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Introduzione
Pochi eventi, nel corso del ciclo di vita di un’impresa, possono ritenersi importanti tanto
quanto una Initial public offering: una Ipo è, infatti, il processo mediante il quale le azioni di
un’impresa sono vendute per la prima volta al pubblico generico degli investitori. Essa, in
altri termini, non rappresenta altro che la fase finale dell’intero percorso che conduce alla
quotazione delle azioni sui mercati azionari regolamentati.
Si tratta di un’operazione di importanza critica, non solo per l’evento stesso, ma soprattutto
per le rilevanti conseguenze che essa è in grado di comportare sulla struttura aziendale:
benché la visione comune induca a raffigurare la quotazione come il momento in cui
l’impresa ottiene nuove risorse da investire a sostegno della crescita e dello sviluppo, vi sono
molte e molte altre variabili che incidono su tale scelta, ognuna delle quali è in grado di
esercitare degli effetti differenti.
Dal punto di vista economico-legale, ad esempio, l’Ipo rappresenta il momento in cui gli
azionisti originari dell’impresa decidono di alienare le proprie azioni, nonché di estendere la
proprietà azionaria a nuovi investitori, con un consistente mutamento dei rapporti di forza tra i
vari attori aziendali.
Alle variabili decisionali interne, occorre accostare altresì quelle provenienti dall’ambiente
esterno e in particolare l’influenza del contesto spazio-temporale: in alcuni sistemi finanziari,
quali quelli della Germania e dell’Italia, le imprese quotate costituiscono l’eccezione più che
la regola e molte imprese private hanno dimensioni di gran lunga maggiori rispetto a quelle
presenti sui mercati regolamentati. L’età media delle imprese centro-europee che hanno avuto
accesso al mercato fino agli anni ’90 è risultata pari a quaranta anni, contro una media di sette
anni per quelle statunitensi: anche il contesto economico-istituzionale assume, dunque,
un’importanza considerevole ai fini di una tale scelta.
Le motivazioni che possono indurre o meno alla quotazione sono, dunque, le più disparate,
ma quanto e in che misura tali variabili sono in grado di influire, oltre che sull’impresa stessa,
anche sugli attori esterni e in maniera particolare sugli investitori che in esse hanno deciso di
allocare i propri capitali?
Se dal punto di vista degli emittenti, la quotazione rappresenta il momento in cui i proprietari
dell’impresa decidono di cedere parte dei diritti di proprietà sulle risorse aziendali, vista dal
lato degli investitori essa non può che rappresentare, di primo acchito, un’allettante
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opportunità di investimento. Da sempre, infatti, le Ipo sono oggetto di notevole interesse da
parte di questi ultimi, soprattutto grazie all’oramai noto fenomeno dell’underpricing che
conferisce a questi ultimi la possibilità di conseguire lauti guadagni in un breve arco
temporale post-quotazione.
L’enfasi riposta sulle imprese neo-quotate ha raggiunto il proprio apice durante gli anni a
cavallo del nuovo millennio, allorquando l’avvento della bolla speculativa che ha riguardato
le imprese operanti nei settori hi-tech ha, dapprima, drenato un’abnorme quantità di capitali
verso tali operazioni, per poi culminare con lo scoppio della bolla. È stato soprattutto in
questo periodo, infatti, che le principali anomalie caratterizzanti le operazioni di Ipo sono
venute alla luce in maniera eclatante. Oltre al suddetto fenomeno dell’underpricing - che
evidenzia una consistente sottovalutazione del prezzo al quale le azioni sono inizialmente
collocate sul mercato - è possibile individuare un’accentuata ciclicità del mercato delle
quotazioni che dà luogo all’alternarsi di “hot” e “cold markets”, due fasi connotate da
peculiarità sostanzialmente opposte.
Ad oggi vi è, tuttavia, un ulteriore fenomeno che suscita il forte interesse da parte degli
studiosi: un’apparente performance negativa che nel lungo periodo sembra interessare le
azioni di imprese neo-quotate, ripercuotendosi negativamente sugli investitori (long-run
under-performance).
