2
eliminazione della cause criminogene presenti all’interno della società: su
quest’ultimo aspetto, il compito dello Stato si traduce negli interventi intesi
a rimuovere le cause sociali che favoriscono la commissione dei reati.
La garanzia di un ordine generalizzato e di condizioni di vita
accettabili costituiscono, quindi, una legittima pretesa da parte del
cittadino, pur titolare, in questo contesto, di analoghi diritti in tema di
libertà personale.
La politica della prevenzione si pone, quindi, come dimensione
essenziale del continuo processo di modernizzazione dello Stato e come
una rassicurazione formale offerta ai cittadini: si tratta di una politica in cui
pragmatismo, consenso politico, collaborazione interistituzionale,
collegamento col territorio, equilibrio fra centro e periferia, trasparenza
istituzionale, valutazione dei dispositivi, mobilitazione della ricerca al
servizio dell’azione diventano le categorie che strutturano il quadro
generale degli interventi.
In effetti, lo Stato, qualunque sia la sua forma e sotto qualsiasi tipo di
regime, non può accontentarsi della giustizia punitiva, ma deve
necessariamente preoccuparsi di evitare, innanzitutto, e al meglio possibile,
che i reati vengano commessi.
Si tratta di un’esigenza insita nella natura stessa della società, ribadita
dalla dottrina, che ha individuato nella prevenzione del crimine una
componente ontologicamente necessaria di ogni società organizzata. La
sola repressione non ha mai risolto il problema dell’insicurezza, che si può
ridurre solo con iniziative di prevenzione, basate sulla responsabilizzazione
e il coinvolgimento di tutti, ed attività repressive motivate e specifiche.
3
La ricerca di utili ed efficaci procedimenti di prevenzione è stata
oggetto di interesse recente anche da parte della criminologia, che ha
elaborato, in proposito, diversi modelli applicativi. In particolare,
nell’ambito della prevenzione sociale, anche in Italia hanno ricevuto forte
impulso i programmi alternativi al sistema penale; hanno concorso a tale
spinta la riscoperta della centralità della vittima, la crisi del paradigma
risocializzativo e dell’efficacia preventiva del sistema penale nel suo
complesso, lo scossone recato dalle teorie abolizioniste, l’affermarsi del
modello di giustizia riparativa e, secondo alcuni, l’asserita incapacità del
sistema giudiziario a soddisfare, in taluni casi, le legittime aspettative di
tutela del singolo e della collettività.
4
1. LA PERICOLOSITA’ SOCIALE
1.1. DIAGNOSI E PROGNOSI CRIMINOLOGICA DELLA
PERSONALITA’
L’esame scientifico della personalità rappresenta un rilevante passo
avanti sulla strada che collega il reato al suo autore, in ossequio al
fondamentale principio che non si puniscono delitti ma delinquenti.
L’esame scientifico della personalità comprende la diagnosi criminologia e
la prognosi criminologia. Esso richiede tecniche complesse ed una
competenza multidisciplinare, talché occorre il concorso di cultori delle
scienze biologiche, psichiatriche, sociologiche. Illustrare la personalità
significa indagare e definire anche quel particolare aspetto di essa che è
costituito dalla capacità a delinquere: questa viene in esame, al momento
della erogazione della pena, ossia alla individuazione dello specifico
trattamento che si attaglia ad un particolare soggetto per un particolare
reato.
La prognosi criminologia della personalità consiste in una serie di
indagini finalizzate alla formulazione di un giudizio di predizione sul
comportamento futuro del reo, talché siffatta prognosi costituisce la
premessa essenziale per la adozione o meno di determinate misure
preventive o per la concessione di taluni benefici. Essa si risolve nella
affermazione o nella negazione della pericolosità sociale nei confronti del
soggetto, ossia della probabilità che questo ricada nel delitto.
Le brevi note che precedono valgono ad introdurre l’oggetto del
presente elaborato - poi trasmigrato nell’istituto delle misure di
prevenzione - ma anche, e soprattutto, a fornire spunti di riflessione a chi,
5
con una domanda non generica, meritevole di una risposta altrettanto
impegnata, si chiedesse quale significato abbia oggi parlare di pericolosità
sociale e di capacità a delinquere. L’auspicio è che la lettura delle pagine
che seguono possa fornire ulteriori elementi di risposta ad un quesito
siffatto.
6
1.2. IL PROFILO GIURIDICO DELLA PERICOLOSITA’ SOCIALE
La nozione di pericolosità sociale
1
fa ingresso nell'ordinamento
giuridico italiano con il codice del 1930. Tale nozione presenta un vasto e
complesso retroterra storico-ideologico, essendo stata al centro della
polemica che, tra la fine dell''800 e la prima metà del 900, animò il dibattito
fra la Scuola positiva e la Scuola classica del diritto penale.
