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Introduzione
Il presente elaborato nasce dalla volontà di approfondire uno dei principali fenomeni sociali
dell’Italia repubblicana – il Terrorismo – analizzando il rapporto causa/effetto e valutando, dal
punto di vista storico, giuridico e sociologico, le strategie di contrasto adottate dagli apparati
statali e i risultati da essi conseguiti.
L’obiettivo dichiarato è quello di fornire un punto di vista differente, orientato e fondato di
dati oggettivi, in grado di rispondere ad una domanda che potrebbe addirittura sembrare banale:
“Quanto è efficace il nostro sistema penale nella lotta al terrorismo?”.
Nelle pagine seguenti, verrà ripercorso gran parte del XX Secolo, osservando le vicende
terroristiche che hanno maggiormente segnato l’epoca post bellica, ponendo l’accento
sull’evoluzione normativa di riferimento, così da conoscere appieno non il singolo episodio,
ma il contesto e le reazioni da esso suscitate. Si giungerà infine a delle conclusioni tutt’altro
che scontate, basate, più che altro, su una valutazione oggettiva e scevra da preconcetti, radicata
nei risultati conseguiti da uno Stato, l’Italia, che ha impiegato ogni suo mezzo per contrastare
uno dei moti più dirompenti che avessero mai colpito la società moderna.
Discorrendo in poche righe l’interno lavoro, possiamo notare come esso si componga di tre
capitoli, suddivisi per ambito di argomentazione.
Nel primo Capitolo il lettore sarà accompagnato in un preliminare approccio con
l’argomento, che si sostanzia nella ricostruzione storica dei principali eventi del secondo
dopoguerra e del contesto sociologico nel quale questi erano inseriti.
La rapida escalation di violenza imposta dalle compagini terroristiche, costrinse le autorità
del tempo di adattarsi alla minaccia, modificandosi nella forma, ma non nell’efficacia. Erano
anni, quelli “di piombo”, in cui il terrorismo non aveva i connotati di un solo colore politico;
la proposta ideologica era estremamente variegata e, come si vedrà, le varie consorterie erano
tanto “Rosse” quanto “Nere”, ma contraddistinte dal medesimo gradiente di violenza.
Discorrendo, il tema intraprenderà una manovra di avvicinamento al suo nucleo,
individuando le forme di risposta che i Governi adottarono rispetto ai fenomeni che
imperversavano con rabbia nella penisola.
Nel secondo capitolo, verrà trattato il tema dell’evoluzione normativa penale, osservando –
con spirito critico – tanto la fase produttiva, quanto quella applicativa.
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E’ proprio in un periodo così denso di avvenimenti drammatici che emersero i concetti più
innovativi. Si pensi a termini come “Legislazione d’emergenza”, “Carattere premiale della
pena”, “Reparti speciali” o, più semplicemente, “Antiterrorismo”. Tutto questo impiego di
forze e strumenti portò, come vedremo, alla disfatta del Terrorismo eversivo, e ciò senza
particolari spargimenti di sangue. La sconfitta del terrorismo si concretizzò sul piano
psicologico. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, infatti, i Governi vararono una serie
di provvedimenti utili ad indurre il singolo terrorista a dissociarsi e collaborare con la Giustizia
(Vds D.L. 59/1978, 625/1979 e 304/1982).
Così, le varie compagini iniziarono il loro lento declino e le Istituzioni – grazie alle
confessioni dei pentiti - iniziarono a tessere la trama delle varie vicende giudiziarie.
Il terzo ed ultimo capitolo, invece affronterà l’evoluzione dell’Ordinamento Penitenziario.
In questa fase dell’elaborato, l’impegno di ricerca si è concentrato su un tema cruciale:
l’introduzione dell’art. 41-bis e il concetto di “Carcere Duro”.
Con questa manovra la politica nazionale riuscì ad arginare una delle criticità sorte con gli
arresti dei primi terroristi: il pericolo di radicalizzazione e la pianificazione di attentati
dall’interno degli istituto di Pena.
Venendo alle conclusioni, quindi, si toccherà un altro tema di assoluto rilievo, ispiratore
della L. 663/1986: La funzione rieducativa della pena, divenuta centrale rispetto al dibattito di
quel tempo e ritenuta indispensabile in un contesto gravemente de-umanizzato a causa degli
anni di stragi.
Proprio questo punto apre il tema conclusivo del lavoro di Tesi: l’applicazione del 41-bis
all’Anarchico Alfredo Cospito, Rispetto a questa vicenda, l’autore ha delineato una sorta di
parallelismo fra il terrorismo politico degli anni ’70 e l’attualità, ponendo a confronto
l’approccio istituzionale dei due periodi.