Ancorché questi tre fenomeni possano apparire come del tutto indipendenti, è possibile
tracciare un trait d’union che li lega indissolubilmente: il mercato delle quotazioni è
caratterizzato da un elevato livello di asimmetrie informative tra i vari attori che vi
partecipano tra cui, in primis, le imprese emittenti, gli investitori, nonché gli intermediari che
si occupano di organizzare il processo di offerta. La presenza di attori che dispongono di
informazioni quantitativamente e qualitativamente differenti non consente agli stessi di
pervenire ad una posizione di equilibrio e un tale contesto non può che favorire la
conformazione dei su menzionati fenomeni. Se, tuttavia, il fenomeno dell’underpricing - che
sarà brevemente trattato nel corso del presente lavoro - è oramai ben delineato nell’ambito
della letteratura, quello della long-run under-performance assume delle conformazioni
specularmente opposte e i pochi riscontri di cui ancora gode risultano poco consistenti per
poter asserire con assoluta certezza l’esistenza del fenomeno stesso.
Proprio in considerazione di questi ultimi elementi, obiettivo principale del presente lavoro è
quello di condurre il lettore ad assumere una visione ampia e organica del fenomeno inerente
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alla long-run performance delle imprese neo-quotate; la prospettiva assunta nel corso
dell’intera dissertazione è quella degli investitori, i quali – soprattutto alla luce della bolla
speculativa che ha causato per costoro la perdita di ingenti capitali – si chiedono se
l’investimento in azioni delle imprese neo-quotate possa, nel lungo periodo, rivelarsi
profittevole rispetto ad impieghi alternativi. L’investimento in imprese neo quotate può,
analogamente a quanto avviene nei giorni successivi alla quotazione, garantire elevati
rendimenti per gli investitori che decidono di mantenere le azioni lungo un arco temporale
pluriennale? Quali sono le variabili che maggiormente influiscono sui rendimenti da essi
conseguiti e, specularmente, sulle performance ottenute dagli emittenti?
Nel corso del primo capitolo, dunque, sarà introdotto al lettore il tema portante della
dissertazione, avendo riguardo alle principali determinanti che possono indurre le imprese alla
quotazione: se è vero, infatti, che i risultati di lungo periodo possono rivelarsi estremamente
volatili e incerti, ciò può dipendere in primo luogo dalle molteplici motivazioni che possono
incentivare l’emittente ad effettuare tale scelta. L’impresa deve ponderare, peraltro, gli effetti
derivanti tanto dalla separazione tra proprietà e controllo, quanto dalle variabili di natura
strategica.
La prospettiva dell’investitore, tuttavia, è dominata dall’incombenza delle asimmetrie
informative, le quali non consentono di assumere una prospettiva di valutazione oggettiva ed
attendibile: è per tal motivo che la letteratura e gli studiosi si sono prodigati
nell’identificazione di specifici indicatori di performance da sottoporre ad accurate analisi, nel
tentativo di valutare la convenienza, o meno, dell’investimento in azioni di imprese neo-
quotate.
La prosecuzione del lavoro si dirama, dunque, secondo i due principali filoni che
caratterizzano quest’ambito di ricerca: l’analisi delle performance operative e l’analisi delle
performance di mercato.
Il secondo capitolo dedica la propria attenzione al primo dei due filoni che adotta un
approccio di tipo aziendale, in cui lo studio delle performance è fondato su una prospettiva
interna alle imprese: vengono a tal fine esposti i più noti indicatori di performance operativa,
individuati in variabili di natura contabile, secondo un approccio critico e analitico volto ad
evidenziare pregi e difetti di ognuno di essi, nonché le varie fasi che caratterizzano il processo
di analisi.