La Scuola positiva muoveva dalla premessa che il reato dovesse essere
considerato fenomeno naturale determinato da fattori criminogenetici e non
da una scelta individuale suscettibile di un giudizio di responsabilità
morale. L'intervento penale quindi non poteva orientarsi alla retribuzione
dell'illecito commesso, né avere esclusivamente una finalità repressiva, ma
traeva il proprio fondamento dalla necessità della prevenzione finalizzata
alla difesa sociale contro il delitto. La sanzione penale doveva essere
adeguata al rischio che l'autore del reato rappresenta per la società e tendere
esclusivamente ad impedirne la recidiva.
La scuola Classica, derivante dall’Illuminismo e corroborata dai
postulati e dagli ideali del liberalismo, era stata ben salda nella convinzione
che i reati dovessero descriversi in fattispecie delimitate e ben precise,
riconoscendo alla pena funzione eminentemente di retribuzione,
sull’inalienabile presupposto del libero arbitrio del reo, con conseguente
proporzionamento della pena stessa alla gravità del reato e della
colpevolezza.
1
Il filosofo Feuerbach, criminalista illustre, con oltre un secolo di anticipo, enucleò con precisione assoluta il
concetto di pericolosità in tali termini: “Premetto che alla espressione di pericolosità si collega il suo vero e
preciso significato e che con essa null’altro si intende se non quella caratteristica della persona che con
probabilità ed effettivamente violerà diritti”. Cfr. Feuerbach, Revision der Grundsatze und Grndbegriffe des
positiven peinlichen Rechts, Chemnitz, 1880, pp. 356-366.
7
La proposta della Scuola Positiva venne così ad incentrarsi sul
problema della pericolosità del reo, per la prima volta individuata, nei suoi
fattori costituenti essenziali, come giudizio prognostico sulla capacità
dell'individuo di commettere nuovi reati, nonché come centro di
imputazione di un giudizio non fondato sul rimprovero per la colpevolezza
dell'azione, ma sulla necessità di prevenire la commissione di ulteriori reati.
In tale prospettiva il reato perde il suo significato reale (ovvero di
illecito caratterizzato da un preciso disvalore obbiettivo e soggettivo al
quale si riporta la pena), ed acquista una rilevanza sintomatica nel
complesso delle caratteristiche psicologiche, antropologiche e sociali del
reo, al fine di valutarne la pericolosità. E’ l’individuo che, ponendosi
contro la società, doveva essere punito. Punito non in base al delitto che ha
commesso, come prevedeva l’indirizzo classico, ma in base alla
pericolosità che esprimeva. Questa impostazione consentì allo Stato la
possibilità di un controllo sociale più specifico e raffinato e una possibilità
maggiore di emarginare quegli elementi che più turbavano il suo
funzionamento. Cesare Lombroso con le sue posizioni dottrinali
rappresentò l’ideologia più estrema del nuovo controllo sociale. Da un lato
la classe operaia si organizzava per lottare e cambiare il sistema di
sfruttamento, per battere l’oppressione di classe, dall’altro lato la classe
dominante rispondeva sul piano politico con la repressione poliziesca e sul
piano scientifico accreditando una spiegazione antropologica, biologica e
naturalistica della criminalità
2
.
2
Lombroso era esplicito: “alla domanda di definire fino a che punto responsabile di una condotta criminale
fosse l’uomo e fino a che punto la responsabilità dovesse essere fatta cadere sulla società, rispondeva che non si
trattava di questione di responsabilità sociale o individuale. Esistono il bene ed il male ma il bene e il male non
sono legati alla libera volontà ma a fattori biologici, sociali e di razza. Si internava il delinquente non perché
fosse cattivo in senso morale, ma perché era pericoloso per la società”.Cfr. Lombroso C., L’uomo delinquente,
Napoleone Ed., Roma, 1971.
8
Il concetto di pericolosità sociale sul quale si fondava la ideologia
della Scuola Positiva comportò, delle profonde contraddizioni e
discrepanze nel nuovo sistema penale proposto, poiché venivano chiamati
in gioco sia la funzione del nuovo concetto di pericolosità, sia la sua
operativa compatibilità con le garanzie dei diritti di libertà del cittadino,
sicuramente affermati dalla tradizione classica del diritto penale. Sotto il
primo profilo era necessario definire il presupposto di fondo di tutto il
sistema, e cioè se il giudizio di pericolosità potesse prescindere
dall'effettiva commissione di un reato, ovvero dovesse sempre avere per
necessario presupposto la presenza di una compiuta azione delittuosa. Sotto
il secondo profilo, si apriva la prospettiva di poter prescindere dal rapporto
di proporzionalità fra misura della pena e misura della colpevolezza, onde
poter commisurare l'efficacia preventiva della sanzione alle concrete
possibilità di reinserimento del reo, giungendo alla configurazione di una
sanzione indeterminata nella sua durata.
