietà linguistiche contemporanee del francese e, in particolare, la sua
evoluzione nella lingua di tutti i giorni.
Questo per mostrare, da una parte, come sta reagendo lo Stato francese a ciò, ma dall’altro
anche per sottolineare la necessità di programmi d’insegnamento della lingua francese nelle
nostre scuole più moderni, che siano in grado di presentare agli studenti, in questo caso più
specificatamente italiani, una lingua attuale, viva e in continua evoluzione. Soprattutto per
non arrivare in questo Paese e sentirsi completamente spaesati, ancor più stranieri di quel che
si è già, e parlare una lingua troppo standard e anche un po’ “passata di moda”.
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2) La periferia parigina
Linguisti e semiologi hanno da tempo posto la città al centro dei loro studi e delle loro
osservazioni. Grazie soprattutto all’immigrazione, la città si presenta come una realtà
plurilingue descrivibile in tre diversi livelli
1
:
- la città come fattore di unificazione linguistica, in quanto nodo di convergenza di
diverse correnti migratorie e diverse lingue del Paese;
- allo stesso tempo, la città come luogo di conflitto linguistico, tra le diverse lingue
parlate in un Paese e che si può leggere in diversi livelli, dalla famiglia alla scuola,
dalle associazioni ai quartieri;
- infine, la città come luogo di coesistenza e metissage linguistico, analizzando
l'effetto della situazione urbana sulle lingue. Essa infatti produce delle forme
linguistiche specifiche, dei modi di parlare urbani, come l’argot parigino ad
esempio.
Questi fenomeni si ripercuotono, e spesso si accentuano, nella vita in periferia.
Il termine banlieue, periferia appunto, nasce nel Medioevo, e indica, fino al XII secolo, il
territorio situato fuori le mura e sotto la giurisdizione della città. Solo nella prima metà del
‘900 questo termine inizia a designare una forma di organizzazione dello spazio urbano
2
. La
banlieue fa riferimento all’organizzazione spaziale delle grandi città, più precisamente alla
forma di urbanizzazione del dopo guerra che ha portato alla creazione di grandi quartieri
abitativi, situati ai confini delle città. Questi ultimi non offrono un ambiente di vita di qualità,
sono spesso spazi urbani marginalizzati, caratterizzati da carenze nelle attività economiche,
nelle infrastrutture e nel lavoro in generale
3
.
La parola banlieue evoca in Francia un prodotto sociale composito che rinvia al discredito,
alla frattura sociale, alle tensioni razziali e alla crisi economica. Dagli anni 80 poi, la periferia
viene associata anche alla marginalità e all’esclusione. Essa si presenta come territorio di
1
L-J CALVET, Les voix de la ville. Introduction à la sociolinguistique urbaine, Paris 1994
2
P. GEORGE, Etudes sur la banlieue de Paris, Paris 1950, pp. 3-12
3
N. DUCHÊNE, Langues, immigration, culture: paroles de banlieue française, Meta n. 47, 2002
7
transizione tra la città e la campagna, uno spazio composito nel quale diverse nazionalità ed
etnie si incontrano e coabitano, più o meno pacificamente.
Parigi appare dunque tutt’ora come il ricettacolo di molteplici e variopinte stratificazioni,
paradigma delle contemporaneità che compongono l’identità multiculturale verso cui si
proiettano le nostre città.
2.1 Genesi della periferia parigina
Il grande sviluppo della periferia parigina può periodizzarsi entro due date legislative: la
legge del 3 Novembre 1859, che annette alla città la petite banlieue, e quella del 10 Luglio
1964, dedicata alla riorganizzazione della regione parigina, in particolare dei dipartimenti
della Seine, Seine-et-Oise, Seine-et-Marne
4
.
Nel 1859 infatti viene decisa l’annessione della prima fascia di territorio che circonda la
capitale: il 1 Gennaio 1860 sono accorpati 11 comuni suburbani, per un totale di 7.802 ettari
e 350.000 abitanti, e gli arrondissements di Parigi passano dai 12 ai 20 attuali. Questo è stato
l’ultimo ingrandimento della città.