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Il capitolo tratta anche del principale limite che connota tale approccio: la possibilità che gli
attori interni all’impresa – e in particolare il management – possano adottare pratiche
manipolative finalizzate a distorcere l’analisi e ad infondere aspettative eccessivamente
ottimistiche nei confronti del mercato. Dopo aver trattato queste problematiche, ci si
sofferma, infine, sui principali riscontri empirici che la letteratura afferente a tale filone,
seppur consapevole dei relativi limiti, ha ottenuto nel corso degli anni.
Il terzo capitolo è dedicato, invece, al secondo filone di ricerca: l’analisi delle performance di
mercato che si fonda sullo studio dei prezzi azionari, e dei relativi rendimenti, conseguiti dalle
imprese neo-quotate negli anni successivi all’Ipo. Le ragioni per cui l’interesse sortito da tale
filone risulta superiore al primo sono molteplici: l’individuazione di comportamenti anomali
sistematicamente assunti dai prezzi azionari nel periodo successivo alla quotazione può, anzi
tutto, garantire agli investitori delle profittevoli strategie di investimento; essa assume,
peraltro, una portata ancor più ampia che richiama in causa la verifica delle ipotesi di
efficienza informativa dei mercati.
Anche quest’ultimo approccio di analisi non è esente, tuttavia, da numerosi limiti e
problematiche che, diversamente da quanto avviene negli studi orientati al breve periodo, non
consentono di circoscrivere attendibilmente le peculiarità qualitative e quantitative del
fenomeno oggetto di interesse. Il capitolo terzo si sofferma, dunque, su una dettagliata ed
analitica trattazione di tali problematiche, evidenziandone le conseguenze che inficiano
significativamente gli esiti delle analisi e riportando le differenti - e spesso contrapposte -
posizioni assunte dai più eminenti studiosi in materia di Ipo.
Il quarto capitolo, in continuità con quest’ultimo filone di ricerca, presenta una vasta rassegna
dei principali riscontri ottenuti dalla letteratura, diramandosi anch’esso secondo una duplice
direzione: sono proposti, in primo luogo, i risultati legati alle principali ipotesi economiche di
interesse nel presente lavoro di ricerca; la seconda parte presenta, invece, i riscontri ottenuti
con riferimento a differenti contesti spazio-temporali, con la finalità di preservare al lettore
un’estensiva panoramica della ricerca internazionale.
L’ultimo capitolo, infine, affronta il problema anche a livello empirico, tentando di conferire
una risposta ai principali quesiti di ricerca con riferimento al mercato italiano. Dopo aver
esposto le tecniche e le metodologie utilizzate ai fini dell’analisi, la prima parte del capitolo si
colloca su una dimensione quantitativa e specificamente finalizzata a riportare gli esiti dei test
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effettuati in merito allo studio delle performance di mercato conseguite, sul mercato italiano,
dalle imprese neo-quotate nel periodo 1995-2008.
Al fine di traslare l’analisi anche su una dimensione qualitativa, la seconda parte si avvale di
metodologie statistico-econometriche volte a testare le ipotesi economiche iniziali, nonché ad
individuare le principali determinanti delle performance con riferimento alle medesime
imprese.
L’ultima parte del capitolo propone, infine, una possibile variante rispetto alle analisi già
esistenti, specie con riferimento al mercato italiano, nel tentativo di attenuare alcune delle
molteplici problematiche metodologiche, nonché i principali limiti incontrati anche in
considerazione delle specificità del contesto spazio-temporale.
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CAPITOLO I
LA QUOTAZIONE NEI MERCATI REGOLAMENTATI:
INCENTIVI, COSTI E BENEFICI
1. Uno sguardo introduttivo alle Initial public offerings – 2. Il finanziamento di nuovi progetti
di investimento – 2.1 Il finanziamento delle piccole imprese: sistemi bank-oriented e sistemi
market-based – 2.2 Il venture capital - 3. La separazione tra proprietà e controllo: i costi di
agenzia – 3.1 Costi e benefici della separazione tra proprietà e controllo – 4. Il ruolo
strategico dell’informazione nell’ambito delle Ipo – 4.1 La teoria del market-timing – 5. La
scelta della quotazione: la prospettiva degli investitori
1. Uno sguardo introduttivo alle Initial public offerings
Una Initial public offering (Ipo o offerta pubblica iniziale) è il processo mediante il quale le
azioni di un’impresa (emittente o issuer) sono vendute per la prima volta al pubblico degli
investitori e successivamente verranno negoziate all’interno di un mercato regolamentato.
