Parte Prima
SPORT: APPROCCI E PROSPETTIVE
1.1 La genesi dello sport
Molti sport oggi praticati in modo più o meno uguale in tutto il mondo
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hanno avuto origine in Inghilterra. Da lì si diffusero in altri paesi, soprattutto
tra la seconda metà dell‟Ottocento e la prima del Novecento. Il calcio, nella
forma in cui divenne poi famoso in Inghilterra come Association Football o,
nell‟abbreviazione popolare, “soccer”, era uno di questi. Altri erano la corsa di
cavalli, la lotta, il pugilato, il tennis, la caccia alla volpe, il canottaggio, il
croquet e l‟atletica. Ma nessuno fu altrettanto ampiamente e, in molti casi,
rapidamente adottato e assimilato da altri paesi come proprio, quanto la
versione moderna del calcio detta soccer. Né fu altrettanto popolare.
Anche il termine inglese sport fu largamente accettato da altri paesi
come termine generico per designare questi passatempi. Nel 1936 un
commentatore tedesco scrisse:
«Com‟è noto, l‟Inghilterra fu la culla e la “madre” premurosa dello
sport».
Termini tecnici inglesi relativi a questo campo di attività sembrano poter
diventare patrimonio comune di tutte le nazioni, nello stesso modo in cui si
sono diffusi i termini tecnici italiani per la musica. E probabilmente un fatto
raro che un pezzo di cultura si trasferisca con così pochi cambiamenti da un
paese all‟altro.
La diffusione del termine inglese sport, fino a diventare un‟espressione
comprensibile per i tedeschi, procedette lentamente sino alla metà
dell‟Ottocento, per poi diventare sempre più comune, in relazione all‟aumento
delle attività sportive. Infine, nel Novecento, Sport divenne una parola tedesca
pienamente accettata.
In Germania, come in Francia, alcuni termini inglesi che appartenevano
al linguaggio sportivo della classe superiore, furono adottati già nel
diciottesimo secolo. È significativo ai fini della comprensione dello sviluppo
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Cfr. N. Elias, Il processo di civilizzazione, Bologna, Il Mulino 1998
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delle società europee, come di quello dello sport, il fatto che i primi tipi di
sport inglesi adottati da altri paesi fossero la corsa di cavalli, il pugilato, la
caccia alla volpe, e passatempi simili, e che la diffusione dei giochi a palla
come il calcio e il tennis e di sport generalmente intesi nel significato più
moderno iniziasse solo nella seconda metà del diciannovesimo secolo.
Certo è che le società contemporanee non furono le prime, né le sole, in
cui veniva praticato lo sport. Il calcio non era giocato in Inghilterra e in altri
paesi europei nel medio evo? Gli antichi greci, i grandi pionieri dell‟atletica e
di altri sport non organizzavano come noi magnifiche gare locali e tra le
diverse città-stato? Il problema è che è davvero difficile dare una risposta alla
domanda se il tipo di giochi che si svilupparono in Inghilterra col nome di sport
tra l‟Ottocento e il Novecento e che da lì si diffusero ad altri paesi fossero
qualcosa di relativamente nuovo oppure il risorgere di antiche modalità
inspiegabilmente decadute, senza prima occuparsi della questione se in effetti
le gare in auge nell‟antica Grecia avessero le caratteristiche di quelli che oggi
consideriamo «sport». Il termine «sport» è usato spesso impropriamente per
designare gare di vario genere, anche se si usa ancora oggi il termine
indiscriminatamente sia in senso ampio, riferendosi alle gare e agli esercizi
fisici di tutte le società, sia nell‟accezione ristretta, con cui si designa il tipo
specifico di gare che, come il termine stesso, ebbero origine in Inghilterra e da
lì si diffusero in altre società.
La seguente citazione, tratta dalla voce «atletica» di una recente edizione
dell‟Enciclopedia Britannica, può forse essere considerata un buon riassunto
delle visioni della questione:
Le prime testimonianze storiche dell‟atletica risalgono ai giochi olimpici greci (800
a.C.) interrotti per ordine dell‟imperatore Teodosio nel 394 d.C. La storia dell‟atletica dalla
caduta di Roma nel V secolo all‟Ottocento è piuttosto lacunosa. Le feste religiose nel
Medioevo erano spesso accompagnate da rozzi giochi a palla tra città e corporazioni rivali.