La periferia comincia dunque il suo sviluppo tra il 1861 e il 1891: mentre la popolazione
della capitale cresce del 44%, quella esterna ad essa passa da 250.000 a 700.000 persone. Tra
il 1896 e il1900 inoltre la popolazione cresce ancora del 19%, grazie anche all’immigrazione.
Il motivo di questa accelerazione nella crescita si può ricondurre all’industrializzazione; tra il
1872 e il 1906 gli impieghi industriali salgono del 112% contro il 40% di quelli della città.
Anche i dati demografici confermano questa tendenza: mentre la popolazione parigina si
mantiene intorno ai tre milioni di abitanti, quella dei dipartimenti periferici conosce una
progressione costante, dai quattro milioni nel 1911 ai cinque milioni nel 1931, e così in
crescendo.
La prima fase di crescita della banlieue (trentennio 1860 - 1890) appare dunque dominata
dall’attrazione esercitata da una serie di poli industriali, creando il binomio residenza e luogo
4
A. CANOVI, Paris, banlieues. Genesi e rappresentazione di un territorio metropolitano, Memoria e Ricerca
n. 7,1996, pp. 175-193
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di lavoro. Una seconda fase di crescita invece, è caratterizzata nel periodo fra le due guerre
dalla marea di lottizzazioni, in altre parole dall’insediamento, per motivi residenziali, di una
popolazione lavoratrice che ambisce a costruirsi la casetta unifamiliare con l’orto, il
cosiddetto pavillon. La fascia infatti più prossima alla città è ormai satura, si è trasformata in
zona residenziale agiata, e alle classi lavoratrici non resta che trasferirsi più lontano.
La banlieue diviene un luogo di residenza più giovane della città, ed ospita una percentuale
maggiore di maschi, per lo più lavoratori dell’industria metallurgica e spesso di recente
immigrazione. Così dopo una prima corona se ne sviluppa una seconda, sino ad allora
rimasta ai margini dello sviluppo.
Il terzo ciclo di urbanizzazione vede invece, dagli anni 60, un abbassamento del numero degli
addetti all’industria, e sono proprio i comuni confinanti con la capitale, la proche banlieue,
ad essere investiti da questa ondata di deindustrializzazione in favore del terziario. Dal punto
di vista residenziale, questa fase si caratterizza per l’insediamento in grandi complessi edilizi
(i grandes ensembles di cemento armato) e la nascita dei primi quartieri dell’immigrazione;
dal punto di vista legislativo invece, si assiste alla riforma del 1 Gennaio 1968, con la quale
vengono creati sei nuovi dipartimenti, viene rafforzata la struttura amministrativa della
banlieue e si forma, stabilmente, la petite couronne, che raccoglie ben 80 comuni.
Fin dalla fine dell’800 il problema degli alloggi è una delle questioni più critiche da risolvere
in periferia. Già nel 1894 lo Stato aveva creato la Société d’Habitation à Bon Marché
(HBM), poi trasformata in Habitations à Loyer Modéré (HLM), ma ancora oggi il problema
di abitazioni per tutti, non sovraffollate e in condizioni igieniche accettabili, resta vivo in
molte aree della periferia del Paese.
Inoltre, già dagli inizi del ‘900 nasce la contrapposizione Parisiens – Barbares: è
quest’ultimo infatti il nomignolo che viene usato per indicare le persone che vivono “fuori
dalle mura” e ad incatenarli ad una condizione d’esistenza percepita come altra. Siamo a
Parigi, nel cuore di un impetuoso processo di urbanizzazione, nel quale la periferia assolve il
compito di consegnare all’esterno della città le paure sociali esistenti, moltiplicate anche
dall’arrivo di stranieri, visti come un pericolo per il lavoro, per l’identità e la sicurezza
quotidiana, e pertanto relegati a vivere nelle periferie.
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Alain Faure, analizzando l’insediamento popolare fuori Parigi, parla appunto di banlieue
“nera” che si contrappone alla “verde”; un luogo di rigetto, dove la tipologia d’insediamento,
i cosiddetti alloggi sociali, finirà per contrassegnare la diffusa segregazione sociale. Si
proietta dunque un’identità totalmente al negativo.