Essa può essere costituita in forma di offerta pubblica di vendita (OPV), offerta pubblica di
sottoscrizione (OPS) o offerta pubblica di vendita e sottoscrizione (OPVS). Nel primo caso si
ha la cessione dei titoli, da parte degli azionisti già esistenti, ad altri investitori. L’impresa,
pertanto, non ottiene nuovi capitali poiché si tratta di un mero trasferimento della proprietà
azionaria tra diversi soggetti. Con la seconda forma, invece, l’impresa vende azioni di nuova
emissione in cambio delle quali riceve un nuovo apporto di capitale di rischio. L’ultima
modalità, infine, nasce da una combinazione delle precedenti strutture di offerta e rappresenta,
generalmente, la forma più utilizzata nell’ambito delle Ipo.
Pochi eventi nel corso della vita di un’impresa sono importanti tanto quanto la quotazione in
un mercato regolamentato. Tale rilevanza si può desumere anzitutto dai molteplici
cambiamenti strutturali che seguono ad un processo del genere. Il management, ad esempio,
diviene responsabile nei confronti di un elevato numero di azionisti a causa del grado di
dispersione della proprietà azionaria conseguente all’offerta. L’ambiente competitivo in cui
l’impresa opera può subire importanti alterazioni, soprattutto alla luce degli effetti
conseguenti allo status di società quotata. La quotazione, infine, altera anche gli assetti di
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governo societario e i rapporti di forza all’interno dell’impresa. Questi - ed altri - subitanei
mutamenti rendono la scelta di effettuare una Ipo estremamente complessa.
Nella teoria economica non esiste un modello unico ed esaustivo in grado di includere tutti i
costi e i benefici che devono essere attentamente ponderati dai decision-makers di un’impresa
prima di adottare una tale decisione. Le motivazioni per le quali si può essere interessati ad
intraprendere il processo di quotazione possono essere infatti le più disparate e – in un’analisi
improntata ad individuarne le determinanti - vi è la necessità di contestualizzare queste ultime
alla luce dei diversi assetti economico-istituzionali e dei periodi storico-temporali durante i
quali esse si verificano.
L’opinione comune è che la quotazione rappresenta “semplicemente” una fase del processo di
crescita e sviluppo di un’impresa. Ancorché sia presente una parte di verità in tale teoria, non
si possono trascurare le ulteriori condizioni che influenzano la scelta della quotazione con
riferimento tanto al periodo storico, quanto al mercato - area geografica di riferimento. In
alcuni sistemi finanziari, quali quelli della Germania e dell’Italia, le imprese quotate
costituiscono l’eccezione più che la regola e molte imprese private hanno dimensioni di gran
lunga maggiori rispetto a quelle che hanno già avuto accesso al mercato.
Tali peculiarità dimostrano come la quotazione non sempre rappresenti uno “status” ricercato
da parte delle imprese o uno stadio che esse raggiungono nel corso della propria vita; si tratta
bensì di una scelta deliberata in funzione di diverse variabili. (Pagano, Panetta e Zingales
1996). Essa, infatti, incide in misura significativa non solo all’interno dell’impresa – nei vari
cambiamenti strutturali che la riguardano – ma anche all’esterno: internamente l’Ipo
rappresenta il momento in cui i proprietari dell’impresa decidono di cedere parte dei diritti di
proprietà sulle risorse aziendali ad altri investitori; questi ultimi, d’altro canto, sono interessati
ad adottare strategie di investimento ottimali e, in un contesto particolarmente contraddistinto
da un elevato livello di asimmetrie informative - quale è il mercato delle Ipo - , essi hanno la
necessità di analizzare in maniera dettagliata l’informazione disponibile al fine di allocare i
capitali in maniera efficiente.