Questi erano gli antenati dei grandi sport con spettatori del XX secolo: soccer, baseball
tennis, football, ecc… L‟arrivo della rivoluzione industriale verso la metà del Settecento e la
seguente introduzione degli sport come normale attività extracurricolare nelle public schools
voluta da Thomas Arnold (1830 circa) fornirono un incentivo che avrebbe portato al grande
sviluppo dello sport in età vittoriana. Più importante della rinascita ottocentesca dell‟atletica
fu la reintroduzione dei giochi olimpici ad Atene nel 1896. All‟inizio del XX secolo,
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l‟interesse per tutti gli sport competitivi aumentò moltissimo e nonostante due guerre
mondiali e numerosi scoppi minori di ostilità, quest‟interesse continua a crescere.
Questo riassunto, come si può vedere, elenca una serie di fatti piuttosto
ben documentati, ma non intende affatto far conoscere al lettore i molti
problemi irrisolti che si nascondono dietro la superficie levigata del racconto.
Perché i giochi che accompagnavano le feste religiose medievali erano «rozzi»,
mentre quelli che si svolgevano anticamente a Olimpia e in altri luoghi, erano
meno «rozzi», più simili, quindi, ai giochi dell‟Ottocento e del Novecento? E
come si può stabilire che fossero meno rozze? A un esame più ravvicinato, non
è difficile vedere che le gare dell‟antichità classica, spesso rappresentate come
il grande paradigma dello sport, avevano certe caratteristiche e crebbero in
condizioni molto diverse rispetto a quelle delle nostre gare. Molti degli scritti
attuali sull‟argomento tendono a minimizzare le differenze e a massimizzare le
somiglianze. Ne risulta un quadro distorto della nostra società, così come di
quella greca e del rapporto che esiste tra le due.
Nell‟antichità, le regole consuetudinarie degli eventi dell‟atletica
«pesante», come il pugilato e la lotta, ammettevano un grado di violenza fisica
molto superiore a quello consentito dalle norme delle corrispondenti gare
sportive moderne. Inoltre, negli attuali incontri sportivi le regole sono molto
più dettagliate e differenziate; non sono, in sostanza, regole consuetudinarie,
ma regole scritte, esplicitamente soggette alla critica e alla revisione ragionata.
Il più elevato livello di violenza fisica nei giochi dell‟antichità era tutt‟altro che
un dato isolato. Era sintomatico di caratteristiche specifiche
dell‟organizzazione della società greca, soprattutto nello stadio di sviluppo
raggiunto da quella che noi chiamiamo l‟organizzazione dello «Stato» e dal
grado di monopolizzazione della violenza fisica che essa implicava.
La monopolizzazione e il controllo relativamente saldo, stabile e
impersonale degli strumenti di violenza è uno dei tratti strutturali caratteristici
degli stati nazionali contemporanei. In confronto, la monopolizzazione e il
controllo della violenza fisica nelle città stato della Grecia era ancora
rudimentale. Nel caso della Grecia, ci si trova così dilaniati tra l‟alto valore
umano tradizionalmente assegnato alle sue realizzazioni nel campo della
filosofia, delle scienze, della arti e della poesia, e il basso valore umano che
sembriamo attribuirle quando si parla del suo inferiore livello di ripugnanza nei
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confronti della violenza fisica, insinuando che, in confronto a noi, erano «non
civilizzati» e «barbari». Noi siamo allevati, in conformità con la specifica
organizzazione sociale e con il controllo degli strumenti della violenza delle
nazioni industriali dei nostri giorni, con precisi standard di autocontrollo nei
confronti degli impulsi violenti. Per mezzo di questi standard misuriamo
automaticamente le trasgressioni, sia che avvengano nella nostra, che in altre
società a un diverso stadio di sviluppo.
Il livello di controllo della violenza all‟interno dei gruppi sociali allo
stadio tribale è quasi sempre superiore a quello esistente tra gruppo e gruppo. Il
caso delle città stato greche non era certamente diverso. Il livello di sicurezza
fisica all‟interno degli stati nazione più avanzati, anche se può apparire basso a
chi ci vive, è, molto probabilmente, normalmente superiore rispetto alle società
stato meno sviluppate, mentre l‟insicurezza nei rapporti tra stati praticamente
non è diminuita affatto. Allo stadio attuale di sviluppo sociale i conflitti
violenti tra Stati sono ingestibili per chi vi è coinvolto, così come lo sono da
sempre. Pertanto, gli standard di comportamento civilizzato sono relativamente
bassi e l‟interiorizzazione dei tabù sociali contro la violenza fisica, la
formazione della coscienza, è, da quel punto di vista, temporanea e
relativamente instabile. Il fatto che conflitti e tensioni all‟interno degli stati
nazione industriali siano diventati, normalmente, meno violenti e in qualche
modo più gestibili è il risultato di un lungo sviluppo non pianificato;
certamente non è un merito delle generazioni presenti.