Molte delle critiche avanzate dagli autori della Scuola classica
rimasero senza risposta. Tuttavia nell'ambito della disputa tra positivisti
3
e
classicisti sorsero e si affermarono nuovi indirizzi che cercarono una sintesi
dei due opposti, riconoscendo l'utilità dei principi enunciati dalla Scuola
positiva anche se contemperati dall'esperienza della Scuola classica.
3
Una prima definizione di pericolosità in termini positivisti si ebbe con Garofalo e con il suo criterio di
temibilità, inteso come valutazione del quantum del danno che si può attendere da un delinquente o, in termini
giuridici moderni, dalla sua tendenza a delinquere. La temibilità del delinquente veniva misurata dalla gravità
stessa del reato e doveva essere determinata dal grado del timore che un comportamento criminale investe
universalmente e dall’intensità, persistenza e riproducibilità dei motivi di delinquenza.
Il concetto di pericolosità sociale trovò una più precisa elaborazione nell’opera di Ferri (cfr. Ferri, Principi di
diritto criminale, Torino, 1928), il quale, in particolare, ha operato una specifica distinzione fra pericolosità
sociale, intesa come proclività a porre in essere condotte antisociali non sostanziatosi nelle violazioni di norme
penali, e pericolosità criminale, intesa come probabilità da parte di colui che abbia delinquito di delinquere
ulteriormente. Si ha la pericolosità dell’azione quando il comportamento del soggetto è tale da far ritenere
probabile la verificazione di un risultato temuto; si ha la pericolosità del delinquente quando la persona è tale da
far ritenere che essa commetta azioni dannose. Il trattamento secondo Ferri quindi si doveva concentrare sulla
difesa sociale la quale doveva essere applicata non alla minore o maggiore gravità del reato bensì alla maggiore
o minore pericolosità del delinquente.
9
Su tali premesse il legislatore del '30 mutò sostanzialmente l'assetto
classico del codice penale Zanardelli, codificando il concetto di pericolosità
sociale, attraverso l'introduzione del cosiddetto sistema del doppio binario.
Invero la pericolosità sociale introdotta dal codice Rocco, fu simile ma
non coincidente con la pericolosità propugnata dai positivisti, essendo a
differenza di quest'ultima:
a. una caratteristica non necessaria ma eventuale dell'autore di reato;
b. un presupposto per l'applicazione delle misure di sicurezza e non della
pena;
c. una caratteristica non permanente dell'autore di reato, essendo previsto il
riesame della pericolosità (art. 208 c.p.).
Con l'introduzione del sistema del doppio binario, da un lato si
mantenne immutato il criterio della imputabilità e della pena retributiva,
collegate alla colpevolezza dell'agente e, dall'altro lato, si accettò e codificò
il principio della pericolosità quale presupposto per l'applicazione delle
misure di sicurezza, aventi funzione di prevenzione speciale, ed applicabili
ai soggetti imputabili e non.
Il sistema del doppio binario, costruito sulle coppie responsabilità-
pena e pericolosità-misura di sicurezza, trova la sua ratio nella diversità di
funzioni che sono assegnate rispettivamente alla pena e alla misura di
sicurezza. La pena quindi, è dominata da un'idea di prevenzione generale
mediante intimidazione, la misura di sicurezza ha una specifica finalità di
prevenzione speciale, mediante riabilitazione o neutralizzazione a seconda
delle caratteristiche personologiche del delinquente.
10
La riabilitazione emerge dall'esigenza di adottare, nel trattamento
esecutivo di tali soggetti, un particolare regime educativo o curativo e di
lavoro, avuto riguardo alle tendenze e alle abitudini criminose della
persona, ed in genere, al pericolo sociale che da essa deriva (art. 213 c.p.
comma 3).
La neutralizzazione costituisce una finalità immanente alla durata
indeterminata delle misure di sicurezza che, non potendo essere revocate se
le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente
pericolose (art. 207 comma 1 c.p.), consentono una difesa preventiva
suscettibile di protrarsi indefinitamente.
Da tale disposizione risulta che il legislatore ha inteso accogliere due
principi fondamentali. Da un lato ha sancito che presupposto indispensabile
per la dichiarazione di pericolosità è la commissione di un fatto che la
legge in astratto configura come reato, escludendosi così le tendenze più
estreme del positivismo che volevano che il giudizio di pericolosità fosse
svincolato da tale presupposto
4
.