L’arrivo nei comuni periferici finisce così per stabilire una strettissima correlazione fra il
movimento di marginalizzazione dello spazio e la propria collocazione nelle scala sociale; si
diventa banlieusards, la forza operaia residente fuori le mura.
Oggi, la storia della banlieue sembra la lunga vicenda di un declino senza fine. Si combinano
contemporaneamente la decadenza industriale e la concentrazione nei grandi caseggiati di
una popolazione giovane e immigrata, con scarsi redditi a disposizione; una miscela che
produce maggior segregazione sociale. Si manifestano i segni di una crisi sociale più
complessa, che arriva ad investire l’identità e le aspettative di sviluppo di un intero territorio.
Si può parlare di un dualismo nello spazio regionale parigino: Parigi borghese e Banlieue
operaia sono due mondi simbolicamente contrapposti.
2.2 Abitare in periferia: immigrazione interna ed esterna
Insieme all’arrivo della ferrovia, alla metà dell’800, giungono le industrie, poi i lavoratori; si
contano molti immigrati, provenienti sia dalle regioni più povere della Francia che dalle
nazioni confinanti, i quali si installano dando vita a formidabili espansioni demografiche. Le
banlieues divengono realmente un melting-pot, un crocevia
multiculturale.
In generale per Parigi, si può parlare di due periodi di urbanizzazione, il primo caratterizzato
dalla crescita della popolazione urbana dovuta soprattutto all’immigrazione interna al Paese,
l’altro in cui la crescita è dovuta invece alla popolazione di origine straniera.
Nel corso del primo periodo, infatti, gli immigrati provenienti da altre regioni del Paese
(Bretoni, Occitani, Baschi) arrivano a Parigi alla ricerca di lavoro (gli uomini nei grandi
cantieri, le donne nei lavori domestici) e introducono nella capitale le loro lingue (bretone,
occitano,basco,..). Successivamente, nel tempo di qualche generazione, essi si assimilano
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linguisticamente e culturalmente alla popolazione parigina, allontanandosi dalle lingue
regionali; la trasmissione della lingua è cosi interrotta, rafforzando l’unità e l’egemonia del
francese nazionale.
La seconda fase è invece caratterizzata dall’arrivo di immigrati di origine straniera, che
conservano la propria lingua (arabo, cinese, ecc..) in famiglia o all’interno di gruppi religiosi,
culturali o di amici, senza però mettere in discussione l’unità linguistica del Paese,
apprendendo allo stesso tempo la lingua nazionale.
Vi è dunque un primo periodo in cui il numero delle lingue sul territorio parigino diminuisce,
quando le lingue minori o regionali non si trasmettono più e si assiste dunque al
rafforzamento della lingua ufficiale. Nel secondo periodo invece, i nuovi arrivati hanno più
possibilità di conservare la propria lingua, in quanto quella ufficiale è già consolidata e i
particolarismi linguistici e culturali possono trasmettersi alla generazione successiva.
Sono molteplici le diverse nazionalità delle popolazioni che scelsero Parigi come meta della
loro immigrazione.
Durante la prima guerra mondiale, infatti, arrivarono soprattutto cinesi, per sostituire gli
operai metallurgici partiti al fronte; alla fine della guerra, la maggior parte di essi rientrò in
Cina, e quelli che restarono crearono i primi quartieri cinesi situati vicino all’attuale Gare de
Lyon e nel III arrondissement. Un numero minore di vietnamiti e cambogiani si era già
installato in città, poi tra il 1922 e il 1926 cominciarono ad arrivare armeni, che
abbandonavano la Turchia a causa del genocidio, seguiti da portoghesi che fuggivano il
regime di Salazar e la povertà del loro Paese. Allo stesso tempo, anche magrebini, africani e
spagnoli si installarono nella capitale, seguiti da un’altra ondata di immigrazione asiatica,
soprattutto cinesi, che si installarono nel sud della città e nel quartiere di Belleville.
Geograficamente parlando, in generale spagnoli e portoghesi scelgono di stabilirsi nella parte
ovest della capitale (XVI arrondissement), gli asiatici nella parte sud (XII arrondissement) e
gli algerini in quella nord-est (la Gutte-d’Or, Belleville).