Come anticipato nelle righe precedenti, le conclusioni del presente lavoro saranno tutt’altro
che scontate. Il presente lavoro rappresenta l’analisi di un vari momenti storici, collegati da un
unico filo conduttore: l’efficacia di una normativa d’avanguardia.
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1. L’attività terroristica in Italia.
Al termine del secondo conflitto mondiale, l’Italia si trovò a dover fare i conti con alcuni
cambiamenti strutturali che, di lì a poco, avrebbero portato ad una modifica radicale degli assetti
polito-sociali.
Il contesto era quello del “dopoguerra”, termine che suggerisce l’intenzione di lasciarsi alle
spalle anni difficili ed alimentare una ripresa quanto più rapida possibile.
La società dell’epoca era contraddistinta da un’inguaribile positivismo che negli anni ha
trainato la popolazione - dal un punto di vista materiale e morale – verso risultati fino al quel
momento insperati.
E’ indubbio che la sconfitta del nazi-fascismo e la imponente ripresa economica mondiale
abbiano giovato anche ad uno stato, l’Italia, che sino ad allora aveva recitato la parte dell’eterna
incompiuta: considerata dai più fra le grandi potenze mondiali, ma, di fatto, in costante ritardo
da un punto di vista politico ed economico
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.
Proprio in un contesto così vivace, tuttavia, iniziò una rapida fase di avvicinamento alla
stagione delle contestazioni, in particolare quelle politiche.
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https://www.notizie.it/economia-del-dopoguerra-in-italia/:
“
Il miracolo economico del ventennio 1950-1970
rappresenta un momento di grande rilevanza nella storia dell’Italia, poiché ha visto decollare l’espansione
economica del Paese. Ciò grazie a una serie di interventi politici e finanziari, responsabili di un generale
rinnovamento del sistema produttivo. Nel panorama postbellico, l’Italia è stata in grado di abbandonare le vecchie
forme di protezionismo e di avviare un processo di ammodernamento. La vittoria di Alcide De Gasperi nel 1948 ha
costituito un momento cardine, che ha consentito al Paese di aderire al piano Marshall, ricevendo finanziamenti
per un valore di circa 1400 milioni di dollari. Grazie a tali flussi di capitale, sono stati rilanciati settori di importanza
strategica, come quello dei trasporti, dell’agricoltura, dei lavori pubblici e dell’industria. Attraverso le strategie
politiche adottate, tra cui la partecipazione alla costituzione della CECA e l’adesione al Patto Atlantico, l’Italia ha
potuto usufruire di aiuti economici esterni e ha avviato una serie di riforme e di investimenti mirati. In particolare,
l’introduzione del piano Marshall ha permesso di finanziare importanti progetti volti a ridurre il divario economico
tra il Nord e il Sud del Paese, acuitosi in quegli anni. Il miracolo economico italiano non può essere visto solo
come il risultato di politiche pubbliche, ma anche come il frutto della creatività e dell’ingegno degli imprenditori
italiani. In questo contesto, l’esempio di un’azienda come Bonanomi è emblematico: fondata nel 1946 da Giuseppe
Bonanomi, si è inserita in un momento in cui il settore metalmeccanico era in fermento. Tra tutte le iniziative che
caratterizzarono il secondo Dopoguerra, figura il piano Fanfani. Grazie a questo programma, che prende il nome
dal ministro del Lavoro Amintore Fanfani, il Paese ha potuto affrontare la crisi edilizia e la crescente
disoccupazione, dando un forte impulso all’economia. Il piano prevedeva la costruzione di case popolari e il
rinnovamento urbano delle città, ed ebbe un impatto decisivo sull’economia italiana: la costruzione di queste
abitazioni richiese l’impiego di un gran numero di lavoratori e di aziende edili, creando nuovi posti di lavoro. La
riduzione del tasso di disoccupazione produsse un aumento del potere d’acquisto dei cittadini, con conseguente
accrescimento dei consumi e delle attività. Il miracolo economico italiano ha lasciato un’impronta indelebile nella
storia del Paese e ha contribuito in modo significativo alla sua crescita. Tuttavia, è importante sottolineare che
questo momento di grande prosperità ha avuto anche importanti ripercussioni sociali e culturali”
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In quegli anni emersero gruppi (di matrice prevalentemente studentesca e operaia),
fortemente politicizzati e bramosi di far sentire la propria voce, reclamare diritti ed ottenere
credibilità; tutto questo portando la sfida nelle piazze, nelle strade, nelle università o nelle
grandi fabbriche.