Il presente capitolo tenta, pertanto, di identificare e approfondire i più importanti aspetti,
nonché le varie motivazioni, che possono indurre un’impresa sulla via della quotazione
assumendo una prospettiva sia interna che esterna proprio in quanto tale scelta è in grado di
influire, non solo sugli “insiders”, ma anche su coloro i quali decidono di investire i capitali.
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2. Il finanziamento di nuovi progetti di investimento
Una delle più importanti motivazioni per le quali un’impresa opta per la raccolta di nuovi
capitali mediante una Ipo può essere rinvenuta nel finanziamento di nuovi progetti di
investimento. La disponibilità di flussi di cassa positivi rappresenta, infatti, la linfa vitale
soprattutto per le imprese che dispongono di elevate prospettive di crescita e sviluppo. Tali
flussi possono, in primo luogo, essere generati internamente, mediante la gestione operativa.
Quando, tuttavia, quest’ultima non garantisce liquidità sufficiente rispetto al livello di fondi
necessario per il finanziamento degli investimenti, un’impresa diviene finanziariamente
vincolata (financially constrained). Questo è il caso che caratterizza in particolare le piccole
imprese di nuova costituzione (start-up) e con investimenti altamente rischiosi (Draho, 2004).
Per ovviare ad una situazione di tal genere, l’impresa può decidere di razionare il livello degli
investimenti - con conseguente impatto negativo sul proprio valore - o di reperire nuovi
capitali esternamente. Il finanziamento esterno prevede varie alternative: l’impresa può
ricorrere al credito, trovare degli investitori privati disposti ad apportare ulteriore capitale di
rischio o può decidere alternativamente di optare per la quotazione, estendendo la raccolta di
nuovi fondi al pubblico generico degli investitori. La scelta ricade ovviamente sulla forma di
maggiore convenienza ed inerenza rispetto alle caratteristiche e alla struttura aziendale. In
alcuni casi, se l’accesso al credito è limitato o vi è elevata incertezza sulle prospettive di un
determinato settore, la quotazione può rappresentare l’unica via percorribile. Un caso
emblematico relativo a quest’ultima situazione ha riguardato le start-up appartenenti al settore
dell’alta tecnologia e di internet, le quali hanno dato seguito - durante la fine dello scorso
secolo - ad un’ondata di nuove quotazioni culminata con lo scoppio di una bolla speculativa
durante i primi anni del nuovo millennio. Il settore dell’alta tecnologia è tipicamente
caratterizzato da un’elevata intensità di investimento e le imprese si sono ritrovate durante tale
periodo nella necessità di raccogliere nuovi capitali per sostenere le proprie esigenze
finanziarie
1
. Quest’ultima esigenza, in aggiunta all’eccessiva enfasi riposta nelle prospettive
di redditività di tale settore sul finire degli anni ‘90, ha sollecitato la nascita di particolari
mercati azionari (nuovi mercati) pronti ad accogliere delle imprese che costituivano – dal
punto di vista degli investitori – delle promettenti opportunità di investimento. L’operatività
1
In realtà l’ondata di nuove quotazioni relative a tale settore è stata sostenuta anche da altri fattori che
saranno approfonditi nel seguito del presente capitolo.
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dei nuovi mercati
2
è stata tuttavia di breve durata ed ha trovato fine contestualmente allo
scoppio della bolla speculativa. Nonostante si sia trattato di un fenomeno effimero, l’accesso
delle imprese hi-tech ai mercati azionari ha rappresentato un valido riscontro in merito alla
capacità di questi ultimi nel provvedere al finanziamento delle start-up durante la fase iniziale
della propria vita. Prima della quotazione, infatti, le imprese si profilavano altamente
indebitate e incapaci di accedere ad ulteriore credito da parte del sistema bancario. In seguito
all’Ipo, invece, esse hanno dato luogo ad un repentino aumento delle spese in conto capitale,
degli investimenti in ricerca e sviluppo e del livello del debito. Le società che hanno raccolto
un elevato ammontare di capitali mediante l’offerta pubblica, inoltre, hanno osservato un
incremento più veloce delle vendite, degli assets e del numero di dipendenti rispetto alle
imprese le cui Ipo sono state di minori dimensioni (Bottazzi e Da Rin 2002). Tali riscontri
sono coerenti con l’ipotesi secondo cui lo status di “financial constrained” limita
notevolmente lo sviluppo delle imprese, specie se i flussi di cassa disponibili sono
insufficienti rispetto alle esigenze finanziarie: la quotazione può rappresentare in questi casi la
strada più adatta per sostenere la crescita e lo sviluppo.