Dall'altro che l'essenza della pericolosità debba consistere nella
probabilità che il soggetto possa compiere in futuro, non fatti
genericamente contrari agli interessi della collettività, ma fatti
specificamente configurabili quali fattispecie di reati. Poiché nella
definizione contenuta nell'art. 203 comma 1 c.p.
5
, sia l'elemento indiziante,
sia quello indiziato, sono costituiti da illeciti penali, in dottrina si è ritenuto
che fosse più appropriato parlare di pericolosità criminale piuttosto che di
4
L'unica eccezione è data dalle ipotesi indicate negli artt. 49 e 115 c.p., le quali contemplano rispettivamente il
reato impossibile, e la istigazione ad un delitto non accolta o l'accordo criminoso non seguito da reato. Si tratta
nella sostanza di ipotesi nelle quali vi è una volontà delittuosa pienamente manifestata, senza che ad essa sia
seguita l'azione.
5
L'art. 203 c.p. comma 1, stabilisce:agli effetti della legge penale è socialmente pericolosa la persona anche se
non imputabile o non punibile, la quale ha commesso taluni dei fatti indicati nell'articolo precedente (ovvero un
fatto di reato o di quasi-reato), quando è probabile che commetta nuovi fatti previsti dalla legge come reato.
11
pericolosità sociale. La prima denominazione è sembrata la più
soddisfacente rispondendo alla esigenza di stabilire l'elemento essenziale
da cui la pericolosità deve ricevere la sua qualificazione.
1.3. L'ACCERTAMENTO NEL GIUDIZIO DI PERICOLOSITÀ
SOCIALE
Affinché sia possibile una prognosi di futura condotta criminale, il
delitto si pone come condizione necessaria ai fini del giudizio di
pericolosità, ma non sufficiente, dovendo la sua valutazione essere
integrata con l'esame di tutti gli elementi attinenti alla personalità,
all'ambiente ed al comportamento del reo.
L'art. 203 comma 2 c.p., stabilisce che la qualità di persona
socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell'art. 133
c.p.. Di conseguenza l'accertamento della pericolosità deve essere compiuto
attraverso l'integrale ricognizione di tutti i fattori che riguardano non solo
la gravità del reato, ma anche la capacità a delinquere del reo. I criteri
individuati dal legislatore sono dunque i medesimi previsti per la
determinazione della pena. Tuttavia, è chiaro che i fattori che riguardano la
capacità a delinquere del reo, visti in chiave prognostica, possono
presentare un significato diverso da quello assumibile in chiave retributiva,
in funzione del fatto che il reato commesso viene in rilievo non come tale,
ma come sintomo di probabile futura recidiva.
Gli elementi indizianti di pericolosità, rilevanti ai fini della capacità a
delinquere del reo, sono, ai sensi dell'art. 133 c.p.: i motivi a delinquere ed
il carattere del reo; i precedenti penali e giudiziari e in genere la condotta e
la vita del reo antecedenti al reato; la condotta contemporanea o
12
susseguente al reato; le condizioni di vita individuale, familiare e sociale
del reo (vgs. successivo punto 1.4.).
Il codice penale del 1930 nella sua formulazione originaria, prevedeva
due forme di pericolosità:
a. la pericolosità accertata di volta in volta dal giudice (art. 204 comma 1,
c.p.);
b. la pericolosità presunta dalla legge (art. 204 comma 2, c.p.).
Nel primo caso il giudizio di pericolosità viene integralmente rimesso
alla valutazione discrezionale del giudice, pur guidato dai criteri cardine
dell'art. 133 c.p. L'accertamento giudiziale si articola nelle due fasi
dell'accertamento delle qualità indizianti da cui dedurre la probabile
commissione di reati e della prognosi criminale, ossia il giudizio sul futuro
criminale del soggetto, effettuato sulla base di tali qualità. Va inoltre
precisato che, al fine di evitare di disporre l'applicazione di una misura di
sicurezza a chi, pericoloso al momento del fatto, cessi di esserlo prima
della conclusione del giudizio, la pericolosità va accertata con riferimento
non solo al momento della commissione del fatto, ma anche al momento in
cui il giudice ordina la misura di sicurezza. Ed in base al principio nulla
periculositas sine crimine, non può applicarsi una misura di sicurezza a chi
sia divenuto pericoloso dopo il fatto per cause sopravvenute, dovendo
esistere una interdipendenza fra pericolosità e reato, senza la quale manca il
presupposto garantista perché scatti il sistema preventivo di sicurezza.
Il nodo problematico sul quale si gioca la stessa legittimazione
sostanziale delle misure di sicurezza, è rappresentato dal giudizio di
pericolosità e dai criteri utilizzati per il suo accertamento. Si ritiene che sul
piano strutturale esso differisce profondamente dal giudizio di
responsabilità. Quest'ultimo è infatti di tipo diagnostico, nel senso che si