Tanto premesso, è fin troppo facile comprendere come le frange più estremiste di tali gruppi
non ebbero alcuna difficoltà a tentare di sovvertire l’ordine costituito mediante la “Lotta
Armata” (per il Terrorismo Rosso) e la “Strategia della tensione” (per il Terrorismo Nero). Ed
è così che la penisola, in quel ventennio o poco meno divenne il teatro di scontro fra moderni
Guelfi e Ghibellini che, differentemente dagli originali, non avevano come fine la sconfitta
della controparte, ma l’attacco alle istituzioni con il coinvolgimento, nella maggior parte dei
casi, di civili innocenti.
A livello giornalistico si è parlato di “Anni di piombo” mutuando una definizione tratta da
una delle principali produzioni cinematografiche del ventennio ’60-’80
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e che in maniera
sublime definisce lo stato di terrore che imperversava in quegli anni nelle strade italiane; dalla
provincia alle grandi metropoli, costringendo la Stato alla risposta, instaurando una lotta feroce
e senza esclusione di colpi.
1.1. La Genesi del terrorismo italiano
Racchiudere un fenomeno come il terrorismo eversivo italiano in una definizione solida e
comunemente riconosciuta non è cosa semplice. Tale affermazione apre la strada ad una
considerazione: l’atto terroristico, per caratteristiche, spinte ideologiche e comportamenti dei
singoli attori, risulta fortemente eterogeneo.
Negli anni in cui le compagini estremiste hanno imperversato lungo tutto lo stivale, non
hanno colpito i propri obiettivi mediante un “modus operandi” collaudato e ben riconoscibile,
ma hanno di volta in volta cambiato pelle.
Purtuttavia, cercando di inquadrare ancor meglio la questione, possiamo fare ricorso alla
definizione fornita dal CESIS
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“Anni di Piombo” (1981) – Regia di Margareth Von Trotta.
3
CESIS: Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza – attivo dal 1977 al 207 (anno della
riforma dell’intelligence italiana – L. 3 agosto 2007 n. 124)
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“Per atto di terrorismo si intende un’azione violenta, politicamente motivata, volta a
colpire obiettivi di valore simbolico e destinata anche ad intimidire un “uditorio bersaglio”
riconducibile, socialmente o politicamente, all’obiettivo primario. L’atto di terrorismo, a
differenza di quello di “violenza politica” (ascrivibile a individui o gruppi che tendono ad
agire a “viso aperto”) e di quelli di “guerriglia” (attuati con strumenti e logiche
paramilitari) viene di solito compiuto da individui o gruppi operanti in clandestinità o sotto
copertura o comunque in condizioni di mimetismo all’interno delle società colpite.”
Dalla lettura di questo stralcio possiamo quindi individuare i tratti distintivi dell’atto
terroristico che dev’essere “politicamente motivato” e destinate a “colpire obiettivi di valore
simbolico”.
Al fine di favorire una precisa lettura della portata del fenomeno e prima di introdurre i
principali episodi terroristici avvenuti nell’Italia del secondo dopoguerra, è d’obbligo mostrare
ed analizzare i risultati prodotti dal terrorismo politico italiano, ponendoli a confronto con gli
atti terroristici commessi all’estero.
Di seguito verrà proposto un Grafico pubblicato nel Luglio 2016 dal Portale “Global
Terrorism Database”
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che pone a confronto i principali eventi terroristici avvenuti in Europa
fra il 1970 e il 28 giugno 2016, ponendo l’accento sulle morti prodotte dagli stessi.
Fonte: Global Terrorism Database
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https://www.statista.com/chart/4554/terrorist-attack-victims-in-western-europe/
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Dall’analisi del grafico possiamo notare che, proprio negli anni ’70, l’Italia conobbe il
proprio periodo di massima esposizione agli attentati terroristici, che costarono migliaia fra
morti e feriti.
La statistica in questione, però, suggerisce un dato estremamente interessante relativo
all’assenza di perdite legate ad attentati terroristici a partire dal 1992 (ovverosia dalla stagione
terrorista di matrice mafiosa).
Per quanto attiene il periodo del terrorismo politico, invece, è universalmente riconosciuto
come questi sia terminato nell’anno 1982 con la liberazione, ad opera del NOCS della Polizia
di Stato, del Generale Statunitense James Lee Dozier, catturato il precedente 17 dicembre 1981
a Verona. Tale circostanza fa supporre come, rispetto alla maggior parte degli altri paesi censiti
in tale grafico statistico, l’Italia abbia adottato le strategie preventive e repressive più efficaci,
scoraggiando – nonostante gli episodi sporadici avvenuto negli anni ’90 e ’00 – la recrudescenza
del fenomeno.
Fatte queste doverose premesse, proseguendo nella lettura, proveremo ad identificare i
principali attori del “Periodo di Piombo”, cercando di definire le due fazioni principali
– Terrorismo Rosso e Terrorismo Nero – e cercando di descriverne le relative spinte
ideologiche.