Nonostante tali considerazioni, non si può affermare che il finanziamento tramite un’offerta
pubblica sia migliore in assoluto rispetto alle altre forme. Vi sono alcune circostanze e
condizioni secondo le quali può rivelarsi conveniente il ricorso al credito o all’apporto di
capitale di rischio da parte di particolari categorie di investitori. A questi ultimi, infatti, è
concessa l’opportunità di acquisire quote di partecipazioni azionarie nell’impresa mediante
delle emissioni riservate (private placement), destinate in genere ai soli investitori
istituzionali
3
. Tra questi vi sono tipicamente fondi mobiliari, banche d’affari, istituti di
credito, compagnie di assicurazione e, nei mercati anglosassoni, i fondi di venture capital, i
quali - oltre al capitale - forniscono all’impresa attività di supporto e servizi di consulenza. I
private placement possono essere utilizzati, pertanto, con la finalità di reperire capitali da
parte di uno o pochi grandi investitori, senza la necessità di dover porre in essere una
2
I mercati a cui si fa riferimento erano il “Neuer Markt” tedesco, il “Nouveau Marchè” francese e l’italiano
“Nuovo Mercato”. Si tratta di mercati appositamente istituiti alla fine degli anni ‘90 dalle Società gestrici delle
Borse regolamentate, con la finalità di accogliere, sulla base del modello del NASDAQ americano, le piccole
imprese appartenenti ai settori tecnologici e con elevate prospettive di sviluppo. La loro operatività è, appunto,
terminata con l’avvento della bolla speculativa.
3
Gli investitori istituzionali sono intermediari finanziari abilitati ad investire professionalmente un patrimonio
per conto di unità in surplus. Per ulteriori dettagli si può far riferimento all’art.26, lett. d) del “Regolamento
Intermediari Consob” in attuazione della Direttiva MiFID (2004/39/CEE).
15
quotazione che estenda la proprietà azionaria al pubblico generico dei risparmiatori.
4
Tale
forma di investimento nel capitale di rischio delle società non quotate, da parte di investitori
specializzati, è definita private equity.
La scelta tra private e public equity viene effettuata soprattutto con riferimento ai costi da
sostenere, di cui occorre considerare sia quelli diretti che indiretti.
Un’offerta pubblica richiede sicuramente un maggiore dispendio di risorse sia prima che dopo
l’Ipo. La quotazione, infatti, deve seguire un iter prestabilito dalle autorità di vigilanza dei
mercati presenti a livello nazionale e dalle società che gestiscono i mercati regolamentati,
all’interno dei quali successivamente le azioni vengono negoziate. Il processo inizia alcuni
mesi prima rispetto alla data dell’offerta e l’impresa deve preoccuparsi, durante tale periodo,
di adempiere agli obblighi previsti dalle legislazioni e dai regolamenti nazionali, incorrendo
in ingenti oneri burocratici e amministrativi. A ciò si aggiunga il pagamento di un
corrispettivo alla società che gestisce il mercato sul quale si intende essere quotati. Il
management, inoltre, è impegnato in continui incontri con i potenziali investitori, al fine di
presentare la società ed incentivare l’interesse all’investimento.