Il livello di violenza delle gare del passato è spesso giudicato in questo
modo: frequentemente non riusciamo a distinguere tra atti individuali di
trasgressione contro gli standard di controllo della violenza propri della nostra
società e atti individuali di tipo simile commessi in altre società in conformità
con il loro livello di violenza socialmente consentito, in conformità con le
norme di quelle società. Così la nostra risposta emotiva immediata, quasi
automatica, spesso ci porta a giudicare società con diversi standard di controllo
della violenza e di ripugnanza nei confronti della violenza come se i membri di
queste società fossero stati liberi di scegliere tra i loro standard e le loro norme
e le nostre e, avendo avuto la scelta, avessero preso la decisione sbagliata.
Di regola, non ci chiediamo e, conseguentemente, non sappiamo come
mutamenti del livello di controllo della violenza, delle norme sociali che
regolano la violenza, o delle sensazioni associate alla violenza abbiano luogo.
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Non sappiamo, in altre parole, come spiegarle, così come non sappiamo come
spiegare il nostro superiore livello di sensibilità nei confronti della violenza
fisica, almeno nei rapporti intra-statali.
I livelli abituali di violenza praticati e consentiti nell‟ambito di
competizioni fisiche in società a un diverso stadio di sviluppo mettono così a
fuoco un problema molto più ampio e fondamentale. Pochi esempi possono
aiutare a precisarlo. Si prenda il caso della lotta nella versione moderna e in
quella antica. Oggi lo sport è altamente organizzato e regolato. E governato da
una federazione internazionale che il proprio quartier generale in Svizzera.
Tra le gare dei giochi olimpici antichi era annoverato il pancration, un
tipo di lotta che era uno degli eventi più popolari. Ma il livello di violenza
consentito nel pancration era molto diverso da quello della lotta libera
contemporanea. Il rimanere ucciso o gravemente ferito e forse inabile a vita era
un rischio che chi partecipava al pancration doveva assumere. Il seguente
riassunto può dare un‟idea della differenza tra la lotta intesa come sport e la
lotta intesa come «agone»:
Nel pancration i concorrenti lottavano con tutte le parti del corpo, con mani, piedi,
gomiti, ginocchia, collo e testa; a Sparta usavano persino i piedi. Era permesso anche cavarsi
gli occhi…fare lo sgambetto, afferrare piedi, naso e orecchie, torcere dita e braccia e
prendere alla gola. Se uno riusciva a mettere a terra il rivale, aveva il diritto di sedervisi
sopra e colpirlo alla testa, in faccia e sulle orecchie; poteva anche dargli calci e calpestarlo.
È superfluo aggiungere che i concorrenti di questa lotta brutale a volte subivano ferite
paurose e non infrequentemente c‟era chi rimaneva ucciso! Il pancration degli efebi di
Sparta era probabilmente il più brutale. Pausania racconta che i due avversari combattevano
quasi letteralmente con le unghie e coi denti, si davano morsi e si strappavano gli occhi.
I giochi olimpici antichi sono durati più di un migliaio di anni. Gli
standard di violenza possono aver variato nel corso del tempo. Ma qualunque
fossero queste fluttuazioni, per tutta l‟antichità la soglia di sensibilità nei
confronti delle lesioni fisiche e persino della possibilità di uccidere in una gara
e, quindi, l‟intero ethos della gara, era molto diverso da quello delle gare che
oggi caratterizziamo come sport.
Non sempre ci si rende conto che la possibilità per un uomo fisicamente
handicappato di conseguire e mantenere una posizione di comando o di elevato
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potere e rango sociale è un fenomeno relativamente recente nello sviluppo
delle società. Dal momento che «l‟immagine corpo» o l‟aspetto fisico
occupano un posto basso, molto inferiore, ad esempio, all‟«intelligenza» o al
«carattere morale», nella scala dei valori che, in società come la nostra,
determina la classificazione degli uomini e l‟intera immagine che ce ne
formiamo, spesso non possediamo la chiave per capire altre società in cui
l‟aspetto fisico giocava una parte molto più grande nella determinazione
dell‟immagine pubblica di un uomo, come, appunto, nelle Grecia dell‟antichità.
Forse si può dare un‟idea della differenza ricordando che nella nostra società
l‟aspetto fisico come determinante dell‟immagine sociale di un individuo gioca
ancora un ruolo importane e forse crescente per le donne, ma che per quanto
riguarda gli uomini, sebbene la televisione possa avere qualche influenza,
l‟aspetto fisico e in particolare la forza e la bellezza del corpo non svolgono
una parte molto rilevante nella considerazione pubblica di una persona. Il fatto
che una delle nazioni più potenti del nostro tempo abbia eletto un uomo
paralizzato alla carica suprema del paese è, da questo punto di vista,
sintomatico. Nella società delle città stato greche era diverso. Gli esseri umani
deboli o malformati venivano eliminati sin dall‟infanzia. I bambini deboli
venivano lasciati morire. Un uomo che non fosse in grado di combattere
contava poco. Era molto raro che un uomo storpio, malato o molto vecchio
potesse conquistare e mantenere una posizione di leadership pubblica.
I partecipanti alle gare di Olimpia venivano di solito da “buone
famiglie”, dalle élite relativamente ricche delle loro città d‟origine, da gruppi di
proprietari terrieri e forse dalle famiglie contadine più agiate. La partecipazione
alle gare richiedeva un addestramento lungo e difficile che solo gente
abbastanza ricca poteva permettersi. Inoltre, l‟idealizzazione del guerriero nella
scultura greca, quindi, la rappresentazione persino degli dei in conformità con
l‟aspetto fisico ideale del guerriero aristocratico, e l‟ethos del guerriero delle
gare non solo erano compatibili; erano manifestazioni strettamente connesse
dello stesso gruppo sociale. Entrambe sono caratteristiche della posizione
sociale, del modo di vivere e degli ideali di questi gruppi.
Tutti i giudizi sugli standard di comportamento civilizzato sono giudizi
comparativi. Non si può dire in assoluto, noi siamo «civilizzati», loro sono
«non civilizzati». Ma si può dire con grande sicurezza, «gli standard di
comportamento e sensibilità della società A sono più civilizzati, quelli della
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società B meno», a condizione che si sia elaborato un chiaro e preciso
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indicatore di misura dello sviluppo.
1.2 Sport e classe sociale
Ritengo che l‟innocenza derivante dal non essere una specialista può
condurre talvolta a porre dei problemi che gli specialisti non si pongono più, in
quanto ritengono di averli risolti e considerano acquisiti un certo numero di
presupposti che sono probabilmente al fondamento stesso della loro disciplina.
Penso che, senza fare troppa violenza alla realtà, si possa considerare l‟insieme
delle pratiche e dei consumi sportivi offerti agli attori sociali – rugby, calcio,
nuoto, atletica, tennis, golf, ecc… - come un‟offerta destinata ad incontrare una
determinata domanda sociale. Se si adotta un modello di questo tipo, si
pongono due ordini di problemi. In primo luogo: esiste uno spazio di
produzione, dotato di una propria logica, di una propria storia, al cui interno
vengono generati i “prodotti sportivi”, vale a dire l‟universo di pratiche e
consumi sportivi disponibili e socialmente accettabili in un dato periodo di
tempo? In secondo luogo, quali sono le condizioni sociali di possibilità
dell‟appropriazione dei diversi “prodotti sportivi” in tal modo prodotti – pratica
del golf o sci di fondo, lettura de l‟Equipe o telecronaca della coppa del mondo
di calcio? In altre parole, come si produce la domanda dei “prodotti sportivi”,
come acquisisce la gente il “gusto” dello sport e di questo piuttosto che di
quello sport, in quanto pratica o in quanto spettacolo?
Mi sembra che per rispondere a queste domande ci si debba interrogare
innanzitutto sulle condizioni storiche e sociali di possibilità di questo fenomeno
sociale che troppo facilmente accettiamo come scontato: lo “sport moderno”.
Tale sistema comprende le “associazioni sportive”, pubbliche o private, che
hanno come loro funzione di assicurare la rappresentanza e la difesa di interessi
dei praticanti di un determinato sport ed al tempo stesso di elaborare e di fare
applicare le norme che regolano questa pratica, fino ai produttori e venditori di
beni (equipaggiamento, strumenti, abbigliamento speciale, ecc.) e dei servizi
necessari alla pratica dello sport (insegnanti, istruttori, allenatori, medici,
2
Cfr. N. Elias, Sociologia dello Sport, La genesi dello sport come problema sociologico
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