La quotazione coinvolge peraltro vari attori, i quali devono essere adeguatamente remunerati
dall’emittente. Una consistente quota dei costi da sostenere è rappresentata dal corrispettivo
dovuto all’underwriter, una banca di investimento che segue l’impresa sin dalla fase iniziale
del processo di quotazione con il principale compito di definire il prezzo di offerta delle
azioni e di coordinare un insieme di banche nel collocamento dei titoli presso gli investitori.
La remunerazione dell’underwriter è costituita da un compenso che è funzione dell’intero
valore dell’offerta, il quale rappresenta molte volte un onere significativo in maniera
particolare per le piccole e medie imprese. In genere esso viene fissato in una percentuale che
varia dal 3% al 7% dell’intero capitale offerto.
Oltre all’underwriter, un compenso è previsto anche per i consulenti esterni. Tra questi,
principalmente una società di revisione contabile indipendente e una società di consulenza
legale che contribuiscono all’esecuzione della fase di due-diligence, ovvero un’analisi
dettagliata della società volta ad accertare che essa disponga di tutti i requisiti necessari per la
quotazione. La società di revisione ha altresì il compito di certificare la veridicità dei
4
Vi sono dei casi in cui, tuttavia, i private placement sono inclusi anche all’interno delle offerte pubbliche
iniziali.
16
documenti contabili che l’emittente deve pubblicare insieme ad un prospetto informativo
5
.
Un’ulteriore figura prevista in alcuni Paesi - tra cui l’Italia - è quella dell’ advisor, un
consulente strategico che assiste l’emittente nell’intero processo e agisce esclusivamente nei
suoi interessi. Gli onorari dei consulenti rappresentano pertanto una ulteriore importante quota
degli oneri che un’impresa deve sostenere per accedere al mercato azionario.
I costi di una Ipo, tuttavia, non si limitano a quelli direttamente sostenuti dall’emittente: la
quotazione implica altresì un maggior impiego di risorse aziendali sia prima che dopo la
quotazione. Una gran parte di esse vengono dedicate, ad esempio, all’attenuazione delle
asimmetrie informative tra il mercato e gli insider dell’impresa e ciò rende i costi
dell’emissione significativamente più elevati rispetto alle offerte riservate ai soli investitori
istituzionali. Se questi ultimi, infatti, dispongono di capacità e competenze sufficienti a
valutare in maniera autonoma l’investimento, le offerte pubbliche, rivolgendosi
indistintamente a tutti i risparmiatori, devono garantire un’informativa trasparente nei
confronti del mercato. Le autorità di vigilanza del mercato finanziario assumono in questi casi
un ruolo di tutela nei confronti degli investitori: l’impresa, ad esempio, deve costituire
un’apposita unità di investor relations che si occupi della costante interazione con tutti coloro
che sono interessati all’andamento della società; il management deve inoltre riportare
periodicamente agli analisti finanziari e agli investitori istituzionali aggiornandoli
sull’andamento della gestione; occorre infine un potenziamento del sistema di controllo di
gestione interno, volto a garantire una maggiore affidabilità dell’informativa prodotta nei
confronti della comunità finanziaria. (Giorgino, Giudici e Paleari, 2001).
Un private placement, al contrario, non prevede la maggior parte degli obblighi e degli
adempimenti che devono essere osservati da una società quotata. In esso, inoltre, non è
prevista la presenza obbligatoria dei consulenti contabili e legali. La scelta delle emissioni
riservate, in altri termini, evita o riduce l’ammontare di risorse necessarie per accedere a
nuovi capitali. Esso, pertanto, comporta un considerevole risparmio di risorse di cui l’impresa
può beneficiare sotto forma di un minor costo del finanziamento.
5
Il prospetto informativo è un documento in cui devono essere contenute: <<… le informazioni necessarie
affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e
finanziaria e sull’evoluzione dell’attività dell’emittente nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti >>. Per
ulteriori dettagli si rinvia all’art. 94, D. Lgs. 58/1998. Il prospetto e i documenti contabili devono essere
pubblicati preventivamente all’offerta, in modo che gli investitori possano consultarli ed adottare
autonomamente le proprie scelte di investimento.